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Arte al bar: GIOTTO "Approvazione della regola"

6 Settembre 2018 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #pittura, #arte, #arte al bar

"Approvazione della regola " di Giotto e l'omaggio di Walter Fest"Approvazione della regola " di Giotto e l'omaggio di Walter Fest

"Approvazione della regola " di Giotto e l'omaggio di Walter Fest

 

 

Oggi, amici lettori della signoradeifiltri, faremo un salto indietro nel tempo, bentornati alle nostre pagine artistiche. 

Qui al bar la situazione è tranquilla e radiosa, grazie ai cambiamenti climatici l'estate sarà ancora lunga, chissà che un giorno potremo andare a Natale al mare. Scherzi a parte, oggi vi porterò nel 1300, pertanto, per andare così indietro nel tempo, ho deciso di farmi accompagnare da Katia, una giovanissima cassiera del supermercato: pettinatura alla moda, trucco e tatuaggi, bigiotteria varia indossata un po' dappertutto, avrete capito dove. Molto bene, non ci resta che iniziare.
 

- Katia, lo sai chi era Giotto?
 

- No, però a scuola avevo l'astuccio con le sue matite e i pennarelli.
 

- Uelà, tontolona, possibile che non sai chi è Giotto? (E' Giovanna la Milanese dal fondo della sala.)


- Un nuovo rapper?
 

- Walter, lasciamola a cappuccino senza zucchero e cornetti integrali per una settimana!


- Giovanna, dobbiamo essere buoni, non è colpa loro se sono nati in un'altra epoca.
 

- Sarà, ma a me questi giovani sembrano tutti un po' fuori di testa.
 

- Forse per le nuove generazioni l'arte può sembrare qualcosa di antico, qualcosa di difficile da capire, come per noi è difficile capire loro, Katia. Giotto era un artista che ai suoi inizi era molto più giovane di te, il Medioevo è stato un periodo storico alquanto controverso e la vita di tutti i giorni di quell'epoca non era vicina per nulla ad un modo di vivere ragionevole per come possiamo intenderlo noi.

Della vita di Giotto, nato a Colle di Vespignano intorno al 1267, non sappiamo molto ma la scintilla che ha innescato la sua arte è stato l'incontro con Cimabue, il maestro che, nella sua bottega, insegnò il mestiere dell'artista al giovanissimo allievo. Alcune leggende, diremmo metropolitane, narrano che Cimabue si stupì della bravura del ragazzino quando, su un sasso, disegnò le pecore al pascolo, oppure quando il maestro cercò di scacciare una mosca da sopra una tela dipinta da Giotto.
 

- Però, era bella la vita a quell'epoca, niente scuola, aria buona, cibo genuino...


- Katia, eravamo sempre nel medioevo, il mezzo di locomozione era il carretto e il cavallo, non c'era l'illuminazione elettrica, né il telefonino, i talk show, le automobili, il w.c., e mi fermo qui perché la vita di allora non era propriamente bella e comoda, però l'arte era tenuta molto in considerazione, possiamo dire che era la televisione di quei tempi.

Giotto in breve superò il maestro e il suo talento fece rapidamente il giro d'Italia. Come in moderno passaparola, la sua figura assumeva un'importanza enorme e la sua presenza veniva richiesta da più parti, troviamo le sue magnifiche opere nella basilica superiore e inferiore di Assisi, a Roma ai tempi di Papa Bonifacio VIII, a Firenze, a Rimini, a Padova, a Napoli, Bologna, Milano.


- Anche senza l'aeroplano ha girato molto l'artista, eh!


- Sì, Katia, e questo suo spostarsi di città in città è stato fondamentale per la storia dell'arte nazionale perché, con il suo stile innovativo, ha influenzato ed è stato di esempio per tutta l'arte e gli artisti dell'epoca. 

Ora, nell'ammirarla, sembra arte semplice, facile, quasi ingenua, invece Giotto era un artista modernissimo che, grazie al suo lavoro, rinnovò tutti i concetti utilizzati fino a quel momento. Di fatto anticipando il Rinascimento, stravolse la costruzione di un'opera introducendo l'uso della prospettiva. L'immagine non era più piatta ma aveva un effetto tridimensionale, la sua scena non era più solo simbolica ma diventava realistica. In età avanzata, grazie all'enorme esperienza artistica accumulata, divenne anche architetto e la sua opera maggiormente conosciuta è il famoso campanile di Giotto, torre campanaria della cattedrale di S.Maria del fiore a Firenze.

Nel detto anno (1334) (...), si cominciò a fondare il campanile nuovo (...) di costa a la faccia della chiesa in su la piazza di Santo Giovanni (...) e proveditore della detta opera (...) fue fatto per lo Comune maestro Giotto nostro cittadino, il più sovrano maestro stato in dipintura che si trovasse al suo tempo (...)
(Giovanni Villani, Cronica)

- Ma, Walter, in quel periodo non avevano altri divertimenti?
 

- Katia, in un certo senso non sapevano che fosse il tempo libero, però, in ogni caso, si divertivano anche loro in tanti modi. Esistevano varie classi sociali ma il divertimento per tutti era assicurato, furono perfino gli antenati inventori del gioco del calcio, e poi giullari e saltimbanchi animavano le piazze, beh, io magari sarei stato proprio un grande giullare non trovi?

 

- Il principe dei giullari!
 

- Grazie del complimento Gianni. Senti, che ne dici di mettere un po' di musica? Dai, accendi il nostro jukebox.
 

- Ce l'hai l'ultima dei Ramones? 
 

- Dalia, ma allora siamo proprio rimasti al Medioevo! Forza, adesso è meglio che andiamo a descrivere l'opera Approvazione della regola.

Questo lavoro fa parte del ciclo di affreschi realizzati da Giotto ad Assisi nella Basilica superiore. Di formato 230X270, rappresenta S. Francesco con i suoi confratelli nell'atto di ricevere l'autorizzazione al nuovo credo dell'ordine monastico.

I protagonisti sono in primo piano e il pathos è tutto nel momento dell'atto di ricevere di mano in mano il documento, atteso pazientemente dai Francescani, fuori del palazzo Laterano, per circa 90 lunghissimi giorni. A tal memoria, nel 1927 venne eretta una statua bronzea del Santo Francescano con le braccia aperte rivolte verso la facciata della Basilica di S.Giovanni in Laterano a Roma. 
Ma ritorniamo a Giotto, nell'opera pittorica tutti i frati sono ansiosamente statici nel momento cruciale, eppure l'artista ha reso la scena dinamica, con tutte le forme in una danza cromatica. 

Il movimento parte da una linea curva immaginaria, sono curve le volte a botte, la cui prospettiva ispira il senso di profondità, sono una serie di curve le pieghe del tessuto damascato, disposto sulle pareti di fondo dell'architettura che fa da cornice all'evento, è curvo il gruppo di frati inginocchiato a mani giunte in segno di ringraziamento e devozione al Papa Innocenzo III. Altre linee curve, le loro umili teste calve e spoglie, in contrasto con le forme curve ad ogiva dei copricapi del Papa e dei suoi astanti. 

Il marrone sbiadito delle povere tonache dei frati è di un tono scolorito dalle intemperie, dal freddo, dalla pioggia, nell'estenuante attesa per essere accolti dal Papa, arresosi solo in seguito a una visione notturna. Ora eccoli inginocchiati sulla pavimentazione dorata, con lo sguardo speranzoso, di fronte alla ricchezza rosso porpora dei pregiati abiti religiosi, con alla testa la massima autorità del Papa.

Giotto, con una velatura celestiale finale in un alone di spiritualità, rende l'opera emozionante per lo storico momento, le tinte dell'affresco non sono accese, la scena è solenne ma tutto è in armonia, la scelta di professare la fede in povertà non si sarebbe ben intonata con colori accesi e sfarzosi.
 

- Katia, sei rimasta scioccata?
 

- Veramente, vedere quest'opera mi dà un senso di serenità, i colori mi sembrano eleganti, forse mi sbaglio, dovrei dire celebrativi, in effetti la scena rappresenta un momento storico, nel complesso vederla mi fa sentire in pace. Ecco, se fossi stata lì, avrei alla fine applaudito. Certo che questi frati erano un po' cocciuti, eh!


- Era la forza della fede, e la genialità di Giotto è stata averla rappresentata come in una scena teatrale. Adesso che ne pensi dell'arte antica?
 

- Esiste l'arte vintage?
 

- Boh? Mi sembra di no.
 

- Ecco, mi piacerebbe pensare all'arte come un qualcosa vintage: pensa se un supermercato fosse arredato così.
 

- Katia, vedrai che un giorno accadrà, e le divise delle cassiere saranno come le dame del'300, potrebbe essere un bel vedere, no?
 

- Uelà, pure io mi voglio vestire come una dama!!
 

- Giovanna, ti andrebbe bene come la Gioconda di Leonardo?
 

- Sì, ma al collo vorrei un foulard rosso!
 

Carissimi lettori della signoradeifiltri, con l'immagine di Giovanna la milanese vestita come la Gioconda, ma con un foulard rosso al collo, vi ringraziamo, vi salutiamo e vi aspettiamo al prossimo artista, forse a sorpresa potremmo andare a Napoli.

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Intervista a Cristina Acquino

23 Settembre 2018 , Scritto da Daniela Lombardi Con tag #daniela lombardi, #moda

 

 

 

 

Chi è  Cristina Acquino?

 

Sono una donna di 48 anni, mamma di uno splendido bambino, carica di idee ed entusiasmo sempre pronta a mettermi  in gioco.

Innamorata della moda, degli  abbinamenti  e di tutto ciò  che fa luce agli occhi di una donna.

 

Che rapporto hai con la moda?

 

La moda è  uno stile di vita, non può  mancare nell'armadio di una donna un tubino nero e una tuta  con paillettes e poi l'accessorio che completa.

 

Che ruolo ricopri nel mondo della moda?

 

Creo outfit per ogni età e stile, amo illuminare il viso di una donna con un vestito, vederla sorridere è  il primo passo verso il successo.

 

Cos'è la vera eleganza?

 

L'eleganza è vestirsi sulla propria pelle senza seguire per forza un'icona ma appropriarsi di un capo ed interpretarlo.

 

Come scegliere  un abito adatto alla propria figura?

 

Quando hai una visione del tuo corpo riesci ad indossare ciò che valorizza, io punto ad evidenziare i pregi e a nascondere i piccoli difetti che un po'  tutte abbiamo. Il mio compito è  creare nuovi stimoli per cercare il proprio  outfit.

 

In quale occasione mettere cosa?

 

Ogni occasione ha un vestito, alcune regole valgono sempre, basta seguire il buon gusto sapendo quando si deve stare un passo indietro rispetto ad un eccesso e quando si può  osare.

 

C'è  una moda per ogni età?

 

Sempre più donne dimostrano meno dei loro anni, l'estetica e la cura  della pelle aiutano tantissimo, qualche piccola regola base ci vuole ma in particolare può cambiare il tuo outfit e gli occhi possono illuminare il viso di una donna che si piace e renderla ancora più bella.

 

Ultimamente  stai vestendo alcuni personaggi  del mondo dello spettacolo, ci  vuoi parlare di queste esperienze?

 

Da poco ho iniziato  ad avere dei riscontri nel mondo dello spettacolo che mi stanno dando grande soddisfazione, stimolandomi a ricercare sempre nuove idee per soddisfare anche la donna più  esigente. Alcuni miei abiti sono stati indossati sul set del film Tutto Liscio dalla splendida Maria Grazia Cucinotta.

 

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La mia estate in Sardegna

5 Ottobre 2018 , Scritto da Daniela Lombardi Con tag #cinzia diddi, #daniela lombardi, #moda

 

 

 

 

 

L’estate è la stagione della libertà, dei sorrisi e del profumo di salsedine ma anche degli incontri e delle nuove idee.

Idee che nascono dalla spensieratezza e dal relax tipico dei giorni di vacanza.

 

Quindi c’è stato un incontro che ha dato vita a nuove idee, secondo quanto dice?

 

Sì, quest’anno,  per vacanza e per lavoro, ho passato l'estate in Sardegnain questa splendida isola dal suggestivo paesaggio. Molte le cose che ho fatto ed ho seguito.

Qui sono solita incontrare amici, molti di loro passano le vacanze in Sardegna tra questi  ho rivisto con immenso piacere un carissimo amico, Stefano Masciarelli, di una simpatia esplosiva.

Lasciato a fine aprile sul palco di una esilarante commedia,  Una moglie da rubare, al quale avevo curato gli abiti di scena. Reduce pertanto da un fragoroso successo di questa splendida tournée teatrale finita ad aprile con la bellissima e bravissima Patrizia Pellegrini.

Commedia esilarante, ironica, dove i protagonisti si incontrano in una girandola di colpi di scena inaspettati.

 

Cosa è  nato dal vostro incontro in Sardegna?

 

Beh! Stefano Masciarelli è una di quelle persone con cui si passano ore in deliziosa compagnia, la sua comicità è contagiosa.

Ed è proprio in Sardegna, durante in nostro pomeriggio di saluti, che ho conosciuto sua moglie Emiliana Morgante, che è letteralmente un mix di allegria e raffinatezza.

Da quell'incontro deriva l'unione della mia arte e della sua, allo scopo di completare la figura femminile.

L'arte di disegnare e creare abiti, che per me è diventata passione, lavoro e divertimento, si completa con quella di Emiliana, e le sue creazioni, che realizza con il cugino Emilio Morgante.

I Bijoux di Emiliana sono veri e propri gioiellistudiati in esclusiva per la nostra casa di moda e in tiratura limitata.

By Me  è il marchio della sua linea di "preziosi".

 

In che modo trovano spazio nella sua griffe?

 

Li ritengo Bijoux  di Designer  gioielli e accessori davvero unici, frutto di una costante ricerca e di un approccio giovane e mai scontato: materiali insoliti, componenti ecologiche ed ecosostenibili, bijoux creativi e ricercati, nati dall'assunto per cui creatività, progettazione e fantasia hanno un ruolo sempre più importante rispetto al valore economico dei materiali utilizzati

Un po' quello che serve oggi, un modo per far sentire la donna preziosa senza necessariamente dover spendere cifre folli.

 

 

Dove possiamo trovare la vostra arte?

 

Se vi "sintonizzate" su tentazionibycinziadiddi.it potete trovare un area dedicata alla connect tra il marchio di gioielli By Me e la nostra casa di moda.

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Il laboratorio creativo della Casa della Poesia di Como

31 Ottobre 2018 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #eventi, #fotografia, #musica, #vignette e illustrazioni, #poesia

 

 

 

 

 

La Casa della Poesia di Como è lieta di presentare il nuovo progetto delle Api dell’Invisibile: un ciclo di otto incontri pensati dai giovani e per i giovani, con lo scopo di condividere le proprie forme d’arte, di creare sul posto e di fare dell’arte uno strumento in grado di agire attivamente nel mondo.

 

Non lezioni frontali, ma riunioni di giovani e per i giovani: un vero e proprio laboratorio creativo. Gli incontri, distribuiti con cadenza mensile, a partire da sabato 17 novembre, sono pensati per ragazze e ragazzi tra i 15 e 30 anni, che abbiano la passione della scrittura poetica o in prosa, del disegno, della pittura, della musica o della fotografia.

 

Tanti i temi e tante le ispirazioni; portate la vostra penna, i vostri pennelli e i vostri strumenti, ma soprattutto portate la vostra testa: facciamo arte insieme!

 

Vi aspettiamo in tanti (tantissimi!) all’inaugurazione di questo nostro progetto, il 10 novembre 2018, alle ore 17, al Chiostrino Artificio (Piazzolo Terragni 4, 22100 Como) in sintonia con la mostra Di fronda in fronda dell’artista Gunza, le cui produzioni artistiche saranno affiancate da haiku e poesie.


 

17 NOVEMBRE 2018, sabato ore 17.00-19.00

Io oltre lo specchio

15 DICEMBRE 2018, sabato ore 17.00-19.00

Stanze di vita quotidiana

19 GENNAIO 2019, sabato ore 17.00-19.00

Cospiratori e poeti: poesia che fa politica

16 FEBBRAIO 2019, sabato ore 17.00-19.00

“Ti amo ma non te lo so dire” cit. Anonimo

16 MARZO 2019, sabato ore 17.00-19.00

Siamo tutti barbari: io e l’altro

 

20 APRILE 2019, sabato ore 17.00-19.00

Workshop Poetry Slam

11 MAGGIO 2019, ora e luogo da definirsi

Da Leopardi al Giappone: 3 versi per l’infinito.

Workshop di Haiku sulle rive del lago.

15 GIUGNO 2019, sabato ore 17.00-19.00

Sono solo canzonette - Psogos ed Eminem: rap e poesia.

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Contribuisci con la tua creatività, crea insieme a noi!
Location: Chiostrino Artificio, Piazzolo Terragni 4, 22100 Como

 

 

La partecipazione è libera, a tutti i giovani tra i 15 e i 30 anni che si interessano di arte, scrittura creativa in prosa o poetica, musica, disegno, dipinto e anche a tutti gli adulti che vogliono vedere i giovani in azione.

 

Un progetto dell’Associazione “La Casa della Poesia di Como“ e Le Api dell’Invisibile.

Responsabili del progetto: Martina Toppi e Carlotta Sinigaglia

 

Maggiori informazioni: 

lacasadellapoesiadicomo@gmail.com

martinatoppi43@gmail.com

segreteria.luminanda@gmail.com

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Storia di Tönle di Mario Rigoni Stern

16 Maggio 2017 , Scritto da Valentino Appoloni Con tag #valentino appoloni, #recensioni, #storia

 

 

Con Storia di Tönle Mario Rigoni Stern ci fa percorrere una vicenda tra storia e romanzo; il protagonista è un uomo che incarna la cultura e la mentalità della gente della zona di Asiago, tra fine Ottocento e primi anni della Grande Guerra.

Tönle è un archetipo; rappresenta uno dei tanti uomini che vivevano sul confine, una persona semplice e laboriosa, senza tenerezze particolari per l’uno o l’altro dei due nemici storici, ossia l’Austria e l’Italia. Vive arrangiandosi; ex suddito asburgico, ex soldato di quell’impero, era diventato italiano quando dopo il 1866 il Regno d’Italia si era allargato fino ai suoi paesi. È contrabbandiere, ma capace di fare il pastore e il contadino, oltre ad altri mestieri. Come tanti di quelle parti, viaggia, si sposta per lunghi mesi, torna a casa per ripartire appena possibile.

Non è solo la necessità a spingerlo dall’altipiano alle città dell’impero. È un fatto di cultura e di istinti. È un abito mentale a guidare i suoi spostamenti:

 

Come c’erano forze che lo spingevano ad andare in primavera, così c’erano quelle che lo facevano tornare alla fine dell’autunno; forze superiori a ogni volontà” .

 

Una certa irrequietezza da viaggiatore si accompagna quindi al piacere di percorrere le proprie contrade, descritte a menadito; infatti protagonista del libro è anche l’amore per il paesaggio insieme alla cultura locale.

Ecco che la guerra del '15-18 fa a pezzi il suo mondo, impone leggi, mette reticolati, crea nuovi obblighi. La vita di Tönle va in frantumi; lui parla anche tedesco ma non si sente tedesco e nemmeno italiano. Subisce come una violenza il non avere la libertà di muoversi. Ma la guerra, i militari e soprattutto lo stato sono ormai pervasivi; nessuno può stare ai margini del conflitto senza essere sospettato di essere una spia.

Lo scontro tra Tönle e gli apparati statali è quello tra un vaso di terracotta e uno di ferro. Con la Grande Guerra lo stato dilagò nella società; tutto fu asservito allo sforzo bellico, dall’economia alla stampa.

Non c’è più spazio per gli uomini di confine, per persone difficili da controllare, non incasellabili, partecipi di più culture, a loro agio ad Asiago come a Praga. Per i Tönle non c’è più posto.

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Claudia Schreiber, "La felicità di Emma"

23 Luglio 2017 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni

 

 

 

 

La felicità di Emma

Claudia Schreiber

Edizioni Keller, 2010 

 

Un libro irritante, tanto più che inizia illudendo il lettore di trovarsi di fronte ad un racconto con personaggi fuori dagli schemi e un intreccio originale. I protagonisti vengono descritti nei primi capitoli e sono davvero ben riusciti: Emma, trentenne lercia, trasandata e disordinata un po' come i maiali che ama a modo suo, coccolandoli fino a poco prima di accopparli e trasformarli in prosciutti e salamelle; Max, ossessivo - compulsivo rupofobico, verosimilmente vergine non in senso zodiacale alla tenera età di 40 anni, che aspetta il momento giusto di vivere la sua vita e scopre che ha solo sei mesi per farlo grazie ad un tumoraccio dei peggiori; Hans, "migliore amico" di Max, che è in realtà un truffaldino da due soldi, un faccendiere di quarta categoria che nulla sa fare se non piccole truffe assicurative, tanto  alla parte dei conti ci pensa Max, e rifilare auto usate a cinquantenni incrostate di fondotinta e arroganza piccolo borghese. Un trio perfetto, un inizio spumeggiante con l'incontro dei tre che con questi presupposti può dare solo una cascata di trovate esilaranti, innovative, magari politicamente scorrette, perché no? Ripeto: PERCHÉ NO? Perché invece dopo la prima metà la scrittrice opta per immettere la storia nei binari del normale, del falsamente consolatorio e bugiardo, ipocrita e prevedibile, distruggendo l'originalità iniziale e scrivendo svogliatamente un romanzetto rosa dei più beceri, in cui TUTTI si ravvedono e si raggruppano al centro della gaussiana dove si posizionano le persone cosiddette "normali"? Dove Emma da sudiciona diventa Mary Poppins, Hans un filantropo e Max strumento per la "felicità di Emma". E quale sarebbe cotanta agognata felicità? Il sogno piccolo borghese della nostra società micragnosa e consumistica, soldi e famiglia, ci mancava la casetta col giardino e il cagnetto yorkshire, ma immagino che un paradiso tropicale con gli albatros possa fare da succedaneo in assenza delle ultime due. Pollice verso.

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I poeti maledetti

5 Agosto 2017 , Scritto da Umberto Bieco Con tag #umberto bieco, #le prese per il deretano di umberto bieco, #poesia

 

 

 

 

I poeti maledetti erano delle figure alla moda che facevano impazzire le teenager dell'epoca, così come Jim Morrison alla fine degli anni sessanta. Erano un fenomeno commerciale studiato a tavolino dagli editori, così come i Take That alla fine degli anni novanta. Avevano giusto pensato che, dato che la gente ha sempre delle regole da voler sovvertire e da cui si sente oppressa, qualche figura in posa ribelle avrebbe fatto al caso loro. Dopo il flop iniziale, la storia ha dato loro ragione, e ora Rimbaud è idolatrato come Lou ReedIggy Pop e David Bowie.

Del resto il suo spessore come poeta è indubbiamente evidente: soprattutto in quella poesia in cui suggerisce che, in realtà, la religione cattolica non fa altro che insinuare pensieri impuri nelle giovani fanciulle, le quali vedendo una figura seminuda, martoriata, sofferente, sanguinante, in fin di vita, torturata, inchiodata, cosa potrebbe mai pensare?

Ebbene, secondo Rimbaud, ignorando completamente i chiodi, il sangue, la faccia stravolta, la corona di spine, la ferita al costato e quant'altro, vedendo una figura del genere, le giovani fanciulle logicamente, inevitabilmente non possono far altro che chiedersi: cosa ci sarà sotto quell'esiguo panno inguinale? Beh, grazie Arthur, davvero. Un grande contributo alla poesia, alla psicologia, allo studio della religione, a quello dei panni inguinali e alla storia tutta. Il parto di un intelletto profondo: profondo più o meno come una pozzanghera. Stavi scherzando, vero, Arthur? No, diciamoci la verità: sei un coglione, e questo è quanto.

E a parte Il Battello Ebbro e qualche frammento di prosa/poesia qua e là, in cui abbatti la divisione tra elementi dell'estetica alta ed elementi prosaici e quotidiani, spiani la via alla totale frantumazione da parte delle avanguardie del novecento della stabilita gerarchia dei valori, e in particolare all'ammasso affastellato confuso e frastagliato del surrealismo - che elimina priorità e censure estetiche degli oggetti, dei pensieri e delle idee (o così ho letto) - dicevo, a parte tutto ciò: tornatene all'inferno, negriero di merda. E fatti accompagnare da Verlaine e dalle sue boiate mistiche miste alle sue poesie su lesbiche intrecciate.
Mallarmé non vale un barattolo di marmellata.

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La fantascemenza

12 Agosto 2017 , Scritto da Umberto Bieco Con tag #umberto bieco, #le prese per il deretano di umberto bieco, #fantascienza

 

 

 

 

Jules Verne: avrebbero potuto esporre in un museo il suo cadavere senza averlo imbalsamato, giacché, dato il suo stile di scrittura, è perfettamente chiaro che era già impagliato in vita: si sarà quindi conservato splendidamente. E' una cosa che si è chiarita nel tentativo di rileggere 20.000 Piaghe Sotto i Mari, uno o due anni fa, e trovando uno stile rigido, stridente come gesso sulla lavagna, la stessa lavagna su cui sembra scrivere didatticamente le sue osservazioni e misurazioni scientifiche che costellano ansiogenamente il libro, rendendolo una pesante lezione scolastica, piena di pedanterie a base di leghe, nodi, latitudini, longitudini e quant'altro. Viene salvato solo dalle invenzioni romanzesche, dall'intuizione sottomarina, il sogno di poter vivere autarchicamente sotto le onde, al di fuori della giurisdizione delle leggi umane, nascosto e imprendibile, il fascino oscuro del Capitano Nemo e un paio di gite nelle foreste di alghe: ma a ciò si accede solamente con dura fatica e il puntello dell'ostinazione a rompere il ghiaccio che incrosta le parole. E quindi, addio 20.000 Beghe Sotto i Mari: state bene lì dove state. E lì rimarrete.
In definitiva, ho un ricordo migliore di Viaggio al Centro della Terra, ma forse proprio perché è - e rimarrà - solo un ricordo, non sfregiato da un tentativo di verifica pratica. Qualche teoria strampalata di un secolo, un secolo e mezzo fa ipotizzava che la terra fosse cava. Verne, quindi, la riempie di preistoria preservata, un mondo nel mondo, rimasto ad un grado di sviluppo mesozoico, con tanto di lucertoloni giganti e vegetazione esoticamente ancestrale, cresciuta non si sa come. Ciò porta ad Arthur Conan Doyle e al suo mondo perduto, di mezzo secolo dopo, che insieme al precedente, costituisce l'archetipo delle storie di preistoria-che-arriva-nell'età-moderna (o così ho letto).
La differenza tra Conan Doyle e Jules Verne, è che il primo è coinvolgente e a tratti persino divertente, e forte di un razionalismo che non sfocia però nel linguaggio arido di Verne, per quanto rimanga piuttosto asciutto - oltre a ciò affiora persino un po' di calore umano, qua e là. Ma seguendo la coda dei dinosauri arriviamo in Russia, presso casa Bulgakov che - se famoso per il postumo Il Maestro e Margherita - è anche autore di una parodia fantascientifica a base di dinosauri distruttivi fatti rinascere attraverso una cova artificiale che porterà subbuglio e salmonella in Russia: Le Uova Fatali.

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"Fondamenta degli incurabili" di Josif Brodskij

22 Agosto 2017 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni

 

 

 

 

 

Nel 1989, su invito del Consorzio Venezia Nuova, Josif Brodskij, Premio Nobel per la Letteratura 1987, scrisse Fondamenta degli incurabili, libro difficilmente catalogabile, a mio personale avviso una lunga dichiarazione d’amore a Venezia sicuramente, ma anche una serie di riflessioni sulla vita, il desiderio, l’amore, nonché un’occasione per raccontare delle drammatiche esperienze dell’autore come cittadino russo esiliato dopo la condanna per “parassitismo” (credo dovuta al fatto di essere un artista e come tale inutile alla società e non produttivo).  Il libro rigurgita di immagini poetiche che si incidono nella memoria e si fondono indissolubilmente con la Venezia che abbiamo visto o che, dopo il libro desidereremo ardentemente visitare almeno una volta. Venezia, città visitata ogni inverno per 17 anni dal poeta, che da città d’arte diventa luogo metafisico, si trasforma sotto i nostri occhi, di volta in volta in un servizio di porcellana “con tutte le sue cupole di zinco che somigliano a teiere, o tazzine capovolte”, in uno spartito musicale poggiato sui ponti e dispiegato sui canali, testimonianza eterna della più intima essenza umana che si manifesta secondo Brodskij proprio con i nostri manufatti. Domina il senso della vista, quale strumento principale per percepire la bellezza che Venezia ci regala in ogni angolo, con  frasi indimenticabili come “In questa città l’occhio acquista un’autonomia simile a quella di una lacrima. (….) il corpo comincia a considerarsi semplicemente un veicolo dell’occhio, quasi un sottomarino rispetto al suo periscopio che ora si dilata e si contrae” o brani che ci riportano nelle malinconiche situazioni in cui presenziano gli specchi, opachi per l’anonimato dei troppi corpi riflessi negli alberghi della città, stanchi delle promiscuità dei visitatori tanto da rifiutarsi di restituire loro un’identità,  “riluttanti per avarizia o impotenza”. E in questo bellissimo poema trova lo spazio per una punta di sarcasmo su quanto Venezia sia inusitatamente cara, la narrazione diventa prosa vera e propria nella descrizione di un pomeriggio imbarazzante con Susan Sontag e la moglie di Ezra Pound, la quale come un disco rotto si affanna a convincere gli intellettuali che incontra dell’estraneità del marito alle accuse di fascismo. Subito dopo torna all’elogio della città al tramonto, perché tutte le città al tramonto sono meravigliose ma alcune lo sono più di altre, della sua luce invernale che rende l’occhio ancora più sensibile alla percezione e noi ci lasciamo cullare dalla dolcezza crepuscolare di una città unica al mondo, certamente malinconica e decadente ma anche musa ispiratrice di opere mirabili ed eterno scrigno di bellezza.

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Simona Lo Iacono, "Le streghe di Lenzavacche"

1 Settembre 2017 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni

 

 

 

Le streghe di lenzavacche

Simona Lo Iacono

Edizioni E/O, 2016

 

 

Il magistrato Lo Iacono, scrittrice attiva sia in campo culturale che sociale, confeziona con questo suo romanzo, candidato al Premio Strega 2016, un vero e proprio inno alle donne che osano ribellarsi alla società che le vuole rigidamente segregate in una categoria da sempre troppo angusta. Scritto sotto forma di fiaba apparentemente nera, con una donna discendente da una famiglia di streghe, intese non come esseri dotati di poteri soprannaturali, bensì come donne libere, colte e soprattutto coese tra di loro a costo delle loro stesse vite, con un bambino nato affetto da una patologia che lo rende tetraplegico e muto, vista come chiaro segno della maledizione che sul piccolo incombe, essendo figlio di un rapporto clandestino nonchè nipote di nonna Tilde, nota “strega” che conosce le segrete arti della guarigione con le erbe. Come in una vera fiaba troviamo molti elementi tipici di quelle tradizionali: il protagonista e cavaliere è incredibilmente proprio il piccolo Felice, che già col nome di battesimo dato dalla madre Rosalba dal primo fiato di vita si oppone ad un destino atroce fatto di scherno, superstizione e disprezzo da parte dei compaesani. Ad aiutarlo nel suo percorso di ricerca il farmacista del paese, donnaiolo e vulcanico, con un cuore grande solo quanto la sua epa, la nonna che consulta indefessamente un misterioso libro (lo strumento magico fiabesco) e ovviamente la madre, donna coraggiosa e sensuale che ha per il figlio un solo desiderio: che possa essere felice non solo di nome. La strada di Felice e dei suoi bislacchi scudieri interseca quella del maestro Alfredo, le cui lettere occupano ogni metà dei capitoli della prima parte del libro, giovane insegnante non prono alla retorica del Fascio e che vorrebbe formare poeti e non soldati nel piccolo paese di Lenzavacche. La seconda parte del libro disvela invece il contenuto del libro di Tilde, scritto in italiano volgare del XVII secolo e in cui si narra la natura delle streghe di Lenzavacche. L’ultima, brevissima parte, si limita a esporre  le conclusioni di tutta la storia e offrire al lettore la soddisfazione di sapere cosa è successo ai tanto amati protagonisti: “Al che ho capito che ogni volta che una donna sarà madre a dispetto del mondo, e racconterà storie vincendo la morte, le streghe torneranno cara zia, ancora e ancora, con tenacia e compassione”. Una nota vorrei dedicarla alla scrittura evocativa e per immagini che utilizza parole desuete come “scoscendere” o onomatopeiche come “gloglottare” e che fa con piacere aprire il dizionario non tanto frequentemente ma nella misura giusta per apprezzare un uso sapiente della lingua italiana.

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