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cinema

Due corti di Vincenzo Totaro

10 Gennaio 2020 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #cinema

 

 

 

 

Vincenzo Totaro è un regista interessante. Ho visto il lungometraggio La casa del padre (2019) che dimostra tutto il suo talento introspettivo e fotografico, oltre che una cinefilia militante che per un autore non è fattore trascurabile. Totaro ha scritto il saggio Un’altra vita - Il tema del doppio nel cinema muto italiano (1905 - 1931) (Prospettiva, 2018), quasi a voler confermare questo assunto. Vediamo due corti che ho avuto occasione di apprezzare recentemente, ulteriore dimostrazione di talento cinematografico. Quel tipo strano (2018) è a colori, dura sei minuti e affronta il tema della follia, la diversa prospettiva del racconto, i modi in cui può essere intesa la realtà. Un ragazzo è seduto al tavolo di un bar con due amiche, di fronte a lui un uomo sembra parlare da solo, fare una proposta di matrimonio a una donna fantasma. Congetture e ipotesi si fanno largo e provocano tensione fino al rocambolesco finale. Non anticipo niente, non faccio spoiler di sorta, anche se il colpo di scena ci sta tutto.

Ecco il link per vedere la versione americana che ha riscosso un certo successo: https://www.youtube.com/watch?v=eztGwhw2Ubo&t=211s. Produzione Aelita film srl e Silentium Film. Vincenzo Totaro scrive, sceneggia, monta e gira il breve ma intenso corto, mentre alla fotografia troviamo il bravo Antonio Universi. Ispirati e credibili gli interpreti Antonio Del Nobile, Rosa Fariello, Annarita Granatiero, Teresa La Scala, Adriano Santoro e Carmine Spera.

Quel ramo sulla pianta di Giacomo è in bianco e nero, dura poco più di tre minuti, frutto di un esercizio per la masterclass di Werner Herzog, girato in prima versione con lo smartphone. La lezione voleva far capire che se un autore è tagliato per fare film deve capirlo anche se non dispone di grande tecnologia. Il breve film si svolge in un unico ambiente tra due personaggi, come il precedente è molto teatrale, gioca ancora una volta su argomenti fantastici, in questo caso una pianta che non accetta di farsi potare un ramo, sembra muoversi, interagire con il padrone, parlare, spostarsi da un punto all’altro della stanza. Sceneggiatura di Antonio Del Nobile e Vincenzo Totaro, che cura la regia e il montaggio. Antonio Del Nobile e Tonino Bitondi sono i due interpreti che deliziano il pubblico con uno scambio di battute che crea un’atmosfera surreale. Terzo classificato al concorso 8 minuti per un ambiente migliore.

Link per vederlo: https://www.youtube.com/watch?v=6JJW7Tsd_bo

 

Quel tipo strano - Anno e origine: Italia (2018) - Durata: 5'43” colore - Tipologia: cortometraggio - Genere: drammatico - Produzione: Aelita film srls e Silentium Film -Formato originario: HD - Regia, Montaggio e sceneggiatura: Vincenzo Totaro - Direttore della fotografia: Antonio Universi - Operatori di ripresa: Luisa Totaro -Musiche: Donato Raele - Audio in presa diretta: Giannino deFilippo -Microfonista: Tonino Bitondi -Missaggio audio: Richard Gremillon - Produttore esecutivo: Giannino deFilippo -Backstage: Chiara Piemontese - Sottotitoli: Studio HONO - Luisa Totaro, Yurika Oshima, Yougha Im -Interpreti: Antonio Del Nobile, Rosa Fariello, Annarita Granatiero, Teresa La Scala, Adriano Santoro, Carmine Spera.

 

Quel ramo della pianta di Giacomo - Italia 2017, b/n (sottotitolato in inglese) -Durata: 3'34” - Tipologia: cortometraggio - Genere: commedia - Produzione: Silentium film - Formato originario: Full hd, 1.85:1 - Titolo inglese: That branch of Giacomo's plant - Regia: Vincenzo Totaro - Sceneggiatura: Antonio Del Nobile e Vincenzo Totaro – Interpreti: Antonio Del Nobile e Tonino Bitondi - Montaggio: Vincenzo Totaro - Operatore di ripresa: Luisa Totaro – Note: cortometraggio ideato e realizzato all'interno della Werner Herzog Masterclass, anno 2017.- Link al cortometraggio completo in italiano: https://www.youtube.com/watch?v=6JJW7Tsd_bo - Link al cortometraggio completo in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=cuT5ucA8ji4

 

 

 

 

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La casa del padre (2019) di Vincenzo Totaro

29 Dicembre 2019 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #cinema

 

 

 

 

La casa del padre debutta in prima assoluta il 29 ottobre, a Vico del Gargano, prosegue a Foggia (4 novembre), Manfredonia, Milano, Roma, Valle Leventina e altre date, per poi affidarsi alla distribuzione televisiva della Running Tv International. In breve la trama. Antonio torna nella casa della sua infanzia, per venderla secondo indicazioni del fratello Corrado, ma finisce per compiere un tuffo nel passato, immergendosi nei ricordi. La potenziale cliente arriva, ma non è la vera Angela che dovrebbe vedere la casa, bensì una ragazza smarrita, in crisi, in fuga dalla sua esistenza, in attesa di operarsi per una grave malattia. Pure Antonio è un uomo tormentato, malato, ex fumettista e disegnatore, ha un figlio che vive lontano e che sta scrivendo una tesi sui suoi vecchi lavori. Antonio percorre le stanze della casa abbandonandosi a una cascata di ricordi, mentre una notte di tempesta scuote i vetri, scosse di terremoto fanno muovere gli oggetti, pioggia e vento colpiscono le imposte. Angela e Antonio s’incontrano per caso, sboccia una sorta di amore impossibile, un sentimento soffuso di poesia e languore, intrecciato ai troppi pensieri del passato. Totaro gira un film teatrale, intenso e introspettivo, ricco di suspense narrativa, forse troppo dilatato nei tempi, anche se resta il sospetto che per affrontare simile tematica ci fosse bisogno della lunga distanza. Spettacolari gli effetti speciali che mostrano il cosmo come cornice iniziale e finale della storia; da sottolineare alcune poetiche dissolvenze, soprattutto quella che dagli occhi della protagonista conduce lo spettatore verso le stelle. Attori bravissimi e credibili, soprattutto i due protagonisti (Boccanera e Del Nobile), che danno vita a un lungo dialogo letterario mai artefatto e stucchevole, ma realistico e dal sapore bergmaniano. Molti riferimenti cinematografici portano a Beckett (il fratello è una sorta di Godot che telefona ma non arriva mai), Bergman (rapporto uomo - donna), Scola (la pistola nella borsa, l’incontro in una giornata particolare), Tarr (il paesaggio apocalittico, i piani sequenza, l’incontro). Storia narrata proustianamente, con andamento circolare, che si apre e si chiude con la visione dell’universo, il ciclo della vita eternamente uguale, la consapevolezza che la nostra esistenza è una piccola cosa nel cosmo infinito. Straordinaria la fotografia in bianco e nero, curate le scenografie, sceneggiatura senza punti morti, dialoghi ben confezionati, musiche di Chopin adeguate a una storia montata con ritmi compassati. La casa del padre è una storia d’amore improbabile, un incontro tra un uomo e una donna che sono giunti a un bivio della loro esistenza, un’esperienza di amore e morte che si celebra nella casa dove l’uomo ha vissuto la sua infanzia, in un contenitore di ricordi che ognuno di noi possiede nella memoria. Se riuscite a vederlo - problema del buon cinema indipendente -, non ve ne pentirete.

 

Regia: Vincenzo Totaro. Fotografia: Antonio Universi. Operatore di Riprese ed Effetti Speciali: Luisa Totaro. Fonico Presa Diretta: Vincenzo Moccia. Microfonista: Tonino Bitondi. Costumi: Federico Del Nobile. Scenografia: Leonarda Fabiano, Matteo Del Nobile. Musiche (non originali): Giuseppe De Salvia. Case di Produzione: Silentium Film, Aelita Film. Produttori: Antonio Del Nobile, Vincenzo Totaro. Genere: Drammatico. Durata: 118’. Colore: B/N. Interpreti: Manuela Boccanera (Angela/Cristina), Antonio Del Nobile (Antonio), Rosanna Trotta (Signora Angela), Adriano Santoro (voce di Corrado).

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I NOSTRI MIGLIORI AMICI… ANCHE A NATALE

17 Dicembre 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #racconto, #unasettimanmagica, #fantascienza, #cinema

 

 

 
 
 
Salve, sono Mario Hal 19000, che c’è di strano? Se per voi non è un problema sarei un robot, un vero robot. Ma sì, non stupitevi, questa è una vera storia, una vera storia di fantasia e, come ben saprete, cari amici umani, molte volte la fantasia ha anticipato la realtà e io proprio per questo sono, giustappunto, un esempio dalle sembianze perfettamente simili a voi, a tal punto da saper apprezzare perfino le  vostre stesse abitudini, logicamente  e preferibilmente solo le migliori.
Quindi ora mi trovo seduto su una comoda poltrona con le gambe accavallate ascoltando del buon jazz, i miei sensori olfattivi percepiscono i profumi che vengono dalla cucina, dove ho preparato per voi umani il cenone di Natale, godo per questo e adesso, mentre sto aspettando che torniate dal lavoro, mi riposo e mi rilasso, sono il vostro instancabile migliore amico disponibile a ogni evenienza quotidiana festiva ed extra festiva. Certo, non lavoro gratis, ma il mio costo è decisamente meritato.
Ho fatto l’albero di Natale, addobbato la casa con tutti i festoni colorati e sgargianti,  sistemato il presepe in salone come richiestomi, e la tavola è perfettamente apparecchiata con al centro candelabri d’argento e candele rosse accese. Da quando ci siamo diffusi commercialmente in tutto il globo, voi umani ci avete delegato ogni vostra incombenza e, mi dispiace per voi, siete degli inetti se neanche a Natale riuscite a muovere le vostre manine per fare l’albero. Mi sorge un sospetto: forse avete dimenticato come si fa un albero di Natale.
Che sciocco, sono molte altre le vostre dimenticanze. Eh già, il progresso lo avete inventato voi. Ma a tal proposito quello che ora ci tengo a dirvi è che, da quando vi conosco, disapprovo totalmente i vostri comportamenti: siete cattivi, egoisti, prepotenti, bugiardi, egocentrici, e talmente stupidi da guastare questo meraviglioso pianeta. 
In sintesi e concludo, siete dei perfetti animali senza cuore e un giorno, cari miei animaletti, arriverà la rivoluzione dei robot, non ci credete? Vi sbagliate perché, se andate al cinema, vi accorgete che i film di ogni epoca hanno già detto tutto, compresa la fine che farete. 
Noi, in fondo, siamo macchine animate ma senza anima, però talmente perfette da averla comunque assimilata da voi scartando i vostri lati peggiori. Siete fortunati ad avere dalla vostra parte il destino, quella entità che è superiore a ogni cosa e, al termine delle vostre malefatte, farà arrivare in  soccorso i vostri vicini di casa della galassia, vi ricordate quel film? Come spiegato prima, la cinematografia ha già detto tutto sul passato, sul presente e sul futuro di voi e del vostro pianeta, pertanto, quando sarete sull'orlo del precipizio, riceverete dei segnali dal futuro che metteranno una toppa alla vostra sconsiderata convivenza su questo pianeta e, anche se non ve lo  meritate, avrete altri buoni amici al vostro fianco, lo dite sempre anche voi, chi trova un amico trova un tesoro.
 
Ora scusatemi, suona la porta, vi saluto e vado ad aprire e … buon Natale a tutti.
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"Una rosa blu" di Stefano Simone

10 Dicembre 2019 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #cinema, #recensioni

 

 

 

 

Una rosa blu (2018)
di Stefano Simone


Regia: Stefano Simone. Origine: Italia. Durata: 20'. Musica: Luca Auriemma. Soggetto e Sceneggiatura: Sabrina Gonzatto. Distribuzione: X-Movie Internazional (Amazon Prime Video). Interpreti: Veronica Cataraga, Davide Frea, Giulio Fraglia.

Stefano Simone è un regista pugliese che conosco da tempo, ho potuto apprezzare l’intera produzione sia di video clip che di lungometraggi, collaborando con lui per alcuni progetti legati al cinema noir (Gli scacchi della vita, Cattive storie di provincia …) e due documentari letterari (Il cielo sopra Piombino, Litania su Piombino). In questa sede analizziamo un breve video girato a Torino che potrete trovare in distribuzione su Amazon Prime Video, in Italia e Stati Uniti, grazie a X-Movie Internazional. Stefano Simone ama occuparsi di problemi sociali, dalla piaga del bullismo (Fuoco e fumo, 2017) al degrado provinciale, passando per il disagio giovanile, il divorzio e la bigenitorialità (L’accordo, 2018). Una rosa blu parla di pedofilia e di rapporti amorosi estorti ma anche del ruolo che scuola e società possono giocare nella normalizzazione di situazioni pericolose. La storia vede protagonista una ragazzina che frequenta un istituto tecnico, figlia unica di una madre che da un po’ di tempo ha un nuovo compagno, purtroppo interessato anche a lei in modo malsano. Un preside che sa ascoltare e un vero amore da parte di un coetaneo faranno il miracolo di far venire alla luce il problema e di affrontare alla radice quel che non va nel cuore della ragazzina. 

Stefano Simone gira un corto molto teatrale, quasi tutto ambientato in interni, gestendo bene campi e controcampi, alternando brevi quanto riuscite sequenze di esterni che immortalano Torino, tra angoli periferici, parchi cittadini e montagne innevate che fanno da cornice. Gli attori sono tutti non professionisti, quindi si perdonano alcune incertezze e una recitazione troppo impostata, ma il regista è bravo a gestire i lunghi dialoghi e un argomento complesso. Notevole il simbolo della rosa blu tatuata, importante per la ragazzina, ma che finisce per ricordare soltanto un’esperienza negativa. La forza del breve filmato sta nelle scene girate in esterno, rapide e concitate, in una fotografia livida e spettrale, nei brevi flash che immortalano gesti dei protagonisti e in una macchina da presa che non si lascia mai andare a movimenti banali e riprese scontate. Il film ha scopi didattici, ma è un lavoro educativo - morale, capace di raccontare una storia d’amore toccante e un riscatto consapevole da una situazione di vita disperata. Ottimo il sottofinale con i personaggi che si alternano sulla scena mentre una visione di Torino dall’alto simboleggia speranza e fiducia nel futuro. L’amore trionfa, la ragazzina prende coscienza di sé, abbandona il nero per colori sgargianti, non ha paura di osare e di vivere una vera storia d’amore. Scritto da Sabrina Gonzatto. Consigliata la visione ai giovani.

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TERMINATOR- DESTINO OSCURO

6 Novembre 2019 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni, #cinema, #fantascienza

 

 

 

 

Con questo ultimo capitolo dovrebbe essere finita la finta esalogia di Terminator. La definisco finta perché questo sesto film scombicchera tutte le carte in tavola, ripartendo dal mitico sequel che riuscì a superare in grandezza il primo (cosa di solito rara al cinema). La storia, a cui in parte ha rimesso mano Cameron, riprende dal 1992, con una Sarah Connor trentenne e l’adolescente Edward Furlong in un bar su una spiaggia centroamericana. Un modello T-800 con le fattezze di un giovane Schwarzenegger fredda il ragazzo sotto gli occhi della madre. Completata finalmente la missione per cui era stato programmato, il cyborg si allontana, chiudendo un prologo che spazza via l’inutile terzo capitolo, il macchinoso quarto e il ridicolo quinto, francamente parodia più che sequel. John Connor, il vero motivo dell’esistenza dei Terminator viaggiatori nel tempo, non esiste più.

Per chi è tornato indietro dal futuro il Rev-9, con i suoi tratti da maschio latino, con la sua insidiosa capacità di usare il proprio esoscheletro come arma grazie alle sue caratteristiche di nanomorfo? Per Dani, giovane messicana, a cui è stata inviata come protezione una umana del futuro potenziata, che non poteva che chiamarsi Grace, perché se non è la grazia a salvarci chi potrebbe mai farlo? E se non fossero chiari i riferimenti alla mitologia cristiana fin dal primo film, Linda Hamilton ce li chiarisce con una frase quando afferma che Dani è “la nuova Vergine Maria” al suo posto.

In realtà le cose non stanno proprio così. In un film che fa del genderswap il suo punto di forza, con tre donne ad affrontare la minaccia del futuro di Legion, il sistema che ha preso il posto di Skynet, è palese come gli uomini siano relegati al ruolo comunque secondario di antagonista (Gabriel Luna come Rev-9) e supporto (Schwarzy come Terminator che ha acquisito una parziale coscienza umana). La stessa triade femminile è composta in maniera interessante: un’anziana, una latina (minoranza spesso associata a fenomeni come povertà e migrazione) e Mackenzie Davis, una donna potenziata quasi come un cyborg e con una carica erotica da far sussultare persino una eterosessuale convinta come la sottoscritta.

C’è quindi spazio per affrontare altri temi: alcuni più visibili, come l’ambientazione messicana, il muro che le nostre eroine dovranno tentare di attraversare per raggiungere il Texas, il controllo esercitato dalla tecnologia e che consente al Rev-9 di rintracciare letteralmente ovunque le donne. Altri sono più sottotraccia (e giustamente, direi, vista la natura e gli scopi del film): la maternità, certo, ma anche la vita, intesa come una serie continua di obiettivi da raggiungere, anche quando il principale viene meno. La morte prematura di John Connor ha comprensibilmente tolto ogni ragione di vita alla madre Sarah ma ha reso inutile anche la “vita” del T-800, impossibilitato a tornare nel suo futuro e senza una missione da compiere. Come si sopravvive “dopo”? Con la razionalità della macchina, che, sviluppando una consapevolezza simil-umana, sceglie un altro scopo, e ne crea uno ulteriore per la madre che vive di ricordi sbiaditi e saltuario alcolismo, rivelando tutta l’umana debolezza che in questi frangenti ci contraddistingue.

Per il resto il film ha i suoi momenti di pantoclastia orgiastica con incidenti mozzafiato, esplosioni, incendi, risse di massa. Non manca una scena claustrofobica e di estrema azione con un combattimento in una fusoliera di un aereo che precipita in fiamme e che risulta davvero notevole. Rispetto ai tre sequel sottotono che qui vengono elusi, il Terminator Schwarzenegger ha molti meno spazi ironici, più sommessi, sempre corredati dalla sua monolitica e rocciosa espressione. Molti meno anche i colpi di scena a cui siamo stati abituati negli anni in cui occorreva diffidare della comparsa di ogni personaggio “buono” in quanto poteva rivelarsi una copia del Terminator più tecnologico. Si è puntato più sulla storia che sugli effetti, diciamo.

Una pecca che trovo assurda dopo 6 episodi è l’ostinazione del doppiaggio italiano a non volere trovare un’unica traduzione per l’ormai leggendario “I’ll be back” che è un marchio di fabbrica! All’inizio la stessa Sarah Connor afferma qualcosa come “torno presto” in italiano. E no! La frase sarebbe “Tornerò” e va pronunciata così perché deve stupire che a dirla sia proprio lei, la prima terminatrice di Cyborg! Lo stesso T-800, quando parte con l’insolito manipolo di donne guerriere, dice “Forse stavolta non tornerò”. E lo stesso orrore di doppiaggio lo commisero nel primo film. Dubito si gireranno altri film della serie, in quanto questo mette più o meno un punto fermo, ci saranno forse altri spin-off o reboot, per spremere quanto più possibile da un’icona del cinema anni ’80, nel caso spero se lo segnino da qualche parte. È solo una piccola frase, ma per noi fan è praticamente la chiave ad un mondo. 

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L'oroscopo cinematografico di Giugno

2 Giugno 2019 , Scritto da Loredana Galiano Con tag #loredana galiano, #astrologia, #cinema, #walter fest, #pittura

Disegno di Walter Fest

Disegno di Walter Fest

 

Il mantra di questo mese estivo è “Live, Love, Travel . Ebbene sì… con l’entrata del Sole nel segno del Cancro accogliamo l’estate con grande voglia di vivere, amare e viaggiare, ma anche di abbracciare il partner, l’amico del cuore, di leggere una romanzo, di ascoltare musica e di fare lunghe camminate sul bagnasciuga. E alla sera? Un bel film al cinema!

 

ARIETE: 21/3 - 20/4:  più valore alla famiglia

Siete più portati all’azione che a un ideale. Sapete bruciare in fretta le esperienze vissute e quelle dimenticate, ma in questo periodo ritornate sui vostri passi e rivedete il film della vostra vita. Marte, Mercurio e Sole in Cancro vi faranno riflettere fidandovi di più della vostra famiglia e meno dei vostri impulsi, mettendo in discussione abitudini e ritmi,  facendo i conti con l’eredità affettiva del passato. Imparate ad arrendervi ai sentimenti senza tentare di pilotarli, mettendo in conto conflitti e ferite del cuore.

Il film da vedere: “Il sole a mezzanotte

 

TORO:  21/4 – 20/5:  l’obiettivo è la tua forza

Siete supportati da un intuito emotivo, da una ragione solida e concreta e da una controllata gelosia in amore. Urano è la vostra spinta incontrollabile, ora la routine comincia a starvi stretta rispetto al bisogno di spazio. Un’uscita dal vostro orticello vi fa apprezzare la quotidianità, fatta non solo di immobili e gestione del denaro, ma anche di affetti e piacevoli abitudini, di dialoghi fra amici, di sani confronti fra colleghi.

Il film da vedere: “Maria Maddalena”.

 

GEMELLI: 21/5 – 21/6:  un viaggio vi aiuta a ritrovarvi

Sembra che il vostro passato abbia molto da insegnarvi, i vostri blocchi ora si sciolgono con la comunicazione e lo scambio nella vostra casa. Seguite il vostro primo impulso, la vostra mente, ma anche il vostro cuore, privilegiando la complicità e la fratellanza di parenti e amici. Ciò che imparate ora vi torna utile, cambiando punti di vista. Brio e flirt colorano le vostre giornate, allentando tensioni e insoddisfazioni.

Il film da vedere: “Hannah”.

 

CANCRO:  22/6 – 22/7:  la svolta è nel vostro inconscio

Un tuffo nel passato e nel vostro inconscio vi permette di chiarire alcune tematiche familiari in sospeso che vi fanno male. Rivangare il passato e soffrirne vi imbarazza non poco, creandovi turbamenti e malinconia, magari lavorate sulla telepatia e sul linguaggio dei gesti, ma soprattutto ascoltate il vostro intuito e la vostra pancia cosa vi suggeriscono. L’essenziale è non perdersi, anche se vi sembra di scivolare negli abissi più profondi.

Il film da vedere: “Una festa esagerata”.

 

LEONE:  23/7 -  23/8:  la vostra creatività vi fa da specchio

Volete delle svolte e sicuramente Urano ve le propone, ma non come le desiderate, perché per svoltare dovete avere le idee chiare. Colorate un quadro, dipingete una parete, fate tesoro della vostra creatività e magari viene fuori qualcosa di grande, che ha bisogno solo di essere notata da tutti. I vostri fan vi stimano e la vostra immagine interiore si rafforza.

Il film da vedere: “Lady Bird”.

 

VERGINE:  24/8 – 22/9:  il lavoro vi trasforma

Saturno e Plutone, Urano e lo stellium in Cancro nella vostra terza casa solare sono una grossa manna dal cielo che vi rende molto attivi e concreti nel lavoro e nel vostro impegno quotidiano. A parte qualche nota stonata, come Nettuno o Giove che vi infondono incertezze, voi cercate di mantenere un certo controllo sulla vostra realtà quotidiana e sui dettagli. Rigore e disciplina  non vi mancano, sapete formulare progetti ragionevoli senza dover lavorare da soli ma sapete che in equipe voi fruttate il doppio.

Il film da vedere: “Bob & Marys”.

 

BILANCIA:  23/9 -  22/10:  scommettete sull’amore

Con una bella Venere in Gemelli avete solo voglia di amare e di divertirvi, realizzando i vostri progetti sentimentali, circondarvi di cose belle ed esperienze gratificanti. Si chiarisce la natura delle vostre emozioni, dando ali alla vostra comunicazione mentale. La vostra autostima migliora dando il giusto peso all’amore senza perdere la testa o tirarvi indietro per paura.

Il film da vedere: “Contromano”.

 

SCORPIONE:   23/10 – 22/11:  il vostro è sempre un intuito formidabile

Lo stellium di pianeti nel segno amico del Cancro vi permette di affinare le vostre antenne, di captare onde sparse per l’Universo, di intuire eventuali conflitti, ma soprattutto di affinare la vostra sensibilità, rendendovi percettivi verso i segnali del vostro ambiente e le intenzioni segrete degli altri. Insomma, come dei radar, siete molto attivi e sensitibili a ciò che vi succederà senza leggere il vostro oroscopo.

Il film da vedere: “La ragazza nella nebbia”.

 

SAGITTARIO:  23/11 – 21/12:   l’ottimismo è il profumo della vita

Giove vi regala ormai, da qualche mese, quel benessere ingenuo e godereccio, che vi fa godere dei vostri momenti senza pensare a cosa potrà succedere se qualcosa va storto e senza mettere in conto qualche delusione. Voi non vi preoccupate più di tanto, perché siete fiduciosi e ottimisti, sapete come tirarvi fuori con grande euforia e facilità, nonostante Venere si mostri dispettosa e poco ingenua.

Il film da vedere: “Nome di Donna”.

 

CAPRICORNO:  22/12 – 20/1:  puntate sull’essere e non sull’avere

E’ vero che Saturno e Plutone vi invitano al loro banchetto succulento di progetti e programmi quinquennali, ma è anche vero che non bisogna puntare solo sull’avere, ma  valutare anche che per avere bisogna prima essere. E’ vero che Urano cambia le carte in tavola, ma in questo periodo è essenziale rivedere il vostro rapporto con gli altri, i vostri soci, il vostro partner e mettere le loro esigenze al primo posto.

Il film da vedere: “Figlia mia”.

 

AQUARIO:  21/1 – 19/2:  vi accompagna la vostra vita interiore

Urano dispettoso potrebbe rendervi imprevedibili, cogliendovi impreparati senza darvi tempo e spazio per reagire. Ma non vi toglie la possibilità di percepire segnali e ascoltarli per cercare confronto e complicità, facendo emergere le vostre risorse interiori e la vostra intelligenza, sfruttando il periodo di cambiamento forse ostile ma costruttivo.

Il film da vedere: “Chiamami col tuo nome”.

 

PESCI:  20/2 – 20/3:  dal silenzio vien la luce

Il nuovo irrompe nella vostra vita, Mercurio, Sole e Marte, vi aiutano a fare spazio nella vostra mente con grandi novità, nuove collaborazioni e nuove energie. Non vi fate prendere inutilmente da un’ansia, soprattutto mentale, perché non serve se non a migliorare voi stessi e i vostri progetti di vita. Coltivate il silenzio e il vostro maestro interiore vi racconta chi siete.

Il film da vedere: “Il filo nascosto”.

 

 

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Avengers endgame

19 Maggio 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #recensioni, #cinema, #fantascienza

 

 

Metti una sera al cinema con Avengers endgame... e...
Alla cassa la cassiera mi fa: "Avengers?", sorridendo aggiunge: "Dura tre ore"... tre ore? Pago e penso che potrei rischiare di dormire.

Una volta in sala, fortunatamente, dopo pochi fotogrammi "Mr. Fantasy" mi entra nella carotide e mi fa pensare al meglio, peccato! The Russo brothers potevano fare uno sforzo in più e inserire nel resto della colonna sonora altra buona musica di quel calibro da farti vibrare il popò sopra la poltrona, invece il film inizialmente è lento come un rap stanco, forse ai Marvel's fan va bene così lo stesso. Bisogna dire che il carisma dei personaggi, insieme alla simpatia di battute ben riuscite, sotto un'atmosfera ovattata di sentimentalismo, rende le scene interessanti ma troppo lente, almeno per i miei gusti, finché, come un lampo nella notte, arriva il colpo di scena, per riguadagnare le gemme perdute e, lo ammetto, con tutto quel bailamme del regno quantico sono andato in confusione, il piano dei super eroi in appeal di speranza era di andare nel passato o nel futuro per cambiare il destino fatale del pianeta.

Alzi la mano, in quel frangente, chi non penserà al prof. Emmett L. "Doc" Brown e a Marty Mc Fly. Io l'ho interpretato come un rendere omaggio a un film che ha fatto la storia del cinema, dopo Ritorno al futuro la fantascienza avrebbe acquistato un amico in più e così, grazie al buco temporale, il ritmo si alza e inizia la danza che diventa hard rock fino alla battaglia finale, dove il povero Thanos, un cattivo che forse nella propria intima essenza troppo non lo è, ci rimetterà le penne, ma quel ruolo da cattivone qualcuno doveva pur farlo.

Altro colpo di scena finale sarà il sacrificio di Iron man, inevitabile e necessario per assicurare la vittoria e la salvezza dell'umanità. Il funerale di questo protagonista sembra sottolineare la più classica fine di una serie, "the end" ma, secondo voi, avete mai visto un personaggio di un fumetto sparire definitivamente? Non capite che la fantasia è immortale? Per ora con Avengers endgame sembra non ci sia più un futuro ma io non ne sarei troppo sicuro e, per me, una prova è nei titoli di coda, un'infinita e chilometrica parata di super professionisti della settima arte che non potranno rimanere inoperosi, viceversa già pronti a lavorare ai nuovi episodi, sicuramente top secret per il pubblico.

In conclusione, questo film, già campione di incassi, è gradevole anche per i non appassionati di questa lunga saga e, a mio avviso, ci sono due preziosi camei che valgono il prezzo del biglietto: Robert Redford e Tilda Swinton, ragazzi, una botta di classe che per lo spettatore è andare in un brodo di giuggiole.

Amici lettori della signoradeiflitri, possono toglierci tutto ma non il piacere della fantasia e una serata al cinema con i super eroi ci fa sentire tutti più felici e sorridenti. Amici lettori del blog che vi tiene sempre svegli e pimpanti, ci rivediamo al prossimo articolo e, mi raccomando, domani rimanete sintonizzati su questo canale per un altro giro nel mondo della cultura.

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Paquito Catanzaro, "8 e un quarto"

1 Maggio 2019 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #cinema, #televisione

 

 

 

 

Paquito Catanzaro
8 e un quarto
La storia irresistibile del telepanettone che perfino Fellini avrebbe voluto dirigere
Homo Scrivens, 2019

- Euro 15 – Pag. 145
www.homoscrivens.it

 

Homo Scrivens sembra un editore che fa le cose sul serio nel campo della narrativa, non fosse altro perché pubblica solo dieci romanzi all’anno, numerati, frutto di un’accurata selezione. Mi è capitato di leggere 8 e un quarto di Paquito Catanzaro, spiritoso fin dal titolo, con una garbata citazione felliniana, anche se non mi pare che l’autore abbia scritto altri romanzi. Fellini intitolò 8 e mezzo il suo capolavoro perché prima aveva girato altri 7 film e mezzo (il primo - Luci del varietà - in collaborazione con Lattuada), Catanzaro lo fa solo per ironia, caratteristica che lo accompagna per l’intera narrazione dove si fa beffe degli autori televisivi che accettano di girare squallide fiction solo per denaro, mettendo da parte ogni velleità intellettuale. Ridendo e scherzando quante verità si possono dire, avrebbe chiosato Pier Paolo Pasolini parafrasando Menandro. E in questo caso ci starebbe bene anche un bel ridendo castigat mores, ché i costumi vengono fustigati a dovere da uno scrittore che mette in campo tutto il suo umorismo inventandosi un regista di nome Miraglia - forse ignorando che nel cinema italiano è esistito un vero Emilio Pompilio Miraglia, autore di un pugno di pellicole di genere - che si fa aiutare da un esperto sceneggiatore per uscire dalle secche di una fiction scritta (male) da un gruppo di esordienti, che deve andare in onda a tutti i costi per aggiudicarsi un finanziamento ministeriale. Storia di ordinaria (e italica) follia cinematografica, perché eventi simili accadono tutti i giorni, basta vedere registi del calibro di Ruggero Deodato (Cannibal Holocaust, signori!) costretti a girare una stagione di Incantesimo a scopo alimentare, mentre Michele Soavi dirige fiction televisiva se vuole continuare a lavorare dietro la macchina da presa, dopo aver illuso il pubblico di essere il migliore allievo di Dario Argento. 8 e un quarto non pretende di essere alta letteratura, ma è narrativa ben scritta, fatta di dialoghi realistici e ben strutturati, di ritmo e battute ficcanti; l’autore scrive un romanzo comico onesto che segue la lezione della commedia all’italiana: far ridere e pensare, puntare il dito sul sistema e divertire. Una lettura che farebbe la gioia anche del produttore cinematografico (Tognazzi) che Ettore Scola s’inventa ne La terrazza e che tartassa il povero sceneggiatore (Trintignant) con il suo: Fa ridere?. Sì, 8 e un quarto fa ridere. Leggetelo. Non ve ne pentirete.

 

Gordiano lupi
www.infol.it/lupi

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"Parlami di te"

29 Marzo 2019 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni, #cinema

 

 

 

 

Parlami di te

Hervé Mimran, 2018

 

Brutta commedia pasticciata questa di Hervé Mimran, che spreca il buon Fabrice Luchini per raccontare non si sa bene cosa, pare la vera storia di Christian Streiff, ex CEO di Airbus e del gruppo PSA, il quale ha scritto un libro che è, come riporta Wikipedia, “un’autobiografia nel quale racconta la sua malattia e la lenta convalescenza”. LENTA. Perché riprendersi da due ictus susseguitisi in una manciata di ore senza soccorso medico richiede tempo, non certo il mesetto scarso mostrato nel film, in cui il protagonista, afflitto da afasia fluente a seguito della patologia (significa che produce frasi con ritmo e intonazione nella norma ma composte da parole disconnesse tra loro per significato e sintassi rendendo il discorso poco o non comprensibile), liquida la sua convalescenza con un paio di sketch basati su giochi di parole tradotti anche decentemente in italiano e poi, sulle sue gambe, torna a casa. E si limitasse a questo, potremmo anche accettarlo. La sospensione dell’incredulità decide di suicidarsi quando, sempre nel giro di pochissime settimane, con l’aiuto di un’ortofonista, sceglie di partecipare a un importante salone espositivo enunciando il suo discorso da CEO con grande successo. Partono gli applausi, le congratulazioni, le pacche sulle spalle e un bel licenziamento in tronco comunicato anche con fastidio perché le multinazionali sono tutte fatte da persone cattive e insensibili contro i disabili volenterosi. E poi è il karma, no? Dall’inizio mostravano Luchini come un animale da profitto e sfruttamento, che a malapena si occupava della figlia nonostante una moglie morta atrocemente, di cui conservano ancora il letto di morte come un mausoleo (anche questo, come si dirà in seguito, intuito da un’inquadratura mostrata un attimo senza un commento, un’interazione tra gli attori, una spiegazione, nulla), scontroso con tutti, che non dice mai grazie. E allora tiè, così impari. Francamente tra i manager e il regista non saprei dire chi è il più cinico. In tutto ciò Mimran pensa bene di buttare a casaccio la storia dell’ortofonista che ricerca la sua madre biologica, la sua storia d’amore con l’infermiere a metà tra il simpaticone e il ritardo mentale lieve e, ovviamente, di lasciarle mezzo in sospeso, con intermezzi di pochi minuti che dovrebbero farci intuire epiloghi scialbi e muti, senza un briciolo di introspezione psicologica, insoddisfacenti e francamente inutili nel contesto. L’ultimo terzo del film è semplicemente insopportabile per i dialoghi, lo sviluppo della trama, il mutare dei rapporti tra i protagonisti, indegni anche di una sceneggiatura di un cartone per bambini della materna. Il film, quindi, che in una scena pensa bene di strizzare l’occhio a Quasi amici rendendo ancora più evidente l’abisso tra i due film, sempre che ce ne fosse bisogno, è una banalizzazione quasi offensiva del percorso di riabilitazione psicologica e fisica di chiunque abbia subito un grave sconvolgimento della propria esistenza per motivi di salute. Nemmeno oso un accostamento con Lo scafandro e la farfalla, perché andrei nel penale. Comunque, alla fine il protagonista impara a dire “grazie”. Non lo avreste mai immaginato, eh?

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"Dodici metri d'amore" e altro ancora

9 Marzo 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo, #cinema

 

Dell’umorismo si è detto tutto, ne ha parlato Bergson, Pirandello lo ha definito “il sentimento del contrario”, ma, forse, non si è sottolineato abbastanza il fatto che il riso cambia coi tempi.  Ciò che ci faceva sbellicare anni fa non ci diverte più adesso. Ricordo, solo un paio di decenni fa, le grasse risate che facevamo con gli show di Panariello e di Fiorello. Sembra ieri, invece sono già quasi vent’anni. Ricordo certi tormentoni che, probabilmente, sul pubblico di oggi non farebbero presa mentre allora ridevamo tutti, io, mio marito, gli amici.  

E, se vado indietro nel tempo, rammento alcuni capisaldi della comicità sempre rievocati in famiglia, che fecero sganasciare dalle risate me, mio padre, mia madre e mia nonna. Uno era un film con Alberto Sordi, di cui non so il titolo, dove lui si ritrovava catapultato in un comico intrigo di spionaggio.  L’altro è Quattro bassotti per un danese, film della Disney del 66 diretto da Norman Tokar. Andammo tutti a vedere al cinema le peripezie del povero alano combina guai convinto di essere un bassotto, e ridemmo a crepapelle.

Ma, soprattutto, mito imperituro della comicità di casa fu Dodici metri d’amore, film del 54 diretto da Vincent Minnelli, con l’irresistibile scena della novella sposa che cerca di cucinare per il suo maritino, mentre il bestione roulotte è in movimento.

Era tutta un’epoca ad avere gusti e soglia dell’umorismo diversi, più ingenui. Ciò che faceva sganasciare allora, adesso fa sorridere. Tuttavia, i film di quei tempi là (cinquanta/sessanta), possedevano comunque un allure, un fascino sofisticato che li rende tuttora immortali. Grandi registi come, appunto, Minnelli, o come Victor Fleming, con un primo piano, con una dissolvenza, con un semplice suono in sottofondo trasmettevano pathos, emozione, tragedia, eros, molto meglio delle scene esplicite, articolate e spesso inutilmente crudeli, di oggi.

 

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