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Mark Haddon, "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte"

27 Gennaio 2013 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte

di Mark Haddon

Edizione originale Einaudi, 2003

pp 247

16,00

Edizione di riferimento Gruppo editoriale l’Espresso, 2010

“Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon è una di quelle narrazioni che risucchiano, che tengono incollato al libro sia il lettore incallito sia quello occasionale, in barba a chi arriccia il labbro e alza il sopracciglio di fronte ad un romanzo che si fa leggere tutto d’un fiato. Quello che cattura e colpisce allo stomaco è il punto di vista. A raccontare la storia è Christopher, ragazzo affetto dalla sindrome di Asperger, una forma di autismo savant. Christopher ha l’intelligenza di un computer, sa fare a mente calcoli complicatissimi ma è del tutto impreparato, ingenuo e indifeso, di fronte alla vita. Con questi suoi pochi mezzi, intelletto sviluppatissimo ed emotività fragilissima, dovrà risolvere un giallo, l’incomprensibile uccisione di Wellington, il cane della vicina. Si tufferà nell’investigazione con lo stesso spirito razionale e analitico del suo amato Sherlock Holmes ma l’indagine prenderà una piega imprevista, lo costringerà a scavare anche nella propria vita, nei rapporti fra suo padre e sua madre, a venire a patti con l’assenza della figura materna, ad affrontare rischi e a discendere negli inferi metropolitani per poi risalire alla luce delle stelle.

“E quando l’universo avrà terminato di esplodere, tutte le stelle rallenteranno la loro corsa, alla fine si fermeranno e cominceranno di nuovo a cadere verso il centro dell’universo, come fa una palla gettata in aria. E allora non ci sarà più niente a impedirci di vedere tutte le stelle del mondo perché si avvicineranno, sempre più velocemente, e noi capiremo che il mondo presto sparirà, perché quando guarderemo il cielo di notte non ci sarà più il buio ma soltanto lo splendore di luce di milioni e milioni di stelle, tutte stelle cadenti.” (pag. 23)

Ciò che afferra e cattura non è, ripetiamo, la storia in sé, bensì la personalità affascinante e straordinaria di Christopher. Un Asperger è una monade senza finestre, chiuso in un mondo ego centrato, in un cerchio di cui è prigioniero e nel quale non fa entrare nessuno, tenendo a distanza ogni altra creatura umana. Si sente superiore a tutti, non riesce nemmeno a concepire che anche gli altri abbiano una “mente pensante”. Christopher sta solo sul cuore della terra, come direbbe Quasimodo, non ama la confusione, detesta essere toccato, dice sempre la verità, prende tutto alla lettera, nota ogni particolare al punto che la sua mente, sovraccarica di stimoli e dati da analizzare, va in tilt ed egli soffre travolto dall’ansia, dalla paura, da una solitudine cosmica.

“Avrei voluto dormire così da non dover essere obbligato a pensare, perché l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era tutto quel dolore che provavo perché non c’era spazio per nient’altro dentro la mia testa, ma non potevo andare a letto e non potevo far altro che rimanere seduto dov’ero e non c’era nient’altro da fare se non aspettare e continuare a soffrire.” (pag.204)

Haddon usa un linguaggio mimetico del modo di pensare e di esprimersi del protagonista, un linguaggio artificiosamente semplice e ingenuo che strizza l’occhio al lettore e sconfina nella poesia.

“Mia madre però fu cremata. Questo vuol dire che è stata messa in una bara e bruciata e polverizzata per poi trasformarsi in cenere e fumo. Non so cosa capiti alla cenere e non potei fare domande al cimitero perché non andai al funerale. Però so che il fumo esce dal camino e si disperde nell’aria e allora qualche volta guardo il cielo e penso che ci siano delle molecole di mia madre lassù, o nelle nuvole sopra l’Africa o l’Antartico, oppure che scendano sotto forma di pioggia nelle foreste pluviali del Brasile, o si trasformino in neve da qualche parte, nel mondo.” (pag.53)

Mark Haddon's The Curious Incident of the Dog in the Night-Time is one of those unputdownble narratives that keep both the inveterate and the occasional reader glued to the book, in spite of those who curl their lips and raise their eyebrows in front of a novel which is read all in one breath. What catches and affects the stomach is the point of view. The story is told by Christopher, a boy suffering from Asperger's syndrome, a form of savant autism. Christopher has the intelligence of a computer, he can do very complicated calculations in his mind but he is completely unprepared, naive and defenseless, in front of life. With his few means, highly developed intellect and extremely fragile emotion, he will have to solve a mystery, the incomprehensible killing of Wellington, the neighbour's dog. He will dive into the investigation with the same rational and analytical spirit of his beloved Sherlock Holmes, but the investigation will take an unexpected turn, will force him to dig even in his own life, in the relations between his father and his mother, to come to terms with the absence of the maternal figure, to face risks and descend into the metropolitan underworld and then go back to the light of the stars.

 

"And when the universe has finished exploding, all the stars will slow down their run, eventually they will stop and start falling again towards the center of the universe, like a ball thrown into the air does. And then there will be nothing to stop us from seeing all the stars of the world because they will come closer, faster and faster, and we will understand that the world will soon disappear, because when we look at the sky at night there will be no darkness but only splendour of light of millions and millions of stars, all shooting stars. "

 

What enthrals us is not not, we repeat, the story itself, but the fascinating and extraordinary personality of Christopher. An Asperger is a monad without windows, closed in a centered ego world, in a circle of which he is a prisoner and in which no one enters, keeping every other human being at a distance. He feels superior to all, he cannot even conceive that others also have a "thinking mind". Christopher is alone on the heart of the earth, as Quasimodo would say, does not like confusion, hates being touched, always tells the truth, takes everything literally, notes every detail to the point that his mind, overloaded with stimuli and data to analyze, goes in tilt and he suffers overwhelmed by anxiety, by fear, by a cosmic solitude.

 

"I wanted to sleep so that I didn't have to think, because the only thing I could think of was all the pain I felt because there was no room for anything else inside my head, but I couldn't go to bed and all I could do was sit where I was and there was nothing else to do but wait and continue to suffer. "

 

Haddon uses a mimetic language of the protagonist's way of thinking and expressing himself, an artificially simple and naive language that winks at the reader and borders on poetry.

 

But my mother was cremated. This means that it was put in a coffin and burned and pulverized and then turned into ash and smoke. I don't know what happens to ashes and I couldn't ask questions at the cemetery because I didn't go to the funeral. But I know that the smoke comes out of the chimney and disperses in the air and then sometimes I look at the sky and I think there are molecules of my mother up there, or in the clouds over Africa or the Antarctic, or that they come down in the form of rain in the rainforests of Brazil, or turn into snow somewhere in the world. "

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Pensieri divelti

26 Gennaio 2013 , Scritto da Fabio Marcaccini Con tag #fabio marcaccini, #poesia

Macchina di ferro,
dal cuore di pezza,
a riposare i dolori
di un male incurabile,
inchiodata da viva
su una sedia a rotelle,
che diventerà presto
la tua condanna a morte,
ad insabbiar le mani grinze
dalla crudezza selvaggia di un dolore.

Ma la mente è vera
e perdura quel pensiero:
che senso avrebbe
l' elisir della vita
se non avessi te

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"A mille ce n'è..." Le fiabe sonore dei Fratelli Fabbri

26 Gennaio 2013 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #saggi, #educazione

"A mille ce n'è..." Le fiabe sonore dei Fratelli Fabbri

Quest'anno Fabbri editrice ha lanciato un'app per iOS (iPad e iPhone) da cui si possono scaricare dodici delle delle intramontabili "fiabe sonore".

Non molto prima del Natale 1966, i Fratelli Fabbri editori distribuirono gratuitamente nelle edicole un disco promozionale de Le Fiabe Sonore, con I tre Porcellini. La settimana seguente uscì il primo numero ufficiale, Il gatto con gli Stivali di Charles Perrault, corredato di un albo di grande formato (27x35) con splendide illustrazioni romantiche e tuttavia ironiche, ammiccanti, comunque moderne.

Molti di noi, all’epoca, non sapevano ancora leggere. Furono i nostri genitori, dunque, a iniziarci alla magia, a spalancarci le porte della fantasia, a introdurci in un mondo che ci avrebbe arricchito, ammaliato, incantato, spaventato, meravigliato. Settimana dopo settimana, avremmo imparato a leggere e scrivere anche grazie alle Fiabe Sonore, assorbendo parole nuove e sconosciute, non sempre facili.

Le fiabe uscirono ininterrottamente dal 1966 al 1970, incise su dischi a 45 giri e corredate da libri bellissimi, illustrati da pittori molto conosciuti: Pikka, Una, Ferri, Max e Sergio.

Dopo averle ascoltate dai nostri genitori, ci affidavamo poi alla voce profonda e rassicurante di Silverio Pisu (1937-2004) attore, doppiatore, cantante, scrittore e sceneggiatore. Ci raggomitolavamo sul divano nelle fredde sere d’inverno, col libro sulle ginocchia, rapiti dalle figure, con l’orecchio teso a cogliere la minima differenza fra testo scritto e voce narrante. Oppure, raffreddati e febbricitanti, spargevamo sul letto le fiabe a raggiera, estraevamo dalla custodia il disco di vinile, lo inserivamo trepidanti nel mangiadischi. Il ditino premeva, il tasto si abbassava e in quel piccolo gesto c’era un potere immenso, quello di far scaturire suoni e immagini, di evocare un intero universo parallelo. Eravamo noi a tenere la bacchetta magica, a chiudere e aprire a piacimento la porta fatata, a ogni rilettura, a ogni riascolto.

Con Silverio Pisu collaboravano molti altri attori professionisti tra cui Ugo Bologna, Sante Calogero, Pupo de Luca, Isa di Marzio. Le musiche furono commissionate a un famoso compositore dell’epoca, Vittorio Peltrinieri. Nessuno di noi potrà mai dimenticare la canzone introduttiva cantata dal Quartetto Radar, composto da Claudio Celli, Gianni Guarnieri, Dino Comolli e Stelio Settepassi, il cui stile voleva somigliare a quello del più celebre Quartetto Cetra.

Assieme alla canzoncina di chiusura alle fiabe, il memorabile jingle iniziale costituì un sicuro segno di riconoscimento della collana:

A mille ce n'è

nel mio cuore di fiabe da narrar.

Venite con me

nel mio mondo fatato per sognar…

Non serve l'ombrello,

il cappottino rosso o la cartella bella

per venire con me…

Basta un po' di fantasia e di bontà.

Dopo l’introduzione, cominciava la fiaba vera e propria, sceneggiata, riadattata, modernizzata senza toglierle fascino. Ogni sceneggiatura era caratterizzata non solo dalla voce narrante di Silverio Pisu, ribattezzato Cantafiabe, ma pure da vivaci dialoghi e canzoncine orecchiabili come quelle indimenticate di Cappuccetto Rosso, del Nano Tremotino, di Cigno Appiccica.

Pochi cenni magistrali erano sufficienti a creare l’atmosfera, come il passaggio del tempo segnato da un tocco d’arpa, capace di scatenare la fantasia, fare appello a più sensi contemporaneamente e rendere superflua qualsiasi parola. In tutto uscirono circa 150 fascicoli illustrati e altrettanti dischi. Vennero riproposte fiabe dei principali favolisti europei: i fratelli Grimm, Andersen, Perrault, Puŝkin e dei meno noti Bechstein, Leprince de Beaumont, Gianbattista Basile.

Grazie alle fiabe della Fabbri, un’intera generazione si è divertita con lo spassoso Vardiello, ed ha altresì imparato – come spiega Bruno Bettelheim – a gestire le proprie paure infantili, rielaborando interiormente, assorbendo e facendo proprie certe atmosfere gotiche. Come non ricordare la paura suscitata dalla spaventosa strega di Hansel e Gretel bruciata nel forno dai due fratellini, dall’Orco di Pollicino che taglia la gola alle proprie figlie, dall’ingiusta accusa di stregoneria rivolta alla protagonista de Gli undici cigni selvatici costretta al silenzio a causa dell’amore per i fratelli? Le fiabe sonore ci insegnavano la netta divisione fra male e bene, il confine fra lecito e illecito, il senso del dovere e lo spirito di sacrificio, parole che oggi sembrano ormai prive di significato.

Oltre alle fiabe singole, furono pubblicate anche magistrali versioni a puntate di Le avventure di Pinocchio, con Paolo Poli nel ruolo del burattino, di Alice nel paese delle meraviglie e di Peter Pan. Le fiabe sonore furono riproposte nel '77, negli anni '80, nel '90. Uscirono poi per la prima volta su CD nel 2003 e in allegato al Corriere della Sera nel 2007. Come abbiamo detto all’inizio, sono di quest’anno applicazioni scaricabili per iPhone e iPad con due fiabe gratuite e le altre a pagamento.

E ora ci congediamo da voi come faceva il Cantafiabe, con quella canzoncina che ci procurava tristezza e consolazione insieme, il senso di qualcosa che finisce e poi comincia di nuovo, in un infinito loop che ci aiutava a crescere, a sopportare il ritorno alla vita normale, alle nostre fatiche di bambini, simboleggiate dalla “cartella bella” dell’introduzione.

Finisce così

Questa favola breve se ne va

Il disco fa click

E, vedrete, fra un po’ si fermerà,

ma aspettate, e un altro ne avrete

“C’era una volta” il Cantafiabe dirà

E un’altra favola comincerà

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Livorno Magazine - Periodico di Informazione

25 Gennaio 2013 , Scritto da Patrizia Poli

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Livorno Magazine - Periodico di Informazione

25 Gennaio 2013 , Scritto da Patrizia Poli

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Adriana Pedicini, "I luoghi della memoria"

25 Gennaio 2013 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #adriana pedicini, #poli patrizia, #recensioni

Adriana Pedicini, "I luoghi della memoria"

”I luoghi della memoria”

Adriana Pedicini

Arduino Sacco editore

Breve attimo di amore profondo, terso, senza scorie. Non era l’amore che ama se stesso nell’altro, ma il trionfo dell’anima che ama negli altri l’amore. La capacità d’amare era salva, la disponibilità ad amare totale. L’aveva scoperta – Lei – al suono dell’orchestra.

I racconti di Adriana Pedicini si snodano per antiche scale, per borghi sommessi, per pruni e rovi di campagna, fra l’odor del mosto e del pane che lievita e gonfia su tavoloni di marmo, su madie infarinate.

Alcuni sono vere e proprie novelle, come quella dell’insegnante Nives, o della gitana Josephine, altri sono ritratti, coagulate memorie di vecchi affabulanti, descrizioni vivide di figure portentose.

La superba Teresina, che ruba fiori al cimitero, col nugolo dei gatti sempre appresso, col reticolo di rughe che è il suo viso, con i lobi delle orecchie forati e penduli, con gli occhi che roteano in cerca di una sigaretta, la zingara Joshephine, nomade scalza, dalle caviglie svelte, fatte per danzare. Assunta e Concetta, signorine Felicita, nonne Speranza, sorelle Materassi di un tempo che fu, arcigne e bigotte, malevole e pignole nella loro ricerca dell’altrui imperfezione.

Adriana scrive con un linguaggio di cui si è persa la memoria, che forse si è studiato a scuola, di manzoniana e verghiana eco, con un periodare lungo, dove alcune virgole sono volutamente soppresse affinché l’aggettivazione fluisca ininterrotta.

Uno stile elegante e poeticissimo, una scrittura come ve ne sono poche, ormai.

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