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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

giuseppe scilipoti

The Cards of Life

2 Ottobre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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La vita è un gran "casinò" in cui è meglio mettere le "carte" in tavola.

Il "set di regole"? Lo stabilisci tu. "L'asso nella manica"? Non è sempre disponibile, quindi in molte occasioni è necessario farsi un "mazzo" così.

Un occhio di riguardo per quattro "simboli" in particolare, ovvero non dare troppa importanza ai "denari", non permettere a nessuno d'infilarti i "bastoni" tra le ruote, ricordati che le migliori "coppe" risultano le soddisfazioni, e, infine, adopera le "spade" che servono per difendersi, attaccare e, all'occorrenza, salvare la "faccia" e il "retro."

Cosa importantissima: rispetta il "partner" come se fosse un "re" o una "regina", altrimenti, prima o poi, si arriva a "calare l'asso" come dicono in Sicilia. Ah, a proposito, "scopa" bene e "gioca" il meno possibile a "solitario."

Caro "giocatore", in definitiva se fai un buon "gioco", sei a "cavallo".

Buona fortuna e... "buona mano"!

 

 

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Militare per sempre

1 Ottobre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

 

 

 

In età adolescenziale, ero un ragazzo sensibile, timido e impacciato. Oltre a ciò albergava in me il mostro dell'insicurezza. Tra i vari aspetti negativi, con i coetanei e non, tale condizione mi portava spesso a porgere l'altra guancia e... l'altra chiappa. 

Un simil-Fantozzi? Forse! A parte un "Filini", non avevo amici. I tanti "Calboni" di certo non compensavano, e a peggiorare le cose il fatto che alle superiori ero vittima di bullismo. 

Nei momenti no, o nelle situazioni intrise di malinconia, verso sera, nel buio della mia camera, nell'ascoltare i brani dei miei cantanti preferiti,  creavo un mondo parallelo nel quale mi rifugiavo, un mondo in cui valevo qualcosa. Sebbene ciò funzionasse, rimaneva vivida la consapevolezza che quel tipo di dimensione non rappresentava una soluzione. Indubbiamente ardeva in me la voglia di riscattarmi, il problema era trovare lo sbocco giusto. 

Una volta conseguito il diploma di scuola superiore, nel 2004, decisi di arruolarmi nell'E.I, un'esperienza nella quale ritenni utile cimentarmi sia a livello formativo che professionale. 

A un anno esatto, la divisa che vestivo contribuì a farmi acquisire i primi segni di sicurezza, anche perché mi elargiva un certo fascino con le ragazze durante le libere uscite, oppure quando andavo o rientravo dalle licenze. 

Successivamente arrivò il grado di caporale, il cui distintivo pettorale tutt'oggi conservo gelosamente. Ricordo che il pomeriggio successivo alla nomina, mentre mi avviavo alla C.C.S. (Compagnia Comando e Servizi) per la consegna di una documentazione commissionata da un maresciallo della fureria, all'improvviso nei volti di una ventina di reclute collocate nei pressi della mensa, appena passai loro davanti, notai un'espressione ossequiosa. Dopodiché si misero in posizione di attenti per il saluto militare, facendo tremare il selciato con gli anfibi. 

Devo ammetterlo: ne ricavai un misto di soddisfazione e compiacimento. Mi sentii importante. 

A ogni modo, l'ambiente militare mi stava dando dei buoni frutti poiché diventai molto spigliato e scanzonato; mancava soltanto di issare la bandiera... dell'autostima. Purtroppo, nell'estate del 2006 feci la cazzata più grossa della mia vita, ovverosia il congedo. La motivazione? È presto detto: la fidanzata di allora mi costrinse a scegliere tra lei e la carriera. Che minchione! Se avessi proseguito, probabilmente a quest'ora sarei sergente. 

A distanza di quasi vent'anni, nonostante l'autostima sia rimasta ferma a "mezz'asta", e nonostante non eserciti più in Esercito bensì in qualità di Operatore Socio Sanitario, succede che nelle giornate lavorative decisamente toste, ne tragga l'energia necessaria immaginando di indossare ancora l’amata mimetica, sentendomi ancora in linea con i dettami che assimilai in quel periodo: prontezza, obbedienza ai superiori, senso del dovere e cameratismo.

 

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Epicuro, il pennuto

5 Settembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Premessa: Epicuro, il pennuto fa parte di una trilogia intitolata Il pappagallo che comprende anche Il pappagallo del nonnaccio e Il re, la regina e il pappagallo i cui testi risultano senza apparenti legami

 

 

 

Non mi sarei mai immaginato che alcune specie di pappagalli disponessero di una particolare capacità di adattamento e di apprendimento. Il mio Epicuro, un cenerino che mi è stato regalato due mesi fa, ne è un esempio lampante; oltretutto ritengo di avere il merito di acuire la sua intelligenza ogni giorno che passa. 

Essendo io un insegnante di Filosofia in un liceo di Roma, per arrotondare, impartisco lezioni private ad alcuni studenti in difficoltà, affinché possano recuperare i brutti voti a scuola. A tal proposito, i programmi di studio vengono svolti nel soggiorno di casa mia, in presenza del pennuto che, fuori dalla gabbia, se ne sta seduto su un trespolo di metallo ad ascoltare attentamente, esprimendosi di tanto in tanto con dei brevissimi interventi davvero pertinenti. 

Nonostante il suo indiscutibile intelletto, Epicuro ha il difetto di essere un po' malavvezzo. Tra le varie cose, per la sua golosità, pretende che la ciotola sia sempre piena di biscotti danesi, altrimenti emette dei fastidiosi garriti che mi fanno impazzire. Da ciò deduco che abbia messo in pratica una serie di lezioni che riguardavano Avidità, un mattone tedesco, esistenzialista, di Andreas Bierhoff, scrittore morto suicida giovanissimo. Copie vendute: due milioni.

***

Oggi è arrivato al punto di "chiudere il becco" e di servirsi da solo, difatti, mentre ero in bagno per una doccia, Epicuro dal trespolo ha spiccato il volo dal salone alla cucina per intrufolarsi all'interno di un mobile lasciato sbadatamente aperto. Senza troppi complimenti ha scoperchiato con il becco una scatola di latta di Royal Dansk per divorare i frollini con grande voracità. 

«Ci sono più biscotti nella tua credenza, Orazio, di quanto io ne possa sognare nella mia ciotola» mi sfotte lo sfacciato pappagallo sulla falsariga di Shakespeare per poi riprendere a beccare gli ultimi danesini rimasti.

Pazienza, meglio prenderla con filosofia.

 

 

Nota dell'autore: il passaggio [un mattone tedesco, esistenzialista, di Andreas Bierhoff, scrittore morto suicida giovanissimo. Copie vendute: due milioni.] è un riadattamento di una linea di dialogo di Giovanni Storti del film Tre uomini e una gamba.

 

 

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Il pappagallo del nonnaccio

4 Settembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Premessa: Il pappagallo del nonnaccio, fa parte di una trilogia intitolata Il pappagallo che comprende anche Epicuro, il pennuto e Il re, la regina e il pappagallo i cui testi risultano senza apparenti legami. 

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Mio nonno paterno aveva una fervida passione per i pappagalli. L'ultimo di una lunga serie si rivelò un conuro capoazzurro dagli occhietti mezzi chiusi, di nome Paulie, soprannominato 'Il Brasiliano' in quanto il piumaggio ricordava la bandiera del Brasile. 

Il nonno con Paulie ebbe una dedizione senza precedenti, dall'alimentazione alla pulizia spendendo ore e ore in veranda per insegnargli a parlare. 

Mi ricordo che dieci anni fa, quando nonna morì d'infarto, il nonno appariva più afflitto per la candida del pennuto in questione che per quella che era stata una brava moglie per ben cinquant'anni. Da quel momento in poi iniziai a manifestare disprezzo per quel "pappagallaro" esageratamente fissato, considerando pure che una forma di avversione c'era già, visto che non aveva alcuna stima nei miei confronti. Non per nulla, spesso mi dava del coglione. Oltre a ciò, un'altra caratteristica principale del nonnaccio era la sua avarizia, tant'è vero che da bambino non mi comprava nemmeno un gelato.

Nonostante negli ultimi anni le nostre comunicazioni si fossero ridotte all'osso, o comunque il nostro rapporto non fosse dei migliori, alla sua recente dipartita, causata da un brutto male, inaspettatamente mi ha lasciato un'eredità di circa quattrocentomila euro, a patto che io accettassi la sua ultima volontà espressa nella scheda testamentaria, ovvero di continuare io stesso a prendermi cura di Paulie. Pur non essendo un amante dei pappagalli, sarei stato... un coglione se avessi rifiutato. 

A casa, piazzai quel "pollo colorato" in soggiorno, relegandolo dentro una gabbia oppure lasciandolo libero sopra un trespolo di legno. Notai fin da subito che, a differenza di quando il vegliardo era in vita, Paulie parlava poco, inoltre tendeva ad assumere un'espressione tipica del nonno, cioè sgranare di tanto in tanto gli occhi e inarcare la testa di lato. Ipotizzai che potesse trattarsi di un'imitazione, d'altro canto il volatile non conosceva altri che il suo vecchio padrone. 

Ma non è tutto, sembrava prestare particolare attenzione alle conversazioni, comprese quelle telefoniche, di cui una degna di nota va raccontata. 

Al telefono, a Mirella, la mia ragazza, comunicai che, data la grossa disponibilità economica, progettavo di comprare una BMW, una tenda da trekking, una barca, un set di attrezzi per la pesca, una mountain bike e di regalarle un paio di borse di Gucci. 

Appena finii di stilarle la lista dei desideri, in men che non si dica, vidi Paulie aggrapparsi alle sbarre della gabbia e ad agitarsi freneticamente, reiterando un fastidioso "No! Non ti permettere!"

Provai un senso di angoscia e soggezione, al punto che dovetti inventare una scusa a Mirella e riattaccare velocemente la cornetta. Benché il pappagallo si fosse zittito, uscii quasi correndo dal salone per rifugiarmi in cucina. Mi venne in mente il nonno che, avarissimo com'era, odiava gli sperperi, difatti in diverse occasioni mi aveva etichettato come un coglione dalle mani bucate. 

Nel cercare di trovare una prova che avvalori la mia tesi, con un po' di coraggio, ho deciso di stuzzicare il pappagallo, a mia volta a mo’ di pappagallo, con delle brevissime frasi ripetitive del tipo: "Nonno, sei tu?"

Dopo innumerevoli tentativi, finalmente... ha aperto il becco.

«Certo che sono io, coglione!» ha esclamato il volatile gracchiando e per di più strabuzzando gli occhi e piegando la testa di lato.

 

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Il re, la regina e il pappagallo

3 Settembre 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Premessa: Il re, la regina e il pappagallo fa parte di una trilogia intitolata Il pappagallo che comprende anche Il pappagallo del nonnaccio ed Epicuro, il pennuto i cui testi risultano senza apparenti legami. 

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Erika, la bellissima principessa di Norvega, a ventitré anni compiuti divenne regina poiché andò in sposa a Zeno, il re guerriero di Itala. Egli era considerato un tipo spietato e temuto, forte come un roccia, virile come un toro ed estremamente geloso nei confronti della regale consorte. Quest'ultima, oltre alla già citata bellezza, aveva un'altra caratteristica degna di nota, ovvero l'essere focosa e di conseguenza un'autentica amante del sesso.

Un giorno, Itala dichiarò guerra a Lybian. Si prevedeva un conflitto bellico dalla durata indefinita. Il sovrano, prima di prendere armi e bagagli, incaricò un fedele servitore, di nome Alessandro, di reperire una contenzione fisica per la regina al fine di coprirle dal basso il di dietro e il davanti. In proposito, si vociferava che durante le precedenti trasferte del marito, costei, eludendo la sorveglianza di alcuni emissari, fosse andata a letto con un domestico, con un valletto e con vari visitatori. Al di là della mancanza di prove inconfutabili, bisognava comunque correre... ai ripari. 

«La vedi questa?» disse il re alla regina l'indomani, ondeggiando tra le mani un apparecchio di ferro munito di serratura. «Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave.»

«Come farò senza di te? Oltretutto per chissà quanto tempo!» piagnucolò la monarca nel mentre le veniva applicata la cintura di castità. 

«Mi aspetterai. Tra l'altro, nella sala del trono, ti terrà compagnia Pollon, un pappagallo che mi è stato regalato stamane dal principe di Roccamaldina.»

Entrambi non sapevano che quel volatile assai carino, pur essendo poco loquace, aveva il dono dell'intelletto e della perspicacia. 

Il regnante abbracciò la regnatrice e, a passo marziale, si avviò sul piazzale per partire assieme alle truppe armate fino ai denti in direzione del territorio nemico. 

Undici mesi dopo, re Zeno riuscì nell'impresa di soggiogare il regno lybiano per poi, trionfante, rimettersi in marcia per ritornare alla reggia. Il suo primo pensiero fu per Erika, d'altro canto aveva le "palle piene" delle estenuanti battaglie, soprattutto per via di una lunga astinenza sessuale. 

A corte, appena si ritrovò dinanzi alla sovrana, ebbe un'amara sorpresa: era incinta. 

«Porca puttana! Ma com'è possibile? Solo io ne detengo la chiave!» ruggì re Zeno con una potenza tale da far tremare persino le armature allineate alle pareti. 

«E che ne so io? Sarà stata opera del diavolo!» si giustificò Erika con un'espressione di finta desolazione. 

All'improvviso, alla destra del seggio cerimoniale, Pollon, il pappagallo, da sopra un trespolo placcato in oro, cominciò a sbattere le ali e a garrire, sembrava che volesse attirare l'attenzione. 

«Sire, il vostro caro pennuto colorato probabilmente desidera cantare!» osservò Rino, il giullare, in tono sardonico.

In quegli attimi di silenzio tombale, i presenti si focalizzarono su Pollon pendendo dal suo becco. 

«Ve lo dico aspro: non è stato altro che Sandro Palissandro, il fabbro di Alessandro, tanto furbo quanto scaltro!»

In men che non si dica esplose un autentico pandemonio, le urla di re Zeno si sentirono in tutto il castello, per di più, preso dalla collera, distrusse una moltitudine di oggetti, tra cui quadri, mobili e suppellettili del vasto salone reale. Quel che è peggio è che qualcuno ci lasciò le penne. E quel qualcuno non fu di certo il pappagallo.

 

Nota dell'autore: la linea di dialogo [Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave] cita il titolo di un film dalle venature erotiche datato 1972.

 

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L'ammartaggio

1 Agosto 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Stop! Non va assolutamente bene! 

Lo so, risulto una specie di Stanley Kubrick, quindi rassegnatevi, d'altro canto la Federazione Russa ci ha assegnato un compito estremamente difficile. Ve lo ripeto per l'ultima volta: noi di Rossiyawood non dobbiamo destare sospetti. Avete presente la Hollywood negli anni sessanta con l'allunaggio? Ecco, evitiamo.

Prima di rimetterci al lavoro, è doveroso esporre alcune osservazioni. Innanzitutto una tirata d'orecchie al tecnico delle luci in quanto non mi soddisfa l’illuminazione. Ditegli anche di cambiare la tonalità rossastra, d'altronde il set deve ricreare una porzione convincente della superficie di Marte. 

Michail, sposta la bandiera russa vicino a un cratere, cosicché i cameramen possano offrire inquadrature più accattivanti. Il discorso del Presidente, accompagnato dall'inno nazionale in sottofondo, meglio inserirlo sul finire, il pubblico deve totalmente concentrarsi sulle immagini e sui “dialoghi” dei due astronauti. Umh, a proposito…

Sceneggiatoreeeeee! Non ti avevo detto di modificare il copione e di depennare le sequenze con i marziani che accolgono gli astronauti con intenzioni pacifiche? Ascolta, non stiamo mica girando un film di fantascienza.

Popov, quelle macchie di caffè sul busto si vedono lontano un miglio. Fatti dare dalla costumista un'altra tuta spaziale. Dai, sbrigati, non restare imbambolato. 

Zobnin, fammi leggere la frase-tagline che ritieni ideale per Olenikov.

- Un piccolo passo per l'uomo, un grande passo per l'umanità. -

Ma sei impazzito? Vorresti proporre le stesse identiche parole di Neil Armstrong? Vattene, sennò sulla Luna ti ci spedisco io con un calcio in culo. In giornata vedi di stilare una riga idonea. 

Questo è tutto. Aspettiamo che ritorni Popov per il duecentesimo ciak

 

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Nonno sprint

31 Luglio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Mio nonno materno, che personaggio!

Incallito donnaiolo e grande girovago, con i suoi ottant'anni passati, sprizza arzillosità da tutti i pori. Un dongiovanni, quindi? Eh sì, tant'è vero che in famiglia l'abbiamo da sempre soprannominato Don GiovanNuccio, derivante dal diminutivo di Nuccio. In proposito si lancia con nonchalance all'avventura, nel prendere treni o autobus per raggiungere le sue conquiste, spesso rimorchiate tramite quelle cosiddette rubriche Cuori Solitari, oppure semplicemente per farsi delle belle e spensierate gite.

Bene, arrivati a questo punto è necessario tornare indietro di circa trent'anni, a quando il nonno era più giovane e, per i suoi spostamenti, utilizzava uno sgangherato ma stranamente funzionale Piaggio Si con il quale aveva girato un po' tutta la Sicilia orientale e occidentale. A quei tempi, io e la mia famiglia abitavamo a Trabia, in provincia di Palermo, lo sprintoso ci veniva a trovare una volta l’anno per rimanere ospite da noi per una decina di giorni. Talvolta spuntava in maniera inaspettata, vale a dire a sorpresa.

In breve, provo a descrivere il tragitto: partenza all'alba, dal messinese al palermitano, giungendo da noi nel tardo pomeriggio, attraversando strade, stradine, paesi, paesini, campagne etc., sfidando persino avverse condizioni meteo, sebbene per ovvi motivi il Lawrence d'Arabia de' noantri scegliesse prevalentemente le giornate soleggiate.

Io e mia sorella, se sapevamo del suo arrivo, ci piazzavamo sul balcone ad aspettarlo. Non ci portava mai dei regali, al massimo un vassoio di piparelle. L'ingresso a casa nostra da parte del nonno lo consideravo di tipo trionfale, un mix tra il folle e l’eroe, tra l’altro ancora oggi ricordo bene il suo cascaccio color marrone senza visiera che con la fantasia identificavo da aviatore. 

Una sera, quasi al termine della cena, avvenne un simpatico episodio degno di nota. In sostanza a Don GiovanNuccio domandai da cosa traesse origine quel suo spirito da avventuriero, e il perché prediligesse l’utilizzo di quel catorcio.

«Vedi, caro nipote, da ragazzino amavo leggere i giornaletti e sognavo di girare il mondo. Ed eccomi qua!» 

«E qual è il tuo preferito?» gli chiesi con slancio, poiché a sette anni ero un avido lettore di fumetti.

«Tex Willer!» esclamò e con le dita fece finta di sistemarsi un immaginario cappello da cowboy.

«Ah ecco, ora si spiega tutto!» intervenne ironico mio padre. «Praticamente entrambi in sella. Tex, col cavallo andando per dune e per monti, mentre lui... col Si.»

Scoppiammo a ridere.

«E se piove? Come fai?» domandò mia sorella rivolgendosi al nonno.

«Non si pone il problema perché l'Uomo del Vento... non teme la pioggia.»

La sua risposta non poteva che essere prettamente willeriana.

 

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La tennista

30 Luglio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Skyler Patterson, mentre si riscaldava attraverso una serie di esercizi di stretching statico, fremeva dalla voglia di cominciare. Aveva come scopo principale dimostrare di essere la migliore tennista del mondo, ne aveva le "palle" piene dei giornalisti e dei bookmakers che la davano per sfavorita, a differenza di Scarlett Chavez, soprannominata "La Regina del Tennis."

In ogni caso, tutto quello che doveva fare era colpire bene e resistere più a lungo possibile per vincere la gara più difficile della sua vita, al fine di conseguire la Mosq Cup.

L'ambiziosa giocatrice osservò maliziosamente la sua rivale seduta su una panchina a bordo campo e nel frattempo cogitò su quale sarebbe stata la strategia più indicata da adottare per gestire il match.

Cinque minuti dopo la partita ebbe inizio, le ragazze inarcarono il braccio con la racchetta in mano, pronte a dare spettacolo. Vennero azionate le barriere protettive per isolare il campo di gioco, il Giudice di Sedia rimase all'esterno assieme al Giudice di Punti.

Da un singolare macchinario dotato di una gigantesca teca di vetro, fuoriuscirono una miriade di zanzare pantera, grandi quanto noci, in direzione della Patterson e della Chavez per pungerle e dissanguarle senza pietà. L'unico modo per inattivare quell'apparecchiatura, la morte di una delle due o di entrambe le tenniste qualora non avessero retto nello stesso momento.

«Vi sistemo io!» pensò la giovane atleta estremamente motivata e concentrata a bruciare i pericolosi insetti con la sua folgorante ed elettrica Racket 4000.

 

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Archor

4 Luglio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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«Rientrare nelle celle!» risuonò la voce monocorde dagli altoparlanti di Archor, il penitenziario di New Baltic.

William Joseph Blasko, il direttore della prigione, affacciandosi dalla finestra del suo ufficio, si focalizzò sui prigionieri che prendevano posizione davanti alle porte d'ingresso.

«L'ora d'aria è il momento propizio per eventuali fuggiaschi» pensò l'austero dirigente. «Le nuove misure di sicurezza dovrebbero scoraggiare persino i più temerari.»

Le telecamere a circuito chiuso e le speciali serrature elettroniche avevano quasi azzerato il budget del carcere. C'erano state critiche sulla recinzione elettrificata e sulle torrette laser, per non parlare dei droni dotati di mitragliatrici. Tuttavia, per Blasko, risultavano soldi ben spesi, in quanto alcuni mesi prima, cinque agenti, erano riusciti a fuggire, per di più travestendosi da detenuti. 

 

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Il vulcano

3 Luglio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

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Impossibile dimenticare lo sgradito regalo natalizio che fece il vulcano a noi poveri abitanti di Aci Torre, una cittadina ai piedi dell'Etna.

Tutto cominciò da una colonna di fumo densissima che si innalzava verso il cielo, finché una sfrigolante lava rosso-arancio iniziò a fuoriuscire dalla sommità di Mungibeddu, tanto da associarla a quella dell'inferno dantesco.

All'improvviso, in un misto di stupore e di tensione, un’angosciante nube di colore ardesia imprigionò sia me che i miei compaesani. Il peggio doveva ancora venire, poiché seguì il terremoto, accompagnato da una devastante eruzione vulcanica ove fiumi di lava incandescente scivolarono rapidamente. 

Ci fu un parapiglia inaudito, la gente urlante scappò a destra e a manca, chi addirittura nel fuggi fuggi generale venne travolto dalle automobili o dalle moto impazzite. 

Mi misi a correre a perdifiato, in qualche modo dovevo mettermi in salvo, anche a costo di sputare sangue e... cenere. Alle mie spalle, i vari fluidi magmatici si addentrarono irreversibilmente nell'inerme città, sciogliendo nel loro percorso qualsiasi cosa, tra cui case, lampioni, cassonetti e monumenti. Fondamentalmente la lava aveva guadagnato “terreno” sia in lunghezza che in larghezza, difatti lo spietato vulcano ebbe il predominio assoluto coinvolgendo persino le località limitrofe.

Nelle vicinanze di un ponte, caddi stremato e persi completamente i sensi. Credevo che per me fosse finita, invece, con grande sorpresa mi risvegliai al Policlinico. Nel frattempo un medico e un infermiere monitoravano i miei parametri. 

Mi spiegarono che ero riuscito a sopravvivere in quanto una pattuglia della polizia municipale, composta da un uomo e una donna, in extremis, mi aveva caricato di fretta e furia nella sua auto di servizio in direzione Messina. Mi commuovo a pensare che quei due angeli in divisa hanno cambiato le sorti di una vita umana. La mia.

Da anni, vivo a Copenaghen, a più di duemilacinquecento chilometri di distanza dalla Sicilia, una regione da sempre a rischio di fenomeni tellurici. Sono felicemente sposato con Anne e ho due figli, Erik e Susanne.

Qui non c’è nessun vulcano da temere.

 

 

Nota dell'autore: Aci Torre è un'immaginaria cittadina situata alle pendici dell'Etna, mentre Mungibeddu è uno dei sinonimi dialettali che identificano il vulcano in questione.   

 

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