Nadia Banaudi, "Vita e riavvita"
28 Novembre 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

Vita e riavvita
Nadia Banaudi
Bookabook, 2017
pp 414
16,00
Il libro è capitato nelle mani sbagliate, perché altrove sarebbe forse apprezzato più di quanto possa fare la sottoscritta. Nel senso che la Banaudi è brava ma io non amo questa scrittura femminile dove succede sempre qualcosa che fa cambiare improvvisamente in meglio la situazione, dopodiché tutto sembra girare per il verso giusto e la vita si “riavvita”, riparte, anzi, viene rilanciata verso uno zuccheroso lieto fine. Peccato che nella realtà le cose non stiano per niente così, peccato che i cambiamenti, se ci sono, non avvengano in un attimo ma abbiano bisogno di lunghi periodi di decantazione e maturazione per potersi sviluppare, ammesso che si possa davvero cambiare, ammesso che ciò che siamo non ci perseguiti per sempre, ammesso che il binario morto sul quale siamo arenate non resti tale all’infinito.
La Banaudi somiglia a molte altre narratrici che parlano di rinascita muliebre (Musella, Masserotti, Fabbroni, Cabras), che disegnano donne sconfitte e depresse, capaci, come dicevamo, d'innescare la svolta cruciale. Nadia Banaudi, però, in Vita e riavvita ha senz’altro una marcia in più per come sa raccontare i sentimenti e le sfumature dell’animo e per quella gradevole struttura con la quale è stata in grado di legare un racconto all’altro – ché di cinque racconti lunghi trattasi.
Nella cornice di un bar si svolgono le vite delle protagoniste, alcune alle prese con problemi molto concreti, come il lavoro precario, il sovrappeso, la vedovanza, la gestazione. Le loro esistenze sono tracciate con tocchi veritieri e molta sensibilità: sappiamo cosa mangiano, come si vestono, quanto pesano, cosa leggono e che musica ascoltano. Sappiamo, soprattutto, cosa pensano e cosa provano. I moti del loro animo sono ben descritti, molto bella La storia di Sonia e Manuela, perfetta, commovente e coinvolgente l’immedesimazione con l’animo di una bambina infelice e abbandonata a se stessa.
Le situazioni descritte non sono mai indeterminate bensì concrete, il cibo, gli oggetti, le azioni sono piccole cose specifiche e quotidiane che fanno venire in mente Pascoli e Gozzano dei giorni nostri. In alcune storie, però, come in quella di Amalia e il gatto, il realismo diventa magico, trascolora in sogno e fantasia. I cinque racconti sono, a tutti gli effetti, cinque fiabe, dove la bacchetta magica c’è ma non si vede, scaturisce dal risveglio interiore.
Il fuoco della narrazione è interno ai personaggi ma si sposta in continuazione dall’uno all’altro. La Banaudi scrive bene, ha anche qualche trovata geniale, come la ragazzina che “di lavoro fa la bambina”. Dispiace, perciò, riscontrare un paio di svarioni che gli editor non hanno corretto. E i dialoghi a volte suonano artefatti, improbabili.
Nel complesso, un’autrice che ha da lavorare tanto per liberarsi di certe eccessive quotidianità, per rendersi più universale, per volare ancora più alto, ma che ha anche già un’ottima base dalla quale partire.
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