Andrea Biscaro, "Sangue d'ansonaco"
6 Luglio 2015 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni
Sangue d’ansonaco
Andrea Biscaro
Edizioni Effegi, 2015
pp 127
12, 00
Rispetto a Il vicino, Sangue d’ansonaco, il nuovo thriller di Andrea Biscaro, manca delle atmosfere progressivamente agghiaccianti, dell’incalzare dell’orrore, della paura che ti stringe alla gola e, nello steso tempo, non ti fa staccare dalla storia, che ci avevano colpito nel precedente romanzo. Qui sembra che l’autore sia indeciso sul taglio da dare alla storia: avventura? Giallo paranormale? Spot pubblicitario per una bellissima isola dell’arcipelago toscano e per la sua produzione vinicola?
Abbiamo uno scrittore di nome Antonio Brando, già protagonista d’un precedente romanzo di Biscaro, che, come accade in molte fiction, film e quant’altro, eredita una casa all’Isola del Giglio da un parente sconosciuto. Qui s’imbatte in una cantina misteriosa, in un vino prodigioso, in avventure terrificanti quanto improbabili. Il finale rimane aperto e non lo sveliamo, ma le interpretazioni possono essere molteplici.
Quello che preme far notare, è che la parte migliore del libro non è la strana vicenda in cui incappa il protagonista, ma l’ambientazione. Ritroviamo tutto il rigoglio dell’isola a primavera, fra rose canine e ginestre in fiore, la Torre a guardia della mezzaluna di sabbia rosata, i tramonti quieti ed infuocati del Campese.
“l’arco della baia è molto ampio. Una calda luce arancione fa brillare la grana grossa di granito. Mi chino, afferro una manciata di sabbia e mi soffermo ad osservarne il colore e la brillantezza. Minuscoli quarzi scintillano elettrici in mezzo al granito.” (pag 29)
I primi capitoli scorrono con dolcezza e viene voglia di andare avanti, viene voglia che, su quell’isola, il protagonista non incontri la bizzarra memoria di uno zio pericoloso ma, piuttosto, l’amore e una nuova vita.
All’isola e alla trama è legato l’ansonaco, o ansonico, un vino liquoroso, ad alta gradazione alcolica, prodotto in loco. Forse tutto il romanzo è solo una metafora degli effetti dell’alcol, un invito a non cadere in troppe tentazioni nocive, a gustare la vita a piccoli morsi e a piccoli sorsi.
Il protagonista poi, dobbiamo notare, è uno scrittore in crisi (pure questo un cliché della narrativa di genere e non) e anche qui ci chiediamo se i suoi problemi non derivino da qualche colpa, qualche cedimento passato in cui si torna ad indulgere.
“e invece sei fermo da ormai sette anni, se non sbaglio! Ehi, brando, non credi ch la vacanza possa ormai ritenersi conclusa? Che ne dici, ci riusciresti ancora a scrivere un romanzo di successo? O anche solo un romanzo? O anche solo una pagina?” (pag 12)
Come già avveniva ne Il vicino, verità e immaginazione hanno confini labili, sovrapponibili, il sogno si mescola alla realtà e persino alla finzione romanzesca, creando un effetto metanarrativo spiazzante.
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