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Angela Caccia, "Il tocco abarico del dubbio"

8 Giugno 2015 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #poesia, #angela caccia

Il tocco abarico del dubbio

Angela Caccia

FaraEditore

pp 93

10,00

Non aver paura delle emozioni, dei sentimenti e della bellezza è una buona cosa, troppo spesso considerata fuori moda.

Il tocco abarico del dubbio” è una silloge di Angela Caccia che riesce ancora a commuoverci. Il titolo si rifà a quel punto - il punto abarico - a gravità zero, dove l’attrazione della terra e della luna si annullano. Lì risiede il dubbio, che ci permette l’indagine, la quale, a sua volta, istrada verso il sé, verso un esserci nel mondo, un Dasein di heideggeriana memoria.

Queste poesie, divise in sezioni e precedute da brevi introduzioni in prosa lirica, toccano argomenti universali che ci accomunano tutti.

La morte, in primis. “Gli occhi di una lapide mettono sempre malinconia: non guardano più nessuno”, “il sangue resta tiepido dei tanti sogni interrotti.” Da una parte essa ci limita, dall’altra, come in Heidegger, ci rende più liberi, permettendo di ripensare la nostra vita e sceglierne una più autentica.

Altro tema è il rapporto filiale, inteso come distacco dal genitore defunto, memoria dolce inasprita dall’assenza, ma anche continuazione di sé nei figli, progetto. Ma i figli, scopriamo, sono altro da noi, sono alterità e futuro, pur portandosi dietro i geni e il ricordo delle generazioni passate. Un ulteriore motivo è la nostalgia di tutto ciò che era e che non torna.

“Nei tuoi occhi

i resti di una assenza

che tu ignori e

io non perdono

-non l’ho pianta né sepolta

È lì in una leggenda

E annotta oltre le mie croci.”

Grande spazio è dato alla poesia stessa, all’atto del poetare vissuto come imprescindibile, come sfogo ma anche ricerca, genesi difficile di ogni parola: distillata, irrinunciabile, capace d’incarnare un singolo pensiero e solo quello.

“- Non serve lavorare in sottrazione –

incedono chiari i versi

si prendono per mano

le parole esatte”

“bisognerà che scavi

nelle consonanti

tra le vocali

associare al suono

odori canto immagini”

Ma la parola è comunque insufficiente (“parola che non sani”).

Le poesie nascono da riflessioni, osservazioni, quadri, accadimenti: una vita che si spezza, un funerale, una bambina che non ha conosciuto il nonno, un giorno in ospedale, lo sbarco dei migranti a Lampedusa, un cane morente, una rimpatriata con i compagni di scuola. Eventi spiccioli che diventano ispirazione poetica per un animo sensibile. La Caccia non si accontenta di viverli, ma vuole analizzare le emozioni che essi suscitano, esperirle, ricrearle con fine gnoseologico. Le poesie arginano l’emozione, la incanalano, fenomenologicamente avvalorano l’esistente perché sono scorciatoie intuitive.

Uno solo

il vocabolo giusto che

aderisce all’attimo

e trova il bandolo

di un groviglio lanoso

in petto”

Una parte non minore ha la ricerca religiosa, il bisogno di superare la morte nella fede.

C’è poi una storia antica che parla di vita oltre, di resurrezione, di eternità. Racconta che nessuno riposa nella morte, ma procede imperterrito nel suo slancio vitale, più vivo che mai. A volte questa è la risposta più adeguata.”

Concludiamo riportando una poesia, semplice e molto bella, dove l’autrice, più che trasfigurare gli eventi, è capace, attraverso la sua sensibilità, di coglierne l’aspetto poetico e la non scontata commozione.

Per i tuoi occhi

Resisti Nina

resisti da sola

così curva

in questa pozza di dolore

ci fosse un dio dei cani…

Non ho parole sacre

per i tuoi occhi

stelle senza capanna

sullo stesso meridiano dell’umano:

privilegio di chi vive

è la morte!

Laghi castani

appannati da un fondale

che la sabbia sconvolge

atolli

dove il mio amarti

ha perso le chiavi

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