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Il mio famoso outing

21 Giugno 2014 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #psicologia

Il mio famoso outing

Questa sezione è dedicata a quelli che, come me, soffrono di fobia sociale e, come aggravante, scrivono pure.
Avete presente lo scrittore che si lamenta perché l’editore non gli organizza abbastanza presentazioni? Ecco, la mia categoria, la categoria degli scrittori socialfobici, si dispera per il motivo opposto, perché all’idea di sedersi in una libreria, sorridere alla platea e cominciare a parlare di sé e dei suoi libri con tutti gli occhi puntati addosso, le budella gli si intorcinano a tal punto che diventa difficile districarle.
Se siete socialfobici che cos’è la fobia sociale – d’ora innanzi la chiameremo confidenzialmente FS – lo sapete già, se non lo siete, questa sezione non fa per voi.
Comincerò riproponendovi il mio famoso outing, un pezzo che scrissi anni fa, in un momento di disperazione. A suo tempo fece scalpore e suscitò un putiferio di commenti: gente come me che capiva e simpatizzava ma anche tanti bravi dottori che pretendevano di dare consigli.
Ricordate i “babbani” di Harry Potter, i normali che non s’intendono di magia? Ecco, anche per la FS è lo stesso: non illudetevi, i normali non vi capiranno mai.
Dunque scrissi questo

O muoio qui, ora e per sempre o devo comunque vivere ed andare avanti.
L'unica possibilità è venire allo scoperto. Che chi porta alla luce la propria omosessualità, chi l'anoressia, chi la bulimia, chi la droga. Io sono una socialfobica.
Chi non conosce questa malattia, chi non la sperimenta sulla propria pelle, non sa quanto si soffre. In giro non se ne parla, solo io so quanto patisco.
Quelli che per gli altri sono normali gesti della vita quotidiana, gesti inconsapevoli, meccanici, per me sono ostacoli sovrumani: firmare sotto gli occhi degli altri mentre la mia mano trema, lavorare se qualcuno mi osserva, telefonare, parlare con due persone insieme, raccontare una stupida barzelletta, salutare una amica per strada, chiacchierare con qualcuno che viene a trovarmi sul posto di lavoro, passare in mezzo ad un capannello di gente sul marciapiede, si trasforma in un tormento indicibile.
Entro in una spirale d'ansia, mi si scatena un terremoto neurovegetativo, sudo freddo, tremo, mi riempio di chiazze, mi si seccano le fauci, mi si abbaglia la vista, mi monta il mal di testa, non riesco più ad articolare le parole, a pensare con lucidità, a ricordarmi quello che volevo dire. Vedo tutto nero e perdo il filo del discorso. Mi sembra di non aver niente d'interessante da raccontare e che la mia vita sia una scatola vuota. L'unica cosa alla quale riesco ancora a pensare è che non voglio che gli altri se ne accorgano. Non lo voglio con tutta me stessa. Sono disposta a sparire, a sprofondare, a morire all'istante, a perdere per sempre quelle persone. Pazienza se mi sono care, pazienza se le amo, se ne ho bisogno per vivere.
E, più ci penso, più si vede. Arrossisco violentemente, mi muovo goffamente, a scatti. L'impaccio e l'imbarazzo trasudano da tutti i pori, inciampo, faccio cadere gli oggetti intorno a me, appaio rannuvolata e scura in volto. Divento antipatica, sembro arrabbiata mentre sono solo spaventata ed infelice. Do il peggio di me.
Il mio disagio è così palpabile, così evidente, che si comunica agli altri, li mette in ansia, li fa scappare. Perdo tutti gli amici in questo modo. E, più sono amici, più tengo a loro, più mi sento distrutta dal loro giudizio.
Eppure, senza falsa modestia, so di essere una persona intelligente, colta, con una discreta parlantina, ironica e spiritosa. Non sono nemmeno timida. Il fobico sociale non è timido, ma ha terrore del giudizio degli altri, soffre di ansia da prestazione. Se mi rilasso sono allegra, vulcanica, chiacchierona, persino esibizionista. Ma le occasioni per essere rilassata sono sempre di meno. Sto peggiorando.
Per rilassarmi devo essere profondamente immersa e concentrata in ciò che sto facendo, tanto da dimenticarmi chi ho intorno. Oppure devo bere un bicchiere di vino.
Capisco chi non ce la fa più e s'impasticca per non impazzire. Io non m'impasticco e così soffro tanto da ammalarmi, da non riuscire a più lavorare, da non vedere più nessuno.
Non serve a niente dirsi che i veri problemi sono altri, che la gente sopporta con coraggio e dignità lutti, malattie e povertà. Serve solo a stimarsi di meno.
Non serve a niente dirmi che, se arrossisco, non ammazzo nessuno, serve solo a rimpiangere
le occasioni perdute.

Da allora è passato molto tempo e con la FS ho imparato a convivere, grazie anche a un’amica che ha lo stesso problema e con la quale interagisco in rete.
Ma di questo vi parlerò un’altra volta.

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