Rosa Santoro, "Io, però"
15 Maggio 2013 , Scritto da Maria Vittoria Masserotti Con tag #maria vittoria masserotti, #recensioni, #erotismo
"Io, però"
Rosa Santoro
Arduino Sacco editore
pp120
L’erotismo coniugato al femminile è un tema affascinate ma difficile. Difficile per il retaggio che da secoli pesa sulla sfera sessuale della donna, per il perbenismo e anche il maschilismo che l’ha tenuto sommerso.
Anche se recentemente la letteratura si è popolata di storie erotiche narrate da voce di donna, siamo ancora ben lontani da una potente seduzione che coinvolga il lettore, incapace di abbandonare le pagine del libro, come era successo con “Il delta di Venere” di Anaïs Nin.
Partendo dal presupposto che ogni persona ha un suo concetto di erotismo, non è facile catturare l’attenzione del lettore oltre la prima curiosità, per farlo è necessario che la narrazione si dipani, scorra tra le dita come sabbia fine.
“Io, però…” è un tentativo coraggioso in questo senso, dare una visione originale di un mondo che appartiene alla sfera intima di ognuno.
Margherita, la protagonista, va a Roma alla ricerca del successo nel mondo dello spettacolo. Sale e scende da quei treni che la portano via e la riportano a casa, ma gli incontri che fa non l’avvicinano neanche a quel mondo, resta invece coinvolta con una serie di uomini ambigui e violenti. La sua ricerca del piacere, che pervade tutta la narrazione, resta la vera protagonista del romanzo, fino all’estrema conclusione, la morte.
Non sappiamo se questa morte, nelle intenzioni della scrittrice, sia alla fine un giudizio morale, certamente balza agli occhi come il “peccato” conduca inevitabilmente al termine dell’esistenza di Margherita.
Il lettore, però, deve a volte tornare indietro per capire chi fa cosa, la sintassi è spesso decisamente ingarbugliata. Non basta descrivere qualcosa per renderla fruibile ad altri da noi, nemmeno il sesso. Si dice che il linguaggio sia una convenzione e, quindi, le regole che lo governano sono necessarie per la comunicazione tra chi scrive e chi legge.
L’Autrice vuole sicuramente comunicare, e con forza, ma si capisce tra le righe, mentre sarebbe stato necessario che la storia, triste ma reale, fosse definita con penna più precisa. L’argomento, scabroso fino ad essere brutale, domina troppo rispetto al vissuto del personaggio principale, avremmo voluto capire di più di Margherita, se solo si fosse espressa con parole più comprensibili.
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