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erotismo

Tutta la notte

8 Aprile 2018 , Scritto da Lorenzo Barbieri Con tag #lorenzo barbieri, #racconto, #erotismo

 

                                                              

 

 

 

 

 

Tutta la notte arse il fuoco, nella penombra della stanza, eravamo soli io e te in quel rifugio circondato dalla neve. Fuori l’inverno tesseva alle finestre dialoghi di vento e neve, mentre dormivi al riparo della mia ombra. Ci trovavamo in quel posto isolato perché tu avevi chiesto che la prima volta doveva accadere nel silenzio e nella solitudine, niente, e nessuno, doveva spezzare l’incantesimo di quel momento così importante per te. Volevi un'intimità diversa dai nostri soliti incontri, qualcosa da ricordare nel tempo, mi hai negato il tuo corpo così a lungo che quasi disperavo di riuscire a far breccia nel tuo cuore, nonostante le tue continue dimostrazioni d’amore. Ad ogni mio tentativo, rinnovavi in me un desiderio che non poteva essere soddisfatto, mi guardavi con uno sguardo provocatorio e sorridevi, l’unica concessione erano le tue labbra che mi offrivi in punta di piedi, morbide e piene di fuoco, bruciavano. Ardeva il fuoco nel camino e tu eri nuda sotto la coperta di seta in cui ti eri avvolta. I bagliori delle fiamme t’illuminavano il viso disteso nel torpore che si era impossessato di te. Le mie mani impazienti di marinaio si avventurarono nello sconfinato mare dei capelli, percorsero i boschi delle tue ciglia e accarezzarono le palpebre chiuse, per scendere poi al viso levigato, delicato come il velluto di una pesca matura, le labbra socchiuse, il tuo respiro sapeva di viole. Precipitò la mano lungo la linea sottile del collo che confluiva verso lo spazio del petto e già le dolci colline d’avorio erano lì, piccole, turgide, due coppe da champagne con due ciliegine rosa, un cocktail da sorseggiare lentamente. Indugiai un attimo e sentii sotto le dita il fremito che ti percorse, quando sfiorai le vette per oltrepassare le alture e scender verso la valle. Andai avanti ad esplorare il tuo corpo perdendomi nella sua immensità, quando giunsi alla tua isola mi sentivo come un naufrago, solo, disperso e assetato d’amore. Arse il fuoco, tutta la notte, tutto il tempo dei nostri baci, delle nostre dita intrecciate come una fitta rete di pescatori per catturare ogni attimo di quella felicità a lungo desiderata, per imprigionare dentro di noi il fuoco che bruciava i nostri corpi, il tempo e la luna che faceva da testimone in quel momento. In quella stanza al riparo dall’inverno, dal vento che fischiava alle finestre portandoci suoni di campane.

  

 

 

 

 

 

 

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Luciano Funetta, "Dalle rovine"

29 Novembre 2015 , Scritto da Sergio Vivaldi Con tag #sergio vivaldi, #recensioni, #erotismo

Luciano Funetta, "Dalle rovine"

Dalle rovine

Luciano Funetta

Tunué

Quando Rivera se ne andò, nessuno lo vide a parte noi. Lo guardammo mentre si allontanava e scompariva tra gli alberi, lo osservammo inoltrarsi nella prigione di rami, dentro la vegetazione dove ad aspettarlo erano in due, in tre o in venti, anche se in realtà lo aspettava una persona sola. Quando Rivera uscì dal suo nascondiglio, noi eravamo pietrificati dalla paura e dalla stanchezza. Rivera invece non tremava. Sapevamo che sarebbe entrato nella foresta che divorava la casa e che qualcuno lo stava aspettando nel buio. Nessuno sa cosa successe dopo a Rivera, tranne noi.

Esistono due modi per affrontare la solitudine. Il primo è combatterla, cercare relazioni, provare a soddisfare la fame di compagnia a costo di trovarsi in situazioni insipide. L'altro è abbracciarla, uscire dal grande mondo per rinchiudersi nel piccolo universo delle proprie passioni e ossessioni. E Rivera appartiene alla seconda categoria, un uomo i cui serpenti sono l'unica ragione di vita, tanto da sceglierli come compagni di vita.

Eppure, nonostante tutto, ogni volta che li guardava, si prendeva cura di loro, ne osservava comportamenti e abitudini, Rivera provava una sensazione di compiutezza, qualcosa di molto simile alla pace. Non li aveva mai temuti e questo, pensava, doveva averli disorientati, come se la sua tranquillità fosse in grado di annullare la loro reputazione e di renderli inoffensivi.

La sua ossessione lo porta a girare un filmato amatoriale di un amplesso e presentarlo al direttore di un cinema a luci rosse. È un filmato sconvolgente, il pubblico del piccolo cinema ne rimane affascinato e terrorizzato allo stesso tempo. Perché girare il filmato? Una decisione improvvisa forse, non vanità né desiderio di fama. Ma il video diventa l'inizio del viaggio di Rivera nel mondo della pornografia d'arte, un mondo dotato di una vitalità propria ma anche una sua solitudine capace di risuonare con Rivera. Come sottolinea uno dei personaggi, “l'erotismo è ciò che non conosciamo e che tentiamo di raggiungere con la fantasia, e a costo di una profonda tristezza. Sa, quello del sesso è un mondo fatto di tristezza, anche se ci teniamo a non darlo a vedere”. Il mondo di Rivera si trasforma, passando da solitudine personale a collettiva, condivisa con le persone che incontra durante il viaggio.

Sarà l'incontro con Alexandre Tapia a spingere la sua nuova vita verso l'abisso della violenza, a smontare gli equilibri appena creati. Tapia è una figura carismatica, misteriosa, un pozzo di segreti e oscurità che si abbatte sul gruppo appena formatosi e lo guiderà verso un sentiero nuovo, un sentiero fino a quel momento inimmaginabile. Non è un burattinaio, non muove i fili di una sceneggiatura già scritta, sembra invece spingere il corso del destino verso uno scopo con la volontà e la sua ossessione per Rivera.

Due domande risuonano all'interno del racconto. In ordine di apparizione, la prima è l'identità del narratore. Chi è il “noi” narrante, che tutto vede e tutto racconta? Chi sono queste figure, questi esseri che seguono, osservano, commentano la vita di Rivera, senza abbandonarlo mai, neanche quando decide di entrare nella foresta e di unirsi al buio? Non è mai rivelato, la loro natura è lasciata all'immaginazione del lettore, ma Rivera può vederli e questo porta a considerarli come personaggi interni al racconto, figure senza nome e volto, ombre che diventano guardoni e spiano il dramma dell'esistenza di un uomo. Sono parte della storia molto più di quanto non lo sia un semplice narratore ma non intervengono mai, sono figure invisibili sullo sfondo, eppure sempre presenti.

La seconda domanda è l'identità di Tapia. Un uomo, un vecchio, residente a Barcellona, una vita di violenze subite alle spalle e ossessionato da un copione per un film pornografico che non è mai stato prodotto. Un uomo solo, senza mai amici, pochissimi sanno della sua esistenza. Nessuno poteva mai recitare quel copione, estremo persino per la pornografia snuff alla quale si ispira, espressione di una vendetta contro la vita e le sue ingiustizie. Nessuno tranne Rivera, con la sua solitudine, la volontà di sperimentare e l'ossessione per i serpenti. Ma il ruolo di Alexandre Tapia in questa storia non sarà mai chiaro fino alla fine. La sua apparizione però accelera gli eventi, la bolla in cui i personaggi si sono ritirati esplode e il mondo intorno a loro inizia a sgretolarsi rapidamente. Chi è davvero Alexandre Tapia?

Dalle rovine è un incubo, un viaggio negli anfratti più profondi del desiderio e delle ossessioni umane, un percorso fatto a testa alta, guardando negli occhi i mostri, abbracciandoli e trasformandoli in una forma di umanità terribile. Ma sarebbe ingiusto nei confronti dell'autore ridurre il romanzo a una semplice esplorazione del lato oscuro dell'uomo, per quanto eseguito in modo magistrale. I suoi personaggi sono fragili, le loro disgrazie fanno provare tenerezza e affetto. Si abbandonano consapevolmente alla discesa nell'oscurità seguendo sentimenti umani, reali; la solitudine e la violenza che li circonda e li pervade è la nostra debolezza, ed è con questo spirito che il lettore affronta il racconto, assorbendo situazioni e sensazioni dolorose come pugni messi a segno da un pugile esperto, o forse da un aguzzino il cui scopo è esaltare l'esperienza del dolore, della perdita, della mancanza, mescolati a sogni, speranze ed episodi di tenerezza e affetto, perché senza questi ultimi non possono esistere i primi.

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All by myself

5 Maggio 2015 , Scritto da Mari Nerocumi Con tag #mari nerocumi, #erotismo

All by myself

Salve pollastre,

devo farvi una confessione…

con due pargoli piccoli diciamo che non è facile dedicarsi a fantastiche maratone di sesso da camera (a meno che non prenotiate un motel), per cui io, ma anche mio marito (più che probabilmente) siamo molto in DIY (do it yourself) mood.

Trovo che il “fai da te” possa creare tal volta una sorta di confidenza ulteriore, non col proprio corpo come si fa in adolescenza, bensì con la propria testa… fino a raggiungere ottimi risultati non solo in termini di benefici curativi delle nostre isterie croniche, nota dolente di noi “pollisteriche”, ma anche in termini di compensazione di certe ingiustizie che sentiamo di subire quotidianamente e che, in quanto tenere pollastre, non riusciamo a lasciarci alle spalle, accidenti su cui ci impantaniamo a rimuginare per mesi, da polle tignose che siamo.

Tutto ‘sto papiello per dirvi che ho capito che il “fai da te” è un ottimo mezzo per combattere lo stress…signore mie

Bella scoperta! – direte voi. Sì, amiche care, ma c’è modo e modo, o meglio c’è mood e mood…

Dunque, è opinione comune che le amicizie vere, quelle che rimangono per sempre, siano quelle fatte in età più o meno tenera, mentre le amicizie “adulte”, per così dire, sarebbero sempre un po’ meno totalizzanti, un po’ meno sincere, un po’ meno tutto, insomma. Ora, senza voler essere conservatrici a tutti i costi, io penso che se i luoghi comuni sono diventati, nel tempo, “comuni”, un motivo ci dovrà pur essere e del resto l’esperienza, in questo caso, raramente contraddice l’assunto. Un caso tipico del genere riguarda i rapporti con le mamme dei compagni di classe dei nostri figli… non mi sembra il caso di dilungarmi sulle varie tipologie di mamme perchè la fauna è ampia e diversificata, ma solitamente sono due i casi in cui nasce l’amicizia:

1) tuo figlio vuole andare sempre a casa del suo amichetto e tu sei obbligata a fare amicizia coi genitori (drammatico quando questi non ti piacciono)

2) un amichetto di tuo figlio vuole venire sempre a casa tua a giocare e tu sei costretta a fare amicizia con i genitori (drammatico quando questi ti piacciono)

Ci siamo capite, no? Amicizia obbligatoria per amore dei pargoli…

Ok, fin qui tutto si aggiusta, se un dio benevolo fa in modo che i tizi ti vadano a genio, ma che succede se sei tu che non piaci a loro?

Allora diciamo che io mi trovo al punto due e, dopo un paio d’anni di frequentazioni varie, divento amica della mamma di questo bambino: una abbastanza in gamba, (anche troppo per i miei gusti) una che sta sempre in giro, che è sempre informata su quello che succede a scuola, anche gli inciuci più pesanti, e che sembra avermi accettata nella sua ampia schiera di “amicizie” con tanto di taggamenti a raffica e commenti calorosi e affettuosi su Facebook.

E qui viene il bello, la fantastica mamma, qualche giorno fa, posta delle foto di una festona chiccosissima, organizzata a casa sua, a cui partecipano molti amici comuni e a cui io non sono stata invitata senza la benché minima spiegazione.

La buona pollastra che è in me mi invita ad assumere un atteggiamento di maternalistica superiorità, anche perché “Signori si nasce e io lo nacqui”….

Ma l’altra metà del mio pollaio interiore ove alberga la sua cattiva sorellastra, la pollastra tignosa, non fa altro che pensare all’onta subita ma soprattutto all’”amicizia tradita”…

Me ne vado a dormire senza aver capito come superare lo “stato di gabbia” e in bilico tra quello che pensano le due pollastre discordanti.

So I had a dream.

Nel sogno mi do da fare alla grandissima col marito (niente male…) della tizia mentre la traditrice, ora tradita (evvai!), è costretta ad assistere alla scena, trattenuta a braccia da due possenti gladiatori (allegoria della conflittualità?) che le impediscono di scagliarsi contro di noi. O almeno così penso io, perché a un certo punto la tipa si libera, mi salta addosso e mi annienta… a colpi di lingua! Insomma, dopo il grande successo di “Sixtynine in Amsterdam”, la Polla Productions presenta: “Cunnilingus dreaming – Ne infilza più la lingua che lo spiedo” con All By My Self come colonna sonora.

Ci svegliamo di soprassalto, la buonista, la tignosa e io, mio marito dorme e non si accorge del nostro ansimare; la questione tra noi non è ancora risolta, ma nessuna delle tre ha più voglia di litigare, allora ci prendiamo un istante, uno solo, lungo appena un sospiro e poi, piano, con ancora All By My Self in sottofondo, scivoliamo “into the mood”…

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R…umori da 8 marzo

8 Marzo 2015 , Scritto da Mari Nerocumi Con tag #mari nerocumi, #erotismo

R…umori da 8 marzo

Salve Donne,

oggi “finalmente” si parla di noi, e ininterrottamente direi…

Parlano di noi in tv, alla radio, sui social, in fila al supermercato …da non credere

per una volta all’anno si parla di noi senza limiti e confini, senza reti e muri … ma che ne è delle barriere e delle divisioni, di separazioni e incomprensioni, chiusure e ostruzioni?

Altro che pollai con recinzioni, qui ci spennano per bene…

C’è chi ci “incoraggia” a non tollerare più quello che uomini con la melma in testa ci infliggono.

C’è chi ci “compiange” perché, in qualità di sesso debole, rimaniamo intrappolate, vittime di situazioni da cui usciamo vinte, se non morte… (se non è sessista questo…!)

C’è chi ci “fomenta” esortandoci con energia a farci valere per quello che siamo (???)

C’è chi di solito dice che “un po’ ce la cerchiamo”, ma oggi lo dice a voce un po’ più bassa.

C’è chi dice che siamo belle, e mai come oggi va specificato “dentro e fuori”, chi dice che siamo “la vita, l’amore” come in quella canzone di Modugno, chi ci fa i conti in tasca e dice che sul lavoro prendiamo meno soldi degli uomini e chi ricorda che però siamo più brave a studiare e chi questo e chi quello e poi mi fermo qui perché sto cominciando a sentirmi un po’ Nino Frassica e un po’ Rino Gaetano!

Signore mie… qui si parla di noi come se fossimo delle polle e non delle pollastre, incapaci di intendere e di volere, ma soprattutto si parla di tutte noi messe lì nel pollaio…

non di me o di te o di Stella o di Marialella (la pollastrella bella)…

ma di tutte noi insieme come se la nostra complessità e molteplicità si potessero ridurre a “una sola polla” che sta lì a rappresentare tutto o niente da quando è nato il mondo fino ad oggi…

Per questo motivo oggi, in questo giorno tanto importante, grazie a chi macina stronzate non mi viene da dire altro che BASTA! Ci avete rotto li cojoni con le recinzioni da pollaio …quello che non sapete è che le pollastre, quelle vere, non si lasciano trascinare e rinchiudere in stereotipi di cui è facile riempirsi la bocca ma che, alla fine dei conti, non dicono nulla né di me né di Marialella …

Comunque, visto che oggi il mondo intero deve per forza parlare delle donne, lasciate che lo faccia anch’io, a modo mio:

Dunque, oggi voglio essere me e:

- Anastacia (mica poteva mancare) che zitta zitta (ma anche no… quando si fa fare certe cosette) pure l’ha fatto capitolare, il buon Christian (impresa non da poco direi!!!)

- Mafalda, l’amichetta di Linus, che dice: A una donna servono due cose nella vita, il senso dell’umorismo e un paio di scarpe rosse col tacco

- La protagonista di una vignetta che gira su Facebook e che (immagino con la voce di Califano) dice: LOTTO DA QUANNO M’ARZO

- La protagonista di una canzone di Liga che dice:

Femmina come la terra

Femmina come la guerra

Femmina come la pace

Femmina come la croce

Femmina come la voce

Femmina come sai

Femmina come puoi

Femmina come la sorte

Femmina come la morte

Femmina come la vita

Femmina come l’entrata

Femmina come l’uscita

Femmina come le carte

Femmina come sai

Femmina come puoi

- Me sola … che a #diamociunconsiglio, al posto della propria foto con un buon consiglio, ho inviato un’immagine con la scritta: Non importa quanta dignità tu abbia. Se un bambino ti passa una tazzina vuota, tu devi bere.

- Cenerentola (la più paracula di tutte!!!) che già sapeva che I sooooogni (avete capito quali!?!) son deeeesideri….

E dulcis in fundo…per la serata voglio essere…

- La protagonista di Albachiara di Vasco

Respirerò piano per non far rumore

farò pensieri strani…
… io sola dentro la stanza
e tutto il mondo fuori.

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La vita di Adele – Capitoli 1 & 2 di Abdellatif Kechiche

23 Febbraio 2015 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #cinema, #erotismo

La vita di Adele – Capitoli 1 & 2 di  Abdellatif Kechiche

Regia: Abdellatif Kechiche. Soggetto: Julie Maroh (liberamente tratto dal romanzo a fumetti Il blu è un colore caldo). Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalia Lacroix. Fotografia: Sofia El Fani. Montaggio: Camille Toubkis, Albertine Lastera, Jean-Marie Lengelle, Ghalya Lacroix, Sophie Brunet. Produttori: Olivier Thery Lapiney, Laurence Clerc. Produttori Esecutivi: Abdellatif Kechiche, Vincent Maraval, Brahim Chioua. Case di Produzione: Vertigo Films, Wild Bunch, Quat’sous Films, Alcatraz Films, Scope Pictures, France 2 Cinéma, RTBF. Paese di Produzione: Francia/ Belgio/ Spagna. Durata: 180’. Genere: Dramma erotico. Distribuzione (Italia): Lucky Red Distribuzione. Interpreti: Adèle Exarchopoulos (Adèle), Léa Seydoux (Emma), Salim Kechiouche (Samir), Aurélien Recoing (padre di Adèle), Catherine Salée (madre di Adèle), Benjamin Siksou (Antoine), Mona Walravens (Lise), Jeremie Laheurte (Thomas), Alma Jodorowsky (Béatrice), Sandor Funtek (Valentin). Premi: Palma d’Oro al Festival di Cannes (2013), al regista e alle due protagoniste. Premio Lumière (2014), miglior film, regista, attrice rivelazione Adèle Exarchopoulos, miglior attrice Léa Seydoux. Molte nomination in premi importanti.

Abdellatif Kechiche (Tunisi, 1960) - detto Abdel- è un regista tunisino naturalizzato francese ed è la dimostrazione vivente che la cultura araba rappresenta una ricchezza per la Francia. La vita di Adele - Capitoli 1 & 2 (La Vie d’Adèle - Chapitres 1 & 2), noto anche come Blue Is the Warmest Colour (Il blu è il colore più caldo) è il film che ne decreta il successo internazionale, perché si aggiudica la Palma d’Oro al Festival di Cannes. La pellicola è liberamente ispirata alla poetica graphic novel Il blu è un colore caldo di Julie Maroh (edita in Italia da Rizzoli), che racconta una toccante storia di un amore omosessuale al femminile con un finale degno di un lacrima-movie ma senza gli eccessi erotici della versione cinematografica. L’autrice del romanzo a fumetti si è dissociata dal film e non ha partecipato alla sceneggiatura, colpevole di aver tradito il suo messaggio d’amore in favore di un’interpretazione voyeuristica e ai limiti del pornografico.

Adèle vive a Lille, frequenta il liceo classico, ama leggere e sogna di fare l’insegnante. L’incontro con una strana ragazza dai capelli blu che vede abbracciata a una donna modifica la sua vita e la conduce verso abissi di passione mai provati, al punto di lasciare il suo ragazzo e di gettarsi alla scoperta di un amore omosessuale. Il regista racconta con rapide pennellate la passione tra Adèle ed Emma, dai primi baci fino a un intenso rapporto erotico, ma anche con la condivisione di amicizie e momenti di vita. Emma è una pittrice che frequenta un circolo di amici colti con i quali Adèle si sente un po’ a disagio, ma posa per lei mei momenti liberi dal nuovo lavoro in una scuola materna. La storia si dipana descrivendo la crisi del rapporto, con Emma che comincia a vedere Lisa - un’amica omosessuale incinta - e Adèle che cede alla avances di un collega maschio. Una lite furibonda prelude a un mesto addio, con Adèle in lacrime che non vorrebbe perdere il suo amore ed Emma decisa a farla finita per sempre. Il film termina con le due ragazze che si ritrovano al tavolo di un bar, parlano di un amore finito e del tempo perduto, accettano il fatto compiuto e si lasciano da buone amiche, nonostante un velo di tristezza.

Il titolo del film fa presagire un sequel composto dai capitoli 3 e 4, anche perché il finale della storia è completamente diverso dal romanzo a fumetti, fino a quel punto tradito nella parte erotica ma non nel senso intrinseco del racconto. Abdellatif Kechiche segue la lezione di Lars Von Trier (Nymphomaniac) e narra con realismo poetico (una caratteristica del cinema francese) il rapporto omosessuale tra un’adolescente e una ragazza più adulta, la passione sfrenata che lega due persone fino a trasfigurarle in un solo corpo. Il senso delle intense sequenze erotiche - ai limiti del porno - sta proprio nella volontà di far capire fino a che punto le due ragazze diventano una cosa sola, una comunione totale di corpo e pensiero. La vita di Adèle è minimalismo allo stato puro, cinema realista raccontato con la macchina a mano e intensi primi piani, soggettive nervose, fotografia sporca, montaggio sincopato. Il regista opta per un fastidioso suono in presa diretta che spesso impedisce di seguire i dialoghi, ma è un effetto realistico voluto, forse è più importante non sentire le parole che apprezzare il dialogo fino in fondo. La macchina da presa segue i protagonisti, li pedina neorealisticamente nel quotidiano, indagando rapporti e relazioni, frasi innocue, gusti alimentari e vita familiare. Bravissime le due giovani protagoniste, mai in imbarazzo neppure nelle oltremodo realistiche sequenze erotiche. Meritata la Palma d’Oro a Cannes, così come sono meritati i complimenti per l’attrice rivelazione, la ventenne Adèle Exarchopoulos, che sprizza un fascino da lolita. Da vedere su Sky Cinema Cult prima possibile, visto che ormai alcuni canali satellitari di qualità hanno preso il posto delle sale nella diffusione del vero cinema.

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Quello che gli uomini non dicono

14 Febbraio 2015 , Scritto da Mari Nerocumi Con tag #mari nerocumi, #erotismo

Quello che gli uomini non dicono

Difficile per una Donna del ventunesimo secolo festeggiare San Valentino nel modo in cui desidera…

TU, uomo,
come vuoi stare al passo di una che ha adottato il multitasking come regola di
vita, che, pur volendo, manco se l’ammazzi si ferma,

TU, uomo,
come speri di non renderti ridicolo coi soliti cioccolatini (che so’ sempre
pochi perché te li magni pure te) e i fiori comprati al semaforo?

TU, uomo,
che vorresti fa’ il romanticone-piacione (con me) solo in questo giorno dell’anno,
perché se non era per i mille post che hai visto nella tua pagina di Facebook e
quando te lo ricordavi…

TU, uomo,
che sei quello che sei, o fungi, nella tua sola apprezzabile funzione, solo nei
romanzi di pollastre che leggiamo…

come farti dire quello che realmente desideriamo?

No perché, parliamoci chiaro, e che non si dica che le donne non si mettono in discussione, nessuno sa davvero cosa l’altro/a vorrebbe sentirsi dire, specie in questo giorno così solenne !

O meglio, una Donna sa cosa un uomo vorrebbe sentirsi dire …viceversa un po’ meno

Se una Donna dice: “Scopami!”, l’uomo è contento e ci mette un attimo a togliersi i pantaloni…

Se un marito dice: “Ti amo”, dopo un po’ di anni di matrimonio, il giorno di San Valentino,
la moglie manco se lo fila (anzi quasi gli ride in faccia per quanto le sembra strano) o, peggio che vada, pensa: -“me lo ha detto perché deve farsi perdonare qualcosa, cosa avrà fatto il bastardo stavolta?” …e così parte un crescendo sempre più pericoloso per la futura vita di coppia.

Ma allora, come fargli dire:

Ti voglio. Adesso. E se non sei disposta a farti
sculacciare, come meriteresti, ti scoperò sul divano subito, in fretta, per il
mio piacere , non
il tuo.” (parola di Christian Grey)?

Il segreto è nel classicissimo “farsi desiderare come se ce la avessimo solo noi sulla faccia della terra e lui voglia solo la nostra”.

D’altra parte, come ha ben detto una mia saggia amica in questi giorni:

“Il dilemma non è se ci sia vita oltre la morte, bensì se ci possa essere vita oltre la patata!”.

Ma, tornando a noi, come facciamo a fargli pronunciare ‘ste fatidiche parole alla Christian nel giorno di San Valentino?

Care amiche, la risposta è che … non lo so! …

Il multitasking l’abbiamo inventato noi, mica loro…

Se fanno una cosa alla volta siete pure fortunate… (perché almeno la fanno). E quindi il “Ti amo” va già considerato come una dignitosa performance.

Ma proprio grazie al multitasking, signore, il regalo quest’anno ve lo potete fare da sole
e, vi assicuro, senza sprecarvi nemmeno tanto. Basta ridurre a icona la finestra di “moglie sacrosantamente esigente per via delle sue esigenze” e far visualizzare a schermo intero la spettacolare “femme fatale con venature sadomaso”.

Oh insomma, con l’accappatoio ancora addosso, i capelli bagnati e tutta unta di crema idratante, non ho detto a mio marito: “Scopami!” (dopotutto sono una signora…)

Aprendo l’accappatoio, gli ho detto: “Legami, solo così puoi fermarmi!” …e ho buttato sul letto la cintura.

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La solitudine al femminile: ma ci siamo o ci facciamo?

10 Dicembre 2014 , Scritto da Mari Nerocumi Con tag #mari nerocumi, #erotismo

La solitudine al femminile:  ma ci siamo o ci facciamo?

Un grosso difetto di noi pollastre è il non sapere o non voler accettare i periodi, brevi o lunghi che siano, di completa solitudine. E credo stia tutta qui la chiave delle famose ma tristi parole che ogni tanto ci diciamo in un raptus di false verità: “non ho ancora incontrato l’uomo giusto”…

Pur di non stare sole andiamo a tentativi e ci avventuriamo in rapporti sbagliati, imboccando strade senza uscita, preferendo situazioni limite al nostro crescere interiore. Non ce la facciamo nemmeno a pronunciarla la parola solitudine, però sappiamo puntualmente dire “non era l’uomo giusto per me” e non vogliamo riconoscere che molte storie in cui ci infiliamo le accettiamo solo per il fatto che in certi periodi della nostra vita la solitudine ci fa davvero paura… Se sapessimo quello che ci aspetta probabilmente di sicuro faremmo marcia indietro…

Eh sì perché la singletudine diventa sofferenza quando non riusciamo a stare sole, quando invidiamo le amiche che hanno una relazione o quando non siamo in grado di crearci un nostro giro di amicizie, al di là della coppia.

Ed ecco che senza pensarci arriviamo ad accettare di stare con Luca, il creativo, che non solo non si toglie i suoi adorati calzini a quadretti arancioni durante il sesso ma i suoi piedi puzzano da morire…

o Giulio, il bacchettone, che, perso nei suoi pensieri, ride da solo mentre tu pensi che ce l’ha con te…

o Maurizio, l’ipocondriaco, che si tocca le palle in continuazione, non per scaramanzia ma per paura di perderle …

o Giancarlo che si scaccola il naso in macchina anche se ci sei tu a fianco…

Non riusciamo a capire che nel momento in cui impariamo a stare bene con noi stesse, raggiungiamo una conferma di autonomia che accresce l’autostima: riusciamo ad apprezzare i nostri spazi e ci prendiamo maggior cura di noi stesse. Tutta strada in salita però che nemmeno se stiamo in mountain bike con cambio shimano risulta più agevole …

Decidiamo quindi di prendere quella scorciatoia, quella che all’inizio ci sembrava una strada per poche privilegiate, ma che oggi è diventata di passaggio pubblico.

Demy Moore e Madonna, antesignane di questa svolta apocalittica dell’emancipazione femminile, ci hanno dimostrato che le donne di oggi, qualsiasi sia l’età che le insegue, sono consapevoli che per liberarsi della solitudine, si danno sgomitate e che il TOY BOY è l’ultima trovata in fatto di paraculaggine al femminile.

Quando ti metti con uno più giovane di te di almeno 20/25 anni affronti con somma gioia e consapevolezza che questo un giorno si stancherà di te, vuoi per la vecchiaia, vuoi per la mancanza di cose da dirsi, vuoi per la mancanza di cose da condividere, vuoi per quello che vuoi, lo sai: il rapporto è destinato a finire…

E questa somma consapevolezza rende ancora più squisita la nostra conquista e per smania di onnipotenza quasi dimentichiamo che la vita è piena di sorprese e le reali intenzioni che abbiamo consistono nel prenderci il meglio dal “qui ed ora” e di dire “poi Dio ci pensa” tra dieci anni (si spera) quando il giocattolo si sarà stancato di noi ormai sessantenni (e non noi a stancarci del giocattolo!!!!) con la voglia solo di fare le nonne.

E allora vai con l’impennata di autostima quando lui ti fa sentire desiderata proprio perché contento di cogliere la mela matura…

e vai con le notti magiche che sembrano sempre quelle della “prima volta”…

e vai con le seratine al ristorantino a 250 km di distanza da casa che il giorno dopo devi lavorare… e vai con le nottate al disco pub che ti ci vuole un mese per ripigliarti…

e vai con le spese di trucco, parrucco e ceretta da perderne il conto a fine mese…

Tutto questo per non confessarci che noi pollastre, al contrario degli uomini, non sappiamo mai quello che vogliamo, e che grazie a quest’immenso amore che ci ritroviamo dentro e che dobbiamo puntualmente riversare su qualcuno (oh mai che fossimo noi stesse!!!), siamo pronte a far contento il primo che ci capita, con la speranza che sia sempre “quello giusto”…

Se poi abbiamo culo come l’attrice Tilda Swinton, scopriremo che anche i toy boy possono essere “per sempre”;-)

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#lapostadisibilla

17 Ottobre 2014 , Scritto da Mari Nerocumi Con tag #mari nerocumi, #lapostadisibilla, #erotismo

#lapostadisibilla

Cara Sibilla,

ho scoperto che mio padre recentemente ha fatto delle avances abbastanza spinte a un’altra donna. “Questa” mi ha chiamato e mi ha raccontato fin nei minimi dettagli le parole che ha usato per convincerla ad andare a letto con lui e per chiedermi di parlarci e distoglierlo dal molestarla. Nonostante il nostro non sia mai stato un grande rapporto di stima reciproca (sai la classica situazione dei ruoli invertiti… figlia saggia e padre scapestrato?) non lo credevo capace di fare e “dire” certe cose. Ora non so come comportarmi, al momento non riesco a guardarlo nemmeno negli occhi. Ho un disperato bisogno di un consiglio. Laura

Salve cari amici, dalla breve mail di sopra avrete capito che chi mi scrive oggi è Laura, una ragazza, o meglio donna, dalla sensibilità spiccata che ci racconta l’ultima malefatta di un padre immaturo e puttaniere. Le tavole divinatorie ci hanno messo un po’ per deliberare una soluzione valida al problema ma alla fine ce l’hanno fatta e hanno sentenziato:

Senza tirare in ballo il classico complesso di Edipo, noi donne, a differenza degli uomini, creiamo nella nostra mente un’immagine quasi sacra dei nostri padri, e a volte lo facciamo anche se non ne siamo pienamente consapevoli (e questo è il caso della nostra Laura).

Dimentichiamo a volte che essi sono pur sempre il nostro primo amore e vorremmo che lo fossero anche quando non corrispondono al nostro ideale di uomo, anche quando fanno cose che non ci piacciono, per intenderci. Il fatto è che ci dimentichiamo che sono persone normali con pregi e difetti come chiunque… li riteniano al di sopra...

Per cui ci sentiamo offese quando il comportamento di questi si dimostra lontano da certi schemi che noi consideriamo morali o etici o addirittura di importanza ancora minore.

Infatti questa mail mi ha portato alla mente un ricordo di qualche tempo fa su mio nonno…

Mia madre (che adorava suo padre come un dio e lo raccontava a noi figli come un personaggio delle favole dalla dolcezza infinita) un giorno incontra al mercato una vecchia vicina di casa, coetanea dei suoi genitori, che tra chiacchiere e vecchi ricordi si lascia sfuggire che mio nonno all’età di 20 anni era già vedovo e che sposò mia nonna dopo nemmeno quattro mesi dal primo incontro.

Mia mamma incredula e riluttante a una verità a lei sconosciuta (il fatto che fosse vedovo) cerca di liquidare la vicina e la verità confutando i fatti con uno scambio di persona dovuto ad arteriosclerosi avanzata de’ sta povera vicina.

Non può dirsi più bugie quando arriva al confronto con le sue sorelle… per non portarla per le lunghe mia mamma sessantacinquenne nei sessantasei per questa “verità nascosta” ha pianto per due mesi.

Per cui Laura, hai ragione a sentirti ferita e offesa, e per dirtela tutta a mo’ di sfogo (visto che devi fare i conti con “l’essere persona” di tuo padre) le tavole ti autorizzano a dargli un bel vaffa…ulo, a riconciliarvi e a perdonarlo se vuoi ci pensi dopo…

Scrivete a

sibillarispondea@gmail.com

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I promessi sposi al tempo di Whatsapp

26 Settembre 2014 , Scritto da Mari Nerocumi Con tag #mari nerocumi, #erotismo

I promessi sposi al tempo di Whatsapp

Una delle più gran consolazioni di questa vita è l’amicizia; e una delle consolazioni dell’amicizia è quell’avere a cui confidare un segreto. Ora, gli amici non sono a due a due, come gli sposi; ognuno, generalmente parlando, ne ha più d’uno: il che forma una catena, di cui nessuno potrebbe trovar la fine. Quando dunque un amico si procura quella consolazione di deporre un segreto nel seno d’un atro, dà a costui la voglia di procurarsi la stessa consolazione anche lui. Lo prega, è vero, di non dir nulla a nessuno; e una tal condizione, chi la prendesse nel senso rigoroso delle parole, troncherebbe immediatamente il corso delle consolazioni. Ma la pratica generale ha voluto che obblighi soltanto a non confidare il segreto, se non a chi sia un amico ugualmente fidato, e imponendogli la stessa condizione. Così, d’amico fidato in amico fidato, il segreto gira e gira per quell’immensa catena, tanto che arriva all’orecchio di colui o di coloro a cui il primo che ha parlato intendeva appunto di non lasciarlo arrivar mai. Avrebbe però ordinariamente a stare un gran pezzo in cammino, se ognuno non avesse che due amici: quello che gli dice, e quello a cui ridice la cosa da tacersi. Ma ci son degli uomini privilegiati che li contano a centinaia; e quando il segreto è venuto a uno di questi uomini, i giri divengon sì rapidi e sì moltiplici, che non è più possibile di seguirne la traccia.

Vi ricordate il brano che vi ho citato a quale romanzo appartiene? Non è un’interrogazione a scuola, se non lo sapete pazienza… ve lo dico io:

I promessi sposi” di Alessandro Manzoni.

Ebbene a me è successo esattamente quello che spiega con dovizia di particolari la voce fuori campo del romanzo ma non con due promessi sposi, bensì con due in via di separazione.

Il fatto inizia così: mia mamma mi racconta che “lei” (una che conosco ma non approfonditamente) da un po’ di anni capisce di trovarsi sull’orlo di una crisi matrimoniale e non sa a chi dare la colpa e i resti.

Non va da un medico perché lei non è “pazza”… e dopo tre anni, quando decide finalmente di farlo, addirittura si ricovera una settimana… (o fai 1 o fai 90 si dice dalle mie parti).

Ora durante questo ricovero auto-coatto “lei” trova spazio per leggere un romanzo osé che le ha prestato una mia amica e per farsi una sveltina in ospedale con un infermiere di turno.

Nel raccontare questa cosa a mia mamma (sempre per dare la colpa a qualcuno o qualcosa) “lei” cerca di giustificarsi per l’atto commesso (senza che nessuno glielo avesse chiesto) dicendo che si trovava sotto l’effetto di farmaci e in preda ad allucinazioni causate dal libro osé.

Naturalmente mia mamma mi raccomanda di non far trapelare un fiato… di questa confessione… “è un segreto tra me e te” mi dice.

Ed io: “certo mamma ma che so’ scema io…”

Al ché una sera che cazzeggiavo su Whatsapp mi scrive la mia amica (quella che ha prestato il libro osé) per sapere quando ci saremmo riviste quest’estate…

Io non sapevo se lei sapeva della storia raccontatami da mia madre (ma immaginavo che lei sapesse perché abita nello stesso palazzo della fantomatica depressa) perciò tra una battuta e l’altra, conoscendola come una casta e giudiziosa (tipo Agnese, la mamma di Lucia nel romanzo, così tanto per attenerci allo spirito letterario), per sfotterla un pochino le chiedo: Ahò ma che libro hai dato a “cosa” per indurla in tentazione?

Segue una lunga pausa… (per la precisione dieci minuti… con ‘ste app ormai il Grande Fratello siamo noi stessi e poi pretendiamo pure la privacy…)

A un certo punto visualizzo un “Cheeeee?”

In preda al raptus che ti prende quando puoi spifferare qualcosa che credi che il tuo interlocutore non sappia, le scrivo un papiello con dovizia di particolari e le racconto tutto quello che mi aveva confessato in segreto mia mamma…

E lei come l’Agnese del romanzo mi risponde: “ ma dai… mica bisogna mettere in atto ciò che uno legge!!! Se poi lei confonde la fantasia con la realtà… fatti suoi…”

E poi cambia argomento tanto da farmi dimenticare di chiederle il titolo del libro “galeotto”…

A questo punto signore mie, sembra che il romanzo sia finito… inenarrabili invece sono i risvolti che il segreto svelato prende…

Col telefonino della mia amica ci gioca spesso la figlia che è amica del figlio della fedifraga dal segreto spifferato.

Una sera che questa ragazzina si trovava a casa sua, avendo con sé il cellulare della mamma, ha aperto Whatsapp e la fedifraga ha letto per intero davanti al marito (cornuto e mazziato, poraccio!!!) udite-udite la conversazione mia e dell’Agnese…

Vi lascio immaginare il putiferio che ne è conseguito…

1-“Lei” chiama mia mamma per telefono e la cazzea in malo modo senza spiegare come era venuta a saperlo…

2-Mia mamma chiama me e mi cazzea in malo modo senza spiegarmi come la fedifraga fosse venuto a saperlo …

3-Io in preda alla monta dell’incazzatura al cubo mi precipito a chiamare l’Agnese e a cazziarla in malo modo per essersi lasciata sfuggire queste piccole e insignificanti informazioni…

4-L’Agnese (che poi tanto Agnese non è) decide di non cazziare in malo modo la figlia (e meno male) ma di non affidarle più il cellulare con tanta non chalance…

Almeno io la traccia l’ho tenuta

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Anche gli uomini fingono (a letto)!!!

24 Settembre 2014 , Scritto da Mari Nerocumi Con tag #mari nerocumi, #erotismo

Anche gli uomini fingono (a letto)!!!

Oggi vi scrivo perché ho fatto una scoperta a dir poco sconvolgente e che alla mia veneranda età grida vergogna!!!

Vi ricordate il post scritto qualche tempo fa che si intitolava “Quando gli uomini dicono di No al sesso”?

Vi ricordate che vi elencavo le prime tre scuse che gli uomini usano puntualmente per declinare un assatanato invito A LETTO da parte nostra?

E vi ricordate che il post si concludeva con l’assunto da parte di noi pollastre che siccome abbiamo voluto la bicicletta dell’emancipazione ora ci tocca pedalare da qualche altra parte quando riceviamo un NO alla richiesta di mettere in pratica una nostra fantasia XXX rated?

Ebbene, signore mie, ho scoperto da una recente ricerca che ci sono uomini che non solo non dicono di NO ma che addirittura fingono per accontentare la propria donna a letto. Tutti sanno che le donne sono in grado di fingere a letto, ma che esistano uomini che, non solo accettano (col rischio di fare cilecca, perché parliamoci chiaro, gli uomini che accampano scuse lo fanno solo per questa paura) ma che addirittura si prendono la briga di FINGERE il coinvolgimento, il desiderio e nel momento clou anche l’orgasmo… mi lascia davvero sconcertata…

Molti credono che sia più difficile per un maschio fingere l’orgasmo rispetto ad una donna perché è visibile e tangibile la produzione della “gioia”, in realtà questo non è del tutto vero soprattutto quando l’uomo indossa il preservativo e anche quando se ne fa a meno e non si pratica il coitus interruptus.

Può darsi che questa notizia fosse già di ampio dominio pubblico ma avete presente il modo di dire “rimanere a bocca aperta”?

Mi hanno fatto una statua dopo che ho letto la notizia!!!

Questo sì che è un comportamento tipico degli uomini di una volta mi sono detta e a dirla tutta lo trovo davvero spiazzante.

Ora sta di fatto che la ricerca americana pubblicata sui media internazionali, racconta di uomini che fingono perché vogliono mettere fine a un rapporto sessuale di cui non avevano voglia. Infatti il 25% degli intervistati dichiara di aver finto l’orgasmo per terminare al più presto il rapporto.

Ho pensato che forse qualcuna di noi potrebbe sentire odore di presa per il culo da un atteggiamento simile (perché anche noi donne ne sappiamo qualcosa… sulla mancata lealtà nei confronti del partner in tali circostanze…) ma non dimentichiamo care amiche che ci sono uomini oggi che pretendono di essere corteggiati come le donne, che si piacciono talmente tanto che si fanno le sopracciglia… che a un certo punto li vedo e mi chiedo se portano la gonna di jeans o a fiori…

Ed è per questo motivo che questa ricerca mi sconvolge tanto, la realtà è che mi risulta davvero difficile pensare che un uomo oggi possa adottare un atteggiamento così genersoso diciamo soprattutto tra le lenzuola.

Secondo la ricerca infatti, “il pensiero comune che gli uomini vogliono sempre fare sesso fa sentire i maschi sotto pressione. Un uomo in un rapporto si preoccupa della sua compagna a differenza di quello che tutti credono. Nella testa del maschio fingere un orgasmo è una forma di gentilezza”.

A dire la verità anche a me sembra un gesto davvero carino tra la moltitudine di egoismi che lasciamo a briglie sciolte nei nostri rapporti di coppia e soprattutto un gesto da non sottovalutare. Il fatto che almeno tre uomini su dieci fingano l’orgasmo per evitare di lasciare scontenta la propria compagna… è roba degna della nostra chicklit e che scrittori/scrittrici del genere non abbiano ancora pensato di inserire una scena di tale portata in un prorpio romanzo, è davvero inconcepibile…

O sono troppo Harmony-addicted?

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