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Il corvo e la cornacchia

10 Novembre 2018 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende, #sezione primavera

 

 

     

 

Un tempo il corvo era un uccello bellissimo: le sue piume, bianche e luminose, sembravano d’argento e non aveva niente da invidiare per candore ai cigni e alle colombe. Ma era troppo chiacchierone, e questa fu la sua rovina.

Nella Tessaglia viveva una fanciulla di nome Coronide: era così bella che tutti se ne innamoravano, uomini e dèi. Anche Apollo si innamorò di lei e visse felice, finché il corvo, l’uccello a lui sacro, non scoprì che la fanciulla ingannava il grande dio e fece la spia. Avrebbe fatto meglio a tacere e a dar retta alla cornacchia, che lo aveva avvertito!

Infatti la cornacchia chiacchierona, vedendo passare il corvo che volava di gran fretta, si era precipitata dietro a lui per sapere il perché di quella corsa.

- Ti stai mettendo nei guai, dammi retta! - gli aveva detto la cornacchia, dopo aver udito il suo racconto -  Guarda me, come sono ridotta per essere stata un servitore fedele! Fermati un attimo, rifletti e intanto ascolta la mia storia.

«Un tempo ero una bella principessa, ma questa bellezza fu la mia disgrazia. Un mattino, passeggiavo tranquilla sulla spiaggia. Avevo avuto in dono da mia madre un mantello nuovo, scuro e lucente come i miei capelli. Respiravo l’aria limpida e mi stringevo nel mantello soffice e caldo; ero così felice!

Anche Nettuno, dio del mare, si era alzato presto quel mattino e, impugnando il tridente, solcava le onde sul suo carro mostruoso. Hai mai visto quel carro? È enorme, fatto di bronzo e conchiglie; lo trascinano draghi coperti di scaglie verdi. Il dio mi vide e si innamorò di me. Subito si diresse verso la riva, scese dal carro, scagliò lontano il tridente perché non gli fosse d’impaccio e cominciò a inseguirmi.

Io cerco di fuggire e mi allontano dalla riva ... I miei piedi affondano nella sabbia asciutta e non riesco più a correre: sono perduta! Invoco aiuto, ma nessuno mi ascolta; finalmente Minerva si accorge di me ... Minerva è una dea sapiente e nulla sfugge ai suoi occhi azzurri! Protegge tutte le arti e non ha alcuna simpatia per Nettuno, che è rozzo e violento. Così, mentre tendo le braccia al cielo, esse cominciano a diventare scure e a coprirsi di penne soffici e leggere. Il mantello che mi avvolge si attacca alla pelle e diventa di piume nere. Il petto, le mani, non esistono più e i miei piedi, mentre corro, non affondano nella sabbia perché ormai volo raso terra ... Alla fine mi sollevo in alto nel cielo: sono la cornacchia, fedele compagna di Minerva.

Ma un giorno la dea affidò alle tre figlie di Cercope, il primo re di Atene, una misteriosa cesta di vimini.

-  Nessuno, neppure voi, deve guardare che cosa contiene! - ordinò la dea, poi si allontanò minacciosa.

Io invece rimasi e, nascosta fra gli alberi, spiavo le fanciulle.

Le sorelle maggiori resistono alla curiosità e custodiscono il cesto senza trasgredire l’ordine, ma Aglauro, la più giovane, dice alle altre che non hanno coraggio e scioglie i nodi che tengono chiusa la cesta ...

Ed ecco, appare il misterioso contenuto: un bambino mostruoso, con serpenti al posto dei piedi! È Erittonio, figlio di Vulcano, il dio del fuoco. Nessuno doveva conoscere l’esistenza di quel bambino!

Anche Vulcano era nato deforme: zoppicava ed era tanto brutto a vedersi che sua madre Giunone non l’aveva voluto nell’Olimpo! Così era stato affidato agli dèi del mare, che gli avevano insegnato il mestiere di fabbro; ora viveva dentro ai vulcani e forgiava armi e gioielli meravigliosi. Tutti lo ammiravano e lo rispettavano per la sua bravura, ma lui si fidava solo di Minerva, la sorella saggia e sapiente, che lo aveva sempre protetto.

A lei Vulcano lasciò in custodia il suo strano figliolo: non voleva che subisse le sue stesse umiliazioni! Doveva crescere sereno, lontano da tutti ... Minerva aveva promesso, ma occorreva trovare un posto sicuro; nell’attesa, aveva affidato il bambino alle figlie di Cercope, sue amiche fin dall’infanzia.

Invece il segreto era stato scoperto e io, la cornacchia, ero l’unica a saperlo! Così volai da Minerva e le raccontai l’accaduto. Che cosa ottenni in cambio? La dea si adirò per questa notizia e mi tolse il suo affetto: ora preferisce la compagnia della civetta, quel triste uccello notturno che non parla mai ... Attento a te, dunque, amico corvo: non cercare guai per troppo zelo!»

Ma il corvo non si curò delle sue parole e proseguì il cammino.

Così giunse da Apollo e gli raccontò che Coronide si era innamorata di un giovane della sua età: lui, il corvo, aveva visto tutto ed era sicuro di ciò che diceva!

Il dio, alla notizia del tradimento, andò su tutte le furie: la corona d’alloro gli cadde dalla testa, gli occhi si annebbiarono, il volto divenne pallidissimo. Afferrò le armi che teneva sempre vicino a sé, tese l’arco e, con tutta la sua forza, scagliò una freccia che colpì Coronide in mezzo al petto. La fanciulla lanciò un grido e un fiotto di sangue le inondò la veste candida.

-  Ho sbagliato, è vero - disse con un sussurro -  ma non è colpa mia se non ti amo! Ora non amerò più nessuno ... –

Poi un terribile freddo l’avvolse e spirò.

Apollo si pente, piange, si dispera: abbraccia Coronide, cerca di scaldarla, di vincere la morte con le sue arti magiche, ma tutto è inutile ... Allora maledice chi ha scatenato la sua furia cieca: da quel giorno le penne del corvo divennero nere, in segno di lutto e di malaugurio!

 

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