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J.C. Casalini, ".OTTO. Luce e ombra"

28 Ottobre 2015 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

J.C. Casalini, ".OTTO. Luce e  ombra"

.OTTO.

Luce e ombra

J.C. Casalini

Vertigo, 2015

pp 233

14,00

Il tema del doppio in narrativa ha precedenti illustri, a partire dal ritratto che invecchia al posto del corrotto Dorian Gray fino ad arrivare a dottor Jekyll e Mister Hyde. Nel romanzo .OTTO., di J.C. Casalini, il doppio si esprime nella classica dicotomia Bene/Male, dove il male è Lucifero, portatore di luce, mentre è il buio ad essere salvifico.

L’aspirante mago Otto e la sua assistente/fidanzata Anna si ritrovano alle prese con un malvagio riflesso fuoriuscito dallo specchio. L’immagine dell’illusionista si materializza in un momento di sconforto, lo salva dal suicidio imminente e gli promette, in un faustiano patto col diavolo, onori, soldi, gloria e amore. Ma non sarà il vero Otto a goderne, bensì il suo parassitario riflesso, che, attraverso la luce e la rifrazione degli specchi, vivrà di vita propria, compiendo azioni sempre più terribili.

Vero è che l’altro Otto, l’Otto Riflesso, (con il neo/punto dalla parte sbagliata) è pur sempre lui, è l’altra parte di sé, quella oscura che tutti noi possediamo e che ci turba, è l’inconscio, L’Es che potrebbe prendere il sopravvento e trasformarci in mostri da un momento all’altro, basterebbe un allentamento dei freni inibitori, basterebbero una droga o un trauma. Otto è il mister Hyde che si cela in ognuno di noi.

Il riflesso del mago non è catturabile con i mezzi tecnologici, non può essere ripreso né fotografato. Per contrasto, è proprio l’assenza d’immagine, o la sua rifrazione e scomposizione negli specchi, a renderlo più forte, più potente, più visibile. Questa, forse, è una metafora del mondo moderno, dove, paradossalmente, fa più notizia chi non si mostra, (come Elena Ferrante) di chi è tutti i giorni in televisione, e la polverizzazione e frantumazione dei dati nel magma caotico della rete equivale all’annullamento degli stessi.

La storia sarebbe molto godibile, almeno nelle promesse. Si trasforma, però, in una sorta di film snuff, dove, se non si assiste propriamente a un omicidio, il sesso violento e gli stupri quotidiani la fanno da padrone quasi in ogni capitolo. Il tutto è condito in una salsa similfilosofica, quantistica, con ipotesi riguardanti la materia oscura, affascinanti ma che appesantiscono la narrazione (e il linguaggio). Esse contrastano con ciò che rimane, in fondo, solo un thriller d’azione.

È l’equilibrio mutevole delle forze a determinare il successo o meno di un universo ricombinato in varie dimensioni. Ne assaporo ogni volta il piacere evolutivo per puro egotismo, e ne sollecito l’espansione per gioire il più possibile. Sono il contenitore instabile che si dona con generosa curiosità agli eventi consequenziali nel mio interno per poi riappropriarsene alla fine.” (pag 195)

Un evento mai accaduto in tutto l’universo. Una trinità scardinata. La triangolazione monistica della luce-materia-vuoto di un essere organico vivente e pensante era stata finalmente spezzata.” (pag 195)

Si sente che Casalini proviene dalla regia cinematografica: .OTTO. è una sceneggiatura ampliata e sviluppata fino a farne un romanzo. Il finale rimane aperto per un eventuale sequel: abbiamo una cometa con la doppia coda che annuncia la probabile venuta di un anticristo, abbiamo Anna gravida di un maligno figlio della Luce, la quale, forse, avrà anch’essa da combattere col proprio riflesso, come lascia intendere la profezia conclusiva.

La parte più bella della storia è senz’altro quella iniziale, prima che il malvagio abbia il sopravvento. Allora la narrazione è scorrevole e ci appassioniamo alle vicende dei due innamorati con le loro crescenti e realistiche difficoltà. È su questa falsariga che l’autore dovrebbe incamminarsi, a nostro avviso, per ottenere risultati ancora migliori. Quando il protagonista diventa il Riflesso, invece, l’empatia viene a cadere persino verso la vittima Anna, l’immedesimazione non è più possibile, si assiste al crescendo dei misfatti sentendoci disturbati ma non coinvolti, come se, davvero, vedessimo scorrere le immagini su una lastra riflettente.

Lo stile del romanzo, seppure fluido, presenta delle imperfezioni che l’editing non ha corretto, e un fastidioso alternarsi di tempi verbali, sempre più in voga oggi. Sebbene si tratti di una scelta finalizzata a farci vivere le varie dimensioni temporali della narrazione, questa, chiamiamola tecnica, risulta spiazzante e rallenta la lettura. Peculiare, sottolineiamo anche in questo caso, il contrasto fra i passaggi di azione scritti in un linguaggio standard e quelli filosofici che si avvalgono di periodi circonvoluti e artificiosi.

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