le riflessioni di luca
Io e Facebook
Webete
La resilienza
Umiltà, disinteresse e beatitudine
UMILTA' mi piace anche se mi è difficile metterla in pratica, forse.
Mi piace l'accento sulla vocale finale di questo vocabolo.
Mi piace perché penso che, se sulla vocale finale di questo vocabolo è stato posto l'accento, significa che l'inventore della lingua italiana debba avere considerato l'UMILTA' molto importante.
DISINTERESSE mi pare una conseguenza naturale dell'UMILTA'.
Un gesto compiuto con UMILTA' lo è anche con DISINTERESSE.
Ci sarebbe INTERESSE a lasciarlo incompiuto, altrimenti.
BEATITUDINE: c'è BEATITUDINE in ogni gesto compiuto con UMILTA' e con DISINTERESSE.
Il vocabolo italiano BEATITUDINE mi fa pensare a quello straniero BEAT, curiosamente.
BEAT significa STANCO, ABBATTUTO, ma anche OTTIMISTA, BEATO.
Si prova STANCHEZZA dopo avere compiuto il proprio dovere, con UMILTA' e con DISINTERESSE.
Si prova ABBATTIMENTO, dopo, nel constatare che si sarebbe potuto fare di più.
Ma si provano anche OTTIMISMO nel pensare, prima, che ciò che si sente il dovere di fare possa servire a qualcuno, a qualcosa e BEATITUDINE nel constatare, poi, che ciò che si è sentito il dovere di fare e che si è fatto sia servito a qualcuno, a qualcosa.
Luca Lapi
LA QUOTIDIANITA' DEGLI ALTRI DAL MIO PUNTO DI VISTA
Chi sono "gli altri", intanto, secondo me?
Chi dovrebbero, almeno, esserlo?
Gli altri dovrebbero esserlo i normodotati rispetto a me che sono disabile, ma che mi considero diversamente abile poiché posso fare qualcosa, ma non posso fare qualcos'altro.
Gli altri dovrebbero esserlo gli accoppiati, i fidanzati, gli sposati, i conviventi, ma anche i separati, i divorziati e i vedovi rispetto a me che sono "single".
Gli altri dovrebbero esserlo i genitori (non il mio babbo) rispetto a me che non sono che figlio (del mio babbo).
Gli altri dovrebbero esserlo gli orfani ed io sono, parzialmente, altro, in quanto orfano della mia Mamma.
Gli altri dovrebbero esserlo i giovani rispetto a me che ho oltrepassato i secondi "anta".
Ma l'altro sono anch'io rispetto agli altri che ho descritto.
Conosco la quotidianità degli altri?
Ne ho un mio punto di vista?
La quotidianità degli altri che io conosca e di cui io riesca, in qualche modo, a farmi un mio punto di vista è quella di qualche normodotato che si chiude nel suo esserlo (come bruco chiuso, con deliberato consenso, nel suo bozzolo, rifiutandosi di diventare crisalide, per paura di entrare in crisi, bruciando, perciò, l'opportunità di diventare, un giorno, farfalla) e non lo condivide con chi è disabile, non permette al disabile di fargli capire (al normodotato) che oltre alle disabilità del disabile c'è di più, ci sono le diverse abilità (apparentemente, nascoste nelle disabilità) del disabile (diventato, consapevolmente, diversamente abile) che sente un gran bisogno di condividere coi normodotati, se glielo permettessero.
Altri normodotati (grazie a Dio Padre) si aprono e condividono con me, permettendomi, a mia volta, di aprirmi e di condividere con loro.
Luca Lapi
La conversazione
La conversazione verbale ha perso d'importanza a vantaggio della parola scritta.
Una vola e l'altra resta, invece, ma una si fa "faccia a faccia", mentre l'altra si crea a distanza ed essa stessa, col suo autore, crea distanza dal suo lettore.
Vorrei che la nostra fosse civiltà dell'immaginazione, ma non è che viltà di ogni bella immagine che cela, dietro ad ogni bella maschera, ogni vero e brutto volto!!!
Luca Lapi
L'orologio
In poche parole
In poche parole...
Cosa potrebbe stare "in poche parole..."?
"Poche" è un aggettivo indefinito, plurale, femminile.
E' anche un sostantivo, singolare, femminile, in francese.
Significa: "tasca".
Poche parole potrebbero stare in tasca, in un foglietto ripiegato dove sono state scritte.
Il foglietto potrebbe essere tirato fuori dalla tasca, aperto e le poche parole, costì, impresse, potrebbero essere lette, privatamente, mentalmente o pubblicamente, a voce alta.
Poche parole sono succinte e pronunciarle potrebbe essere scandaloso.
Poche parole potrebbero essere l'inizio di una prole feconda di opinioni, di convinzioni e vale la pena concepirle e partorirle, senza abortirle: tutto ciò potrebbe stare "in poche parole..."
Poche parole, restando tali, non corrono il rischio di degenerare in un discorso prolisso, troppo lungo.
Luca Lapi luca.lapi@alice.it
Il ristorante
Il ristorante o "restaurant" dovrebbe ristorare, restaurare i rapporti interpersonali ed intersessuali, eventualmente, deteriorati, interrotti, ma la mia esperienza è diversa.
Il cibo alimentare mi ristora, ma sento il bisogno del cibo spirituale che mi verrebbe dai rapporti interpersonali ed intersessuali, al ristorante, ma si è educati e non si parla con la bocca piena o si è furbi e si approfitta della bocca piena per non parlare.
Il cibo alimentare, al "restaurant", dovrebbe essere pretesto per restaurare rapporti interpersonali ed intersessuali deteriorati, ma, al contrario, si completa la demolizione e il cibo alimentare e/o spirituale resta indigesto.
Il cibo alimentare preso al ristorante o "restaurant" rischia di diventare l'unico amico che ci faccia compagnia quando chi ci sta accanto e con cui stiamo insieme non sta, a sua volta, insieme a noi, ma, solo, accanto e, addirittura, col proposito di accantonarci.
Si dovrebbe stare insieme, con passione, al ristorante o "restaurant", ma, spesso, si sta accanto, con rassegnazione, sentendoci come se si dovesse "pagare una tassa", accettando un invito, per non doverci pensare più o ci si volesse "togliere un dente":"Oddio, con chi mi tocca stare accanto! Non vedo l'ora di togliermi questo dente cariato!"
L'invitato, costretto, se ne sta con un gluteo seduto e l'altro alzato, pronto per partire e chi l'ha invitato non deve faticare per accorgersene.
Luca Lapi luca.lapi@alice.it
Il regalo
Il regalo non è un regalo.
Il regalo è specifico, mentre un regalo è generico.
Il regalo è una richiesta particolare, mentre un regalo è una sorpresa.
Potrebbe non piacere.
Si potrebbe fingere di gradirlo, per educazione, per gentilezza, ma anche dire, sinceramente, che non lo si gradisce, rischiando di rovinare un'amicizia.
Il regalo è, per me, l'amica, l'amico che, regalandomi qualcosa di materiale, mi regala anche qualcosa di spirituale, se stessa, se stesso, la sua amicizia.
Il regalo di un'amica, di un amico è, per me, un dono, ma se viene fatto senza il sentimento positivo che dovrebbe accompagnarlo, se diventa una tradizione arida, sterile e vuota, se da "regalo" degenera in "regola", il "dono" degenera in un "nodo" scorsoio che finisce per impiccare quella che avrebbe potuto essere, invece, una bella amicizia.
Luca Lapi luca.lapi@alice.it