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Pasquale Ciboddo, "Era segno sicuro"

6 Febbraio 2023 , Scritto da Maria Rizzi Con tag #maria rizzi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

 

 

Pasquale Ciboddo

ERA SEGNO SICURO

 

 

Ho ricevuto la silloge Era segno sicuro - edita da Guido Miano Editore, 2022 - e ho ritrovato Pasquale Ciboddo, di Tempio Pausania, che ebbi la gioia di recensire nella precedente raccolta Andar via (2021), avvolto nella tunica di solitudine e di predizioni dettate dalla pandemia che ha investito il mondo dal febbraio 2020. L’Opera è prefata da Enzo Concardi e si conclude con gli estratti di vari nomi illustri, come Giulio Cossu, Ninnj Di Stefano Busà, Giorgio Bárberi Squarotti e altri. D’altronde il Nostro rappresenta senza ombra di dubbio il più famoso Poeta sardo vivente e gli scorre nelle vene l’humus di una terra nella quale nascono i colori prima di diffondersi nel mondo. Lessi la splendida silloge Andar via proprio con il turbamento creato da un paese di roccia, che anziché dare il senso della realtà sembrava fatto con il tessuto impalpabile dell’immaginazione.

L’Opera Era segno sicuro, che si annuncia con un dipinto a olio di Franca Maschio dedicato alla Madonna “Madre di ogni grazia”, presenta un impasto linguistico e rapporti extratestuali e intertestuali assolutamente nuovi, di denuncia e di dolore, nel quale solo il rapporto con le radici confitte nella sua terra e la sua fede restano immutati. Ciboddo ricorre alla Madre di tutte le Madri per confessarle in una preghiera che oserei definire disperata, la sua premonizione: «Una notte di tre mesi fa, / febbraio 2020, / prima di manifestarsi il Corona Virus / in sogno mi apparve / la Madonna Incoronata. / Sembrava un po’ sconsolata, / chiusa dentro una rete a sacco / con steli secchi / di rovo e prugnolo. / Io ero con un ragazzino / che non conoscevo / seduti in aperta campagna. / Alla vista della Regina Celeste / abbiamo temuto, gridato, / e ci siamo girati, per la paura, / dall’altra parte. / Non sarò proprio / uno stinco di santo / ma vedendo la Madonna / apparire da sola / così ingabbiata / era avviso sicuro, / per l’intera umanità, / di siccità e di morte. / Fatto che succede oggi / senza tregua. / L’umanità trema / e in silenzio muore» (Era segno sicuro).

Ho riportato per intero questa lirica perché sono convinta che rappresenti il filo conduttore del Nostro attraverso la tragedia che ha investito l’umanità. Se pregare è prendere fiato, è affidarsi, in questa circostanza diviene dialogo con se stesso. La fiamma del nostro vivere è stata minacciata dal soffio della morte e il Poeta, sciamano dei nostri tempi, in virtù della sua straordinaria sensibilità, sente gli eventi, si inchina a quella notte e la sua diviene ‘angoscia d’attesa’ (cit. Sigmund Freud). Si tratta della conoscenza intuitiva di un avvenimento imprevedibile che non può essere compreso con mezzi naturali. E attraverso la fede, cara a Ciboddo, possiamo far entrare nelle nostre anime il dolore di tutti i conflitti, di tutta la fame, la miseria e dei drammi imprevedibili, non per una nostra grande capacità psicologica ed emotiva, ma in quanto i cuori di Dio e della Madonna diventano una cosa sola con i nostri.

Il lirismo del Poeta, ci porta sulla strada dei danni perpetrati da noi uomini alla natura e dei castighi che abbiamo meritato: «Il tempo non si ferma, / passa e va avanti. / Ma, per noi mortali, / per un attimo, si è fermato / e ci ha costretti, per paura / della grave pandemia / a rinchiuderci in casa / e morire, così, in silenzio / senza pianti sottesi / di parenti ed amici. / Le punizioni divine / spesso arrivano inaspettate» (Le punizioni divine). Purtroppo quando si tenta di elevarsi al di sopra della natura si finisce per precipitare al di sotto di essa. Non siamo mai noi uomini che dobbiamo batterci contro un ambiente ostile, ma è la natura indifesa che da generazioni è vittima dell’umanità. «Vaghiamo lontano / dal cammino del Signore / e rifiutiamo la Sua Autorità. / I nostri nemici / profanano le Tue leggi / e Tu ci condanni con pestilenze…» (Squarcia il cielo). E lo stesso discorso vale per la fede.

Ciboddo ci guida attraverso la sublime immagine della Madonna, consapevole che ‘Non è possibile andare a Gesù se non ci si reca per mezzo di Maria’ (cit. San Giovanni Bosco). Nella Madonna si trova l’idea dell’uomo perfetto che Dio aveva in mente nel creare il primo essere umano, Ella non è la seconda Eva, ma la prima, quella che non è caduta e vede come la seconda Eva cade. Maria è la nuova tenda santa, la nuova arca della Salvezza, nel suo grembo dimora l’unica speranza per noi peccatori. «…Solo la Madonna, / nostra madre divina, / se invoca / il Signore suo Figlio / può salvare l’umanità / da questo male oscuro / che miete, con falce / invisibile, spighe di vita…» (A volte pregare).

In questa silloge l’Autore mostra di aver subito in modo violento l’urto con la pandemia e di aver riflettuto a lungo sulle nostre colpe, sull’assenza di rispetto verso gli ecosistemi. I cambiamenti sul pianeta avvengono dove passa l’uomo, si distruggono gli habitat e si va ben oltre la competizione darwiniana per le nicchie ecologiche, che restano integre solo laddove non ci sono esseri umani nei dintorni. Gli individui non spostano altrove gli ecosistemi, li spazzano via, specialmente trasformando praterie e foreste in città e centri commerciali. «…Stiamo perdendo / il senso d’esistenza della terra..» (La vera salvezza), e Pasquale Ciboddo cita con amore gli stazzi, insediamenti rurali presenti nel nord della Sardegna, nella sua Gallura, nei recinti dei quali, nella consuetudine della transumanza i pastori riunivano il bestiame durante la notte. Li definisce «…il tempio / dell’amata natura, / avevano il cielo per volta / e gli astri per luminari…» (Erano il tempio) e correda l’Opera con una sua foto di questo stazzo isolato che è andato perduto.

Il Poeta descrive in più liriche la natura come il nostro Eden personale: spettacoli mozzafiato e scenari meravigliosi al confine tra sogno e realtà. Eppure da molti anni è avvenuta la fuga da quell’Eden, la migrazione verso le città. Queste ultime sono qualcosa di più della somma delle loro infrastrutture. Esse trascendono i mattoni e la malta, il cemento e l’acciaio. Sono i vasi in cui viene riversata la conoscenza umana. Le città si potrebbero definire grandi comunità nelle quali le persone si sentono sole tutte insieme. «…L’uomo di oggi / attratto dalla vita di città / abbandona la terra di nascita / e di crescita nella natura / e si perde così / in un mondo senza valori, / pensando solo alla corsa / di ricchi tesori. / Ma la terra offesa / si vendica» (Ma la terra…).

Ho ritrovato un Poeta con la tristezza nella carne, volto all’indietro, alle isole ridenti della memoria, che forse vorrebbe ancora ‘andar via’, fuggire dalle ‘tenebre del proprio pentimento’ - parafrasi dalla lirica A ognuno - che evoca in modo impressionante Salvatore Quasimodo, per ritrovare uno stazzo, dove piova il canto degli angeli, la notte stellata e la goliardica compagnia.

 Maria Rizzi

 

 

 

Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 122, isbn 978-88-31497-92-3, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

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Leonardo Manetti, "Poesia"

5 Febbraio 2023 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Poesia di Leonardo Manetti (Youcanprint, 2022 pp.120 € 12.00) è una raccolta poetica che celebra il valore significativo della natura, circonda la fragilità della bellezza, insegue i profumi e l'incanto della vita. I versi di Leonardo Manetti, ricchi di sapiente contenuto, omaggiano la confidenza dell'uomo, assaporano l'esplorazione del mondo, i sapori legati alla solidità della propria identità, celebrano gli incontri con le persone, le affinità con i luoghi. Partecipano alla compiutezza dell'esistere, dosano i sentimenti, degustano le emozioni, evolvono le tradizioni della propria terra. Leonardo Manetti incide il tracciato elegiaco seminando piccole e grandi riflessioni intorno all'essenza delle cose, coinvolge il candore puntuale delle immagini nella feconda impronta della sensibilità, fonde la purezza stilistica nella schietta e istintiva analisi emotiva, diffonde, oltre la sequenza suggestiva delle stagioni, la completezza e la morbidezza dell'attraente armonia, amplia l'energia generatrice della vena poetica. Poesia cristallizza l'istante delle percezioni, dilata l'orizzonte delle sensazioni, indica il romantico itinerario lungo la melodia attraente di ogni respiro, nello scenario magico, sussurrato da paesaggi ritratti in un silenzio commovente e privato, alla ricerca di un fedele patrimonio originale, attaccato al territorio natale e alla passione. La poesia di Leonardo Manetti mescola l'equilibrio tra l'inclinazione dell'animo e il giudizio dell'intelletto, conserva, nella misura genuina delle parole, la voce universale dell'intimità, rivela il carattere felice della speranza. Una poesia visiva che attraversa l'appassionata direzione della saggezza, coltiva la superficie scolpita dei ricordi e rinnova il suo frutto presente. Leonardo Manetti veste il terreno delicato dell'amore, confrontandosi con la fragranza dell'innamoramento, con l'intensità familiare degli occhi, con la tenerezza della complicità. Ma avverte anche la necessità di dichiarare il proprio rifiuto all'indifferenza e all'estraneità dell'umanità, tormentata dal dolore, affida il silenzio degli attimi tra le pagine del tempo, condivide il coraggio della dolcezza. Trattiene la dolce estensione della nostalgia con la languida confessione di ogni idilliaca ispirazione. Leonardo Manetti trasmette la sua poesia, rendendo universale il dettaglio illuminato, inciso nei versi, sospeso nel principio degli affetti, coglie ogni impressione che il paesaggio tramanda nel traguardo interiore, affina il tormento dell'inquietudine e la malinconia con il riscatto di una poesia dedicata alla società, infonde importanza etica alla generosità emotiva, condanna la crudeltà e la spietatezza dei comportamenti umani, mantiene viva la linea infinita di confine del sogno e della fiducia. Dona la gentilezza alle parole, rinnovando la propria esperienza, nella lezione quotidiana dell'umiltà come insegnamento all'esistenza. Infine il poeta è lo specchio del proprio linguaggio autentico, accoglie il gusto inebriante e corposo della pienezza di ogni omaggio alla felicità, come nella citazione celebre di Mario Soldati: “Il vino è la poesia della terra”.

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

GLI IRIS

 

Calici di colore violetto,

messaggeri della primavera,

si ergono dal suolo

come matite per disegnare.

 

Le ali dei fiori

volano verso l'orizzonte,

il cerchio del mare,

del cielo e della terra.

 

Le corolle come foglie

toccano le tue mani e

in una lenta danza

creano eleganti pose.

 

LONTANO

 

Lontano dalle tue mani

triste è il mio cuore

desideroso di aiutarti,

abbracciarti, confortarti,

starti vicino a guardarti,

regalandoti un sorriso

narratore di una storia.

 

VIVERE

 

La vita è un dono

da scartare al mattino

sciogliendo i nastri

per scoprirne i segreti.

 

Il futuro è una speranza

da vivere il giorno

camminando sulla Terra

alla ricerca della Luna.

 

Il tempo è prezioso

da ricordare la sera

fermandosi a osservare

il sole che se n'è andato.

 

 

I POETI

 

I poeti tracciano

sentieri di parole

dove accanto alle pietre

nascono piccole piante.

 

Incroci di strade

raccontano i bivi

delle nostre vite

raccolte nei versi.

 

Le poesie sono percorsi

dal fondovalle alla cima

di una montagna rocciosa

difficile da scalare.

 

 

ANIMA

 

Nell'acqua delle rose

coltivate nei tormenti

vive la vita

piena di ossigeno.

 

Nei lunghi respiri,

nell'armonia di una goccia.

 

 

LE PAROLE NON DETTE

 

Nascondevo le parole sottoterra,

all'ombra della chioma di un albero,

in attesa del momento giusto.

 

Un giorno cadde un fulmine,

dalla cima arrivò alle sue radici,

e l'attimo per dirle non ci fu più.

 

 

 

 

 

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Sergio Camellini, "Opera Omnia"

4 Febbraio 2023 , Scritto da Michele Miano Con tag #michele miano, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

 

OPERA OMNIA,  2° edizione di SERGIO CAMELLINI

con prefazione di Michele Miano

 

 

 

 

Non è facile affrontare il discorso poetico e umano di Sergio Camellini, autore prolifico e che ha scoperto la vocazione letteraria in età matura. La sua ricerca poetica originale e personalissima si radica in un fondamento antico ma sempre nuovo: il rapporto profondo che lega il proprio io nella più intima coscienza percettiva individuale alla coscienza di un universo tutto inteso come il topos assoluto e naturale della poesia.

Il suo percorso letterario e umano è una sorta di un lungo  “viaggio tra gli uomini”,  e così può essere parafrasato il messaggio di Sergio Camellini, che con Opera Omnia in seconda edizione ampliata nella collana il Pendolo d’Oro intende suggellare un florilegio della sua migliore produzione letteraria e affidare a futura memoria le pagine più significative del suo messaggio. La sua poesia porta in sé il raro dono dell’immediatezza, che si spinge oltre il dato reale e oltre l’attitudine figurativa, per farsi voce delle cose più semplici. Sergio Camellini vive la sua odissea, scruta la caducità dell’uomo contemporaneo spesso condizionato dai falsi miti della civiltà tecnologica, alla quale il poeta antepone le cose più semplici e genuine della vita.  Lo fa con passo certo e convinto di uomo che umilmente sa indagare in profondità negli abissi della coscienza, nei suoi misteri e contraddizioni.

Il suo universo poetico si affaccia su realtà minori, narrato con voci e colori quasi fanciulleschi, fondendo nei versi uno stupore e un’atavica saggezza in un’atmosfera che sa di perduto e rarefatto. Ma fare poesia per Sergio Camellini non consiste solo in questo. Il messaggio deve contenere i valori più intimi della vita e dell’esperienza umana con tutte le sue contraddizioni. Nella meditazione, nella densità dei concetti egli vive la propria odissea di uomo, di sensibile  cronista della propria storia. La poesia di Sergio Camellini rivela anche la preoccupazione per quanto dell’uomo rimane, di ciò che egli ha vissuto e sofferto nell’iter terreno e comprende che solo l’opera letteraria in chiave di creazione spirituale può continuare a vivere dopo l’annientamento fisico. Una poesia intesa come meta-realtà che trascende il dato reale per approdare a una visione più ampia. La realtà di una civiltà agreste, contadina, calata in una dimensione a sé, che resiste in un tempo circolare in cui c’è ancora spazio per un “altro vivere”, in simbiosi con la natura, con la logica del cuore e della famiglia. Un mondo dimesso e dipinto quasi con tocchi naïf, popolato da figure come sospese, prende forma nella semplicità del tessuto compositivo: versi brevi, ritmati, con una sintassi piana, rinvigorita dall’immediatezza del lessico e degli aggettivi, resa scattante dal rapido susseguirsi dei verbi che offrono consistenza visiva alla narrazione. Il mondo contadino, degli antichi mestieri, con le sue dure leggi, l’innocenza e la memoria del tempo perduto, il mito del falso progresso, la disumanizzazione e l’alienazione della società ipertecnologica diventano alcuni delle coordinate letterarie più significative della sua ispirazione.

Tale poesia trova la migliore espressione nella ricchezza e varietà dei temi che la ispirano: il sentimento della natura, l’umana solidarietà, il tempo che fugge, la condizione umana, la memoria, l’amore, gli affetti familiari, il significato stesso della vita. Ma il mondo tanto cantato da Camellini non è chiuso in un orizzonte di melanconia, né rifiuta il tempo della storia e del presente: anzi li lascia penetrare con dolcezza, temperandone certi aspetti con filtri quasi da fiaba e con immagini tratte dall’ambito familiare o naturale, che decodificano la storia in un linguaggio quotidiano, capace di aderire al vissuto di questo mondo. Come dire, reinterpreta con la sua sensibilità gli eventi e i fatti del vissuto quotidiano. Così gli interrogativi sul mistero e sul senso della vita s’incarnano nella lirica Uomo, dove sei? (da Nel corpo, un soffio dell’anima, 2013): «Eri presente: / abitudini e gusti, / costumi e strutture, / cultura, / idee creative, / modi di essere / di pensare / di amare, / conoscenze e sentimenti. // Ora latiti: / ove il gravoso / retaggio infruttifero / del passato, / divenuto / bagaglio archeologico, / t’adombra. // Uomo, / dove sei?» o nella figura angelicata della donna, spesso dimenticata dalla letteratura contemporanea per cui: «…La sola ricompensa / diretta / che tu possa ricevere / è l’emozione / d’essere mamma, / è l’amore per i figli / è la gioia di donare» (L’essenza di quel sentimento, da Il pianeta delle nuvole rosa, 2014).

La famiglia e la natura, dunque come estremo raccordo fra una realtà sempre più sfuocata, che continua ad essere proposta nel suo incanto, e la nuova realtà della cronaca con i suoi tempi accelerati fino alla disgregazione totale. Sergio Camellini rimane sempre fedele a se stesso, fin dai suoi primi volumi. E lo fa con passo umile, schietto, senza particolari pretese, psicologo clinico di professione che ha affrontato per decenni il dolore e le vicissitudini dei propri pazienti, approdato alla poesia in età matura e non casualmente, portavoce di un mondo e di valori in cui tutti ci specchiamo: una poesia della coscienza per la quale l’uomo acquisisce una rigenerazione interiore di ciò che siamo stati, da salvaguardare per non sprofondare nell’oblio di una civiltà consumistica e superficiale. Il punto di forza della scrittura di Camellini è nella purezza della sua ispirazione artistica che la rende sempre attuale e sincera.

Molte sono le liriche dedicate a madre natura; impossibile elencarle tutte; a titolo esemplificativo: «Che bella la natura / con canti e linguaggi, / nel pentagramma musicale / degli uccelli…» (I cantori dell’universo, da Lasciami di te un’emozione, 2021). Significativa una poesia  dedicata alla luna: «… Dipingi l’aria / di soavi colori / e trasformi / in un battito d’ali / il broncio del dì…» (Il mio canto alla luna, da I colori della fantasia, 2021). «Ecco la primavera / dei sentimenti, / tempo di mistero / di rinascita e splendore; / il sogno che / riconquista i suoi colori, / i suoi profumi, i suoi sapori, / la sua energia vitale…» (Ecco la primavera, da Ascolto i silenzi, 2021).

Ancora da La valle, estate e autunno: «La valle, / dai campi / fertili e fioriti / ove le farfalle / danzano col vento, / si fa ubertosa / di messi dorate / trapunte / dallo scarlatto / dei papaveri…» (lirica edita in Madre natura è vita, 2019). Una natura viva e palpitante, in perenne bilico tra uomo e natura e in questo felice compenetrarsi si rivela il senso ma anche il mistero  delle cose. Poesia intimista animata da istanze memoriali e affetti, pregna di emotività, carica di colori e sentimenti.

Camellini canta la pagina della vita di noi tutti: una cronistoria di eventi in un turbinio di pagine da cui trarre il vero significato e il modus vivendi. Si legga la lirica Il tema della vita (da Ponte dei sogni, 2017): «Anche il meno dotto / insegna, / anche il più umile / compone il tema / della vita. // Non esistono lavori / nobili o ignobili, / esisti tu / con le ricchezze / che ti porti dentro…». Il dono dell’umiltà, un valore sempre più raro in una realtà sempre più costellata da egocentrismi. Il lavoro come strumento di emancipazione dell’uomo, ma in una prospettiva di benessere sociale per la collettività e non di affermazioni egocentriche che schiacciano e umiliano i più deboli. Il lavoro che offre una dignità per tutti. E dalla raccolta Bagliori (2015) si legga la poesia È vivere, sei tu: «La felicità / cercala in un sorriso, / nel prolungamento / dell’ombra / d’un fiore, // nella semplicità / della natura, / nella mancanza / di dolore, // è solo quella / che sei in grado / di comprendere…».

Ecco l’amore e la passione di Camellini per gli antichi mestieri: per quei mestieri difficili, logoranti, in via di estinzione ma ricchi di umanità perché espressione di un mondo contadino. Da bambino si soffermava a osservare i lavoratori dei campi e delle botteghe, calzolai, fabbri, ceramisti, fornai, dimostrando anche una sensibilità di uomo e poeta, esplorando le vicende umane.

Il poeta non disdegna le accuse sulle lacerazioni sociali che affliggono il nostro mondo: l’egoismo, l’egocentrismo, l’arrivismo, l’indifferenza ai problemi altrui.  Si legga a titolo esemplificato la lirica Quel puntino dell’uomo: «Quel puntino dell’uomo / scritto a matita / che vive / nell’immenso, / dalla cruda realtà / dei diseredati / all’ostentata opulenza / degli abbienti, / due mondi a confronto / mentre le tragedie / s’incrociano, / l’odio che scalfisce / l’animo / dia strada / all’oblio, / non si cancelli / quel puntino / fu vergato solo / per amore» (da Tra le righe del pensiero, 2018).

Un uomo come Sergio Camellini non può rimanere insensibile e turbato dai soprusi, dalle guerre, dalle violenze e dagli accadimenti tragici dell’ultimo periodo storico, e la sua voce si innalza dal magma vulcanico dei crudi interessi umani, una voce che trova nel verso il proprio testamento spirituale ma anche un messaggio di speranza per le nuove generazioni.

Con la raccolta Il pianeta delle nuvole rosa (2014) l’autore pone l’accento sulla condizione del presente e del passato della donna. L’opera infatti si apre con un testo estratto dalla lettera di papa Giovanni Paolo II alle donne: nessuno infatti più di lui ha compreso l’importanza dell’universo femminile che si incarna in madre, moglie, sorella, nonna. La donna focolare della famiglia, il centro dell’amore che genera il mondo. Camellini è consapevole di trovarsi davanti alla angelicata creatura e ne esalta le virtù. Si legga la significativa La melodia della donna: «La raffinata melodia / della donna / non conosce / intemperanze, / né toni sbracati, / ma la grazia / dei sentimenti / e il fare gentile, / che caratterizzano / la femminilità, / non per soggiacere, / ma per mostrare / l’orgoglio d’essere / donna». Un percorso difficile, una dignità conquistata a fatica nei millenni e ancora in equilibrio precario e vacillante. In questa fase l’autore avverte un certo disagio esistenziale, una protesta e rabbia non sempre decifrabili per l’ineluttabilità del dolore delle vicende umane.

Ma è l’accorato grido di speranza che fa di Camellini il “poeta della fiducia nel prossimo”, come sottolinea nella lirica Abbiamo bisogno di voi, bimbi (del nostro domani) nella raccolta Ponte dei sogni (2017): «In questo mondo / intriso / di tristezza, / abbiamo bisogno / di voi, / della vostra allegrezza. / È carezza. / In questo mondo / permeato di dolore, / abbiamo bisogno / di voi, / del vostro calore. / È amore…». Ed è cosa rara nel panorama di sfiducia e pessimismo che spesso attanaglia la nostra vita, trovare una voce così fiduciosa, proiettata verso gli ideali del bello e della positività.  

Suggestiva la lirica I colori della fantasia tratta dall’omonimo volume 2021: «I colori danzano / tra sfumature / cromatiche d’un sogno / inni alla beltà, / sono spettacolari / catalizzatori / della fantasia / per l’umanità, / la loro percezione / tattile / si sente, si vede, si vive... / A qualsivoglia età».

Camellini ama la vita, soprattutto il suo significato profondo. La poesia diventa amore: «… respirare insieme / il profumo del sentimento / in un abbraccio / e i battiti del cuore, / è il magnetismo / degli esseri / quando la poesia / diviene amore» (Quando l’amore, da Lasciami di te un’emozione, 2021).

Al sentimento dell’amore il poeta ha dedicato il volume Tenero è l’amore (2017), un breve florilegio di poesie, edito da questa Casa Editrice. E per dirla come S. Agostino «l’amore è tutto», quel mistero meraviglioso per cui «…Sia sempre in voi la radice dell’amore, / perché solo da questa radice può scaturire l’amore» (S. Agostino). Il messaggio letterario di Sergio Camellini assume così un valore di amore universale, nella serena convinzione che siamo di passaggio in questo mondo perché «Non esiste povertà peggiore che non avere amore da dare» (Madre Teresa di Calcutta).

Michele Miano

 

 

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L’AUTORE

Sergio Camellini è nato a Sassuolo (Mo), vive a Modena; è psicologo clinico. Studioso di arte povera della civiltà contadina e dei mestieri, fin da piccolo si è soffermato a rimirare i lavoratori dei campi e gli artigiani nelle botteghe: calzolai, fabbri, ceramisti, sarti, fornai, mostrando interesse per tutti coloro che erano dotati di autentica creatività. Ha fondato sull’Appennino modenese un “Museo d’Arte Povera della Civiltà Contadina”, mondo da cui ha tratto l’ispirazione poetica. Ha pubblicato varie raccolte di poesie conseguendo molti premi e riconoscimenti.

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Sergio Camellini, Opera Omnia, II edizione, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 188, isbn 978-88-31497-97-8, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

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Dalla finestra

3 Febbraio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

In una fredda e ventosa mattina, un uomo, sospirando malinconicamente, si mise a scrutare fuori dalla finestra.

Quando il vento si placò, apparve un sole potente quanto fulgido che irradiò il giardino, rendendo l'esterno suggestivo e incantevole. Caterina era lì che passeggiava in quella paradisiaca area verde a godersi la piacevolissima giornata.

«Diego!» lo chiamò lei con dolcezza, allungando la mano per invitarlo a uscire e a raggiungerla.

La sfolgorante mattinata durò poco poiché iniziò a piovere copiosamente. Caterina, incurante, si mise a ballare leggiadra come una farfalla. 

«Dai, vieni. Cosa stai aspettando?» lo esortò ancora con un maggiore coinvolgimento. 

Diego sorrise, ma una dolorosa fitta al cuore e il gomito dolorante incatenato a un anello di metallo attaccato al muro, lo ripiombarono nell'amara realtà. 

In un rapido flashback rivisse nuovamente gli eventi di quella tragica domenica: il rifiuto di Caterina, la cocente delusione, un grosso sasso con il quale le aveva fracassato la testa, il cui sangue colava lungo la camicetta viola, e il cadavere adagiato tra i fiori del parchetto della sfarzosa hacienda.

In una gelida e ventosa mattina, un uomo, sospirando malinconicamente, si mise a scrutare fuori dalla finestra sbarrata di una squallida cella sudamericana.

 

 

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The Legionary

2 Febbraio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

Verso la fine di marzo del 2021, dopo sei mesi in lista di attesa, mi chiamarono dall'ospedale Papardo di Messina per operarmi di settoturbinoplastica, un'operazione finalizzata al riallineamento del setto nasale, alla correzione dei turbinati e l’asporto dei polipi, un trattamento chirurgico necessario per una corretta respirazione. L'intervento venne gestito da un chirurgo dall'indubbia professionalità e da un'equipe preparata; tuttavia, l’anestesia totale praticamente mi sfibrò.

Dormii moltissimo, malgrado qualche difficoltà, poiché le cavità nasali risultavano ostruite dalle medicazioni, per non parlare dei frequenti mal di testa. Gli infermieri e gli O.S.S. si presero cura di me in maniera attenta mostrando cortesia ed empatia, peraltro mi si offrii l'occasione per comprendere cosa si prova a essere un assistito, visto che da anni a livello professionale esercito in qualità di Operatore Socio Sanitario.

In quella settimana di degenza, a causa delle restrizioni legate alla pandemia causata dal Covid-19, l'accesso ai visitatori era stato sospeso, pertanto mi dovetti accontentare di utilizzare il cellulare, sia per le chiamate che per la messaggistica. Ricevetti l'affetto, la solidarietà e il sostegno da parte della mia fidanzata, della mia famiglia, dei parenti, dei colleghi e di Enrico, il mio migliore amico.

A Enrico, oltre le dovute risposte e le considerazioni riguardanti l'intervento, in forma esclusiva inviai un selfie in cui giacevo sul letto tenendo il pollice rivolto verso l'alto. Avevo l’espressione stravolta, il naso gonfio come quello di un orco e gli occhi comatosi. Nell'autoscatto allegai la seguente frase: --- Non sono allettante, tutt'al più allettato. ---

Il mio carissimo amico, tramite WhatsApp, riempì il display del mio dispositivo di faccine sghignazzanti, per poi scrivermi che in realtà si dispiaceva di sapermi in quello stato, tra l'altro esternando ammirazione, dal momento che ero riuscito ad affrontare l'operazione con uno spirito battagliero, conservando al contempo il proverbiale humour. 

L'indomani, Enrico mi comunicò che mi aveva dedicato un brevissimo racconto, intitolato The Legionary, e che desiderava inviarmelo in formato DOCX sul mio Android nel primo pomeriggio. Appena mi fece pervenire il file, lo aprii e lo lessi con estrema attenzione, trovandomi impossibilitato a descrivere le sensazioni ricavate.

Ad Enrico mostrai stupore, gratitudine e stima. Mi rispose che mi considerava un legionario di quelli tosti, oltretutto traendone uno spunto per ricollegarsi ad altre mie schiaccianti vittorie, inerenti difficili vicissitudini e svariate tribolazioni.

Successivamente gli mandai un messaggio audio con voce roca, in quanto mi sentivo debilitato.

--- E pensare che mi sono sempre identificato in un Cavaliere.

Aspé, non intendo dire un Cavaliere della Tavola Rotonda, ma bensì un Cavaliere della Tavola da Pranzo. ---

Cari lettori, ho deciso di includere The Legionary in questa pubblicazione avendo avuto il permesso di Enrico, grande autore e grande amico.

***

 

The Legionary

 

Stava disteso a terra, logorato nel corpo a causa della pesante armatura e il volto ricoperto di fango. Lo scontro era stato duro, l'alluvione aveva sconvolto i piani operativi causando tantissime perdite tra gli assedianti e gli assediati. Nonostante le estenuanti difficoltà, Flavio Giuseppe partecipò all'assedio di Varanga con fierezza e determinazione. Fu proprio grazie a lui che l'ariete riuscì ad abbattere le robuste porte della fortezza. Col cammino spianato, penetrò ed espugnò la piazzaforte nemica, fino a issare alto nel cielo lo stendardo raffigurante un'aquila d'argento.

«È fatta!» pensò, chiudendo gli occhi con un sorriso soddisfatto.

In futuro, molte altre battaglie lo avrebbero atteso. Ma per il legionario, era il momento di riposare.

 

 

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Lo specchio della bisnonna

1 Febbraio 2023 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

Da bambino, ogniqualvolta andavo a trovare mia bisnonna materna, provavo un senso di angoscia, in quanto ritenevo che nella sua abitazione dimorassero gli spettri. Alcune stanze in particolare avevano il potere di esercitarmi una suggestione brividosa.

Ricordo perfettamente ancora oggi la sua ombrosa camera da letto dall'arredamento in vecchio stile, tra cui un’antica toletta in mogano dal grande e terrificante specchio. Malgrado ciò, qualche volta mi prodigavo a specchiarmi e a fare le linguacce oppure a imitare le mosse dei Power Rangers, i quali rappresentavano i miei idoli d'infanzia.

Nel tardo pomeriggio di un giorno d'estate accadde un episodio degno di nota.

«Se fissi a lungo lo specchio, potrai vedere un fantasma» mi disse la bisnonna, entrando di soppiatto nella camera da letto tanto da farmi trasalire.

«Come c'è finito?» le chiesi intimorito.

«Sai, siccome l'altra notte non mi lasciava dormire, dopo averlo sgridato, si è rifugiato dentro.»

Uscii, correndo fuori da quella stanza e, con un'espressione spaventata, lo raccontai ai miei famigliari che in quel momento erano in soggiorno seduti su un logoro divano in pelle. I miei genitori ridacchiarono mentre Concettina, mia sorella minore, rabbrividì strabuzzando gli occhi. 

In serata, appena rincasati, provai a chiamare il 555-2368, il numero dei Ghostbusters. Ci rimasi male, poiché i vari "tu-tu-tu” suggerivano che non mi avrebbe mai risposto nessuno.

 

 

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