maria rizzi
Pasquale Ciboddo, "Era segno sicuro"
Pasquale Ciboddo
ERA SEGNO SICURO
Ho ricevuto la silloge Era segno sicuro - edita da Guido Miano Editore, 2022 - e ho ritrovato Pasquale Ciboddo, di Tempio Pausania, che ebbi la gioia di recensire nella precedente raccolta Andar via (2021), avvolto nella tunica di solitudine e di predizioni dettate dalla pandemia che ha investito il mondo dal febbraio 2020. L’Opera è prefata da Enzo Concardi e si conclude con gli estratti di vari nomi illustri, come Giulio Cossu, Ninnj Di Stefano Busà, Giorgio Bárberi Squarotti e altri. D’altronde il Nostro rappresenta senza ombra di dubbio il più famoso Poeta sardo vivente e gli scorre nelle vene l’humus di una terra nella quale nascono i colori prima di diffondersi nel mondo. Lessi la splendida silloge Andar via proprio con il turbamento creato da un paese di roccia, che anziché dare il senso della realtà sembrava fatto con il tessuto impalpabile dell’immaginazione.
L’Opera Era segno sicuro, che si annuncia con un dipinto a olio di Franca Maschio dedicato alla Madonna “Madre di ogni grazia”, presenta un impasto linguistico e rapporti extratestuali e intertestuali assolutamente nuovi, di denuncia e di dolore, nel quale solo il rapporto con le radici confitte nella sua terra e la sua fede restano immutati. Ciboddo ricorre alla Madre di tutte le Madri per confessarle in una preghiera che oserei definire disperata, la sua premonizione: «Una notte di tre mesi fa, / febbraio 2020, / prima di manifestarsi il Corona Virus / in sogno mi apparve /
Ho riportato per intero questa lirica perché sono convinta che rappresenti il filo conduttore del Nostro attraverso la tragedia che ha investito l’umanità. Se pregare è prendere fiato, è affidarsi, in questa circostanza diviene dialogo con se stesso. La fiamma del nostro vivere è stata minacciata dal soffio della morte e il Poeta, sciamano dei nostri tempi, in virtù della sua straordinaria sensibilità, sente gli eventi, si inchina a quella notte e la sua diviene ‘angoscia d’attesa’ (cit. Sigmund Freud). Si tratta della conoscenza intuitiva di un avvenimento imprevedibile che non può essere compreso con mezzi naturali. E attraverso la fede, cara a Ciboddo, possiamo far entrare nelle nostre anime il dolore di tutti i conflitti, di tutta la fame, la miseria e dei drammi imprevedibili, non per una nostra grande capacità psicologica ed emotiva, ma in quanto i cuori di Dio e della Madonna diventano una cosa sola con i nostri.
Il lirismo del Poeta, ci porta sulla strada dei danni perpetrati da noi uomini alla natura e dei castighi che abbiamo meritato: «Il tempo non si ferma, / passa e va avanti. / Ma, per noi mortali, / per un attimo, si è fermato / e ci ha costretti, per paura / della grave pandemia / a rinchiuderci in casa / e morire, così, in silenzio / senza pianti sottesi / di parenti ed amici. / Le punizioni divine / spesso arrivano inaspettate» (Le punizioni divine). Purtroppo quando si tenta di elevarsi al di sopra della natura si finisce per precipitare al di sotto di essa. Non siamo mai noi uomini che dobbiamo batterci contro un ambiente ostile, ma è la natura indifesa che da generazioni è vittima dell’umanità. «Vaghiamo lontano / dal cammino del Signore / e rifiutiamo
Ciboddo ci guida attraverso la sublime immagine della Madonna, consapevole che ‘Non è possibile andare a Gesù se non ci si reca per mezzo di Maria’ (cit. San Giovanni Bosco). Nella Madonna si trova l’idea dell’uomo perfetto che Dio aveva in mente nel creare il primo essere umano, Ella non è la seconda Eva, ma la prima, quella che non è caduta e vede come la seconda Eva cade. Maria è la nuova tenda santa, la nuova arca della Salvezza, nel suo grembo dimora l’unica speranza per noi peccatori. «…Solo
In questa silloge l’Autore mostra di aver subito in modo violento l’urto con la pandemia e di aver riflettuto a lungo sulle nostre colpe, sull’assenza di rispetto verso gli ecosistemi. I cambiamenti sul pianeta avvengono dove passa l’uomo, si distruggono gli habitat e si va ben oltre la competizione darwiniana per le nicchie ecologiche, che restano integre solo laddove non ci sono esseri umani nei dintorni. Gli individui non spostano altrove gli ecosistemi, li spazzano via, specialmente trasformando praterie e foreste in città e centri commerciali. «…Stiamo perdendo / il senso d’esistenza della terra..» (La vera salvezza), e Pasquale Ciboddo cita con amore gli stazzi, insediamenti rurali presenti nel nord della Sardegna, nella sua Gallura, nei recinti dei quali, nella consuetudine della transumanza i pastori riunivano il bestiame durante la notte. Li definisce «…il tempio / dell’amata natura, / avevano il cielo per volta / e gli astri per luminari…» (Erano il tempio) e correda l’Opera con una sua foto di questo stazzo isolato che è andato perduto.
Il Poeta descrive in più liriche la natura come il nostro Eden personale: spettacoli mozzafiato e scenari meravigliosi al confine tra sogno e realtà. Eppure da molti anni è avvenuta la fuga da quell’Eden, la migrazione verso le città. Queste ultime sono qualcosa di più della somma delle loro infrastrutture. Esse trascendono i mattoni e la malta, il cemento e l’acciaio. Sono i vasi in cui viene riversata la conoscenza umana. Le città si potrebbero definire grandi comunità nelle quali le persone si sentono sole tutte insieme. «…L’uomo di oggi / attratto dalla vita di città / abbandona la terra di nascita / e di crescita nella natura / e si perde così / in un mondo senza valori, / pensando solo alla corsa / di ricchi tesori. / Ma la terra offesa / si vendica» (Ma la terra…).
Ho ritrovato un Poeta con la tristezza nella carne, volto all’indietro, alle isole ridenti della memoria, che forse vorrebbe ancora ‘andar via’, fuggire dalle ‘tenebre del proprio pentimento’ - parafrasi dalla lirica A ognuno - che evoca in modo impressionante Salvatore Quasimodo, per ritrovare uno stazzo, dove piova il canto degli angeli, la notte stellata e la goliardica compagnia.
Maria Rizzi
Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 122, isbn 978-88-31497-92-3, mianoposta@gmail.com.
ANALISI RAGIONATA DEI SAGGI CRITICI RIGUARDO WANDA LOMBARDI A cura di Enzo Concardi
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ANALISI RAGIONATA DEI SAGGI CRITICI
RIGUARDO WANDA LOMBARDI
A cura di Enzo Concardi
Recensione di Maria Rizzi
L’analisi ragionata dei testi critici riguardo la Poetessa Wanda Lombardi, di Morcone, in provincia di Benevento, condotta dall’ottimo Enzo Concardi, seguendo i commenti di autorevoli colleghi come Giuseppe Manitta, Monica Rubino, Carlo Onorato, Rossella Cerniglia, Marcella Mellea, Fabio Amato, Nazario Pardini ed altri, equivale a una navigazione attraverso il lirismo dell’artista, nella quale è messa in rilievo la sua tendenza a evocare il neoclassicismo nella forma e nei contenuti. Quasi tutti i critici citati riscontrano tratti in comune con Leopardi, Pascoli, non solo per il ricorso al metro classico, ma per l’ossimorica visione dell’esistenza, spesso tendente al nichilismo. Altro tratto evidenziato dagli esegeti è il rapporto con il divino, la tensione alla verticalità presente nei versi della Nostra e l’empatia con madre natura.
Tra tutti solo il professor Nazario Pardini accosta la poetica della Lombardi a quelle di Umberto Saba e Vittorio Sereni. E leggendo le liriche della Nostra lo stesso Concardi conviene circa le corrispondenze con Saba «per lo stile spezzato, frammentato» e con Sereni per il «malum vitae, il tormento, la percezione della labilità dell’esistere». Molte altre disamine vengono prese in esame dal relatore, ma la mia scelta, dopo aver navigato tra tanti illustri esperti di ermeneutica, cade sulla lettura dell’antologia essenziale delle poesie di Wanda Lombardi.
Il saggio critico, a mio umile avviso, è di per sé esaustivo; in appendice al libro è riportata una antologia essenziale di poesie scelte da varie raccolte e che coprono un periodo di vent’anni, dal 2001 al 2021. Le prime, tratte dalla silloge Sensazioni del 2001, ci consentono di annegare nel mare intimistico della Poetessa, che dimostra, una volta di più, che il mondo esterno non è che un riflesso del nostro universo interiore. I ricordi degli amori sono il tessuto della nostra identità. La Lombardi dedica al padre versi di velluto, che echeggiano i grandi della letteratura. «… Ma tra i molti visi, / come in un dipinto incastonati, / emerge il tuo, padre, / a sbiadire e sovrastare gli altri...» (Ricordi). La fede, elemento cardine del lirismo della Poetessa, è presente in questi primi versi come fonte di gioia di vivere e come unico presupposto per la pace. Nel leggere Ritrovare la pace, ho pensato alla meravigliosa asserzione di Khalil Gibran: «Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra. Peccato che tu non possa sedere su una nuvola». Dalla silloge Nel silenzio (del 2002) sono tratte liriche sul mondo dell’adolescenza, così simile a una malattia esantematica per i giovani e per i loro genitori. L’autrice affresca con versi meno classici, incisivi, colloquiali e infinitamente teneri l’universo dell’epoca in cui si conquista a morsi l’esperienza. «…I tuoi problemi, / che problemi non sono, / crisi profonde ti creano, / irritabilità, depressione…» (Cuore di adolescente). Il rapporto con i miracoli poetici del creato è evidente in alcuni testi dal tono selvaggio come carezza… mi si perdoni l’ossimoro, che stanno a dimostrare come la natura può divenire il medium nella relazione tra il conduttore e la persona, agevolando i momenti di relazione empatica che consentono la crescita nell’intersoggettività. In effetti la Lombardi allude a tale connessione, mette in risalto che quando lo stato climatico risuona in noi è proprio perché si è sferzati dallo stesso vento, guidati dalla stessa «invisibile mano».
Nella poesia Soffio divino, tratta dalla raccolta Luce nella sera del 2011, natura, esistenza e fede divengono un tutt’uno, dimostrando che l’essenza divina che si manifesta nella natura non è altro che la natura stessa che si palesa, si mostra e si impone all’uomo come un ente divino. Nell’antologia essenziale troviamo anche liriche di impegno civile, che spingono a pensare alle assonanze riscontrate dal professor Pardini tra la Nostra e Umberto Saba. A livello stilistico si notano la riduzione del lessico, la semplificazione della sintassi, la frammentazione del ritmo. «Corpi innocenti pestati, vinti / da chi fa della violenza / ideale di vita, / degli abusi mezzo per emergere…» (Tempi assurdi, da Gocce di rugiada, 2017).
Il timbro, caratteristica pregnante della poetica di Wanda Lombardi, diviene il colore vividissimo delle liriche più recenti. Spesso sottovalutiamo il valore di questa antica categoria poetica, rimasta ignota all’estetica classica, ma è proprio grazie a essa che il ritmo può mutare di continuo, anche all’interno della stessa lirica. Con il trascorrere del tempo l’Autrice esprime in modo sempre più incisivo la sua sete di interiorità e la capacità di possedere un linguaggio che è specchio dello spirito. Lei ha l’attitudine a parlare di Dio e a persuadere che la fede è molto umana e molto umanizzante, crea un clima nel quale ci si sente sollecitati a dare il meglio di se stessi. E illumina ancora sul concetto che l’incanto della natura, il mistero affascinante che la avvolge sono forse l’unica chiave di cui disponiamo per cercare di aprire la porta che ci separa dalla verità. «Commuoversi / dinanzi a una distesa marina / che brilla come diamante / o a vette maestose / che parlano col cielo / è dolce momento per il cuore. / Svegliarsi / tra concerti d’uccelli, / sorridere al sorriso di un bimbo / o dinanzi a un foglio bianco / inseguendo un nuovo sogno, / è sollievo per l’anima / che si inchina / alla Tua grandezza, Signore» (Piccole, grandi cose, da Gocce di rugiada, 2017).
Gli affetti, la malinconica nostalgia dei giorni trascorsi con loro, ricorrono nella poetica di quest’Arista e la sottoscritta non può che ammirarla e condividere i suoi slanci. Mantenersi, ovvero tenersi per mano, da napoletana, è il mio verbo preferito. Può bastare per la vita intera sapere di aver provato quell’amore senza tempo. Rinunciarvi rappresenta una follia. La mitologia dell’infanzia è radice di ogni nostro comportamento, e i genitori, i fratelli, quando sembrano morti sono solo svenuti. Possono riprendere a vivere nel miracolo della memoria e, come insegna la Lombardi, in quella “poesia che sa salvare il mondo”. «…Ma ancora oggi, nel tuo cinquantesimo, / piango pensando a te, alla tua storia / e intatta rivedo la tua eleganza, / il corpo tuo perfetto che invidiavo quasi. / Quante cose vorrei dirti, / quanto rivederti / per respirare con te aria d’amore!...» (Mamma, da Volo nell’arte, 2021). In famiglia si impara la grammatica dell’amore, il linguaggio attraverso il quale Dio comunica con noi. Se è vero che nel mare dell’esistenza siamo tutti naufraghi di una carezza, sento di poter affermare che le liriche di questa Poetessa dalle origini non lontane dalle mie, sono state l’isola, il ponte nel silenzio, il porto di sicurezza. Le anime si sono mescolate, la carezza l’ho avvertita e desidero restituirla.
Maria Rizzi
Enzo Concardi (a cura di), Analisi ragionata dei saggi critici riguardo Wanda Lombardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 84, isbn 978-88-31497-48-0, mianoposta@gmail.com.
Enza Sanna, "Nei giorni"
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Enza Sanna, Nei giorni, pref. di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 100, isbn 978-88-31497-89-3, mianoposta@gmail.com.
Con autentica ammirazione mi sono imbattuta nel canto elegiaco di una poetessa che affresca versi nei quali si respirano le pietre profumate di antico, le chiese di incenso, le botteghe di cuoio e le pasticcerie di canditi della sua Genova. Mi sono trovata di colpo nel dedalo dei caruggi, scoprendo, sin dalle prime pagine della sua nuova silloge Nei giorni, che il mondo lirico di Enza Sanna tende a operare un distinguo tra fantasia e immaginazione. Se di consueto l’esistenza è votata ai fatti, l’immaginazione aiuta a conservare le illusioni, e in effetti non possiamo fare nulla senza averlo prima desiderato e idealizzato. «… / È incontro di mente e cuore / passione e cautela / trascendenza e ragione / è rischio, è sfida di sopravvivenza / gioia prima della gioia / oltre ogni comprensione /…» (Certezza di cose vere). La poesia che apre la Raccolta narra ciò che una profana come la sottoscritta non sa dire con le parole. Vola sul piano metafisico, disciplina la realtà attraverso l’inventiva, stupisce nel dimostrare come il senso del nostro percorso terreno sia nella delizia del disordine, «nell’ingrandire così tanto il momento da riuscire a fare dell’eternità un niente, e del niente un’eternità» (cit. Blaise Pascal).
L’Autrice sceglie di esistere in un non-luogo del pensiero, che concede tregue alle fatiche del tempo: «…/ Mi rifugio negli oggetti di casa / pezzi sinceri di verità / che narrano una loro storia / fatta di rapporti con chi la abitava / quasi impazzito innamoramento verghiano /…» (Sopraggiunge il crepuscolo). In una Poetessa visionaria è straordinario il rimando al neo-realismo dell’artista siciliano, definito come una scelta di follia, come il vano pascolo di uno spirito disoccupato. Interessante ed esaustivo il riferimento agli ‘oggetti di casa’ che testimoniano il rapporto ‘con chi la abitava’, non con colei che scrive. La Sanna dimostra che il poeta non traduce in parole una visione, in quanto la sua visione si elabora in esse. Ella crea la distanza dal mondo oggettivo mentre asserisce di trovare riparo in esso. Raramente ho letto liriche così esplicative dell’autentico universo poetico. L’incandescente purezza della nostra Artista dimostra che l’ispirazione permette di proiettare il proprio flusso di concezioni interiori in un mondo che ne è dannatamente privo.
Il Poeta possiede il dono di vedere ciò che è invisibile agli altri. «…/ La mutevolezza dell’essere / la precarietà delle cose / crean un vuoto d’intorno / come andar fra estranei / tra chi le spalle ci ha volte / con una sola dolorosa certezza: / non ci si bagna nella stessa acqua / due volte. /…» (Bellezza d’anima e di sensi). Si sente ancora, forte, il senso della vita che sguscia come polvere nella clessidra, nei labirinti dei caruggi tra i quali è fin troppo facile perdersi, non sapere cosa si nasconda dietro la prossima curva. La chiusa eraclitea evidenzia che non ci si può bagnare ogni giorno, anzi, in ogni momento, nello stesso fiume, perché ogni cosa, ogni alba, ogni sole, sono sempre in movimento, forze dinamiche, dialettiche. La mente coincide con il passato, è memoria accumulata e se si guarda l’esistenza attraverso essa ogni cosa sembra polverosa, sporca, vecchia. Se si riescono a mettere da parte i ricordi, ogni esperienza, ogni amore diviene nuovo di continuo. Nessuno conosce mai nulla. Rimaniamo estranei, eternamente estranei. Schiavi del vortice dei giorni, che possono sembrare tutti uguali, come le aste sui quaderni dei bambini.
La Sanna vola alto, dietro l’apparente nichilismo, conosce l’armonia del creato e prova a guardare la vita affidandosi alla meditazione, all’armonia interiore. «…/ Improvviso il tempo si è fermato / su un’ombra che credevo cancellata, / sembianza vaga che mi fa pensare: / non si dissolve pur nel suo passare / il tempo che fu quello dell’amore / per ritrovarti ancora nella luce / quando il giorno tace / ché l’intesa perfetta non chiede consensi / neppure uno sguardo per sentirci accanto /…» (Improvviso il tempo si è fermato). L’amore trascende le visioni, è sentimento pulsante, che può fermare il senso eracliteo del fiume nel quale ci bagniamo, ma secondo l’Autrice non chiede parole, ‘consensi’, esiste e lo si riconosce, come recita Pablo Neruda: «E da allora sono perché tu sei, / e da allora sei, sono e siamo, e per amore sarò, sarai, saremo».
La Sanna varca con incredibile semplicità i limiti del concepibile, la sua non è poesia di confini, in compenso genera misteri, è evocativa degli stati dell’inconscio. Ed è tesa alla luce divina che è dentro di noi. Quella che non appartiene a una religione in particolare, ma a tutti i credenti. «…/ La solitudine, che ci fa amici di nessuno, / noi rivali persino a noi stessi, / pesa anche sul foglio bianco / inoperoso maggese a ritemprarsi / quando t’assale la paura della vecchiezza più della morte / e il pianto che non sgorga, non si vede / è silenzio di pietra. / Ma se improvviso sopraggiunge il canto / intenso bagliore splendido di luce / feconda è l’ora / e chiaro il giorno della festa» (Giorno di festa). La caducità del tempo che ci è dato in sorte, intesa in senso etimologico dall’Autrice, ovvero dal latino ‘caducus’ - cadere, che è destinato ad avere breve durata, la avvolge come sudario, soprattutto nei giorni di festa, ma esiste un modo per sentir cantare l’anima, per sollevarci al di sopra delle barriere della vita materiale: cedere alla verticalità. Il viaggio spirituale, che si può compiere in ogni momento, consente l’accettazione del ritorno della luce nei nostri cuori.
La Poetessa, lirica dopo lirica, trascina nelle spirali del suo disincanto, dei suoi dubbi e delle sue vivide, altissime illuminazioni, e rende consapevoli che la Poesia rappresenta un mezzo di comunicazione superbo e ‘terapeutico’, come ella stessa recita. Io non conosco Enza Sanna, ma attraverso i suoi versi ho seguito il ritmo dolce e profondo di un’arpa celtica, lo strumento che possiede le sonorità adatte a instaurare un dialogo tra chi suona e chi ascolta, e ho avuto la meravigliosa sensazione di percepire i ritmi di corporeità, le tensioni, la postura, il timbro vocale, la gestualità e la mimica di questa Musicista della parola. Mi è sembrato addirittura di vederla passeggiare nei luoghi che le sono cari, in quella Genova che sa unire più di molte altre città il passato, il presente e il futuro, crocevia di culture e di popoli fin dall’antichità. Sento di essere nel vero, la fusione d’anime si è compiuta: «…/ Frammenti di nubi vagano nel cielo / avanzi di abiti dismessi / che non oscuran i muretti a secco / della mia terra / né i morbidi profili dei colli / sui borghi raccolti. / Avara è la natura dei suoi doni / ma negli orti domina il carciofo / guerriero antico, / il pallido limone / raggio di sole convertito in frutto, / l’asparago turrito in carnosi germogli / dolce e selvaggio in uno. / Immersa in questa realtà vivo il mio tempo, / compagni la solitudine e il silenzio / quasi vertigine dinanzi all’abisso / mentre sulla pagina bianca gioca la parola / ora reale ora d’invenzione, / musicalità che segna tempo e spazio dell’assenza / a colmare il vuoto con effetti sonori d’armonia / nell’attesa di un’immancabile presenza» (L’immancabile presenza). La lirica ricorda le Odi nerudiane, per la capacità della Nostra di mostrare religioso rispetto e di descrivere liricamente attraverso metafore o frasi immaginifiche i frutti del creato. Non si riscontrano nella Sanna toni elegiaci rivolti alla natura, che è definita ‘avara’, simile all’esistenza, nello svuotarsi dell’amore. ‘La solitudine e il silenzio’ sono le note salienti di questo cantico, ma anche la lirica citata contiene la rivelazione nel titolo e nella chiusa. L’immancabile è un aggettivo femminile, e non può che riferirsi alla Fede, immenso eterno vagito del nostro tempo, morso di un’Eva che ha lasciato il giardino per risiedere in ogni eden che sappia accogliere la certezza di un Dio teso a credere in noi… nonostante quel morso.
Tra le vertigini metafisiche, le visioni, il senso della perdita, non mancano i punti fermi, comuni a tutti, ma sempre nel segno della Fede, il dono gratuito di Dio, che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi. «…/ Ma la famiglia d’origine è per sempre / non ti lascia mai nel tuo cammino / è parte di te, rivive nei gesti e nei pensieri / è assenza fisica mutata in spirituale presenza /…» (La perdita e l’assenza). Gli amori non ci lasciano, si spostano in un’altra dimensione sensoriale, vegliano sui giorni e sulle storie, seduti ‘nella stanza accanto’, per dirla con Sant’Agostino, divengono angeli del nostro breve tragitto terreno. Il mare, compagno di vita della Sanna, eterno sogno di realizzare la libertà dell’impossibile, è presente in molte liriche, e scandisce proprio le assenze, che rendono gusci le conchiglie di ieri.
Tra i tantissimi versi dettati da ispirazione divina mi hanno indotto a intensa commozione quelli della lirica E tu non sai, che nella seconda parte recita: «…/ Al morir della luce il sentimento del tempo ti giunge / al lago del cuore, teso l’orecchio ai suoni della notte / impercettibili sospiri. / Da lungi una nenia struggente / che ha il fascino di un faro nella notte. / Il mio essere affido alla ruota del tempo / per strade che guidano al nulla. / Scava sempre la parola / nella miniera di significati altri / che, nell’infinitamente piccolo / spesso si cela l’infinitamente grande / e tu non sai». Sul pentagramma di Enza Sanna ricorre la volontà di trasformarsi in una rabdomante, che per stanare le impossibili certezze della vita è pronta a scavare anche nel vento con le note del suo canto. E attraverso la fisica ci riaccompagna sulla sponda della spiritualità. Macrocosmo e microcosmo coincidono nel mondo delle particelle elementari, un mondo che reclama naviganti pronti a cogliere il minimo segnale all’orizzonte, perché come sa ogni marinaio di vedetta, è proprio nell’impalpabile barlume che vacilla in lontananza la promessa della terraferma.
Una poetessa dalla cifra stilistica poderosa la Nostra, dotata di sensi ammaestrati per un mondo diverso da quello che conosciamo, e che è dono di pochi percepire. Ricca di voci che spesso non intende decifrare. Lontana da ogni schematismo, da effetti calcolati, tesa a scavare con lirismo e amore assoluti nel linguaggio. Le sue metafore, le assonanze, la musica che pervade ogni verso riportano al lido della grande Poesia del passato, che traccia la rotta di un giusto futuro lontano dalle sterili correnti avanguardiste. Sarò sognatrice, ma so che non porterei per sempre con me le poesie di quest’Artista se non avessi avuto l’onore di viaggiare sulle sue note con la sensazione di vederla, di viverla. E mi piace pensare di chiudere questa prefazione seduta accanto a Enza Sanna, di fronte al suo mare, mentre si compie, tramite «una pioggia di note sulla tastiera» (Terapia musicale), il miracolo dell’arco d’amore, ovvero di Un ponte arcobaleno: «… / Ma il ponte più bello, più prossimo al cuore / è all’infinito / quando la luce del sole, dopo il fortunale / scompone i colori nell’apparente trasparenza / d’una goccia di pioggia».
Maria Rizzi
L’AUTRICE
Poetessa, scrittrice, saggista, critico-letterario Enza Sanna è nata a Genova, dove vive, opera e ha svolto una lunga carriera di Docente di Lettere nella Scuola Media Superiore. Pluriaccademica, ha ottenuto molti Primi Premi Nazionali e Internazionali, partecipando più volte a numerosi Concorsi letterari. Tra la raccolte poetiche più recenti ricordiamo: Quando gemmano i pruni (2003), Amore di mamma (2004), Per vene d’acqua e di terra (2006), Gocce d’arcobaleno (2008), Viaggio nella parola (2009), Per segreti varchi (20109), Kaleidos (2012), Frammenti lirici… ai margini del viaggio (2014), Percorsi d’utopia (2017), Oltre la parola (2020).