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L'arte di sopravvivere al trauma

12 Marzo 2013 , Scritto da Michelle Wilmot Con tag #michelle wilmot, #psicologia

The Art of Surviving Trauma

By Michelle Wilmot

L’arte é uno strumento molto potente per contrastare traumi fisici e psicologici e permettere che continui la comunicazione per chi li ha subiti.

Il mio trauma è stato l’esperienza in guerra.

Sono una veterana, ed è stato per me molto difficile il ritorno a casa negli Stati Uniti, dopo aver trascorso un anno nella città di Ramadi, capitale della regione Al Anbar, il luogo più pericoloso di tutto l’Iraq. Al mio rientro in Patria, dopo aver vissuto l’inferno di questa cruenta guerra, mi sono sentita giudicata e sono stata insultata da molti per quello di cui, nella loro immaginazione, un soldato e per di più di sesso femminile, si macchia. Nessuno mi ha mai chiesto quale fosse stata la mia reale esperienza di donna combattente, appartenente, inoltre, ad una minoranza etnica.

La pressione psicologica in quegli anni è stata durissima. Mi pagavo gli studi universitari lavorando part-time, ma sentivo crescere dentro di me un malessere che mi avrebbe portato ad un punto di rottura. Nonostante ciò, sono stata fortunata; in quel periodo ho trovato una valvola di sfogo: l’arte.

Fin da bambina, disegnare, dipingere e creare sculture è sempre stata la mia passione. Crescendo, sentendomi sempre ripetere che gli artisti non guadagnano abbastanza per vivere, ho pensato fosse più utile iscrivermi alla facoltà di Psicologia. Successivamente, non potendo permettermi di pagare gli studi, ho deciso di arruolarmi nell’Esercito Americano che mi prometteva una borsa di studio. Logicamente dimenticarono di dirmi che avrei dovuto lavorare 60 ore alla settimana, e che per lo studio avrei avuto solo i ritagli di tempo!

Quando ricevetti la notizia del mio imminente servizio in Iraq, ero a metà dei miei studi e, al mio ritorno, ho cambiato indirizzo: da Psicologia sono passata a Scienze delle Politiche Internazionali.

Dopo tutto quel che avevo vissuto, pensavo: “come si può pretendere di aiutare a cambiare il Medio Oriente quando la maggioranza di noi Americani non è mai stata al di fuori dei propri confini?” Avevo solo 22 anni, e trascorrevo quasi tutto il mo tempo ad ascoltare dibattiti politici; molte parole riempivano la mia testa, ma dentro il mio animo era vuoto.

Cercavo una via di scampo, ed è stato così che ho deciso di ritornare al mio primo amore, la pittura.

Dopo aver vissuto un' esperienza tanto traumatica, avevo perduto ogni interesse per l’arte e per tutte le mie altre passioni e desideri. Mi sentivo morta dentro, ma nel cuore sapevo che l’arte mi avrebbe aiutato a riscoprire emozioni ed idee al momento sopite. All’inizio è stato molto doloroso perché la pittura era per me catartica, ma riportava anche in vita molti dei traumi vissuti in guerra.

Una certa serenità sono riuscita a raggiungerla anche grazie ad un nuovo hobby, la danza del ventre.

Lentamente ho iniziato a rivivere, ho sentito la creatività scorrere nelle mie vene. Mi sentivo come se avessi ricevuto una “trasfusione” di arte.

Sono riuscita infine a completare il mio percorso di rinascita e ho realizzato uno dei miei sogni: mi sono trasferita nel Sud Est Americano, prima in Arizona ed ora in Nevada, dove la mia vena artistica ha finalmente potuto avere libero sfogo.

In maniera quasi inconsapevole e d’istinto, ho iniziato a raffigurare i miei più intimi e dolorosi ricordi di guerra. Il mio fervore artistico aumentava di giorno in giorno e, al contempo la mia anima si andava placando. Lentamente, i soggetti dei miei quadri si sono tramutati da ricordi di guerra a personaggi e situazioni dello stato politico attuale, ma rappresentati con senso dell’umorismo, attraverso una satira pungente e una critica sprezzante.

Molti miei amici veterani in quegli anni si rifugiavano nelle medicine prescritte dal Ministero della Difesa per curare patologie psicotiche con narcotici ed antidolorifici. Con gioia io invece posso ora affermare di essere riuscita, sebbene attraverso un lungo e duro cammino, a “curare” e ad alleviare le mie ferite solo seguendo la mia passione, facendo parlare per me le matite, i pennelli, i colori e la creta che plasmavo.

Oggi, che ho raggiunto uno stato di totale serenità posso dire senza tema di sbagliare: l’arte ha salvato la mia vita.

Ho incominciato ad insegnare materie artistiche in un centro di recupero per persone affette da malattie mentali. Un nuovo approccio scientifico, usando l’arte come terapia, invece dei soliti barbiturici prescritti troppo facilmente in molti casi. I miei studenti sono affetti da seri disturbi mentali, dovuti sia ad esperienze di guerra che a patologie genetiche. Ho iniziato ad incoraggiarli ad esprimere se stessi attraverso la pittura, la letteratura, la cucina, la musica ed altre forme artistiche; sono stata testimone di molte trasformazioni drammatiche ma positive dei loro comportamenti; Ciò non sarebbe accaduto solo col supporto delle medicine, che in molti casi assopiscono le passioni invece di legittimarle.

Come risultato, continuando sulla strada dell’arte, ho ricominciato a vivere anch’ io: un piccolo passo artistico alla volta, trovando la mia strada per uscire dall’incubo di essere stata io stessa vittima del trauma.

Ora sono un’Artista che una volta è stata vittima.

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