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Leopardi, il poeta dell'infinito

9 Gennaio 2025 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #serie tv, #poesia, #personaggi da conoscere

 

 

 

Se Leopardi il poeta dell’infinito fosse una qualsiasi serie in costume, mi sarebbe piaciuta. Ma è una serie su Leopardi e non va bene.

La prima puntata si salva: Ranieri che si batte per una degna sepoltura al poeta malvisto dall’intellighenzia e dalla chiesa, il conte Monaldo, superbamente interpretato da Alessio Boni (molto migliorato negli anni come attore), la cui tensione morale e affettiva si rivela da ogni tendine e muscolo facciale, l’austera e terribile madre, felice che il figlio sia malato per poterlo immolare al suo Dio corrucciato. Bello, per dirla in breve, l’inizio.

La seconda puntata lunga, tronfia e quasi inguardabile, con l'improbabile carteggio alla Cyrano de Bergerac fra Raneri e l’Aspasia/Targioni Tozzetti. Passano gli anni e questa sorta di gobbo di Notre Dame rimane troppo giovane, troppo bello, troppo dritto e con lo stesso, anonimo filo di voce per tutto lo sceneggiato (sì, io chiamo ancora così le serie tv e me ne vanto).

Non trovo giusto aver puntato tutto sul Leopardi filosofo, sul suo nichilismo, disfattismo e pessimismo, quando, in realtà, questo “giovane favoloso” era innamorato della vita, dalla quale si sentiva escluso. Ebbene sì, avrebbe rinunciato a tutta la sapienza, a tutta la cultura, alla fama e alla gloria pur di essere come qualsiasi altro. Leopardi amava l’amore e s’infatuava, Leopardi gridava alla luna il suo dolore e la sua rabbia per la cattiveria con cui la natura matrigna si era accanita contro di lui. Insomma, non mi è piaciuto l’aver puntato tutto sulle Operette Morali piuttosto che sui grandi e piccoli Idilli.

La figura del Ranieri, poi, è completamente sbagliata. Da Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi si evince la figura di uno sfruttatore, certo non di un grande, sincero e disinteressato amico, come si vuol far credere qui; il quale non si è battuto perché venisse ricordata la grandezza del genio leopardiano, ma piuttosto le bizzose meschinità di un povero malato: nevrastenia, golosità, piccole cattiverie che sicuramente erano presenti in una figura tanto sofferente e delle quali, però, non c’è traccia nella serie di Rubini.

Concludendo, molto meglio Il giovane favoloso di Martone.

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