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Pongo e Das

25 Gennaio 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo

Pongo e DasPongo e DasPongo e Das

 

Sfido qualsiasi nonno stia plasmando il Didò insieme al nipote a non chiamarlo Pongo.

Il Pongo era un tipo di plastilina della Adica Pongo, in voga ai miei tempi. Era come l’attuale Didò, colorato e morbido, facile da modellare, delizia di tutti i bambini.

Poi c’era il Das, (acronimo del suo produttore Dario Sala che lo brevettò nel 1962), maggiormente ambito se eri più grandicello. Consisteva in un blocco pastoso e compatto di argilla grigia, simile alla creta, che non necessitava di cottura in forno, proprio come quella modellata dagli scultori veri, e potevi farci cose da grandi, persino un vero vaso (come quello della mitica scena di Ghost per capirci). E c’era anche il Vernidas, una vernice da stenderci sopra per vetrificarlo e farlo brillare.

Mia madre mi diceva sempre di usarne poco “se no si seccava”, ed io, dispiaciuta e frustrata, mi limitavo fino a che, ahimè, la pasta seccava davvero senza che ne avessi potuto usufruire. E bisognava stare attenti, perché al minimo forellino della confezione si prosciugava davvero tutto e diventava inservibile.

In seguito si è saputo che il Das conteneva amianto, che tutti noi bimbi degli anni sessanta lo abbiamo maneggiato inconsapevoli e beati, ma vuoi mettere il piacere di usare gli strumenti appositi per tagliare il blocco e cercare di modellarlo? Vuoi mettere aprire la confezione e sentirsi fra le mani quel bel pezzo di creta che si appiccicava al palmo e ti lasciava le mani ruvide e secche? Vuoi mettere le infinite possibilità che si aprivano, nonostante la mia scarsissima manualità? Vuoi mettere la gioia di provare a colorare l’informe manufatto con gli acquerelli e, infine, lucidare il tutto col prodigioso (per quei tempi ingenui e romantici) Vernidas?

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