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O LUNA, O LUNA TU ME LO DICEVI … di Angelo Malinverni

27 Gennaio 2019 , Scritto da Valentino Appoloni Con tag #valentino appoloni, #storia, #recensioni

 

 

 

 

Angelo Malinverni, torinese, medico, classe 1877, ci ha lasciato un diario di guerra molto particolare che copre la sua esperienza al fronte dal 1915 al 1918 nell’alto Isonzo. Il titolo del libro ricorda l'ardita impresa degli alpini che presero il Monte Nero, guidati dal tenente Picco.

L’opera fu apprezzata da Marinetti che ne lodò l’ottimismo futurista e l’assenza di nostalgie deprimenti. C’è da chiedersi le ragioni del giudizio del celebre letterato; certamente il diario è vivace quanto a scrittura e terminologia, linguisticamente appare originale e fuori dai consueti  schemi espressivi. Malinverni chiama le nuvole “nubecole”,  gli shrapnel diventano “srapanelli”, parla di occhi “impeciati di sonno” e gli esempi di invenzione sono davvero molti.

Ma per il resto l’opera non fa (poco futuristicamente) sconti nel raccontare la sofferenza senza rimedio del combattente.

Non c’è esaltazione per la guerra, ma vivissima solidarietà verso i compagni, con pagine intensissime quando si narra di rapporti di amicizia recisi da qualche arma nemica.

Malinverni si sente pienamente partecipe dei disagi e dei pericoli della trincea; sta in prima linea e ha cultura militare oltre che coraggio, tanto da diventare addirittura aiutante maggiore nel battaglione, pur continuando a fare il medico. Una situazione decisamente particolare. Eccolo disegnare le postazioni nemiche, compilare il resoconto dei fatti d’arme da inviare ai superiori, suggerire un’azione per uscire da un momento di grave impasse o dipingere il paesaggio dato che è anche un pittore.

È un testo che spesso ci fa sorridere; come nel Diario di un imboscato di Attilio Frescura, il libro abbonda di battute, episodi spassosi, ironia.

Non si può comunque non pensare all’elenco dei tanti caduti del battaglione in cui il medico era diventato per i commilitoni una sorta di mascotte e di portafortuna, dato che, in mille azioni cui anch’egli aveva preso parte, l’esito era stato abbastanza felice per il reparto. I molti episodi del 1915 descrivono con efficacia le prime fasi della grande mattanza al fronte e danno l’idea del compito immane dei medici durante le battaglie: “.. passo da un ferito all’altro, al fioco lume d’un moccolo vagolante sostenuto dal cappellano ... Che fare di fronte ai feriti all’addome, votati a morte quasi certa, che bisognerebbe muovere, e qui non si possono tenere?”

Particolarmente intenso è il resoconto di una giornata passata a Gorizia allo scopo di procurarsi le bare per gli ufficiali amici morti, passando a stento tra le maglie della burocrazia e col pensiero sempre ai compagni perduti.

Esemplare, inoltre, quando descrive gli spostamenti notturni in montagna tra strapiombi e dirupi, con il rischio delle valanghe che obbligano a soccorsi temerari per cercare di salvare i soldati travolti.

Il dato di fondo, comunque, è che il tono leggero e a tratti scanzonato non riesce a distogliere dal dramma consumato sui monti del Carso, raccontato in modo indimenticabile.

Chi desidera procurarsi il libro, può scrivere all’Associazione Carsoetrincee (carsoetrincee@gmail.com) che ha curato la riedizione di ottimi diari e memoriali, tutti recensiti in questo blog.

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