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gino pitaro

Domenica Blanda, "Le mie impronte"

3 Luglio 2020 , Scritto da Gino Pitaro Con tag #gino pitaro, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Domenica Blanda, alias Anna Cavestri (o forse no?), è una poetessa di origini siciliane che sin da bambina abita nella bella Verbania, alle rive del Lago Maggiore.

La poesia dell’autrice è pervasa da alcuni punti cardine, che poi sono le sue sofferenze, quelle dei tempi andati e che affondano in legami familiari antichi e più recenti, che hanno come base la separazione, secondo un concetto ampio ed estensivo. Sofferenze che lacerano, che provocano fratture mai del tutto ricomposte nell’animo. Formano la base del sentire della poetessa. Eventi mai resi noti al lettore, ma che abilmente prendono forma nel qui e ora dell’autrice, senza mai essere esplicitamente enunciati.

 

È bastato mettere un segno.

Un pezzo di vita che muore.

Un sogno infranto, un fiore appassito.

E quello che rimane è

Un piccolo germoglio.

 

L’autrice pur nel suo crogiolarsi nel passato guarda sempre al futuro, in un suo futuro, dinamico, spaziale. Il passato è sia spinta che vincolo per Anna.

 

Com’è bello

Di tanto in tanto,

abbondonare il timone

Lasciarsi andare.

E sorprendersi.

Nel procedere leggeri.

Sentirsi fatti d’aria

Staccarsi da terra.

E fluttuare.

Euforia dell’essere.

Dolcezza dei pensieri.

Lasciarsi portare dal vento.

Alito di vita.

 

C’è questo indugiare in sé stessi, percorrendo spazi, lasciandosi coinvolgere dalle suggestioni che essi evocano: una caratteristica peculiare dell’autrice e che sento anche molto mia. In tal senso l’essenza struggente della natura e della materialità è sempre colta dalla poetessa, in cui lo spazio fisico svolge un ruolo essenziale.

 

In un tappeto d’acqua

guardo i miei giorni che passano,

i miei malanni.

In un tappeto verde

stendo i miei dolori,

alzo gli occhi e vedo

i miei mattini grigi.

In un tappeto di terra

Metto la mia caducità.

In un tappeto di cielo c’è dentro la mia caducità.

In un tappeto di cielo c’è dentro la mia notte

e la mia insofferenza.

È lì la mia inquietudine

Come dentro una gabbia dorata.

 

Esemplificativa lirica del modo di possedere l’ambiente da parte della poetessa e di interagire con esso. Ripeto, è un aspetto che sento molto mio. Poesia lacustre, fatta di fiori, alberi, scorci urbani, come le sue foto, come secondo una poesia molto bella della sua raccolta, di cui riporto alcuni versi: Un pensiero gentile/Che accolga la mia mente/Che coccoli tutti i miei pensieri/e che inviti i desideri/a un dolce riposare. Ma c’è anche l’attesa: Un giorno,/quando l’anima mia si scioglierà/in tenero pianto/e le energie del mondo tutte/nel mio cuore andranno,/allora,/ti incontrerò./Ogni memoria/svanirà/Insieme andremo/In un posto segreto,/con la musica/tra le nuvole,/sonno eterno.

 

L’animo gentile, aperto della poetessa, ci dice che ‘Sto  alla notte/come l’ape al fiore/L’aurora per quanto rosa,/mi porta via il miele.

 

E noi percorriamo le stesse orme dell’autrice, facendole nostre, lungo la battigia del lago, metafora autentica della raccolta.

La silloge è edita nel 2019 da Edizioni Effetto, casa editrice torinese nata nel 2017.

 

Domenica Blanda, nasce a Mezzojuso (PA) nel 1960. All’età di sette anni si trasferisce a Verbania, sul Lago Maggiore, dove tuttora vive e lavora. Dopo gli studi classici consegue la Laurea in Scienze Sociali presso l’Università Bicocca di Milano, e in seguito a Genova (dove vivrà per dieci anni) consegue specializzazione in ambito psichiatrico e diploma triennale di musicoterapia.

Nel 2017 pubblica la raccolta di poesie L’eco e io (Il Viandante).

Nel 2018 riceve il premio come “autore segnalato” sezione silloge inedita al Premio Internazionale di Poesia e Narrativa “Giovanni De Scalzo” – Città di Sestri Levante.

Nello stesso anno pubblica poesie inedite nell’Antologia dei poeti (Il Viandante) e partecipa al Concorso “Racconti siciliani”, con la pubblicazione di alcuni racconti selezionati (Historica Edizioni).

Nel 2019 partecipa con poesie inedite al concorso letterario del Festival Etna Book, a Catania e riceve il Premio della Critica.

Link Wikipoesia: https://www.wikipoesia.it/wiki/Domenica_Blanda

 

 

Note biografiche di Gino Pitaro:

Nel suo percorso svolge varie attività, tra cui quella di redattore e di documentarista indipendente.

Nel 2011 il suo esordio con I giorni dei giovani leoni (Arduino Sacco Editore), poi per la Ensemble pubblica rispettivamente nel 2013 e 2015 Babelfish, racconti dall'Era dell'Acquario’ e Benzine, vincendo numerosi premi letterari.

La Vita Attesa è il romanzo per Golem Edizioni pubblicato nel 2019

L'autore vive in provincia di Roma.

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Paolo Cordaro, "Memorie in versi"

13 Giugno 2020 , Scritto da Gino Pitaro Con tag #gino pitaro, #recensioni, #poesia

Paolo Cordaro, "Memorie in versi"

 

 

 

 

Memorie in Versi (WritersEditor, 2020) è la nuova silloge del poeta tiburtino. Più volte ho detto che, secondo me, Paolo Cordaro è un poeta necessario, che canta un luogo di transizione tra la periferia romana e le adiacenze a essa: una specificità territoriale che a sua volta è portatrice di storia e tradizioni di grande importanza, legata a Tivoli. È un poeta che va a occupare un vuoto preciso, perché l’umanità e le emozioni di cui trattano i suoi versi, collocabili prevalentemente tra gli anni ’70 e ’80, per poi confluire in un presente spesso formale - che ambisce al politicamente corretto, ma soggiogato nella sua labirintica umanità -, ci restituiscono la memoria di un affresco urbano particolare e al contempo universale nell’immaginario italiano.

La pianura delle Acque Albule (Albula peraltro è il nome primigenio del Tevere), reifica una romanità territoriale sganciata dalla Capitale eppure ancora più verace, come per molti versi quella di borgata, che nel suo (nostro) caso però dipende da un territorio prestigioso, quello di Tivoli. Essendo io residente in questi luoghi da diversi anni, sentivo la necessità di recuperare la memoria di un posto così particolare, con le terme, le fonti, che una volta penetravano sottotraccia nel dedalo delle strade, il suo non più forte odore di zolfo, così salutare, che richiama un’idea di veracità, libera, quasi selvaggia tra canneti, anfratti, boschi, laghetti, ninfe e sibille. In questo senso per me il poeta risponde a un dovere di recupero profondo. Se Cordaro non ci fosse bisognerebbe inventarlo, e in fondo la sua poesia si innesta nella progressione sociale dell’area, ormai facente parte di Roma Città Metropolitana, che ha visto cambiamenti, interazioni, la grande immigrazione dall’Est Europa, una forte espansione dell’edilizia residenziale, dovuta anche alla scelta abitativa di impiegati e operai che lavorano nel cuore di Roma. Io stesso che vi abito dal 2004 l’ho vista mutare, e ancora in quegli anni era considerata un limbo, mentre oggi è luogo ambitissimo in cui vivere e da cui muoversi, merito anche dei lavori di potenziamento dei trasporti, a iniziare da quelli della ‘metro regionale o provinciale’ FL2.

La poesia di Cordaro è anche fortemente generazionale, legata a quei contesti di canzoni, di pallone (e di pallonari), muretti, chiacchierate, amori, che si sostanziano in classi di età aperte al mondo ma ancora lontane dal digitale e perfino dall’analogico per molti versi. La sua sensibilità è per determinati aspetti affine alla mia, nell’esplorare e curare nicchie esistenziali fatte di persone, mestieri, e varia umanità che dialogano con i mattoni, il legno, le colle, i cantieri, i calcinacci, le polveri, il cemento, che fanno capolino con i tanti ‘nzi capito’ e poi esibiscono alla vista mani che vogliono dire esperienza, che si guadagnano il rispetto da parte degli altri e resuscitano sentimenti cotti dal sole o conservati dal freddo; un percepire crepuscolare, introspettivo, che si esalta in quelle geometrie di passaggio e transizione rappresentato dalle rotaie, dai caselli, dalle stazioni: luoghi di ‘meditazione’ e che invitano a guardarsi e a pensare per eccellenza, che fanno da amplificatore delle emozioni, perché la borgata è alle spalle, perché dalle stazioni si parte, perché i binari portano lontano e il cuore della Capitale deve ancora essere raggiunto.

Concrezioni urbane, quelle del poeta, che sono ‘Piccole case d’avorio/con gli occhi di smeraldo/tutte uguali/tutte in fila come noi/con i piedi nudi sull’asfalto/a scattare, a rincorrerci/giù per la discesa/giù fino alla “Z”/per accendere il gran falò/e farlo più alto che si può. (da Borgonuovo), ma Nella stagione del sole che/tramonta alla fine della via,/giocavamo a rincorrerci/in controluce, senza tregua,/sul campetto della quarta strada,/al confine dell’asfalto,/tra la casa di Felicetto e/quella di sor Michele,/cauti dallo zoppo con le forbici che/interrompeva i sogni sfregiandoli,/in quello spazio/dove si volava da una porta all’altra,/in barchette di cotone blu/o in scarpini di cartone,/col pallone che andava a vento… (da La Stagione del Sole).

Consiglio vivamente questo libro a tutti, ma soprattutto ai cittadini tiburtini di tutte le generazioni. Cordaro è zolfo che accende i circuiti della mente, innesca scintille che illuminano percorsi esistenziali, mentre a volte è acqua albunea che ci trasporta in luoghi ameni, agrodolce fiume della nostalgia. Il poeta inoltre ormai è un pilastro culturale di iniziative sempre più importanti. 

 

Paolo Cordaro nasce a Bagni di Tivoli (oggi Tivoli Terme) il 30 agosto 1966.

Scrive poesie e racconti da più di venti anni. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie: A tua immagine (2002), Gocce di Sole (2006), Aulenti Dintorni (2009), La meta dell’essere (2012), Frammenti d’Essenza (2014) e nel 2016 Il Senso del Cammino, un poemetto composto dal 540 terzine diviso in 14 canti, mentre del 2018 è la volta di Suadenti Sensazioni, una raccolta di poesie d’amore con la prefazione curata da Marcia Theophilo, poeta candidata al Nobel per la letteratura

Le mie poesie sono emozioni in versi, sono la mia libertà di confrontarmi con le brutture del mondo moderno. Metto in versi i miei ricordi di infanzia, le mie prime passioni, ma anche ciò che sono adesso. Vivo le emozioni della poesia come ossigeno. Non potrei mai vivere senza riempire i fogli bianchi delle mie emozioni.

È membro di Giuria del Premio Internazionale di Poesia Orazio, da lui ideato.

 

 

Note biografiche di Gino Pitaro:

Nel suo percorso svolge varie attività, tra cui quella di redattore e di documentarista indipendente.

Nel 2011 il suo esordio con I giorni dei giovani leoni (Arduino Sacco Editore), poi per la Ensemble pubblica rispettivamente nel 2013 e 2015 Babelfish, racconti dall'Era dell'Acquario e Benzine, vincendo numerosi premi letterari.

La Vita Attesa è il romanzo per Golem Edizioni pubblicato nel 2019

L'autore vive in provincia di Roma.

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Ian Seed, "Sognatore di sogni vuoti"

14 Maggio 2020 , Scritto da Gino Pitaro Con tag #gino pitaro, #recensioni

 

 

 

 

Sognatore di Sogni Vuoti

Ian Seed

Edizioni Ensemble, 2018

 

Autobiografia

Ho incontrato il mio amico Dante in una piccola tenda che lui aveva montato proprio fuori della stazione del treno. Nessuno si era opposto alla sua permanenza qui, anche se la sua tenda era un po' un intralcio durante le ore di punta. Tuttavia non c’era alcun motivo perché lui si accampasse ovunque – aveva più di mezzo milione di sterline in banca, che per la maggior aveva guadagnato dalla pubblicazione a proprie spese di un’autobiografia. Si era tenuto una copia per sé accanto. Era consumata per l’uso e le sue pagine avevano delle vecchie macchie. La mostrava a chiunque gli dava una monetina(pag. 26)

 

Ian Seed è professore associato presso il Dipartimento di Letteratura Inglese dell’Università di Chester in Inghilterra, con un dottorato anche in Letteratura Italiana. Per un po’ di anni ha vissuto anche in Italia. Nella sua bella carriera ha scritto diverse opere, soprattutto sillogi, raccolte. È considerato uno dei maggiori poeti britannici contemporaneo.

Il libro pubblicato dalla Ensemble nel 2018, tradotto da Iris Hajdari, è singolare. Innanzitutto un curioso richiamo viene dal suo cognome, ‘Seed’, che è parola che in inglese vuol dire seme, e questi brevi racconti poetici sono ‘semi’, una via di mezzo tra la ‘proesia’ e la forma letteraria del racconto, che però nel caso specifico sono particolarmente brevi. La raccolta in questione si sostanzia quasi come un genere letterario nuovo, e questa è già una buona notizia. Lo stile è rigoroso e al contempo ondeggiante, quindi talvolta l’autore usa il registro grottesco, surreale, ma la sua scrittura è anche in grado di ricordare la prosa di Raymond Carver. Le sue brevi o brevissime composizioni, come quella di cui sopra, finiscono per timbrarsi sempre nell’animo del lettore, permangono, fanno capolino nella mente, sono davvero ‘semi’ inoculati nell’animo del lettore, e sono sicuro che il poeta ne sia consapevole e in qualche modo egli per primo abbia voluto giocare con ciò, a partire dal suo cognome. I temi sono quelli dati dalla quotidianità, da quei piccoli e grandi eventi che costruiscono il nostro destino: circostanze e intersezioni con gli altri che finiscono per essere determinanti o comunque farsi esperienza nell’animo umano. Seed ci mostra non tanto quanto le apparenze siano diverse dalla realtà, ma come questa sia multiforme, e che quello che noi afferriamo di essa è solo condizionato dai nostri pregiudizi, per cui ogni situazione deve rispondere a un nostro paradigma mentale, mentre la realtà è molto più articolata di quello che filtra la nostra mente.

Infine il libro è anche da consultazione, magari proprio aprendolo a caso, come a richiedere a esso un vaticinio, e non è davvero da escludere che vi sorprenda davvero. Oppure uno di questi quadretti può accompagnarvi nelle vostre riflessioni o nel gioco animico durante un viaggio.

La traduzione di Iris Hajdari è eccellente, tranne per qualche refuso. Il titolo italiano della raccolta non rende quanto quello inglese, negativizzandolo. Il libro è stato pubblicato nel Regno Unito da Shearsman Books nel 2014, intitolato Makers of Empty Dreams.

 

Note biografiche di Gino Pitaro:

Nel suo percorso svolge varie attività, tra cui quella di redattore e di documentarista indipendente.

Nel 2011 il suo esordio con I giorni dei giovani leoni (Arduino Sacco Editore), poi per la Ensemble pubblica rispettivamente nel 2013 e 2015 Babelfish, racconti dall'Era dell'Acquario e Benzine, vincendo numerosi premi letterari.

La Vita Attesa è il romanzo per Golem Edizioni pubblicato nel 2019

L'autore vive in provincia di Roma.

Ian Seed, "Sognatore di sogni vuoti"
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Giovanna Iammucci, "Memorie di una strega"

9 Maggio 2020 , Scritto da Gino Pitaro Con tag #gino pitaro, #recensioni

 

 

 

 

 

Ero curioso di leggere questo romanzo e devo dire che non sono rimasto deluso. È la storia di un percorso iniziatico, fantasioso, sempre avendo presente che c’è nulla di più reale che il fantastico. L’autrice colloca questa storia di crescita di una Janara (Strega, Maga, forse derivato dalla Dea Diana), della consapevolezza dei suoi poteri, lungo un percorso di ricerca interiore ed esteriore in un’epoca indefinita, che anche il linguaggio usato nei dialoghi rende piacevolmente incerta. Un aspetto voluto, non lasciato al caso, perché l’autrice vuole che la sua protagonista, Donna Isabetta, sia di ogni tempo. Azzeccatissimi i nomi dei vari personaggi: non è una cosa facile, che ha la sua importanza. Il lettore percorre quindi una storia che va dagli albori familiari, intersecandosi con i saperi antichi, figure ancestrali, legami di sangue, lotte, diatribe, avventure che diventano rivelatrici, quindi mondi di incantesimi, sette e fate, fino all’epilogo. Il racconto è disseminato da piccole e grandi sorprese che animano piacevolmente la storia. Una lettura quindi senz’altro gradevole, ma quello che io personalmente ho trovato più interessante è il legame dell’autrice con la sua identità, che è ben radicato in terra campana, terra di Streghe, di ‘Janare’ e ‘Magare’, come tanta Italia e tanto Sud, senza escludere tutta l’argomentazione europea, di cui peraltro l’autrice è influenzata. Il Sud è topos geografico peraltro che ha a che fare con le Streghe, anche per il noto premio letterario e il suo irrinunciabile sponsor, ‘Lo Strega’ beneventano, davvero ottimo e con il quale si fanno pure eccellenti gelati. L’autrice è legata al rapporto antico con le forze della natura, con le sue concrezioni fisiche e spirituali, con le stratificazioni che ne fanno parte. Un aspetto che non è alieno alla mia sensibilità. Queste sono generazioni che ancora possono avere un legame con antichi riti e sapienze, e specialmente per chi ha qualche anno in più è facile ripescarli nel cofano delle proprie memorie. Altre persone, o pure coloro che hanno ereditato determinate tradizioni, possono comunque recuperare specifici saperi attraverso rigorose ricerche e la pratica stessa. La narrazione della Iammucci si infarcisce di opportuni riferimenti storici, invocazioni, citazioni letterarie e anche storiche relative alla caccia alle streghe, alle festività che in qualche modo vi sono vincolate.

Un altro aspetto che mi piace è che l’autrice narra tutto con freschezza, con un’inconsapevole dolcezza e leggerezza, accompagnando tutto con un filo di eros e trasmettendo la chiara importanza che per lei ha questa riappropriazione, questa dimensione archetipica femminile, di indipendenza e legame con la Madre Terra. Di fondo Isabetta è l’autrice stessa, pur non essendo un’autobiografia romanzata.

 

Giovanna Iammucci nasce a Torino nel 1980 ma risiede ad Olevano sul Tusciano in provincia di Salerno. Ha pubblicato due romanzi L’altra metà dei miei occhi e Memorie di una strega editi da Aletti Editore, oltre ad aver partecipato a concorsi importanti come “Il Federiciano” (Aletti Editore), “Il Tiburtino” (Aletti editore), il “Cardile” (Il Saggio editore), “Auletta Terra mia” (Il Saggio editore), “Concorso internazionale di poesia l’Angelo” (Il Saggio editore). Partecipa inoltre al concorso nazionale di narrativa “9 settembre 1943, Operazione Avalanche” (Il Saggio editore) aggiudicandosi un posto nell’antologia. Ha pubblicato varie poesie nelle antologie della Aletti e anche sulla rivista de Il Saggio. Alcuni suoi monologhi sono stati interpretati teatralmente in eventi locali.

Collabora con la rivista “Il Saggio” (Eboli- SA) e ha scritto varie recensioni.

 

Note biografiche di Gino Pitaro:

Nel suo percorso svolge varie attività, tra cui quella di redattore e di documentarista indipendente.

Nel 2011 il suo esordio con I giorni dei giovani leoni (Arduino Sacco Editore), poi per la Ensemble pubblica rispettivamente nel 2013 e 2015 Babelfish, racconti dall'Era dell'Acquario e Benzine, vincendo numerosi premi letterari.

La Vita Attesa è il romanzo per Golem Edizioni pubblicato nel 2019

L'autore vive in provincia di Roma.

 

 

Giovanna Iammucci, "Memorie di una strega"
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Samuel Stern, "Il nuovo incubo"

11 Dicembre 2019 , Scritto da Gino Pitaro Con tag #gino pitaro, #recensione, #vignette e illustrazioni

 

 

 

 

È certamente tra i fumetti l’uscita più importante dell’anno. I motivi per piacere sono molti: Samuel Stern lavora in una libreria, dove restaura testi antichi, è scozzese, e ha per comprimario un prete irlandese molto poco ortodosso. L’epicentro geografico del fumetto è Edimburgo, poi da lì e per i prossimi molti anni - ci si augura - la sua azione si snoderà ovunque. Il suo passato è misterioso come il suo presente. Ha una figlia. Indaga sui casi dell’ignoto, possessioni o infestazioni paranormali che si intersecano nella vita degli individui, che per lui diventano casi da risolvere in quanto demonologo. La caratterizzazione, anche fisiognomica, del personaggio sembra forte, ben studiata, così come le tavole e i dialoghi. Nel corso dei numeri scopriremo di più, anche sulla sua storia.

Domanda di prammatica: cos’ha o cosa può avere di diverso questo personaggio rispetto a Dylan Dog? Fumetto che, assieme ad altro, ha contrassegnato fortemente per più di tre decenni una certa area tematica. È presto per affermarlo, ma Samuel Stern sembra essere più profondo come personaggio, più capace di condurci alle ragioni degli incubi, alle cause e ai rimedi per essi. Gli incubi non sono una pura materializzazione delle paure ma l’espressione di qualcosa che esiste, di reale, traslata anche su piani metaforici. Samuel Stern conosce la letteratura che si occupa di magia, lo sciamanesimo, i testi sacri e molto altro. In tal senso la sua caratterizzazione sembra essere più specifica rispetto ai suoi predecessori, alcuni dei quali godono di ottima salute. È prematuro, ma potrebbe essere anche riduttivo costringere Samuel in un terreno delimitato alle sole infestazioni e possessioni. Ritengo che proprio il fatto che si parli di un personaggio in qualche modo colto, possa aprire nuove prospettive. I cosiddetti ‘spiegoni’, se ben calibrati e misurati, sono importantissimi in un fumetto, come in questo primo numero.

Samuel Stern è il Dylan Dog del nuovo decennio? Ha tutte le carte in regola per affermarsi come tale nell’immaginario, ma è anche una figura che se ne distacca. È altro.

Il personaggio è creato da Gianmarco Fumasoli e Massimiliano Filadoro, con gli ottimi disegni di Luigi Formisano, all’interno di una delle realtà più dinamiche del panorama editoriale dei fumetti, cioè la Bugs Comics di Roma, in continua espansione. Bella la copertina di Maurizio Di Vincenzo.

Lo scozzese rosso è l’eroe e antieroe che si confronta con i propri demoni e combatte contro quelli degli altri. Dove ci condurrà?

 

 

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