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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Maria Giovanna Massironi, "Cronache della terra di nessuno"

7 Novembre 2022 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Cronache dalla terra di nessuno di Maria Giovanna Massironi (Albaccara - Casa editrice, 2020 pp. 112 € 12.00) è una raccolta poetica intensa che assorbe dalla consapevolezza del dolore la linfa vitale e compassionevole della memoria. La poesia di Maria Giovanna Massironi accoglie testi arrendevoli al disagio emotivo e resistenti al vincolo della speranza. L'autrice genera, attraverso una persistente confessione quotidiana, l'apprensione del proprio stato d'animo, la sofferenza dei giorni e delle notti, scandita dall'irrequietezza dei pensieri, in balìa del segnale della frattura esistenziale. Coglie la lesione dell'anima, una ferita accompagnata dalla malinconica amarezza di ogni sospensione della vertigine e dal profondo tormento per gli incubi e i fantasmi che si aggirano, crudeli e magnetici, nella sua mente. Maria Giovanna Massironi abita la terra di nessuno, il territorio conteso dai timori e dalle incertezze del vivere, il non-luogo della fluidità sensibile, il confine interpretativo della propria identità. Il libro confessa la rapida e spontanea evidenza dello smarrimento emozionale, sintonizza il fruscio segreto dell'umore, il silenzio nascosto dell'inadeguatezza. I testi, solo apparentemente frammentari, elaborati con la lealtà dell'impulso, donano il senso compiuto e graduale di una scrittura senza impedimenti, la libertà sincera di una funzione liberatoria, la capacità creativa di orientare le energie soffocate dall'affanno della perdizione. Cronache dalla terra di nessuno esprime una forma di premonizione istintiva, avvinta alla soglia del mondo interiore e all'esperienza delle sensazioni, collega l'ipotesi indefinita e disorientante delle difficoltà al riscatto di un orizzonte vagheggiato, varca la soglia della malinconia osteggiando l'inquietudine. Maria Giovanna Massironi resta “in limine”, sulla soglia dell'espressione, dona al lettore il suggerimento sentimentale per affidare alla vita sempre una straordinaria opportunità di rivendicare il proprio tempo. L'occasione letteraria di sollevare le proprie riflessioni evidenzia il privilegio di tradurre l'oggettività delle pagine dense di significato, di comprendere l'avvicendarsi degli eventi patiti, di condividere l'importanza del vissuto, la commovente e indecifrabile percezione della grazia. La poesia gratifica ogni ispirazione individuale, estende la consistenza del respiro universale, sfiorando la complicità della resistenza. La provvisorietà di una bruciante esistenza collega l'influenza dei versi, disgiunge la frattura dell'anima, il duro scontro inevitabile con la realtà, coglie la complessità delle vicissitudini, l'enigma delle illusioni. La poetessa, con uno stile originale, convincente e attuale, segue sempre l'eco di una psicologica attenzione al monito della coscienza, nell'individuare la riparazione del torto, nel consolidamento temporale dello spirito.

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

Notte dieci. Giorno undici.

 

La notte appartiene agli ubriachi

e l'alba conserva

il suo splendore di albicocca.

La rivoluzione resterà un sogno

perduto nelle chiacchiere del mattino.

Voce d'argano e ruggine

viene dal mare e vi si perde.

Non il velluto, ma la ruggine

ha invaso ogni cosa.

Ci ha preso cuore e cervello.

Nervi e sangue.

Al richiamo di quella voce

abbiamo inseguito chimere

e mille volte siamo morte.

 

Nel giorno undici

non c'è posto per noi.

Stiamo come in porto

a tagliare pomodori,

a prua della nostra

piccola casa rosa.

                 Solo le zanzare sono tornate.

 

Notte trentuno. Giorno trentadue

 

Nella notte abbiamo perso un calzino.

Il destro per l'esattezza.

Pensando di fare bene

ci siamo tolti anche il sinistro

e abbiamo sbagliato.

Alle ore 5,28 siamo completamente

svegli con tutta la nostra disperazione

e i piedi gelati.

Sotto le finestre, niente storie

di lupi e di pirati.

 

Il cielo è azzurro e le strade sono deserte.

Niente ci consola.

Il giorno trentadue inizia

pieno di ansie e preoccupazioni.

Spegniamo la radio.

                               Ci sono cose che

                            non si possono più ascoltare.

 

Notte quarantatré. Giorno quarantaquattro

 

Il buio non finisce mai.

Attraversiamo la città,

camminando sotto la pioggia.

I tetti sono lucidi

e noi siamo bagnati fino alle ossa

come le nostre carte

e i libri che portiamo a tracolla.

Sono bagnati i quaderni con le copertine

di cartoncino leggero che si slabbrano

e si abbandonano ad un'onda molle e pendula.

Siamo svegli dalle cinque.

Piove e non fa freddo.

Le nostre scarpe non tengono più la pioggia

e l'acqua arriva fino alle caviglie,

gonfia le calze che resteranno umide per ore.
L'ombrello ci avvolge floscio

e ci rende difficile vedere

dove mettiamo i piedi.

La tracolla ci taglia il respiro.

Tosse e fuoco nel petto.

Torniamo a casa

cercando una fuga

tra i buchi del selciato

che sono piccole voragini

di terra e sassi.

 

Nel giorno quarantaquattro

qualcuno si è preso la sua piccola vendetta.

 

                              I nani hanno lasciato il giardino

                              e con le scarpe infangate

                             sono entrati in casa

                             sporcando dappertutto.

 

Notte cinquantotto. Giorno cinquantanove.

 

Che parole usare nel giorno più buio?

Tronche? Piane? Sdrucciole? Bisdrucciole?

Piane, con cadenza di adagio.

Rassicuranti e confortevoli parole piane.

Casa. Libro.

No certo caffè oggi.

E neppure gioventù

e meno che meno libertà.

Le parleremo tutte piane.
Sommesse, quasi silenziose.

Piano. Piano. Forte.

Il presente è all'improvviso tronco.

Ricorderò.

Ricorderemo estati perdute.

Le città sul mare. I caffè turchi. I sogni.

I tuoi occhi bellissimi.

Le domeniche a san siro.

Le luci in galleria.

La sabbia umida. Le partire a pallone.

La salita ai bottini. Gli ulivi. I gatti.

Suonare insieme alle vocali.

                                      Per una volta guardare indietro.

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Enza Sanna, "Nei giorni"

6 Novembre 2022 , Scritto da Maria Rizzi Con tag #maria rizzi, #recensioni, #poesia

 

 

 

Enza Sanna, Nei giorni, pref. di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 100, isbn 978-88-31497-89-3, mianoposta@gmail.com.

 

Con autentica ammirazione mi sono imbattuta nel canto elegiaco di una poetessa che affresca versi nei quali si respirano le pietre profumate di antico, le chiese di incenso, le botteghe di cuoio e le pasticcerie di canditi della sua Genova. Mi sono trovata di colpo nel dedalo dei caruggi, scoprendo, sin dalle prime pagine della sua nuova silloge Nei giorni, che il mondo lirico di Enza Sanna tende a operare un distinguo tra fantasia e immaginazione. Se di consueto l’esistenza è votata ai fatti, l’immaginazione aiuta a conservare le illusioni, e in effetti non possiamo fare nulla senza averlo prima desiderato e idealizzato. «… / È incontro di mente e cuore / passione e cautela / trascendenza e ragione / è rischio, è sfida di sopravvivenza / gioia prima della gioia / oltre ogni comprensione /…» (Certezza di cose vere). La poesia che apre la Raccolta narra ciò che una profana come la sottoscritta non sa dire con le parole. Vola sul piano metafisico, disciplina la realtà attraverso l’inventiva, stupisce nel dimostrare come il senso del nostro percorso terreno sia nella delizia del disordine, «nell’ingrandire così tanto il momento da riuscire a fare dell’eternità un niente, e del niente un’eternità» (cit. Blaise Pascal).

L’Autrice sceglie di esistere in un non-luogo del pensiero, che concede tregue alle fatiche del tempo: «…/ Mi rifugio negli oggetti di casa / pezzi sinceri di verità / che narrano una loro storia / fatta di rapporti con chi la abitava / quasi impazzito innamoramento verghiano /…» (Sopraggiunge il crepuscolo). In una Poetessa visionaria è straordinario il rimando al neo-realismo dell’artista siciliano, definito come una scelta di follia, come il vano pascolo di uno spirito disoccupato. Interessante ed esaustivo il riferimento agli ‘oggetti di casa’ che testimoniano il rapporto ‘con chi la abitava’, non con colei che scrive. La Sanna dimostra che il poeta non traduce in parole una visione, in quanto la sua visione si elabora in esse. Ella crea la distanza dal mondo oggettivo mentre asserisce di trovare riparo in esso. Raramente ho letto liriche così esplicative dell’autentico universo poetico. L’incandescente purezza della nostra Artista dimostra che l’ispirazione permette di proiettare il proprio flusso di concezioni interiori in un mondo che ne è dannatamente privo.

Il Poeta possiede il dono di vedere ciò che è invisibile agli altri. «…/ La mutevolezza dell’essere / la precarietà delle cose / crean un vuoto d’intorno / come andar fra estranei / tra chi le spalle ci ha volte / con una sola dolorosa certezza: / non ci si bagna nella stessa acqua / due volte. /…» (Bellezza d’anima e di sensi). Si sente ancora, forte, il senso della vita che sguscia come polvere nella clessidra, nei labirinti dei caruggi tra i quali è fin troppo facile perdersi, non sapere cosa si nasconda dietro la prossima curva. La chiusa eraclitea evidenzia che non ci si può bagnare ogni giorno, anzi, in ogni momento, nello stesso fiume, perché ogni cosa, ogni alba, ogni sole, sono sempre in movimento, forze dinamiche, dialettiche. La mente coincide con il passato, è memoria accumulata e se si guarda l’esistenza attraverso essa ogni cosa sembra polverosa, sporca, vecchia. Se si riescono a mettere da parte i ricordi, ogni esperienza, ogni amore diviene nuovo di continuo. Nessuno conosce mai nulla. Rimaniamo estranei, eternamente estranei. Schiavi del vortice dei giorni, che possono sembrare tutti uguali, come le aste sui quaderni dei bambini.

La Sanna vola alto, dietro l’apparente nichilismo, conosce l’armonia del creato e prova a guardare la vita affidandosi alla meditazione, all’armonia interiore. «…/ Improvviso il tempo si è fermato / su un’ombra che credevo cancellata, / sembianza vaga che mi fa pensare: / non si dissolve pur nel suo passare / il tempo che fu quello dell’amore / per ritrovarti ancora nella luce / quando il giorno tace / ché l’intesa perfetta non chiede consensi / neppure uno sguardo per sentirci accanto /…» (Improvviso il tempo si è fermato). L’amore trascende le visioni, è sentimento pulsante, che può fermare il senso eracliteo del fiume nel quale ci bagniamo, ma secondo l’Autrice non chiede parole, ‘consensi’, esiste e lo si riconosce, come recita Pablo Neruda: «E da allora sono perché tu sei, / e da allora sei, sono e siamo, e per amore sarò, sarai, saremo».

La Sanna varca con incredibile semplicità i limiti del concepibile, la sua non è poesia di confini, in compenso genera misteri, è evocativa degli stati dell’inconscio. Ed è tesa alla luce divina che è dentro di noi. Quella che non appartiene a una religione in particolare, ma a tutti i credenti. «…/ La solitudine, che ci fa amici di nessuno, / noi rivali persino a noi stessi, / pesa anche sul foglio bianco / inoperoso maggese a ritemprarsi / quando t’assale la paura della vecchiezza più della morte / e il pianto che non sgorga, non si vede / è silenzio di pietra. / Ma se improvviso sopraggiunge il canto / intenso bagliore splendido di luce / feconda è l’ora / e chiaro il giorno della festa» (Giorno di festa). La caducità del tempo che ci è dato in sorte, intesa in senso etimologico dall’Autrice, ovvero dal latino ‘caducus’ - cadere, che è destinato ad avere breve durata, la avvolge come sudario, soprattutto nei giorni di festa,  ma esiste un modo per sentir cantare l’anima, per sollevarci al di sopra delle barriere della vita materiale: cedere alla verticalità.  Il viaggio spirituale, che si può compiere in ogni momento, consente l’accettazione del ritorno della luce nei nostri cuori.

La Poetessa, lirica dopo lirica, trascina nelle spirali del suo disincanto, dei suoi dubbi e delle sue vivide, altissime illuminazioni, e rende consapevoli che la Poesia rappresenta un mezzo di comunicazione superbo e ‘terapeutico’, come ella stessa recita. Io non conosco Enza Sanna, ma attraverso i suoi versi ho seguito il ritmo dolce e profondo di un’arpa celtica, lo strumento che possiede le sonorità adatte a instaurare un dialogo tra chi suona e chi ascolta, e ho avuto la meravigliosa sensazione di percepire i ritmi di corporeità, le tensioni, la postura, il timbro vocale, la gestualità e la mimica di questa Musicista della parola. Mi è sembrato addirittura di vederla passeggiare nei luoghi che le sono cari, in quella Genova che sa unire più di molte altre città il passato, il presente e il futuro, crocevia di culture e di popoli fin dall’antichità. Sento di essere nel vero, la fusione d’anime si è compiuta: «…/ Frammenti di nubi vagano nel cielo / avanzi di abiti dismessi / che non oscuran i muretti a secco / della mia terra / né i morbidi profili dei colli / sui borghi raccolti. / Avara è la natura dei suoi doni / ma negli orti domina il carciofo / guerriero antico, / il pallido limone / raggio di sole convertito in frutto, / l’asparago turrito in carnosi germogli / dolce e selvaggio in uno. / Immersa in questa realtà vivo il mio tempo, / compagni la solitudine e il silenzio / quasi vertigine dinanzi all’abisso / mentre sulla pagina bianca gioca la parola / ora reale ora d’invenzione, / musicalità che segna tempo e spazio dell’assenza / a colmare il vuoto con effetti sonori d’armonia / nell’attesa di un’immancabile presenza» (L’immancabile presenza). La lirica ricorda le Odi nerudiane, per la capacità della Nostra di mostrare religioso rispetto e di descrivere liricamente attraverso metafore o frasi immaginifiche i frutti del creato.  Non si riscontrano nella Sanna toni elegiaci rivolti  alla natura, che è definita ‘avara’, simile all’esistenza, nello svuotarsi dell’amore. ‘La solitudine e il silenzio’ sono le note salienti di questo cantico, ma anche la lirica citata contiene la rivelazione nel titolo e nella chiusa. L’immancabile è un aggettivo femminile, e non può che riferirsi alla Fede, immenso eterno vagito del nostro tempo, morso di un’Eva che ha lasciato il giardino per risiedere in ogni eden che sappia accogliere la certezza di un Dio teso a credere in noi… nonostante quel morso.

Tra le vertigini metafisiche, le visioni, il senso della perdita, non mancano i punti fermi, comuni a tutti, ma sempre nel segno della Fede, il dono gratuito di Dio, che chiede l’umiltà e il coraggio di fidarsi e affidarsi. «…/ Ma la famiglia d’origine è per sempre / non ti lascia mai nel tuo cammino / è parte di te, rivive nei gesti e nei pensieri / è assenza fisica mutata in spirituale presenza /…» (La perdita e l’assenza). Gli amori non ci lasciano, si spostano in un’altra dimensione sensoriale, vegliano sui giorni e sulle storie, seduti ‘nella stanza accanto’, per dirla con Sant’Agostino, divengono angeli del nostro breve tragitto terreno. Il mare, compagno di vita della Sanna, eterno sogno di realizzare la libertà dell’impossibile, è presente in molte liriche, e scandisce proprio le assenze, che rendono gusci le conchiglie di ieri.

Tra i tantissimi versi dettati da ispirazione divina mi hanno indotto a intensa commozione quelli della lirica E tu non sai, che nella seconda parte recita: «…/ Al morir della luce il sentimento del tempo ti giunge / al lago del cuore, teso l’orecchio ai suoni della notte / impercettibili sospiri. / Da lungi una nenia struggente / che ha il fascino di un faro nella notte. / Il mio essere affido alla ruota del tempo / per strade che guidano al nulla. / Scava sempre la parola / nella miniera di significati altri / che, nell’infinitamente piccolo / spesso si cela l’infinitamente grande / e tu non sai». Sul pentagramma di Enza Sanna ricorre la volontà di trasformarsi in una rabdomante, che per stanare le impossibili certezze della vita è pronta a scavare anche nel vento con le note del suo canto. E attraverso la fisica ci riaccompagna sulla sponda della spiritualità. Macrocosmo e microcosmo coincidono nel mondo delle particelle elementari, un mondo che reclama naviganti pronti a cogliere il minimo segnale all’orizzonte, perché come sa ogni marinaio di vedetta, è proprio nell’impalpabile barlume che vacilla in lontananza la promessa della terraferma.

Una poetessa dalla cifra stilistica poderosa la Nostra, dotata di sensi ammaestrati per un mondo diverso da quello che conosciamo, e che è dono di pochi percepire. Ricca di voci che spesso non intende decifrare. Lontana da ogni schematismo, da effetti calcolati, tesa a scavare con lirismo e amore assoluti nel linguaggio. Le sue metafore, le assonanze, la musica che pervade ogni verso riportano al lido della grande Poesia del passato, che traccia la rotta di un giusto futuro lontano dalle sterili correnti avanguardiste. Sarò sognatrice, ma so che non porterei per sempre con me le poesie di quest’Artista se non avessi avuto l’onore di viaggiare sulle sue note con la sensazione di vederla, di viverla. E mi piace pensare di chiudere questa prefazione seduta accanto a Enza Sanna, di fronte al suo mare, mentre si compie, tramite «una pioggia di note sulla tastiera» (Terapia musicale), il miracolo dell’arco d’amore, ovvero di Un ponte arcobaleno: «… / Ma il ponte più bello, più prossimo al cuore / è all’infinito / quando la luce del sole, dopo il fortunale / scompone i colori nell’apparente trasparenza / d’una goccia di pioggia».

Maria Rizzi

 

 

L’AUTRICE

 

Poetessa, scrittrice, saggista, critico-letterario Enza Sanna è nata a Genova, dove vive, opera e ha svolto una lunga carriera di Docente di Lettere nella Scuola Media Superiore. Pluriaccademica, ha ottenuto molti Primi Premi Nazionali e Internazionali, partecipando più volte a numerosi Concorsi letterari. Tra la raccolte poetiche più recenti ricordiamo: Quando gemmano i pruni (2003), Amore di mamma (2004), Per vene d’acqua e di terra (2006), Gocce d’arcobaleno (2008), Viaggio nella parola (2009), Per segreti varchi (20109), Kaleidos (2012), Frammenti lirici… ai margini del viaggio (2014), Percorsi d’utopia (2017), Oltre la parola (2020).

 

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Il principe ranocchio

4 Novembre 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

Padre, perché non avete bussato? Vi devo delle spiegazioni. No, vi prego, non arrivate a facili conclusioni e non ritenetemi una principessa dai facili costumi. Questo ragazzo si trova qui per un motivo. 

In buona sostanza, ieri pomeriggio, mentre giocavo sull'erba, ahimè, calciando un po' troppo forte la mia adorata palla d'oro, l'avevo fatta finire nello stagno. Se solo sapeste quanto mi sentivo disperata!

Poi, all'improvviso, una figura dalle fattezze ranesche, alta nemmeno un metro, si era materializzata dall'acquitrino, dicendomi le testuali e seguenti parole: «Sono il principe Giovanni Rana. Una perfida strega mi ha lanciato un terribile incantesimo e per spezzarlo esiste una sola possibilità. Ti restituirò la sfera a patto che mi porti nella reggia e mi lasci passare la notte nel tuo letto, accanto a te.»

Padre, essendo l'unico modo per riavere la palla, ho accettato. Stamattina, al risveglio mi ha chiesto un bacio. All'inizio non volevo, però, lasciandomi intenerire, glielo ho dato. Oh, istantaneamente la batrace qui presente si è trasformata in un uomo, proprio alcuni secondi prima della vostra irruzione. Non stupitevi che sia nudo, dopotutto poco prima era un ranocchio. Invece, nel mio caso, lo sapete benissimo che preferisco dormire senza vestiti. 

Padre, non vi incazzate, è andata così, dovete credermi. Cosa? Quel servo accanto a voi è un impostore! Addirittura afferma che io e il principe abbiamo fatto sesso? Non è assolutamente vero

Ah, ci ha spiato dal buco della serratura... ehi, pezzo di cretino, piantala di sghignazzare, esci da sotto le lenzuola. Giovanni, forse non hai capito: da adesso ti trovi in una posizione scomoda, sicuramente non quella della rana.

 

Nota dell'autore: Riadattamento scilipotiano di una celebre fiaba dei fratelli Grimm.

In Il principe ranocchio, la narrazione verte unicamente sulla prospettiva della principessa.

 

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La pazza

3 Novembre 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

Agata fissò attentamente la stramba figura femminile che le si parò davanti, chiedendosi da dove fosse sbucata. Magra da far paura, lo sguardo spento, la carnagione pallida e i biondi capelli crespi. 

«Sicuramente sei scappata da un manicomio!» esclamò Agata sogghignando e indietreggiando nervosamente di diversi metri.

La squilibrata fece lo stesso, come a volersi prendere gioco di lei.

«Brutta psicopatica, chi ti ha lasciato entrare?» continuò Agata, mostrando i primi segni di ostilità. «Pazzesco, una pazza in casa mia. Cose da pazzi!» 

La mentecatta assunse un'aria inquietante, per di più muovendo le labbra senza parlare.

«Qual è il tuo problema?» sbraitò Agata gesticolando per rendersi minacciosa. 

L'alienata non si lasciò impressionare, oltre a ciò con sincronismo perfetto riusciva a imitare le gestualità della ragazza. 

«Puttana schifosa, non ti permetto di scimmiottare! Ti spacco la faccia!»

Agata decise di passare all'azione avventandosi verso la matta per colpirla con un cazzotto, quest'ultima fece lo stesso alzando un pugno, tant'è che finirono per scagliarselo a vicenda. In quel preciso istante, lo specchio da bagno si spezzò.

Della pazza non rimase altro che una miriade di pezzi frantumati.

 

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Stonebreakers

2 Novembre 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #eventi, #cinema

 

 

 
 
 
Sarà presentato in anteprima mondiale nell'ambito della 63a edizione del Festival dei Popoli di Firenzesabato 12 novembre 2022 alle or17:00 presso il Cinema Spazio Alfierinella sezione Concorso Italiano, il film documentario 'Stonebreakers', diretto da Valerio Ciriaci, regista italiano che vive a New York, già premiato al Festival dei Popoli e con il Globo d’Oro per il miglior documentario con If Only I Were That Warrior. Alla presentazione a Firenze interverranno il regista Valerio Ciriaci e il produttore Isaak J. Liptzin.

 

Stati Uniti, 2020: nel mezzo della rivolta Black Lives Matter e dell’elezione presidenziale, scoppia la battaglia sui monumenti storici. Un conflitto culturale che travolge statue di Cristoforo Colombo, confederati e padri fondatori, e mette in discussione il racconto mitico americano. Esplorando un panorama memoriale in trasformazione, Stonebreakers interroga il rapporto tra Storia e lotta politica in un’America che, mai come oggi, è chiamata fare i conti con il proprio passato.

 

Il film si avvale della produzione della Awen Films - con Isaak J. Liptzin, Curtis Caesar John, Andrea Fumagalli e lo stesso regista - e della direzione della fotografia di Isaak J. Liptzin, del montaggio di Andrea Fumagalli delle musiche originali di Francesco Venturi.

 

Quando l’onda delle proteste del Black Lives Matter si è riversata per le strade delle maggiori città americane – ricorda il regista - a New York avevo da poco messo in pausa la produzione di un documentario sul mito di Cristoforo Colombo e sulle controversie legate alla celebrazione del Columbus Day. Con l’arrivo della pandemia il tema sembrava finito in secondo piano, ma ho dovuto ricredermi subito, quando la prima statua di Colombo è stata abbattuta nel mezzo delle proteste per l’uccisione di George Floyd. Ho deciso in quel momento di allargare lo sguardo del film, di non fermarmi a Colombo e di affrontare il nodo della memoria americana nella sua totalità. Stonebreakers è sia la testimonianza di una stagione straordinaria che un contributo a un dibattito pubblico sul ruolo della memoria e della public history. Fare i conti con il passato non significa congelarlo dentro un monumento, ma affrontarlo, riaprirlo alla discussione e continuare ad attualizzarlo. Mi auguro che questo film possa incoraggiare il suo pubblico a condividere questa responsabilità e a immaginare monumenti che non rappresentano solo eroi armati a cavallo che si impongono dall’alto di un piedistallo, ma che esprimano una storia di cui siamo al tempo stesso spettatori, interlocutori e critici protagonisti”.

 

IL REGISTA
Valerio Ciriaci è un documentarista italiano che vive negli Stati Uniti. Nato a Roma, Valerio si laurea in Scienze delle Comunicazione all’Università La Sapienza nel 2011, con una tesi su Jean Rouch e l'etno-fiction. Nello stesso anno si trasferisce a New York per frequentare il corso di cinema documentario della New York Film Academy. Nel 2012 fonda la casa di produzione Awen Films, con la quale realizza documentari indipendenti, video editoriali e altre produzioni audiovisive. I suoi corti documentari, Melodico (2012), Treasure - The Story of Marcus Hook (2013) e Iom Romì (2017) sono stati selezionati in numerosi film festival internazionali, tra cui Big Sky Documentary Film Festival, Hot Springs Documentary Film Festival, Bari International Film Festival e New York Jewish Film Festival presso il Lincoln Center. Nel 2015 realizza il suo primo lungometraggio, If Only I Were That Warrior, vincitore del Premio Imperdibili al 56˚ Festival dei Popoli e del Globo d’Oro 2016 per il miglior documentario italiano. Nel 2019, al 60˚ Festival dei Popoli, presenta Mister Wonderland, che riceve il premio 'Il Cinemino' e verrà in seguito diffuso sulla Rai in Italia e su PBS negli Stati Uniti.

Durata: 70'
Anno di produzione: 2022
Formato: DCI 4K (4096 x 2160)

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