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Antonietta Natalizio, "L'anima della speranza"

27 Maggio 2025 , Scritto da Enzo Concardi Con tag #enzo concardi, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

L’anima della speranza

 Antonietta Natalizio

 Guido Miano Editore, Milano 2025

 

I poeti in genere amano ridare alle stampe le proprie opere, spesso a distanza di anni dalla loro prima data di pubblicazione. Non è detto che questo avvenga attraverso rifacimenti e revisioni delle singole poesie, o con un’edizione integralmente identica a quella originale: anzi, per lo più succede che essi preferiscano la forma di un florilegio poetico, costituito da liriche scelte dall’editore o da un suo critico letterario. È il caso della presente raccolta di Antonietta Natalizio, poetessa campana trapiantata in terra piemontese, che propone ai lettori una rassegna antologica costituita da suggestioni della parola e delle immagini, tratte da Officina poetica (2019), I colori delle emozioni (2022) e Grappolo di perle (2023).

Tre strutture stilistiche, tematiche e semantiche che sono certamente rappresentative della poetica dell’autrice in modo sufficientemente omogeneo – con alcune differenziazioni è ovvio – e quindi soggette ad un’analisi critica unitaria. Ad un prima approccio la scrittura della Natalizio appare come un insieme di raffigurazioni e scenari compiuti in sé e, allo stesso tempo, di versi e strofe aperte ad altre dimensioni lasciate intuire con rimandi prospettici e simbolici: da qui l’inserimento frequente di figure retoriche, sapientemente distribuite nella metrica e nelle scansioni, allo scopo di rendere i testi più efficaci, allusivi e, se vogliamo, criptici, così da indurre all’interrogarsi, al riflettere, al chiedersi le ragioni del messaggio.

Vi sono composizioni tenute in alti livelli di tensione comunicativa, con pregnanza di contenuti, con linguaggio di tenore classico, ed altre – forse volutamente – meno impegnate, più sul quotidiano, che conoscono talvolta anche pause d’ispirazione. È dunque necessaria una visitazione più ravvicinata dei testi che ci consente di entrare nel suo mondo poetico, costituito da numerose perle e da variegati colori, humus fondamentale della sua visione ottimistica della vita. Una delle cifre ricorrenti di tale anelito verso il futuro, il cielo, il bello della natura, s’identifica con la virtù teologale della speranza: la poetessa non accosta quasi mai il concetto di spes a terminologie religiose, probabilmente per non appesantire la liricità del verso, ma si può parlare di Dio, anche senza mai citarlo.

L’albero maestro è un inno alla speranza, una lirica ricca di simboli tratti dal mondo marinaresco, metafore, accostamenti tra linguaggio della natura e lessico umano, dove è chiaro l’intento pedagogico del messaggio: «Torre simbolo del mare,/ fiero, forte e umile/ indica la rotta./ Tra le onde del cuore…/ s’infrange ogni dì./ Vivaio di emozioni, / barlume di speranza…». Da questa iniziale fiammella che ravviva i cuori, si passa nell’epilogo alla potenza di una forza capace di metamorfosi: «…Accogliere è accompagnare,/ educare e sentirsi figlio./ Il giglio tra grandi scogli si erge,/ l’identità del simbolo./ Passato e presente si uniscono…/ bussano alla porta del tuo cuore/ nell’energia della speranza».

La fiaccola allarga lo sguardo dalla speranza, ancora citata, ad una visione più complessiva della vita, in cui emergono i valori fondamentali dell’uomo, si traccia una sorta di vademecum per uno stile di vita coerente con i principi professati. La poetessa qui richiama ad alcune parole-chiavi a sostegno della nostra esistenza, come luce, coraggio, amore, libertà, fede e passione: «…Dal credere o non credere,/ nasce la consapevolezza dell’uomo.// Credere è speranza, bellezza,/ coraggio di saper scegliere./ Vivere con passione/ anche per una sofferenza,/ aiutare con amore,/ fa nascere la speranza,/ l’immortalità del bene…».

In questo alveo di positività – che tanto si contrappone alle visioni minimaliste, nihiliste, riduttive, liquide dell’oggi filosofico – si sviluppa una poetica della verticalità, della trascendenza e del divino che esalta la spiritualità e l’anima dell’essere umano. Le visioni diventano metafisiche e metastoriche e, di conseguenza, le immagini poetiche luminose, coloratissime, proiettate nell’oltrità. Nella poesia Arcobaleno di luce, dopo aver richiamato ancora alla illuminazione della mente; ai colori gentili di viole, mughetti e gelsomini; alla felicità vissuta adesso e non rimandata, la Natalizio conclude la lirica con un distico ammiccante al soprannaturale: «L’occhio di Dio/ è più in alto». Così le vie dell’anima sono quelle preferite anche dall’ispirazione poetica, sulla scia dei semi gettati e germogliati nel terreno dell’amore (Spiritualità). In tale poetica va segnalata la suggestiva ed ammaliante Papaveri rossi, in un perfetto equilibrio tra natura (dorate spighe, blu del fiordaliso, folate di zagara, spodestati ulivi, uggiosi piovaschi…) e immagini dell’anima (velata, silenziosa, inerme, carezzevole …) fino all’emblematico verso: «L’invisibile diventa presenza!» (ovvero dimensione mistico-contemplativa).

Inoltre vanno certamente ricordate anche Ero lì, con le sue atmosfere rarefatte e di quiete, dal desiderio di ricerca di ariosi spazi («Mi accinsi ad esplorare/ nuovi silenzi…»), dalla tensione verso il cielo a portata di mano; e La Grazia, un inno alla vita e al suo Creatore: «…È un canto Altissimo!/ Istanti di felicità/ di eternità/ si respirano nell’anima…». E cosa sarebbe la vita senza l’Amore, si chiede la poetessa altrove, una domanda retorica diventata quasi un luogo comune nella nostra cultura sentimentale: la risposta è scontata, sarebbe nulla dal momento che, nella sua visione, l’amore è vita, gemma preziosa, fulgido sentimento, sinergia e conoscenza, dono, meraviglia… (L’Amore). E nell’incontro fra lei e lui («…mi voltai…/ ed incrociai i suoi occhi,/ il suo sorriso/ rapì il mio cuore…») si realizza il legame tra l’umano e il divino: «…Lo invitai a contemplare…/ la profondità del mare/ e l’intima presenza di Dio,/ perché nascesse…/ il più bel fiore del creato!»; inebriata e rapita da eros le sembra di volare «come un giovane gabbiano», di vivere fra «un tintinnio di emozioni,/ luci, suoni e colori», sfogliandosi «come una candida/ rosa rossa» (Un amore con le ali).

L’idillio continua nell’immersione quasi panica in mezzo alla natura: ne è testimonianza soprattutto la composizione Il risveglio del bosco, lirica in cui l’amore per il particolare spicca ovunque e si concretizza dando spazio agli abitanti della foresta, siano essi alberi, fiori o piccoli animali: il canto ha un suo significato simbolico, poiché il risveglio della natura nella stagione primaverile simboleggia il risveglio e la continuità della vita. Uno speciale “lirismo descrittivo” immaginifico ci introduce in un mondo fiabesco dimenticato dal vivere metropolitano, mondo che tuttavia è anche reale, solo se ci si mette alla sua ricerca: così ci accorgeremmo dell’esistenza degli ultimi lembi di neve sopravvissuti ai raggi del sole; del canto dell’usignolo, del fringuello, del picchiettio del picchio; del cuore vibrante in cerca del calore; del bucaneve, del leprotto e della volpe; dei castagni, delle querce, dei pini; delle fragoline, delle primule e delle piccole chiocciole… Tutto questo pulsare frenetico è racchiuso nell’incipit e nell’epilogo della lunga poesia, inizio e fine che ne stabiliscono il messaggio: «Il bosco, dopo il gelido inverno,/ si riapre alla vita./ Il cuore si rallegra,/ e con stupore osserva in silenzio/ le meraviglie del creato/ (…) Ondeggiano al leggero soffio di vento/ profumati anemoni, narcisi e ciclamini,/ come voler salutare da lontano,/ per non mancare all’appello/ del nuovo giorno che arrivato è già,/ e la vita che dà continuità».

Tali sono anche gli squarci naturalistici del Paesaggio simbolico, dove «la bellezza educa lo sguardo», mentre una variante sul tema è rappresentata da Il richiamo del mare, poesia in cui la natura assume volti severi, forti, selvaggi («onde di pietra», «mare in tempesta», «è ruggito dove tutto trema e ribolle», «l’indifferenza è selvaggia natura»), tanto da rievocare certi toni del romanticismo tedesco e dell’Ortis foscoliano. Ciò ci introduce a quei titoli emblematici della poesia della Natalizio che sono l’altra faccia della medaglia di quanto finora esposto, ma che registrano una realtà odierna e storica da non trascurare: Torre di Babele, chiaro simbolo della confusione spirituale, del dissolvimento dei valori, dell’umanità smarrita, di un mondo alla deriva; Il male di esistere, di evidente ispirazione montaliana, raffigurazione del vuoto esistenziale e della pietrificazione dei rapporti umani; Solitudine, non quella scelta che è quiete e meditazione, ma quella subita che è angoscia e disperazione; I violini parlano, memoria dei campi di concentramento nazisti, dura, efficace, immagini graffianti, condanna totale, il sonno della ragione, Milano Binario 21: il viaggio della morte»…; La nebbia, affascinante e misteriosa pensandola dal di fuori, ma nemica, ostile vissuta da dentro, quando diventa il buio della mente e t’impedisce il cammino, deviando dal destino che ti è stato assegnato; Anima arida, se si vivono assenze, distanze, negazioni affettive e sentimentali che lasciano gelo e indifferenza, invece che abbracci e slanci d’amore; Abisso, il riemergere dai fondali della mitica ninfa del mare, figura della classicità antica, immagine della memoria ovvero degli echi del passato…

Ma L’anima della speranza vive già di chiara luce…

Enzo Concardi

 

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L’AUTRICE

Antonietta Natalizio è nata a Nola, e vive in Piemonte. Scrittrice, Poetessa, Psicologa Clinica e di Comunità, da sempre è impegnata nel sociale. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Officina Poetica (2019), Quando si diventa anziani (2021), I Colori delle Emozioni, edizione italiano/inglese (2022), Calendario Letterario (2022), L’infinito è più blu (2023), Grappolo di perle (2023). Si occupa anche di pittura.

 

Antonietta Natalizio, L’anima della speranza, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2025, pp. 64, isbn 979-12-81351-37-0, mianoposta@gmail.com.

 

 

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