Reportage: Myanmar, un paese dove si lascia il cuore
/image%2F0394939%2F20141220%2Fob_d37a31_myanmarcupola-grande-300x225.jpg)
Yangon, una capitale in bilico fra il moderno e le antiche tradizioni e il resto del paese è un camminare a ritroso nel tempo.
La città ti stupisce subito per quell’aria vagamente familiare, come quando incontri qualcuno che sai di aver conosciuto, ma non ricordi dove e quando. Provi a frugare nella memoria e scovi immagini di luoghi visti direttamente o in vecchi film ambientati in Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia e, finalmente, capisci che Yangon è un po’ di tutto questo insieme ma con un tocco di spiritualità in più.
La struttura della città è fondamentalmente coloniale, a testimonianza di un passato inglese piuttosto recente, ma esistono – senza scossoni e senza disturbare esteticamente – ed esemplarmente integrati tra di loro, i quartieri cinesi, indiani e quelli di oltre 100 razze diverse, ognuna con una propria religione, in una tolleranza non priva di passioni ma non per questo meno civile.
L’arrivo nell’aeroporto di Yangon non è affatto traumatico. Nessun caos e le formalità doganali sono piuttosto veloci rispetto ad altri paesi dell’area asiatica.
Il traffico per le strade è piuttosto scorrevole, anche se un po’ privo di regole, tranne nelle ore di punta quando automobili, tuk tuk, moto e biciclette affollano le strade.
La città, in alcune aree è decadente ma è comunque affascinante. I segni di un passato antico e di uno recente si fondono e, a volte, risultano anche struggenti.
Yangon è una città sempre verde, ricca di alberi tropicali e di grandi parchi con laghi, ma è soprattutto ricca di templi e pagode, la più famosa delle quali è Shewedagon, considerata l’ottava meraviglia del mondo (ma quante sono queste ottave meraviglie del mondo?).
La sua cupola è ricoperta da 14 tonnellate di oro zecchino e domina la città, specialmente di notte quando una sapiente e calda illuminazione la rende ancora più magica.
La pagoda, vecchia di oltre 2500 anni, è la più antica buddista ed è impreziosita da innumerevoli ricchi ornamenti.
La cultura indiana e cinese sono alla base di questa terra baciata dalla fortuna: piena di fiumi e di ricchezze naturali. Ovviamente la ricchezza è solo potenziale, non è distribuita, né distribuita equamente (come accade ovunque), ma ti colpisce l’assenza di una qualsiasi forma di povertà esibita.
La gente è dignitosa e socievole ed è pronta a venirti in aiuto anche con un inglese improbabile. La vita mondana è piuttosto scarsa ma la natura e le bellezze artistiche sono strepitose e ti portano a cogliere altri aspetti.
Andando verso nord, infatti, s’incontra Bago, l’antica capitale del regno Mon, dominata dalla gigantesca statua del Buddha reclinato (55 mt per 16 di altezza), poi ancora Pagan (90 minuti di volo da Yangon), culla della civiltà birmana conosciuta come la città dalle innumerevoli pagode (2.200) a cominciare dall’Ananda, l’edificio più conosciuto, risalente al 1091, con quattro Buddha ricoperti di lamine d’oro e rivolti verso i quattro punti cardinali.
Pagan è la più importante zona archeologica di tutto il sud-est asiatico e tutti i suoi templi e monumenti risalgono al periodo che va dall’undicesimo al tredicesimo secolo.
Il tramonto, visto stando seduti sui gradini di uno dei templi di Pagan, è qualcosa di indimenticabile, ricco di suggestioni e ammaliante.
Sempre più a nord c’è Mandalay, l’ultima capitale del regno Myanmar, culla e centro di tradizioni artistiche. Qui c’è il più famoso centro dove migliaia di monaci vivono e studiano. E’ possibile visitarlo e assistere anche alla cerimonia del loro pranzo (un tempo era possibile aiutare i monaci nella distribuzione del riso nelle ciotole che ognuno di loro possiede!).
Da Mandalay si può tornare in aereo a Yangon, ma esiste un trenino – che impiega ben 14 ore – e che costituisce un osservatorio unico ed entusiasmante per impadronirti del paesaggio e imprimerlo per sempre nella mente e nel cuore.
C’è anche la possibilità di terminare la visita di Myanmar con un soggiorno balneare e Ngapali è una delle località più note.
Le sue spiagge bianchissime e ricoperte di palme sono la degna conclusione di un viaggio che arricchisce l’anima e tutto ciò che si è visto rimane impresso per sempre negli occhi e nella mente. Una cena in uno dei più famosi ristoranti di Yangon, prima di rientrare in Italia, fa apprezzare l’ottima gastronomia locale.
E cosa c’è di meglio se si è seduti su una terrazza davanti ad un panorama superbo di una città illuminata e dorata più che mai dai colori del tramonto.
/http%3A%2F%2Ftravelling.travelsearch.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2014%2F09%2FMyanmarCupola-grande-300x225.jpg)
Reportage Myanmar, il paese dove ci si lascia il cuore... | Travelling Interline
La città ti stupisce subito per quell'aria vagamente familiare, come quando incontri qualcuno che sai di aver conosciuto, ma non ricordi dove e quando. Provi a frugare nella memoria e scovi immagini
Dimmi come leggi e ti dirò chi sei
«Ebbene, allora il mondo è l'ostrica mia, ch'io con l'acciaro spalancherò.»
“Le allegre comari di Windsor” di William Shakespeare – Atto II ,Scena II
Con questa battuta che la dice lunga, uno dei personaggi della commedia shakespeariana risponde a Falstaff che, entrando in scena, gli si è appena rivolto affermando: «Io non ti presto un soldo» - e queste parole, forse, la dicono davvero ancora più lunga!
Il mondo può essere un’ostrica, da spalancare con l’acciaio.
Così - come riporta il brevissimo articolo nell’inserto “La Lettura” de “Il Corriere della Sera” di domenica 14 dicembre - “da un passaggio shakespeariano” hanno preso ispirazione per il nome i fondatori della società statunitense Oyster, (ostrica in inglese, appunto) costituita nell’ottobre del 2012 e inaugurata poco meno di un anno dopo, nel settembre del 2013.
La società Oyster (servizio di streaming per libri in formato digitale) offre una piattaforma online a pagamento, Oysterbooks, con più di cinquecentomila ebook e disponibile su Android 4+, iOS 7+, Nook HD e Kindle Fire, così come su qualsiasi browser di computer o laptop.
Letta così, nessuna novità. O meglio, la novità c’è e (forse) non si vede.
Oyster è in grado di verificare quando il lettore inizia la lettura dell’ebook, quando la terminerà e se, soprattutto, arriverà alla parola “Fine” dell’opera.
Perché questo è il punto. Oyster corrisponderà quanto pattuito alle case editrici e agli autori solo a condizione che il libro sia stato letto per almeno un quinto.
Il conto è presto fatto: su centocinquanta pagine di libro, l’abbonato a Oysterbooks dovrà almeno sfogliarne (sfogliarne - non significa necessariamente leggerle) trenta. Se ne sfoglierà solo ventinove, il libro sarà giudicato non andare incontro ai gusti del lettore (e quindi del pubblico più allargato) e nulla sarà dovuto alla casa editrice che ne ha curato la pubblicazione, né tantomeno all’autore.
Lettori a cottimo per le strategie di mercato (e i ritorni economici) dell’editoria del futuro.
Analogamente, mi verrebbe da dire, se mangio solo un pezzo di pizza (meno di un quinto, dunque pari a un triangolo di settantadue gradi) e il resto lo lascio nel piatto, significa che la pizza non mi piace. Così potrei anche alzarmi e uscire, evitando di pagare il conto in pizzeria. Non credo che il gestore del locale che frequento abitualmente si troverebbe d’accordo con questa impostazione d’affari.
Potrei aver mangiato solo un triangolo di settantadue gradi di pizza (peraltro buonissima) perché due ore prima mi ero fatta prendere dalla gola e avevo fatto merenda con un fettone di pane spalmato di crema al cioccolato. Ma la pizza, anche se consumata solo in parte, l’ho trovata assolutamente di mio gusto.
Non sembra ragionare così la regola aurea del mercato introdotta da Oyster.
Il lettore “sfoglia”, dunque il libro “è”. Se il libro non si sfoglia, o si sfoglia poco, il libro “non è”. In tutti i sensi e senza andare oltre le ragioni di quel non sfogliare (o, al contrario, leggere fino in fondo). Senza chiedere «Perché?».
Per assurdo, magari il libro piace, ma la signorina che ne ha acquistato la versione ebook, mentre era in fila per spedire una raccomandata in posta, ha notato nella fila accanto a lei un bel giovanotto, si sono messi a parlare e la signorina ha realizzato che quello non era un semplice giovanotto come tanti in fila in un ufficio postale, bensì il principe azzurro. Colpo di fulmine e i due se ne vanno via, indifferenti a raccomandate e cartoline, verso una nuova vita. L’ebook (“Guerra e Pace” di Tolstoj) della signorina è stato spento a pagina 275, poco meno di un quinto (dell’edizione italiana più recente di 1.424 pagine)e dunque, Oyster farà due più due: la casa editrice non sarà pagata, non parliamo dell’autore e il libro, forse, vale poco, magari inutile proporlo ad altri.
Non sarà così semplicistico, naturalmente. E non ci si baserà solo sullo “sfogliare” della signorina in fila per la raccomandata, ma…
E’ sufficiente giudicare un libro dal numero di pagine lette? Che ne pensa il lettore dello stile, della trama, dei personaggi? Il lettore cosa pensa che abbia voluto comunicare l’autore, mettendo nero su bianco quella storia e non un’altra? Quanta fatica è stata spesa dall’autore per mettere insieme quella storia, bella o brutta che sia? E perché il lettore non è andato oltre nella lettura e ha abbandonato il libro?
Tutti siamo stati scolari. E a tutti sono stati imposti tomi di classici della letteratura. Ammettiamolo, per alcuni libri, data la nostra allora giovanissima età, non ci saremmo nemmeno sognati di andare oltre pagina 10 dell’introduzione ragionata. Solo a distanza di molti anni, magari riprendendo gli stessi libri in età più matura, ci siamo resi conto dei capolavori che erano. Applicando il metro di Oyster al nostro agire di allora, avremmo dovuto liquidare il libro come “illeggibile”?
E le case editrici che faranno? Non vorranno più avere a che fare con gli autori dei libri sfogliati sotto la soglia minima, senza preoccuparsi del talento che questi forse hanno, che magari deve essere supportato, accompagnato e affinato? Autori per i quali varrebbe la pena “battersi”, nonostante lo scarso (iniziale) ritorno?
E se anche il mondo dell’editoria fosse destinato a diventare solo un’immensa fucina? Non più di talenti, ma di “cose che rendono” e chi non “rende”, via, si dedichi ad altro. Una fucina di cottimisti inchiodati alla catena di montaggio della parola alla moda e che incontra il gusto. La parola che piace, la parola che vende. Magari non smuove nulla dentro al lettore, ma vende. Tutto come in un perfetto meccanismo di interruttori a relè: “Aperto – Chiuso”, “Vende – Non vende”.
«E’ l’editoria, bellezza, l’editoria, e tu non ci puoi far niente, niente!», mi risponderebbe forse qualcuno, parafrasando una celebre frase di film.
Può darsi. Ammetto però di non essere all’altezza di comprendere questo nuovo modo di monitorare, mappare e seguire il lettore in base ai ritorni economici, facendo leva solo su statistiche digitali, che escludono la percezione, il confronto, la curiosità che spesso non si accontenta di una sola risposta. Implicitamente, è come negare che il lettore possa disporre di sentimenti, senso critico e di gusto per il bello (o per il brutto).
Un’ultima informazione: Oyster ha dichiarato che tramite un algoritmo possono individuare le preferenze del lettore e proporgli una selezione di titoli che vanno incontro ai suoi gusti in tutto e per tutto.
Non è una novità vederci proporre iniziative o prodotti in base ai siti che abbiamo visitato su Internet o in base al nostro profilo che abbiamo inserito in rete.
Per la lettura, beh, per la lettura… Mi verrebbe da dire che così facendo, mi verranno proposti libri che mi piacciono, certo, farò meno fatica rispetto a doverli cercare da sola, ma tutto quanto a me è sconosciuto (e dunque non so ancora se mi potrà piacere o meno), chi me lo proporrà? I sistemi come Oyster potranno rendermi la vita più facile, ma mi faranno navigare solo nello spazio limitato delle mie Colonne d’Ercole trite e ritrite.
E oltre le Colonne d’Ercole il Nuovo Mondo, forse forse, bello o brutto che sia, non riuscirò ad esplorarlo. Un vero peccato.
Non me ne voglia Oyster, ma, come scriveva Shakespeare, il mondo può essere un’ostrica, da spalancare con l’acciaio. L’importante però, una volta spalancata l’ostrica, è trovarci la perla. Vera e rara, ben inteso, non di coltivazione.
Grazie di esistere, Benigni
/image%2F0394939%2F20150105%2Fob_ff4e73_benigni.jpg)
Roberto Benigni è un nostro vanto, una gloria artistica nazionale, un attore così unico che se Woody Allen viene a Roma per girare un (modesto) film pensa prima di tutto a lui come possibile interprete italiano. Benigni è un regista - attore che ha vinto un Premio Oscar per un film delicato e tragico come La vita è bella. Nonostante tutto leggo in rete e sulla stampa giudizi sferzanti sulla sua ultima interpretazione: I Dieci Comandamenti. Davide Guadagni, un giornalista de Il Tirreno che firma scadenti elzeviri in prima pagina come se fosse Gramellini, dice che il pubblico ama quel che Benigni è stato, facendo capire che non apprezza il nuovo corso. Altri - che non è il caso di citare - aggiungono che Benigni ha riscosso tanti soldi dalla Rai per fare un lavoro che la Chiesa svolge da anni, in parrocchia, gratuitamente.
A nostro modo di vedere Benigni non ha perso lo smalto dei tempi migliori, perché reggere tre ore di spettacolo (in due puntate), da solo, tenendo incollati al video gli spettatori parlando di Dio, amore, regole da rispettare, leggi eterne, non è per niente facile. Benigni è un grande attore che ha subito una logica evoluzione, come ogni persona, come ogni artista. Non poteva continuare a impersonare il Cioni Mario di Tele Vacca, né la sua controfigura autobiografica di Berlinguer ti voglio bene, e neanche il comico strampalato di Tu mi turbi. Benigni non poteva limitarsi a fare il guastatore televisivo con irruzioni incontrollabili ai danni di Pippo Baudo e Raffaella Carrà. I tempi cambiano, un autore matura e affronta altri temi, cosa che per Benigni accade da anni, almeno da La vita è bella e Pinocchio. Pure Diego Abatantuono non ha fatto il terrunciello per tutta la vita ma ha deciso di cambiare registro e di passare alla commedia impegnata. Benigni non poteva continuare con la gag del critico cinematografico surreale inventata da Arbore per L'altra domenica e con il personaggio dello sceicco beige (ironizzando su Fellini) de Il papocchio. Tutti lavori che non vanno rinnegati, si badi bene, e che hanno reso grande il comico toscano, ma oggi è il momento di celebrarlo come fine esegeta di Divina Commedia, Costituzione e Dieci Comandamenti. Se non ci fermiamo in superficie, ci rendiamo conto che Benigni non è in contraddizione con se stesso, perché la poetica dell'amore contraddistingue la sua opera fin dagli esordi. Certo, quello del Cioni Mario e di Berlinguer ti voglio bene era un amore fisico, carnale, un vero e proprio desiderio corporale. Oggi, il Benigni maturo, attore e regista di successo, cerca soprattutto l'amore spirituale. Un interprete cambia con il tempo, come è accaduto a Totò e persino a Franchi & Ingrassia, che sono passati dalla farsa pura a interpretare opere di Pasolini e Taviani. Un critico attento deve valorizzare l'intero corpus di un autore - interprete, invece di restare ancorato ai ricordi del passato. Benigni non ha perso la verve d'un tempo, anche nei Dieci Comandamenti - di tanto in tanto - ha citato vecchie emozioni giovanili, consapevole che come attore deve guardare avanti per affrontare nuove sfide. A nostro parere, con i Dieci Comandamenti Benigni compie un passo avanti nella sua produzione artistica e tocca le giuste corde per unire in un solo abbraccio laici e credenti. Uno spettacolo che parla di argomenti scomodi, intenso e commovente, che riporta la televisione ai tempi in cui faceva cultura. Grazie di esistere, Benigni.
Quello che sono
Non sono un Grande Poeta…
…“Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi”…
non voglio declamarti immagini
non riesco a ricamare vento
a tessere stelle per i tuoi occhi…
…“Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima”…
Non riesco a recitarti
per sembrarti nobile,
solo per apparire al mondo
solo per lasciarci un segno…
Non sono un Grande Poeta…
…io sono un piccolo muratore
che suda roccia
e respira polvere
Che apre finestre e porte,
scavando dure pareti,
Sono un cercatore di luce!
Un topo nell’anima,
che gratta leggero,
e lascia briciole di conchiglia…
Non sono un Grande Attore…
affabulatore di menti,
prestigiatore del niente.
…“Essere o non essere, questo è il problema”…
Non ti inganno con artifici
fuochi e luci in mezzo agli occhi.
Parole ben copiate
Voci recitate
Suadenti artefatte carezze
Languide ammalianti certezze
solo per apparire al mondo
solo per lasciarci un segno…
Non sono un Grande Attore…
…io sono un piccolo matto
che tartaglia
frasi sconnesse
Che borbotta cose grandi
non ascoltato.
Si volta e riparte
andando leggero nel vuoto
Sono un solitario pescatore
su uno scoglio ad amare
per non disturbare.
Non sono un Grande Scienziato…
non dispenso certezze & fredde carezze
non guato le masse
da torri dorate
Non salgo su cattedre,
non mi ergo su piedistalli,
non vivo per farmi più grande.
Non partorisco inutili idee,
con voce stentorea.
Non abortisco inutili scritti,
in polmoni d’acciaio
solo per apparire al mondo
solo per lasciarci un segno…
Non sono un Grande Scienziato…
…io sono un piccolo alchimista
mescolo profumi a caso
sotto un cappello a punta.
Agito bacchette e farfuglio formule,
sputacchiando minime verità.
Sono un cercatore di perle,
tesori nascosti,
pietre filosofali…
…trattengo il fiato,
inseguo animali,
nel profondo blu.
Non sono un Grande Pittore
un Sommo Maestro!
Imbianchino di pietre colorate
stilista di Maye Desnude!
Mèntore di se’ stesso,
di pochi invasati
apostoli del nulla…
Non ricopro con carte da parati
la natura perfetta
dai perfetti colori
Non dipingo scene per teatri,
falsario di palcoscenici illuminati,
solo per apparire al mondo
solo per lasciarci un segno…
Non sono un Grande Pittore
…io sono un piccolo minatore
Sporco
Nero
Brutto con occhi azzurri
Non vedo la luce
ma pianto fiori nel buio
cerco cosa c’è in fondo
cerco l’anima da dentro
scavo gallerie
per uscire nel bianco.
Seguo lunghe strade ventose
lunghe strade nevose
Corro sui tornanti
Scatto verso la cima
Bevo dalla riva
e mi lavo immerso
in cristalli di
acque salate.
Quello che sono
a volte è silenzio
altre è roccia
a volte è vento che urla
tuono lontano
altre è sussurro
è diafano raggio che scalda
a volte brucia
a volte bacia…
Il mondo può aspettare
La vita può aspettare…
La ruota può continuare
a girare…
Quello che sono,
lo sai,
è solo per te.
M. (Eccomi!)
Alessandro Angeli, "Napoli Circonvallazione Nord"
Alessandro Angeli
Napoli Circonvallazione Nord
Italic Pequod – Euro 15 – Pag. 110
Alessandro Angeli (1972) non è un esordiente. Ce ne rendiamo conto dopo poche pagine, dalla ricerca linguistica, dallo stile, dalle ambientazioni degradate e dai caratteri dei personaggi, immersi nel sottomondo napoletano, governato da malavita e piccoli boss di quartiere. Angeli è un romano che vive in Maremma, nella - per me - vicina Grosseto, patria di Bianciardi, uno dei più grandi scrittori del Novecento. Pubblica dal 2008, romanzi e racconti: Maginot, La lingua dei fossi, Ragazzo fiume, I ragni in testa, Mare di vetro, Storia d’amore e d’anarchia di Antonio Gamberi, Transmission, vita morte e visioni di Ian Curtis, Joy Division. Meriterebbe un editore medio grande, perché la sua scrittura matura andrebbe valorizzata, se ancora esistessero gli editori - talent scout (ma tanto ci sono i talent televisivi, no?), anche se i suoi ultimi lavori sono usciti per Stampa Alternativa del mitico Marcello Baraghini, grande editore da un punto di vista morale, senza essere un editore grande.
Il romanzo è ambientato a Napoli, nei quartieri marginali della città, secondo la lezione di Roberto Saviano, ma forse ancor più delle fiction televisive come L’oro di Scampia e i serial Gomorra e Romanzo criminale. Non crediamo di bestemmiare dicendo che Angeli ci appassiona molto di più del rinomato Saviano, abile polemista ma incapace di scrivere narrativa con un briciolo di poesia. Angeli no, nelle sue frasi scarne e nei dialoghi serrati abbonda di un cupo lirismo fatto di inquietudini, di bambini che giocano a pallone sotto gli occhi di giovani spacciatori, di adulti che passano il tempo nei bar di periferia, di donne disponibili a incontri sessuali a pagamento. Il protagonista della storia è Nunzio, un ragazzo di Secondigliano, che ci racconta pagina dopo pagina il vuoto della sua esistenza fatta di consuetudini, di un niente assoluto, permeata dal desiderio di fuga. Napoli Circonvallazione Nord è a tutti gli effetti un noir, una storia criminale, che narra le vicissitudini di spacciatori e ladri di quartiere, di rapinatori braccati dalla polizia, costretti a vivere un’esistenza che non vorrebbero. Nunzio sa che non può abbandonare Napoli, perché quel mondo degradato e insopportabile, quel panorama di tristezze quotidiane, è la sua vita. Napoli e i panni stesi alle finestre. Napoli e le case popolari. Napoli e il senso d’abbandono. Napoli e la noia, l’abulia del quotidiano. Napoli e i sogni infranti. Napoli e le suggestioni liriche che Angeli infonde nel lettore. Un romanzo da leggere.
Sezione primavera: Giulia Pacella
Anche noi abbiamo appeso al caminetto del nostro blog la calza. E quest’anno la Befana ha voluto farci una sorpresa: un gioiellino inatteso. Giulia, già frequentatrice della #sezione primavera, ci ha regalato un delizioso racconto sul bullismo, croce dolorosa degli adolescenti.
Immagina di essere una liceale alle prese col “branco”, e riesce a delineare caratteri, personaggi, atmosfere, utilizzando il dialogo, descrizioni, riflessioni personali, con abilità e disinvoltura. Tra la marea di scrittori, talvolta sciatti e improvvisati, questa ragazzina non ancora tredicenne, ci fa ben sperare per il futuro della nostra letteratura" (Ida Verrei)
Di Giulia Pacella, 12 anni
L’omertà è un comportamento che vieta di denunciare i colpevoli di reati ed è tipico della mafia e della camorra. In questi giorni, la nostra professoressa di lettere, ha dato da leggere a tutte le terze del liceo classico Alessandro Manzoni “Il Pannello”, un racconto dello scrittore napoletano Erri De Luca. È ambientato nel 1967-1968 e parla di alcuni ragazzi di un liceo napoletano che, per poter vedere le gambe di una giovane supplente, svitano il pannello che si trova davanti alla cattedra. Tutti i professori li rimproverano e minacciano di sospendere tutta la classe, i ragazzi allora si sentono vittime di un’ingiustizia e decidono di coprire i due colpevoli, nonostante i rischi. Solo il loro professore di latino e greco, invece di sgridarli, spiega la differenza tra omertà e solidarietà, facendo loro capire la violenza che avevano usato su quella giovane ragazza al suo primo incarico. A quel punto la classe decide di scusarsi pubblicamente e alla morte di questo grande professore si ricorderanno di quella lezione come il passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta.
Non ho ancora finito di leggerlo, anche se le mie amiche dicono che è inutile, io vorrei finirlo perché mi piace molto leggere. A Chiara e a Beatrice non piace lo studio. Loro due sono stupende, Chiara ha due occhi azzurri da mozzare il fiato e Beatrice ha i capelli rossi, sono i più belli della scuola! Nonostante io sia molto diversa da loro faccio finta di essere cosi. A parte per l’aspetto fisico. Per quello non ci posso fare niente. I miei occhi sono marroni e i miei capelli color caramello. Non sono nulla di così speciale. E poi con il nome che mi ritrovo … Caterina, non riesco nemmeno a pronunciarlo, fortuna che tutti mi chiamano Cate…
La mia storia inizia una mattina di ottobre, ero con le mie amiche, io stavo chiacchierando con Chiara, e Beatrice stava finendo una sigaretta, quando si fermò a fissare una ragazzina del primo. Aveva i capelli a caschetto ed era un po’ cicciottella. Beatrice buttò la cicca a terra e ci fece cenno con la testa, io e Chiara ci lanciammo un’occhiata, una cosa era sicura: lei a differenza di me sapeva cosa voleva fare Beatrice…
Ci fermammo davanti alla ragazzina ma lei ma non ci notò finché Chiara non le tolse l’i phone di mano. A quel punto alzo la testa disorientata e Beatrice fece un ghigno divertito. Io la imitai. “Cosa stai facendo?” chiese la tredicenne, “oh … niente volevo solo attirare la tua attenzione…” poi Chiara fece cadere l’i phone a terra, rompendo cosi lo schermo. “Ops …” disse Beatrice. Io e Chiara ridemmo divertite. Cosa stavo facendo? “Dacci la tua merenda…” disse Bea. La ragazzina prese la merenda dallo zaino e la porse a Chiara. “Come ti chiami?” continuò Chiara. Uffa, non si erano già divertite abbastanza?! “Alice…” neanche lei, come me, capiva dove voleva arrivare Chiara. “Bene ALICE … torneremo” , si girarono per andarsene e prima di farlo anche’io, la guardai negli occhi per un breve istante. In quegli occhietti non c’era rabbia … ma paura. Per un secondo anche io ebbi paura. Di me stessa.
Questo episodio si ripeté periodicamente tutti i giorni. Poi, un giorno, all’uscita, le mie amiche si spinsero troppo oltre.
Alice era da sola all’ingresso, quando Beatrice si avvicino a lei e le fumò in faccia. La ragazzina tossì e Beatrice sorrise. Un sorriso pieno di cattiveria…
“Hai mai fumato tesoro?”
“No …” rispose Alice un po’ turbata.
“Bene. C’è sempre una prima volta …” disse porgendole la sigaretta. Appena disse quelle parole la raggiunsi.
“Non voglio …” disse lei schifata.
“Non ti conviene far arrabbiare Bea tesoro …” disse Chiara, che era appena arrivata dietro di me.
Alice prese la sigaretta e fece un tiro. Appena ebbe buttato il fumo fuori, tossì.
“Ti è piaciuto?” chiese Beatrice sarcastica. Chiara rise.
“Basta, vi prego …” disse quasi in lacrime.
“Okay … adesso mangiatela …” disse Chiara. A quel punto persi le staffe e mi misi in mezzo.
“Basta ragazze! Avrà tredici anni. Andiamocene.” Beatrice mi mandò uno sguardo di ghiaccio, ma Chiara fece una faccia turbata, come se si fosse resa conto adesso di ciò che aveva detto e fatto.
“Sì, dai Bea, andiamocene …”
Beatrice buttò la sigaretta addosso ad Alice, si voltò e ci seguì. Mi sembrò che Alice avesse detto “grazie” ma non ne ero sicura così, non mi voltai.
La sera di Halloween però successe qualcosa di grosso.
Alla festa c’erano le prime, le seconde e le terze. Stavamo ballando quando Beatrice strattonò me e Chiara fuori dalla discoteca e indicò la ragazzina che camminava, suppongo verso casa, tutta sola, Alice. Quando fummo a due passi dalla sua schiena Beatrice disse: “Ehi Alice, come va?” lei si girò e Chiara le lanciò un schiaffo. Lei cadde a terra. Beatrice le tirò un calcio nello stomaco.
“Basta! Basta!” gridai, ma Chiara mi fece gesto di sloggiare e Beatrice mi ignorò continuando a tirare calci nello stomaco di Alice.
Corsi dentro la discoteca e cercai Fabrizio, il fidanzato di Beatrice nonché mio migliore amico.
Mi aggrappai al suo braccio e lui, vedendo la mia espressione preoccupata, chiese: “Cosa succede Cate!?”
“Non c’è tempo per spiegare ….”
Quando io e Fabrizio fummo fuori, Beatrice la stava tirando per i capelli. Fabrizio corse e la spinse via, cosi lei si ritrovò a terra. “Cosa fai!?” urlò Beatrice furiosa. lui alzò Alice e le tolse i capelli dalla faccia mostrando il suo visetto pieno di lacrime, rosso e sporco di terra. Poi mi porse la sua manina grassottella e disse. “ Portala a casa … io parlo con loro …” Feci cenno di sì con la testa e misi un braccio intorno alle spalle di Alice.
“Grazie di tutto …” disse mentre camminavamo, “scommetto che mi avrebbero ucciso se tu non le avessi fermate …” Mi sentii un mostro. Io non l’avevo salvata. Io ero esattamente come loro. Tuttavia dissi altro. “Tranquilla non ti toccheranno più”. Sorrise.
Davanti a casa sua l’abbracciai e lei entrò nel palazzo, cosi me ne tornai a casa con il senso di colpa fin dentro le ossa.
Non riuscivo a dormire. Mi sentivo male, avevo già vomitato due volte da quando ero tornata a casa. Cosi decisi di mettermi sul divano a leggere “Il Pannello”. Arrivai alla parte in cui il professore fa il discorso. Mi fece pensare. Io stando zitta per ciò che avevano fatto quelle due ragazze, che io definisco “amiche”, non ero solidale. Facevo come fanno le persone quando, per esempio assistono alla morte di una persona uccisa da mafiosi, e non dicono nulla. Ma ci sono molte persone che dedicano la loro vita per il loro ideale: un mondo senza mafia. Qual è il mio ideale? Io ce l’ho un ideale? Forse sì, forse avevo trovato il MIO di ideale.
Il giorno dopo non salutai le mie due “amiche”. Salutai solo Alice che mi rispose con un sorriso e un gesto della mano. Entrai a gran passo in sala professori, finché non vidi la mia prof. di lettere. “Caterina! Cosa ci fai in sala professori?!”
“Prof devo parlarle … in privato …” dissi, vedendo che altri professori ci guardavano.
“Okay …” Ci chiudemmo in una piccola stanza. “… dai su raccontami …”
Le raccontai tutto, dal semplice furto della merenda, poi l’episodio della sigaretta e poi il pestaggio di Halloween.
“… Ho deciso di dirlo a lei perché ieri sera ho finito di leggere “Il pannello”. Mi ha fatto riflettere su quale fosse il mio ideale, la mia battaglia da combattere… forse la mia battaglia è contro il bullismo… chi lo sa? Ma vorrei che lei mi aiutasse. Perché per quanto questa battaglia possa sembrare piccola, è troppo grande per chiunque…”.
Ci furono dieci secondi di silenzio.
“Caterina, se tu pensi che questa sia la tua battaglia, combattere il bullismo, vincila.
Le battaglie o si vincono o si perdono. Sii te stessa e la gente ti ascolterà. Vuoi essere una grande persona? Puoi ancora esserlo. Cambia strada, Caterina. Tutti possono farlo. E tu ne hai il diritto.”
Uscii dalla sala-professori un po’ confusa sul da farsi, ma quando mi ritrovai faccia a faccia con Beatrice, non ebbi dubbi: “Tocca un'altra volta una ragazzina e racconto a tua madre chi sei veramente… non credo sarà molto contenta…” Feci un sorrisetto soddisfatto e incrociai le braccia al petto per sfidarla. Dopo un po’ lei abbassò lo sguardo, girò sui tacchi e se ne andò.
Quindici anni de Il Foglio Letterario
/http%3A%2F%2Fwww.tuttomondonews.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2014%2F12%2FIlfoglio.jpg)
Libera editoria Il Foglio Letterario
Quindici anni sono passati dalla fondazione della rivista Il Foglio Letterario , trasformatasi, quattro anni dopo, in prolifica casa editrice. Diretta dallo scrittore, saggista, traduttore ed ...
http://www.tuttomondonews.it/libera-editoria-foglio-letterario/
Cliccate sul link sopra, troverete un'Intervista su Tutto Mondo a tema editoria, 15 anni del Foglio, cinema e altro...
Reportage: Hong Kong, una città poliedrica che affascina sempre
/image%2F0394939%2F20141206%2Fob_d2650c_hk-2262857b-300x187.jpg)
Modernità e tradizioni antiche si fondono perfettamente. Un paese dove cultura, gastronomia e shopping sono ai massimi livelli.
Avete lavorato sodo e ancora non siete andati in vacanza? Oppure le avete già trascorse ma al mare, in montagna o avete campeggiato da qualche parte perché vi piace il contatto con la natura?
Bene, allora se avete ancora qualche giorno di ferie, siete pronti per qualcosa di diverso. Qualcosa che abbia un che di esotico e ultra moderno, qualcosa di eccitante ed estremamente confortevole. Insomma, un posto unico nel suo genere: Hong Kong.
Perché proprio Hong Kong? Perché è una perfetta miscela di vita tipicamente cinese, con tutto il suo bagaglio di tradizioni, unito a tutti i conforts tipici di una città super moderna occidentale. Ottimi alberghi, buon cibo e boutiques di lusso, tutto perfettamente amalgamato con villaggi rurali, giunche, sampan e Opera cinese.
Se ciò che vi viene in mente, pensando alla cucina cinese, è soltanto “agrodolce e biscotti della fortuna”, si può dire che non l’avete mai assaggiata veramente.
A questo proposito, Hong Kong potrebbe definirsi una vera e propria “cornucopia” piena non solo dei migliori piatti regionali, ma anche di eccellenti cucine internazionali: indiana, giapponese, italiana, messicana, austriaca, ebraica, senza per questo tralasciare i vari “Mac Donald’s” e “ristoranti” simili.
Non a caso, infatti, a marzo di ogni anno, si svolge l’Hong Kong Food Festival”, noto proprio per celebrare, tra folklore e cultura, le delizie gastronomiche cinesi e internazionali.
E a proposito di cultura, un eccellente modo di abbinarlo al cibo è senz’altro da visitare l’Hong Kong Cultural Centre, Potreste, per esempio, vedere le halls e i teatri in cui si svolgono i concerti, o divertirvi a sbirciare dietro le quinte del Grand Theatre, con il suo enorme palcoscenico girevole, oppure godervi le caratteristiche performace degli acrobati, dei giocolieri e dei musicisti, o ancora assistere alle dimostrazioni di arti marziali e, subito dopo, davanti alla spettacolare vista del “Victoria Harbour”, gustare le numerose portate del magnifico banchetto preparato dal ristorante Cantonese del Centro.
Ad Hong Kong l’arte, in tutte le sue espressioni, è tenuta in grande considerazione.
Il calendario, che dura tutto l’anno, comprende una girandola di spettacoli di ogni genere i cui protagonisti, quasi tutti di fama mondiale, hanno contribuito a fare del paese uno dei luoghi artistici più prestigiosi del mondo.
L’annuale “Hong Kong Arts Festivals”, da febbraio a marzo, e il biennale “Festival delle Arti Asiatiche”, sono solo due degli eventi ad altissimo livello di questo calendario.
Ad Hong Kong, un ottimo modo per concludere una bella serata, potrebbe essere un bel giro a piedi, fra lo scintillio di migliaia di luci colorate, fino a raggiungere il mercato notturno di “Temple Street”.
A chi piace fare acquisti e trattare sui prezzi, potrebbe essere divertente farlo con i venditori dei vari articoli esposti sulle bancarelle: portafogli e cinture in pelle, t-shirt, jeans, orologi e chi più ne ha più ne metta.
Gli amanti dello shopping avranno sicuramente di che scatenarsi dal momento che troveranno molti negozi aperti sette giorni alla settimana. I centri commerciali, poi, sono veramente immensi e, soprattutto, fornitissimi. Le boutiques, quasi tutte di lusso, espongono firme a noi ben note, ma con prezzi più abbordabili.
Ma l’acquirente va ben oltre la griffe e il negozio di lusso perché è direttamente nelle fabbriche e nei mercati che il compratore può dimostrare tutta la sua abilità nel contrattare. I migliori affari, infatti, si fanno nei negozi dislocati nelle grandi fabbriche. Si potrà trovare di tutto, dalla seta alla pelle, ai tessuti di angora a prezzi davvero vantaggiosi.
Hong Kong è uno dei pochi posti al mondo in cui fare il sarto è considerata una professione. Metro al collo, i sarti esaudiscono le richieste delle persone confezionando su misura vestiti e anche scarpe, presso Happy Valley. Ma i vestiti non sono gli unici ad essere fatti su misura.
Anche i gioielli, infatti, possono essere “confezionati” con le pietre scelte dai clienti. Se poi lo shopping incomincia ad annoiare, si può prendere una boccata di aria pura, lontani dal frenetico centro della città, si può prenotare una gita campestre molto interessante: “il Land Between Tour”.
Un bus dotato di ogni confort condurrà attraverso verdi colline, villaggi rurali, allevamenti di oche e templi. La prima fermata è a “Cheuk Lam Sim Yuen”, uno dei monasteri buddisti più belli di Hong Kong.
Poi, attraverso le piantagioni di banane, si arriva in un tradizionale mercato, con i suoi magazzini pieni di frutta, verdura, fiori e pesce essiccato.Si può vedere il confine cinese ed il “Plover Cove Country Park”.
Sulla strada di ritorno, si trova la famosa “Amah’s Rock” una roccia a forma di donna con un bambino sulle spalle, e la “Lion Rock” a forma di Leone.
Il tour passa anche vicino al campo da golf “Fan Ling”. Ad Hong Kong ci sono svariati Clubs, molti dei quali di grande prestigio. Ma uno dei più eccitanti e coinvolgenti spettacoli di Hong Kong si svolge, senza dubbio, all’ippodromo. La stagione delle corse dei cavalli inizia a settembre e dura fino a maggio-giugno dell’anno seguente.
Tutto qui quello che si può fare a Hong Kong? No, c’è anche la parte antica da vedere…ma di questo parleremo un’altra volta.
/http%3A%2F%2Ftravelling.travelsearch.it%2Fwp-content%2Fuploads%2F2014%2F09%2FHK_2262857b-300x187.jpg)
Reportage: Hong Kong, una città poliedrica che affascina sempre | Travelling Interline
Avete lavorato sodo e ancora non siete andati in vacanza? Oppure le avete già trascorse ma al mare, in montagna o avete campeggiato da qualche parte perché vi piace il contatto con la natura? Ben...
Margaret Atwood, "L'assassino cieco", un esercizio di bella scrittura
/image%2F0394939%2F20141215%2Fob_50788e_copj170-asp.jpg)
Amori rubati, mancati, violenti, guerre, rivoluzioni, lotte operaie, capitalismo, povertà, un accenno di anarchismo, un po’ di proto-femminismo, bugie, saga familiare, un pizzico di fantascienza, un po’ di giallo e di noir e tanto altro ancora li possiamo trovare nel libro di Margaret Atwood L’assassino cieco, letto nell’edizione Tea e disponibile in diversi formati e prezzo. Dell’autrice è anche superfluo parlare, conosciutissima, candidata più volte al premio Nobel, Il fatto che non l’abbia mai avuto la rende migliore?, vincitrice di diversi premi di un certo rilievo e questo romanzo appare nella classifica di un noto settimanale americano tra i migliori cento libri in lingua inglese del secolo. Ora chi sono io per parlare di cotanto libro e autrice? Un lettore, la seconda faccia della moneta che permette agli scrittori di esistere. Non esisteremmo gli uni senza gli altri. Dopo questa cazzatella pseudo filosofica-letteraria andiamo avanti.
La storia è ambientata in un ipotetico paese canadese ed inizia con una morte e il libro è tutto teso a svolgere la matassa che spiegherà la morte con la storia della famiglia Chase narrata dalla vecchia Iris e dal libro scritto dalla sorella Laura che è parte integrante della narrazione. Nessuno degli avvenimenti principali della prima metà del 900 è stato tralasciato, dalla industrializzazione alla depressione, dalle lotte operaie al capitalismo, dalla guerra di Spagna al fascismo alla seconda guerra mondiale, ecc. Il tutto narrato con una vena di giallo che dovrebbe rendere appassionante la vicenda ma che non coglie il segno in quanto la trama si svela da sola mano a mano che si legge e manca anche il classico colpo di scena degno del genere. Non affonda in nessuno degli argomenti trattati, un immenso ricamo bello ma non compiuto, l’autrice si è fermata all’imbastitura senza essere in grado di dare al ricamo quei colori che servono a farlo risaltare sulla stoffa del fondo.
Di materiale c’è ne è tanto, come detto, e il libro è scritto bene e altrettanto tradotto ma, a differenza del giudizio di un noto inserto settimanale di un noto quotidiano nazionale, non travolge, non coinvolge. Sembra di essere immersi in uno stagno di vocali e consonanti dove ogni tanto cade qualche parola che provoca piccoli cerchi concentrici che subito svaniscono. In alcuni punti penso sia più avvincente un mattinale della Questura che il libro della Atwood. Una scrittura ferma, piatta, verrebbe da dire priva delle emozioni che gli argomenti trattati provocano nella penna di altri autori.
Un esercizio di bella scrittura lungo 552 pagine.
/http%3A%2F%2F2.bp.blogspot.com%2F-8yyJM-g32yE%2FVEDVHBlzsRI%2FAAAAAAAACRU%2Fq3FZ8aE1Qjk%2Fs1600%2Fcopj170.asp.jpg)
Vengo da lontano ma so dove andare: L'assassino cieco, un esercizio di bella scrittura
Amori rubati, mancati, violenti, guerre, rivoluzioni, lotte operaie, capitalismo, povertà, un accenno di anarchismo, un po' di proto-femminismo, bugie, saga familiare, un pizzico di fantascienza, un
http://vengodalontanomasodoveandare.blogspot.it/2014/10/lassassino-cieco-un-esercizio-di-bella.html