PRESENTAZIONE UFFICIALE di CALCIO E ACCIAIO - Dimenticare Piombino
In data 11 maggio - ore 18 - SALONE DEL LIBRO DI TORINO
PRESENTAZIONE UFFICIALE di CALCIO E ACCIAIO - Dimenticare Piombino
PRESENTATO AL PREMIO STREGA 2014
DAL 27 FEBBRAIO IN LIBRERIA - Distribuzione ALI LIBRI - http://www.alilibri.it/
Mente Locale: http://www.mentelocale.it/57320-magazine-calcio-acciaio-dimenticare-piombino-intervista-gordiano-lupi/
Gordiano Lupi - CALCIO E ACCIAIO - Dimenticare Piombino
Acar Edizioni – Euro 15 – Pagine 200 – Distribuzione Nazionale ALI
Introduzione di Gianni Anselmi, Sindaco di Piombino ed ex calciatore nerazzurro
Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino racconta con amore e nostalgia una storia ambientata in un suggestivo spaccato maremmano.
“Aldo Agroppi era amico di sua madre, viveva in via Pisa, un quartiere di famiglie operaie, case bombardate durante la Seconda Guerra Mondiale, tragiche ferite di dolore, macerie ancora da assorbire. Giovanni ricorda una foto di Agroppi che indossa la maglia della Nazionale, autografata con un pennarello nero. Era stato proprio Agroppi in persona a dargliela, all’angolo tra corso Italia e via Gaeta, in un giorno di primavera di tanti anni fa, dove la madre del calciatore gestiva una trattoria, un posto d’altri tempi, dove si mangiava con poca spesa. Giovanni era un bambino innamorato dei campioni, giocava su un campo di calcio delimitato dalla sua fantasia, imitava le serpentine di rombo di tuono Gigi Riva, i virtuosismi di Sandro Mazzola, le bordate di Roberto Boninsegna, le finte dell’abatino Gianni Rivera e la vita da mediano di Aldo Agroppi, cominciata a Piombino e conclusa a Torino”.
Dopo tanti anni Piombino era ancora una volta il centro del suo mondo. Lo Stadio Magona aveva preso il posto di San Siro, le duecento persone domenicali che seguivano la squadra locale erano il suo nuovo pubblico, anche se i dribbling si facevano sempre più rari e le azioni più lente. Giovanni si preparava con scrupolo alle gare, spingeva i giovani a dare il meglio, insegnava, come un allenatore in campo che dispensava anni di esperienza”.
“La nostra cultura era quella del flipper con i record segnati con la penna biro, del calcio balilla con i vecchi calciatori decapitati e anneriti, dei primi videogames artigianali che si facevano strada. Non solo. Era la cultura del cinema con il doppio spettacolo domenicale e la signora che vendeva manciate di semi per poche lire. Era la cultura del campino sterrato della parrocchia, dove sognavamo di emulare Mazzola e Rivera. Era la cultura dei nonni che raccontavano le fiabe tenendoci per mano nelle giornate di vento”.
“Canali di Marina dove gettare una lattina di birra o le finte teste di Modigliani, emulando i cugini livornesi dopo una scorribanda tra amici. Scogliere di Fosso alle Canne, la luna a picco su una casa diroccata che sembrava uscita dai versi di Montale, io che recitavo La casa dei doganieri, la casa della mia sera, con la tua mano stretta nella mia e aspettavo un bacio, un segno che tutto sarebbe andato bene, che non mi avresti lasciato. Nottate di libeccio con il mare che superava la balaustra in ferro battuto del Porticciolo e bagnava le mura del vecchio ospedale. Maestrale che pareva uscito da un quadro di Fattori, mentre in Cittadella mi fermavo a guardare il mare in attesa di un bacio dalle tue labbra inesperte e tremanti, quasi come le mie”.
“Soltanto a Piombino ho visto case per gli operai costruite sul mare, acciaio e salmastro cercare una strada comune, lottare per fumo e pane, ma anche amore per il mare, per scogliere incontaminate, per golfi e calette misteriose che danno riparo al sole. Sarà per questo che ho scelto di tornarci. Forse mi sento figlio di tante contraddizioni”.
articolo su La Stampa
Mauro Cesaretti, "Se è vita lo sarà per sempre"
Se è vita lo sarà per sempre
Mauro Cesaretti
Montag
Nella silloge “Se è vita lo sarà per sempre”, di Mauro Cesaretti, primo libro di una futura trilogia, l’oggetto del contendere è La Vita, come può apparire ad un ragazzo molto emotivo: difficile, piena di delusioni e di paure. La gestione delle emozioni è il compito più arduo.
Mauro Cesaretti è un adolescente dalla ricca vita interiore, un performer che accompagna i suoi versi con la danza e il gesto. L’onda dell’emotività rischia di sommergerlo, perciò prende la penna e scrive per arginare suggestioni, turbamenti, angosce, fobie, sogni. Se troppo sensibili, si vive senza pelle, con i nervi allo scoperto: tutto ferisce, tutto ingigantisce, tutto fa male. È per questo che, a diciotto anni, Cesaretti già sente la fatica di vivere, si sente già “lasso”. E, tuttavia, non smetterebbe mai di guardare il mondo “con gli occhi del cuore”, emozionarsi ed emozionare, svelando gli oggetti nella loro essenza, togliendo loro il velo della mediocrità.
Ci parla di cose quotidiane: il gatto nel giardino, il padre, la ragazza, la poesia, la solitudine, la metafora del viaggio, il bagaglio perso che simboleggia ciò che siamo stati, i nostri ricordi, ma già considera la vita “lercia”, “lurida”, e può esserlo davvero, a tutte le età, in tutte le condizioni, perché la sofferenza non ci lascia mai. C’è comunque resistenza al dolore, non abbandono, tentativo di rinnovarsi: “l’estate seguente mi ricreo/in un getto d’acque calde.”
Quando si è molto giovani – e diciotto anni oggigiorno sono pochi – si tende a non rinunciare a niente di ciò che abbiamo scritto. Non è nemmeno ostentazione o vanità, piuttosto l’entusiasmo di condividere tutte le emozioni, e la paura di lasciare fuori qualcosa. Abbiamo perciò, qui, una ricerca stilistica ancora immatura, e con ampio margine di miglioramento. Si sperimentano varie strade senza tralasciare nulla, dal recupero di stilemi ottocenteschi a un tentativo di ermetismo blando – senza, almeno in apparenza, dilavare, distinguere, scegliere, ripulire. È una indagine che non ha ancora trovato la sua via, fra assonanze sibilanti - “La compagnia interessante /di sassi pesanti./L’allegria passante per i pressanti suoni.” – e cacofoniche – “Sarà uno scatto fermo, preso alla sprovvista/d’una svista mista tra i ripensamenti/di incombenti scelte incerte e delusioni.”
Lo studio metrico c’è, fino a trovare anche un certo ritmo gradevole che, però, non è mantenuto fino in fondo. L’autore pare sviarsi, cambiare stile ad ogni strofa, non raggiungere l’intensità voluta e persino incappare in qualche licenza di troppo. Come spesso accade, le immagini più belle sono quelle senza pretese, quasi sfuggite all’autore distratto, come “il faro sulla collina stanca.”
Concludiamo proponendo una delle poesie più piacevoli:
Io e te
Siamo solo io e te.
Tutto il resto è fermo
e silenzioso.
Solo quella lacrima si muove
sul tuo volto rosato
e tutto il mondo diventa
salato e arido.
Questi sassolini bianchi
ricoperti di cenere,
vengono spolverati da
questo tuo sorriso.
Ti abbraccio forte e il tuo sguardo
mi penetra il cuore,
il tuo sguardo amaro,
ma pur sempre amichevole.
I tuoi occhi blu
brillano nel tramonto
di questa faccia seria e serena,
e mentre sei assorta in qualche pensiero,
nel vuoto dell’infinito,
il cielo si dipinge di grigio.
Sixtynine (69) in Amsterdam part II
Avete presente quando ci viene voglia di tornare indietro nel tempo… diciamo di almeno una decina d’anni,
così tanto per …
…per pensarsi ancora libere…
libere da palle al piede varie che ci impediscono di prendere il volo quando vogliamo
libere di pensare solo a cosa mettersi addosso per uscire e se abbiamo abbinato bene lo smalto al vestito
libere di esibire tette e culo a destra e a manca, in abiti ammiccanti, promettendo di darla in un solo sguardo, con un bicchiere di pampero in mano e le gambe accavallate solo per fare il giochetto alla Basic Instinct…
Avete presente, no?
Ecco, io finalmente ce l’ho fatta: sto per tornare indietro nel tempo! E ancora non ci credo.
Sono riuscita ad organizzarmi, ho un piano a prova d’imprevisti; stavolta è sicuro: non gli do una sòla, gliela do e basta.
Da quanto aspettavo questo momento, non l‘avrei mai detto di me stessa…mi sento come Cenerentola che si prepara per il ballo…. In fondo è stata lei la prima pollastra della chick lit che tanto amiamo ad essere raccontata …
Ma torniamo a noi, ecco la mia chick list già tutta spuntata:
- prole assicurata per la serata a mia cognata ad orario indefinito (oh e che esistono a fare sennò le zie), e ho risparmiato pure i soldi della babysitter
- lui fuori per impegni improrogabili, evvai!!!
- motel (motel?!?) prenotato
- appuntamento con Lui confermato (no, non è che sto per andare in estasi mistica, spero “estasi” e basta)
Però un anticipo di paradiso, quello stasera me lo prendo!!!
Ebbene si, signore mie, sto tramando l’incontro passionale del decennio, sono complice di una fuga che mi sconvolgerà i sensi e risolleverà le sorti del mio matrimonio. Sì avete capito bene, faccio tutto questo esclusivamente per il mio matrimonio…
I rapporti di coppia sono come i mobili di casa, ogni tanto vanno ammodernati e poi grandi studi di psicologia lo confermano, i tradimenti possono dare una forte scossa ai rapporti d’amore datati, insomma il celeberrimo (e vagamente paraculo) “tradimento terapeutico” …
Ecco, io ho deciso, voglio farmi dare una forte scossa.. e basta! Senza dire niente a nessuno, voglio unire l’utile (mio) al dilettevole (sempre mio) con un figo (a suo tempo) che ho ritrovato per caso su Facebook.
Quanto ricordi con Lui… sono improvvisamente tornata in uno stato che la mia mente e il mio corpo avevano quasi rimosso, tremori alle gambe, scivoloni nello stomaco, vampate improvvise (e non è la menopausa, sono ancora giovane per quella !?!) e la famosa “voglia di qualcosa di buono, ma veramente buono” della contessa.
Il nostro è stato inizialmente un fuoco nascosto sotto la cenere, ai tempi dell’università, poi, non so come, durante un viaggio organizzato con amici, ci ritrovammo una notte a fare “Sixtynine (69) in Amsterdam” io, Lui e mariagiovanna …
E oggi in un battibaleno mi sembra che la cenere si sia dissolta e il fuoco di un tempo abbia ripreso a scaldare i nostri corpi…
Certo, oggi ha qualche chiletto in più, la barba che lo invecchia un po’e moglie e due figli a carico…
Certo, un motel appena fuori la città non è il massimo della chiccheria, però già mi vedo a seno nudo sotto le lenzuola di seta (be’, magari è un motel a sette stelle…) a fumare la mia maria con Lui, ancora avvinghiato alle mie gambe, incapace di staccarsi dal mio corpo…dopo il “Sixtynine” – part II.
(solo per precisare, se era per me, un ordine alla Fata Madrina per fornitura jet privato e camera al Ritz di Parigi, l’avrei fatto, ma, insomma, capisco che oggi c’è la crisi e, come si dice, chi si accontenta GODE e, in fin dei conti, lo scopo quello è…)
Certo, avrebbe potuto prenotare lui, ma mi ha detto che aveva paura di lasciare tracce in giro e io – Ah sì certo, capisco – (capisco?!)
Certo, avrebbe potuto darmi conferma dell’appuntamento con un sms un po’ più passionale al posto di un misero “OK”.
Tutti ‘sti “certo” hanno un non so che di conosciuto…anzi familiare direi… non trovate?
Ma la fuga ha poteri incredibili, penso, mentre entro nel parcheggio del motel (basta “motel” non lo dico più, mi sta cambiando il genere letterario…)
Tutto ha un sapore diverso… (deve averlo) ecco la sua macchina è lì e io parcheggio a fianco (vicini vicini…)
Mi arriva un altro sms – lo stallone scalpita – penso
- Chiedi del sig. Topolino alla reception… -
Topolino?????? all’anima dello stallone, mo’ mi fa fare pure una figura di merda… Il receptionist che, se avessi chiesto di un tale sig. Rossi, poteva tranquillamente ignorarmi mi fa una faccia da imbecille che dice: “dilettanti”. Si, bello mio, puoi giurarci che ci diletteremo parecchio…
Quando arrivo alla porta e al posto del Do Not Disturb trovo “Accettasi solo Topolona affascinante”.
Un po’ vacillo, ma non si torna indietro da “indietro nel tempo”!
Busso, mi apre subito, ma col piglio di uno che viene da lontano, con calma.
Lo sguardo, il sorriso sono quelli di dieci anni fa.
“Cielo, che figo… mio marito!
Le italiane lo fanno? ...meglio?
Avete presente quando ci viene voglia di tornare indietro nel tempo... diciamo di almeno una decina d'anni, così tanto per ... ...per pensarsi ancora libere... libere da palle al piede varie che ci
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Otello Chelli, "Gente della Venezia"
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Gente della Venezia
Otello Chelli
Finegil Editoriale spa 2014
Divisione Il Tirreno
Gruppo Editoriale l’Espresso
Narra la leggenda che Otello Chelli, classe 1933, abbia imparato a leggere sedendo accanto alle locandine dei giornali. Autodidatta genuino, scrive in una lingua dove ogni parola è letteraria ed intrisa di pathos, ma gli sfuggono errori e refusi che il Tirreno - da cui si può scaricare l’ebook “Gente della Venezia” - non ha provveduto a correggere proprio perché la materia di questo cantore della labronicità più intensa deve rimanere quella che è, grezza e lucente come un diamante appena estratto, aulica e popolare insieme.
Anarchico e libertario, comunista in senso quasi evangelico, Otello Chelli ha alle spalle una lunga produzione di opere sia in prosa che in poesia. Il suo romanzo “La stirpe dei Morgiano”, ormai introvabile, passa di mano solo fra gli amatori. Quello che ci lascia oggi, all’età di ottantuno anni, è un vero e proprio testamento. Prima di congedarsi vuol testimoniare un mondo che vive e palpita solo nei cuori degli ultimi superstiti. Con la generosità e lo spirito solidale, a momenti francescano, che lo anima, Chelli fa in modo che il suo lascito sia fruibile da tutti e scaricabile gratuitamente dal quotidiano della sua città.
Già, la città, quella stessa Livorno cantata da Caproni, patria di Mascagni, Fattori, Modigliani. Ma non tutta, solo un quartiere, piccolo per la verità, che si dilata e giganteggia, erge invisibili mura di fossati, di ponti, di barriere che lo separano dal resto del centro toscano: la Venezia.
Il quartiere si chiama così perché ricorda la città lagunare, fra ponti e canali, scalandroni e navicelli; è architettonicamente molto bello, ha conosciuto il suo massimo splendore nel settecento, Luchino Visconti vi ha girato “Le notti bianche”. Per Chelli costituisce un macrocosmo, un intero universo, il teatro all’aperto dei suoi sogni di bambino, il luogo dell’anima dove tutto è possibile.
Il testo è totalmente autobiografico ma di quell’autobiografismo capace di scardinare i propri limiti e ridisegnare un mondo, un territorio e un tempo, popolati da una folla di uomini e donne che sembrano usciti da un atto di Cavalleria Rusticana o da un quadro di Eugenio Cecconi, anche se i fatti narrati sono posteriori e coprono l’arco che va dagli anni trenta al dopoguerra. Gente che fu, gente del popolo, svelta di mano e di coltello, pronta a lavare un’onta col sangue e a rubare per sfamare i figli, ma capace anche di dividere tutto con gli amici. Gente di cuore che sa aiutare e compatire nel senso letterale del termine.
Il testo – non lo chiamiamo romanzo perché è piuttosto una sere di quadri, di “spezzoni”, come li definisce l’autore – rievoca figure storiche, con tanto di nome, cognome e soprannome. Si parte da Artemisia, madre del protagonista.
“Artemisia aveva chiamato i figli per dare loro il solito cantuccio di pane con qualcosa dentro per insaporirlo. Lei e Pepe Nero avrebbero cenato nella fiaschetteria di Edipo con una fogliata di acciughe sotto il pesto e un litro di vino rosso.”
È un’Annina meno fine e meno caproniana, sanguigna, scarmigliata, dalla risata squillante, pronta a battersi come una tigre in favore degli otto figli ma anche dei figli delle vicine; capace addirittura di incontrare il duce in persona per difendere il marito dagli squadristi. Ma, soprattutto, generosa:
“Mamma poteva contare abbondantemente sui soldi guadagnati con i miei traffici, la fame ci era sconosciuta, ma nel mio nascondiglio, ne avevo uno anche nel labirinto della Fortezza Nuova, più ne mettevo, più il mucchio scemava. Era più forte di lei. Non poteva dare da mangiare ai propri figli mentre intorno altri bambini e ragazzi stavano a guardare con gli occhioni spalancati e una luce mista di desiderio, brama e supplica. Così divideva pranzo e cena con tutte le famiglie abitanti nel nostro pezzo di colonia e anche oltre, per me era padrona di farlo, mai avrei potuto richiamarla alla moderazione nella spesa quotidiana, perché condividevo pienamente quella solidarietà, del resto generalizzata, forse il dato più bello da registrare in quei lontani giorni di tragedia.”
Dopo Artemisia, ecco la Ciucia, cui è dedicato anche il libro della pronipote Tiziana Savi,“La Ciucia per tutti, Bruna per noi”, sempre con la partecipazione di Chelli. La Ciucia era un carattere borderline, una donna buona e compassionevole, che ogni giorno chiedeva – anzi, diciamo pure pretendeva – l’elemosina per consegnarla ai soldati e a coloro che soffrivano. Sparì senza che se ne sapesse più niente.
Fra i personaggi riportati in vita da Chelli, spicca la giovanissima e bellissima Doretta, innamorata di un amore infantile ma carnale, morta sotto i bombardamenti.
“Ho vissuto una lunga, tumultuosa esistenza eppure, mentre mi avvio verso l’ultima tappa di questo mio viaggio sulla terra, la presenza dello spirito inquieto di Doretta è sempre più costante e qualche volta m’illudo che ella stia aspettando il momento in cui il mio corpo cederà alla morte, per allungare la sua mano, tirarmi su e correre insieme a me per le strade strette, battute dal libeccio, con i fossi pieni di navicelli e di vita, in una Venezia immortale che non sarà mai travolta dalla guerra che il 28 maggio 1943 distrusse le sue mura, ridusse alla rovina le sue case cancellando una splendida fiaba e disperse la sua gente in una diaspora senza ritorno”.
E poi Otello Bacci, il musicista assurto agli onori della rivista con Dapporto e Totò; e Silvano Ceccherini, ex capo di una banda di ladri, ex detenuto e poi scrittore; e l’amico fraterno Sansone, compagno di tante avventure pericolose e illegali, rinnegate da Chelli in favore dell’impegno politico. Come Doretta, anche Sansone è morto e mai dimenticato.
“Mi inginocchiai sulla terra sotto la quale era stato sepolto e immersi un dito nella superficie marrone, fresca d’umidità, piena dell’odore buono dei campi e pensai ala sua anima: sapevo come in quel momento Sansone fosse finalmente libero.”
A far da sfondo tridimensionale ai personaggi sono i luoghi ma, specialmente, i momenti storici. In particolare tre: il fascismo, i tragici bombardamenti che rasero al suolo Livorno durante il secondo conflitto, e l’occupazione americana che trasformò Livorno in una novella Babilonia di traffici illeciti, malavita, borsa nera, “segnorine” e soldati di colore, con la pineta di Tombolo convertita in terra di nessuno, in covo di banditi e prostitute.
Al di là della ricostruzione storica vivissima e partecipata, ciò che anima il racconto è la nostalgia straziante di un mondo sparito, fatto, sì, di stenti, privazioni e atti illeciti, ma anche di uguaglianza, amicizia, solidarietà, in pieno spirito labronico. Quel periodo, quello spazio, quel quartiere, incarnavano gli ideali che l’autore ha perseguito per tutta la vita. Otello Chelli è, infatti, un comunista della prima ora, di quelli che intendono l’impegno politico come lotta, ma anche amore, dedizione, onestà e purezza. Ideali destinati ad infrangersi e a rimanere sempre irraggiungibili. Ideali che, al sapore acre della sconfitta, mescolano quello del rimpianto per la giovinezza che non c’è più, per la vita che sta per concludersi. Così, quest’uomo che ha superato gli ottanta anni, quest’uomo che, dice, non ha mai avuto paura di morire, quest’uomo duro ma col ciglio bagnato del poeta, si congeda da noi tramite la riaffermazione lucida e disperata di ciò in cui ha sempre creduto.
“Voltai le spalle al tumulo e mi avviai verso la città laddove avrei affrontato altri settanta anni di vita tumultuosa, inquieta, mai facile, ma ricca di impegno e sacrifici, di dolore e felicità, di ideali poi infranti dagli uomini, in me, però, rimasti vivi come allora e sempre.”
E ora, anche se nel testo esaminato non è compresa, ci piace accostare - timidamente e con pudore - una poesia di Chelli che commemora la figura di Artemisia ad una caproniana in memoria di Anna Picchi. Lo facciamo così, senza nessuna pretesa, solo col piacere di evocare sentimenti simili.
IL CARRO DI VETRO
Giorgio Caproni
Il sole della mattina,
in me, che acuta spina.
Al carro tutto di vetro
perché anch’io andavo dietro?
Portavano via Annina
(nel sole) quella mattina.
Erano quattro i cavalli
(neri) senza sonagli.
Annina con me a Palermo
di notte era morta, e d’inverno.
Fuori c’era il temporale.
Poi cominciò ad albeggiare.
Dalla caserma vicina
allora, anche quella mattina,
perché si mise a suonare
la sveglia militare?
Era la prima mattina
del suo non potersi destare.
IN MORTE DI MAMMA ARTEMISIA
Otello Chelli
Corsi, con il cuore che martellava dentro,
nella notte interrotta
e nei silenti, deserti corridoi dell’ospedale,
la speranza lentamente svaniva nell’affanno
di una certezza che mi strozzava in gola
l’urlo del distacco imminente da te viva.
- “Muore colei che mi stringeva al petto
con amore,
quietava i sonni miei,
e mi donava il sangue dal suo seno.” -
La porta aperta sul volto tuo disteso,
gli occhi velati, la fronte senza rughe,
una carezza e il tenue calore rimasto sulla pelle,
come il tenero petto di un passerotto implume,
mi resero il bambino disperato
che piangeva svegliandosi nel buio.
Ora non c’eri più con il tuo sguardo,
a placare le molte mie inquietudini
e gli affanni della ricerca antica
che mai mi ha dato requie.
La morte si era presa il tuo respiro,
senza l’ultimo abbraccio dei tuoi figli
ed io gemevo piano, con il viso
posato sul tuo capo reclinato.
L’alba mi vide accanto al freddo marmo,
chinato sul tuo corpo a ricordare
i momenti più belli della vita
e i giorni sfortunati.
Poi vennero i fratelli e le sorelle,
i mille pianti, i fiori
e il noce lucidato della bara,
il lento camminare sull’Aurelia,
con gli amici in attesa avanti casa
e i mattoni a serrare il nostro cuore
nella gelida morsa del dolore.
Ora, trascorso il tempo, sono sceso quaggiù,
nell’oscuro snodarsi delle tombe,
davanti al tuo ritratto.
Brillano fiochi lumi e il tuo sorriso,
tra il biancheggiar dei fiori,
è una povera immagine
della squillante risata di mia madre,
quando, giovane, bella e forte,
un bimbo rincorreva lungo il viale
accanto alla Crocetta di Saglietto.
Eppure, Mamma, il tuo ricordo,
nonostante lo scorrere di giorni mai tranquilli,
è presente, ben vivo e mi accompagna
in questa vita vissuta intensamente.
Il tuo corpo è tornato nella terra
che si frantuma attorno e che rinasce
dalle ceneri sparse
di un fuoco che ha vissuto sessant’anni.
Tu rivivi con me, con i miei giorni,
soffri e gioisci nei miei sentimenti,
ti rifletti negli occhi dei miei figli,
scorri con me le pagine diverse
degli anni che trascorrono, cadendo,
uno sull’altro, come foglie d’autunno.
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Finegil Editoriale spa 2014 Gruppo Editoriale l'Espresso Narra la leggenda che Otello Chelli, classe 1933, abbia imparato a leggere sedendo accanto alle locandine dei giornali. Autodidatta genuino ...
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Le favole cubane di Josè Martì
Josè Martì
Fiabe cubane
Ediz. Il Foglio
Narrativa cubana
Traduzione a cura di Gordiano Lupi.
“Sono tutte fiabe popolari che a Cuba vengono lette ai bambini. Non esiste persona che non conosca queste storie, raccolte da Herminio Almendros (1898-1974), un editore-scrittore-pedagogo ispano-cubano, noto per aver pubblicato Habia una vez (C’era una volta), il più noto libro di fiabe cubano. Almendros fondò l’Editorial Juvenil, prestigioso antecedente della Editorial Gente Nueva”.G.L.
Le origini della favola si perdono in un lontanissimo passato. Essa trae ragion di essere in quella cultura popolare e politicamente subalterna che nel rapporto conflittuale con i potenti esprime in modo semplice ed immediato le ingiustizie che quotidianamente deve subire.
Tra gli espedienti più comuni utilizzati dai compositori di favole vi è il ricorso a protagonisti tratti dal mondo animale, il che permette di osservare in un modo immediato comportamenti trasferibili al mondo umano. La chiarezza ed immediatezza del linguaggio fiabesco permette di recepire immediatamente la morale di ogni favola, sviluppando un dibattito sui temi evidenziati e su particolari vizi e difetti dell'animo umano sempre in dissidio tra bene e male, tra onestà e disonestà, tra arroganza ed umiltà ecc.
La favola, in quanto racconto fittizio che raffigura la verità in modo metaforico, coinvolge l'attenzione dei bambini e dei ragazzi su molti aspetti della vita, su lati del comportamento umano che, oltre che essere guidati da superiori ideali e valori etici, hanno bisogno di essere chiariti ed interpretati anche da schegge di buon senso, di terrena saggezza, di piccoli ammonimenti che, proprio perché più leggeri, più facilmente si insinuano nell'animo e spingono alla riflessione. E’ solo partendo dall’ osservazione dei comportamenti dei personaggi favolistici e dalla riflessione sui propri che fin dall’età infantile è possibile stimolare l’affettività, il rispetto, l’accettazione dell’altro da sé.
I temi della favola sono diversi e variegati: fatti della vita degli dei o di esseri superiori, degli animali, degli uomini colti nella loro quotidianità; i protagonisti sono spesso animali dotati di intelligenza e di parola umane, ma non mancano anche soggetti della natura inanimata.
Accanto agli animali è presente in questo mondo favolistico una umanità miserevole, colta nei suoi aspetti più dimessi, nella dura realtà del lavoro quotidiano: contadini, pescatori, pastori, rassegnati di fronte alle asperità del vivere, incapaci di trovare scampo ai soprusi della ingiustizia sociale. Ad essi dunque dà voce la favola, che dissimula nella sua contenuta polemica e nel travestimento metaforico dei suoi personaggi "la protesta degli umili" e la disincantata rassegnazione delle classi subalterne.
La gallina d’oro
Il mondo si divide in due parti: i lavoratori onesti e gli approfittatori. La vita però non è destinata a diventare un peso per alcuni e un trastullo per altri. Sicché prima o poi chi non si adopera per lavorare non avrà la giusta ricompensa.
La piccola rana verde e l’oca.
La favola riprende un motivo caro a Esopo ed è rivolto a tutti coloro che sono agitati da ambizioni sfrenate causate dall’invidia. La natura ha segnato per ciascuno dei limiti e andare oltre porta alla rovina.
La margherita bianca
Narra della gioia di vivere, del tripudio all’arrivo della primavera in tutto il suo splendore e della felicità dei bambini all’unisono con la bellezza di fiori e di piccoli animali.
La cucarachita Martina.
L’incontentabilità porta fuori strada. La sorte che sembrava la migliore si rivelerà essere la peggiore, per la disobbedienza del topolino alle esortazioni di Martina.
Come accadde che il topolino Péres resuscitò.
Talvolta i miracoli accadono davvero, ma non bisogna aspettarseli dall’alto. Bisogna imparare la legge della condivisione sia nel dolore che nella gioia. Tutti i personaggi animati e inanimati hanno condiviso con un segno concreto il dolore di Martina, e, trovata la soluzione, tutti sono stati ampiamente ripagati dalla gioia dell’avvenuta guarigione, gioia che non è stata divisa, bensì moltiplicata e concessa a ognuno, come ricompensa della partecipazione fattiva all’evento.
Riccioli d’oro e i tre orsi.
Insegna che la gioia si trova nelle piccole cose
Pulcino Pino
Stare in guardia dagli astuti. Non sempre le compagnie sono buone e i consigli disinteressati
La gallina Rabona.
Chi non si accontenta del suo perde anche quello che ha. Mai agire in modo disonesto per appropriarsi di quello che non è nostro. Chi la fa l’aspetti!
Il gallo al matrimonio.
La cortesia va sempre coltivata, anche quando ci sembra fuori luogo. Non possiamo noi essere giudici degli altri. Pertanto bisogna essere disponibili alla solidarietà
Mezzopulcino.
L’egoismo non porta bene. Aiutare gli altri diventa un’occasione per migliorarsi. Rimanere sordi alle richieste di aiuto non consente di averne quando se ne ha bisogno e spesso con l’egoismo siamo proprio noi a metterci in situazioni incredibili e assurde.
Non mancano nella prima sezione della raccolta Filastrocche che ammaliano con la rima baciata e con immagini delicate dai protagonisti topici delle fiabe con protagonisti umani (il cavaliere, la gitana) o con animali come in Cucù e nel piccolo raffinato componimento cantilenante La lumaca
Più complessa la struttura e più ricco lo stile nelle Fiabe per Ragazzi.
In “Una monella di nome Nenè” il leitmotiv dell’amore paterno e filiale s’intrecciano con la descrizione della bellezza, del metafisico, della speranza in una vita migliore, e per colorare la tristezza di sottofondo causata da una grave assenza il narratore ricorre all’utilizzo di descrizioni intimistiche delicate, di metafore cariche di significato, di analogie di profondo sentimentalismo.
E poi c’è la vita, quella da scoprire attraverso l’esperienza. E l’esperienza ha i suoi tempi, le sue tappe. La protagonista, come ogni giovane e fertile mente, è assalita dall’ansia di scoprire subito tutto quello che c’è nel libro proibito, un gran librone carico di anni e pesante di vita vissuta che il papà le impedisce di leggere. Lo afferra una notte di nascosto e vi trova la vita nei suoi aspetti fulgidi e strani, proprio come il gigante monocolo dipinto nel libro, fin troppo vicino al ciclope di omerica memoria. Diversi uomini, di varie razze, tentano di risalire faticosamente la lunga barba dell’omone. Fin troppo chiara la durezza della vita per tutti, a qualunque razza si appartenga! Infine l’imponderabile, l’inaspettato, l’uomo nero ignudo, che rappresenta il superamento del limite, l’ubbidienza tradita e forse l’incognita che ci attende quando si devia dalla retta via, una sorta di peccato originale che già inficiò l’umanità di Adamo.
Travolta dal fascino dei colori con cui sono raffigurati nelle pagine seguenti numerosi animali, la protagonista si lascia andare al trafugamento dei fogli e, quasi estraniata, non si accorge del monito del papà sopraggiunto all’improvviso che l’osserva con sguardo accigliato.
La conclusione infine restituisce una bambina provata dal rimorso.
“Bebè e il signor Don Pomposo” dichiara che la genuinità di sentimenti positivi appartiene all’infanzia. In un mondo in cui ad alcuni per sorte tocca una vita grama, al contrario di altri più fortunati che ottengono facilmente tutto, spesso gli adulti sono inadeguati a stabilire l’equilibrio e in una falsa torre di bontà dispensano doni a chi non ne avrebbe bisogno, trascurando di guardare oltre. Allora ci pensano i piccoli che in una sorta di slancio naturale mettono in pratica azioni di generosità a favore dei più deboli, soprattutto se bambini come loro.
Anche nella fiaba poetica “Le scarpette rosa”, ricca di descrizioni paesaggistiche e di dettagli personali, sorprende che l’iniziativa dell’atto generoso sia intrapresa da una bambina che rinuncia volentieri alle sue scarpine rosa, a cui tanto la sua mamma teneva, perché un'amichetta molto povera possa indossarle per giocare. Torna a casa a capo chino la bimba, timorosa per le conseguenze della disobbedienza, per giusta causa diremmo! Infatti non solo non verrà sgridata, ma addirittura la mamma l’esorta a far dono alla bimba povera di tante altre cose ancora.
Un quadro vero e proprio, una filigrana preziosa, un lavoro di cesello e ricamo è la fiaba “La bambola nera”. Minuscole pennellate di colore, lampi di luce che danno il senso pieno della descrizione attenta e meticolosa. Tutto è bello, raffinato, curato, le cose come i sentimenti, ma la crepa buia c’è perfino in questo mondo dorato. È ancora una volta la sensibilità della protagonista, una bimba di 8 anni, che in tanta festa per il suo compleanno, non riesce a godere pienamente della gioia dell’evento e dei regali ricevuti. Solo a sera, nel suo letto, ritrova la felicità abbracciando la bambola nera, il suo gioco preferito, da tutti trascurato perché considerato brutto e malconcio. Ancora una volta vien fuori l’amore per gli emarginati, così spontaneo in chi non è stato ancora “diseducato” dalle convenzioni sociali.
“Il gambero incantato”. Molto frequente è il tema della incontentabilità umana, e molto fortunato nella tradizione favolistica. Attraverso una serie di episodi narrati con garbo e con dovizia di particolari, l’Autore sottolinea come il parossistico desiderio di possesso, di ricchezza e infine di mutare la propria condizione, alla fine porti alla rovina. Il non rispettare la misura è un grave danno. Ma la favola contiene anche un altro messaggio: il non darla vinta agli sregolati, fronteggiare la loro insaziabilità a qualunque costo, pena la rovina personale. Proprio come ci suggerisce il finale.
Un monito valido da sempre soprattutto nell’educazione dei figli. E’ facile constatare come i giovani di oggi abbiano desiderio, anche in fatto di morale, di punti di riferimento sicuri che con sofferenza talvolta cercano in comportamenti poco coerenti del tessuto familiare e sociale; e che spesso il loro recalcitrare di fronte a consigli e ammonimenti severi è solo un modo per mettere alla prova non tanto se stessi, quanto gli adulti (genitori ed educatori). Un obiettivo, questo, che pare felicemente raggiunto nelle fiabe dell’Autore cubano.
C’è da chiedersi perché le fiabe incontrino in genere tanto favore e perché questo genere letterario sia pratico laddove si cerchi il profumo della libertà.
Sicuramente la narrativa, specie quella di veloce sforzo creativo, di più immediato impatto, come il racconto o la favola, è stato sempre il genere trainante, prodromico alle forme più ampie come il romanzo. Inoltre quando le convenzioni sociali, le limitate libertà impediscono l’autentica estrinsecazione del pensiero, questo si fa scudo della metafora con cui critica la realtà e gli aspetti aberranti di essa, nascondendosi in un generale moralismo che non sempre coglie le peculiarità di una situazione, di un paese, di un popolo. Oppure si corre il rischio che il senso inebriante delle conquiste poco mature “accentui il divario tra l'ideale dei padri e la meschinità del presente, la religiosità e il misticismo un tempo tabù, la solitudine senza prospettive”.
Allora interviene la satira, o con atteggiamento molto più dolce e bonario, ancora una volta la favola.
E sicuramente un ruolo importante nel loro contesto hanno rivestito anche le fiabe di Josè Martì.
Un’ultima nota per evidenziare gli ottimi disegni di Roberta Guardascione e la traduzione straordinariamente ricca di pathos di Gordiano Lupi.
Adriana Pedicini
Josè Martì (1853 – 1895), considerato l’eroe dell’indipendenza
cubana, morì combattendo contro i colonizzatori
spagnoli. Fu poeta di radice whitmaniana, anticipatore
della poetica modernista (di lui si ricordano
soprattutto i Versos Sencillos del 1891, dai quali venne
estrapolato il testo canzone Guantanamera). Non fu
solo poeta, ma anche narratore per l’infanzia (fondò la
celebre rivista La Edad de Oro), saggista, uomo politico
e romanziere. Tutta l’educazione della gioventù cubana
passa attraverso l’insegnamento capillare della
sua opera. Nené traviesa è una fiaba pubblicata per la
prima volta sulla rivista La Edad de Oro.
Il richiamo dell'usignolo
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Il richiamo dell’usignolo
Memorie, il richiamo dell’usignolo
Memorie, immagini, luoghi vissuti
storia e storie di gente consumata
fra terra arsa e case di pietra.
Vita spalmata tra vicoli ciechi
dove forte era l’odore del muschio
e il sol di rado dispensava sorrisi.
Al reiterato canto del gallo,
che all’alba suonava la sveglia,
seguiva un vociare affannoso
che rimbalzava di casa in casa.
Davanti a Edicole improvvisate,
effigie poste nelle crepe delle case,
ognuno chiedeva ragione ai santi
di mancati raccolti e stupori affranti.
Memorie, immagini, pietre vissute
pagine e pagine di libro mai chiuso
che in religiosa attesa rimane
pronto a colmare lacune
dell’usignolo che ne avverte il richiamo.
Lucia Clemente
Fai un passo avanti
E’ successo una mattina di primavera. Sedevo nella hall di un albergo, dove mi trovavo per una convention aziendale. Non era una delle mie giornate più brillanti. Anzi, sentivo che era probabilmente la peggiore della mia vita. Nonostante fossi lì per essere motivato, mi sentivo un rottame.
Il perché, difficile dirlo. Non ero particolarmente ammalato, né avevo problemi economici. Qualche guaietto sentimentale, ma niente che potesse turbare un essere umano medio. Eppure, sentivo di odiare tutto e tutti, me compreso.
Ero arrivato alla soglia della mezza età senza grandi realizzazioni. Il lavoro era una serie di collaborazioni messe insieme alla bell’e meglio. Vivevo coi miei, e non osavo nemmeno più sognare una vita mia, indipendente. Uscivo da una mezza storia dove una tipa che aveva vent’anni meno di me mi aveva dato segni di benevolenza salvo poi scomparire nel nulla. Era arrivata proprio quando avevo lasciato perdere l’idea di poter suscitare amore in qualcuna, e forse per questo la delusione era stata anche più cocente.
Certo, col tempo avrei dimenticato. Ma in quel momento era la ciliegina sulla torta. Così, ecco che quella mattina stavo seduto in una poltrona color aragosta, chiedendomi quanto valesse ancora la pena vivere, se l’impegno era così gravoso e i risultati tanto scarsi.
Ora, io credo che la razza umana non sarebbe sopravvissuta all’evoluzione se non avesse avuto “qualcosa” che gli consentisse di trovare soluzioni anche ai problemi più intricati. Si chiama creatività. Usandola, si può uscire dal nostro stato attuale e sviluppare nuove situazioni. Si tratta di qualcosa che agisce al di là della nostra coscienza, e spesso si presenta in forma di visione, di rivelazione, come se venisse dall’esterno, da qualcosa di superiore a noi.
E fu esattamente così. Mi parve di sentire una voce che diceva: Fai un passo avanti. Fai un passo avanti! FAI-UN PASSO-AVANTI!!!
Non essendo ovviamente Giovanna D’Arco, mi resi conto che il mio inconscio si era rotto le scatole di galleggiare nella sfighite acuta, e mi aveva comunicato questa informazione, che trovai potentissima, tanto da farmi immediatamente cambiare il mio stato d’animo. Alzai la testa, e mi resi conto che l’ambiente intorno a me pareva completamente diverso. Sentivo che, certo, i miei problemi c’erano ancora, ma potevo affrontarli, un passo alla volta.
E mi venne da pensare: quante occasioni ci sfuggono nella vita perché crediamo che sia troppo difficile ottenere qualcosa? Eppure, spesso qualsiasi traguardo si può raggiungere facendo un passo avanti, poi un altro, poi un altro ancora. Fino a quando ti volti indietro, e ti stupisci di quanta strada hai fatto. Tutto per aver deciso a suo tempo di fare un piccolo, piccolissimo passo avanti.
La zozzetta che è in noi
Una sera, dato che Whatsapp non funzionava (tutta colpa di Zuckerberg, secondo me), mi sono data al tweet compulsivo, specie sulle battute finali del festival di San Remo.
Nell’altra stanza c’era mio marito, perso nel pc come non lo vedevo da moooolto tempo….
- Bah… – mi sono detta – starà dietro a una delle sue solite ricerche antropo-sociologiche…. -
Di solito le sue “ricerche antropo-sociologiche” si riducono a stare su Youtube ad ascoltare presunti rapper, sconosciuti ai più, che vomitano testi improponibili o sedicenti cartomanti che, oltre alle carte, non sanno mettere assieme due parole per farsi capire…tutto per farsi due risate, grasse e snobbine, dall’alto delle sue tre lauree…
Ieri sera invece il bastardone faceva una ricerca di tutt’altra natura… (appurato con lavoro di intelligence informatica dopo che il fedifrago digitale è andato a letto…)
Allora che sia chiara una cosetta!!!
Uomini che fate la stessa cosa che ha fatto mio marito ieri sera…, tanto per mettervi al corrente, noi donne non siamo poi così cretine…pollastre sì, ma cretine no.
Quando, voi uomini, chiudete una pagina internet dai contenuti discutibili, se aveste un minimo di furbizia in più, andreste almeno a cancellare le pagine incriminate dalla cronologia dei siti visitati…
Ma noooo dite… tanto chi se ne accorge… la cosa meglio nascosta è quella lasciata in bella vista e bla bla bla…
- Tsk Tsk! – come direbbe Pippo e poi – Sgrunt! – come direbbe Paperino!
Una volta nascondevate il giornaletto “Le ore” sotto il materasso, oggi guardate siti porno e manco vi scomodate a non farvi beccare!
Si, avete capito bene signore, ho pescato, seppure in differita, quel porco di mio marito a guardare una zozzetta che si toglieva le mutande e se le infilava nel suo stesso orifizio… (quello generatore per intenderci), un’artista, a suo modo…
E ho pensato – … ma che c’avrà più di me sta zozzetta? -
- Quel pezzo di merda… una mancanza di rispetto così… devo fargliela pagare a quel bastardo… Ma sarò più brava di lui, non gli dirò che l’ho scoperto, sarò molto più subdola…glielo farò scoprire pian piano, la vendetta è un piatto che va servito freddo – ho pensato a caldo…
Nel frangente che la rabbia montava, ho visto quello che la zozzetta faceva all’attore maschile nel filmato e oltre a provare un certo languorino o meglio “voglia di qualcosa di buono” (tipo la contessa dei Ferrero rocher che poi, pure lei, mica ce l’aveva allo stomaco il languorino…), ho avuto un flash illuminante…
Perché chiamiamo i nostri uomini porci se guardano ‘ste cose?
Perché ce la prendiamo così tanto con loro?
Perché ci sembra un’offesa da lavare col sangue de ‘sti poracci?
Perché guardano con lussuria (ossia sbavando) altre donne e ne immaginano di goderne le lubriche attenzioni… mi direte voi
Ma noi non facciamo lo stesso lasciandoci avvincere dal bondage di Christian e Ana? Non vorremmo essere noi a firmare il contratto che Ana firma perché Christian ci faccia tutte quelle belle cosette, da emerite sottomesse che vorremmo essere?
Ma allora …non è la stessa cosa? Perché usare due pesi e due misure? Perché accusarli di porchitudine quando ne siamo affette noi per prime?
E se nelle previsioni più rosee, i nostri uomini desiderassero che fossimo proprio noi a fargli quelle cosette lì…?
Ebbene signore dopo questa accurata riflessione il video me lo sono guardato attentamente anch’io ... certo mettere in pratica quelle cosette andrebbe oltre i tempi consentiti per le nostre prestazioni usuali…però a turno una cosetta alla volta si può fare…
E per ottemperare in pieno la par condicio io e mio marito abbiamo lanciato la monetina … la sorte ha voluto che iniziasse lui…pazienza…mi sottometterò (ops) con sacrificio alla sua volontà…
Per i più curiosi… lui preferisce la cera bollente ma a smorzare la candela ci ho pensato io…
Le italiane lo fanno? ...meglio?
Ieri sera, dato che Whatsapp non funzionava (tutta colpa di Zuckerberg, secondo me), mi sono data al tweet compulsivo, specie sulle battute finali del festival di San Remo (seratona, ieri...) ...
http://myfreedom.blog.tiscali.it/2014/02/la-%E2%80%9Czozzetta%E2%80%9D-che-c%E2%80%99e-in-noi/
Gordiano Lupi, "Calcio e acciaio"
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Calcio e acciaio
Gordiano Lupi
Acar edizioni, 2014
pp 193
12,50
“Il problema con la vita è che, anche quando non cambia mai, cambia continuamente.”
Un romanzo dove accade ben poco, Calcio e acciaio di Gordiano Lupi, incentrato su un proustiano ricordare, una madeleine che rimanda a piene mani al precedente libro dell’autore, il bellissimo Alla ricerca della Piombino perduta. Anche qui la nostalgia è la cifra principale, permea di sé tutte le pagine in modo straziante.
“Giovanni è tornato a Piombino per ammalarsi di ricordi. Quando la realtà non è come la vogliamo si finisce per rifugiarsi nel passato.” (pag 77)
L’autore dissemina se stesso, spalmandosi sui vari personaggi, Giovanni in primis, ma anche Marco, Gino, Paolo, Paola, i quali hanno tutti il vizio di ricordare, di non adattarsi alla realtà quotidiana ma cercare qualcos’altro, qualcosa che doveva essere e non è stato, qualcosa che non potrà essere mai più.
“Giovanni si scopre a pensare che forse non gli manca tanto il Cinema Sempione, quanto il sapore di giorni che non possono tornare, quando tutto era ancora incertezza e scoperta del futuro, quando le immagini sul grande schermo erano i suoi sogni occhi aperti. Proprio così, come un gelato assaporato ancora oggi che non conserva il gusto del passato, pure se lo compri nella stessa gelateria della tua infanzia. Sa di cose che non possono tornare. Sa di rimpianto.” (pag 94)
Tutti i personaggi hanno gusti, manie, interessi riconducibili all’autore, dal calcio, al cinema, alle letture, a Cuba, e in loro è fortissimo lo scarto fra ideale e reale, la freccia puntata verso l’alto – dove il reale è sempre e comunque perdente - che è la caratteristica più tipica del Romanticismo. È gente, questa, che “il filo dell’orizzonte se lo porta negli occhi”, perché ciò che possiede non gli basta mai, non si accontenta del presente ma languisce nel rimpianto, in un bisogno sempre inappagato, sempre spostato in avanti o indietro.
Giovanni, il protagonista, è un ex calciatore di fama nazionale che ora, a cinquant’anni, allena la squadra del Piombino, città dove è nato e cresciuto e dove sono conservati tutti i suoi ricordi. Giovanni è un uomo aspro perché fragile, un uomo che conosce la solitudine terribile di chi si sente solo in mezzo agli altri, solo mentre mangia una pizza con gli amici, solo mentre fa sesso con una compagna della quale non è innamorato. Forse, paradossalmente, è meno solo quando passeggia senza nessuno sulle scogliere da cui si vede l’isola d’Elba, mentre osserva i gabbiani in volo, ascolta il loro strido intriso di salmastro, tocca le foglie carnose del fico degli Ottentotti pensando a una squadra da allenare per un campionato di basso livello. Ci sono i ricordi a tenergli compagnia, i volti e le voci del passato, ma la nostalgia è dolceamara, insopportabile. Ricorda il tempo che fu, i sogni perduti, gli amori e, soprattutto, la giovinezza che non tornerà mai. Di questo è acutamente e dolorosamente consapevole: le occasioni sono sfumate, i treni sono passati e i giorni da vivere non sono più così tanti.
“Mi trovo spesso a pensare che siamo i protagonisti di una storia che sta finendo, confinati in un angolo d’ombra, viviamo del nostro passato, piangiamo sulla nostra vita.” (pag 108)
Soprattutto, ciò che è stato non sarà più e il dolore, misto a una solitudine lancinante, è insostenibile.
Da bambino Giovanni viveva in una casa che era al di sotto delle possibilità della famiglia, una casa dove lui non aveva nemmeno una camera sua, ma che era intessuta di voci, di sapori e ricordi. Là, a pochi passi, abitava il nonno, responsabile del mondo fantastico di Giovanni/Gordiano, della sua capacità affabulatoria, della cattiva abitudine di sognare; là suo padre cenava con le spalle al mostro dell’acciaieria, fumoso, grigio, maleodorante, pronto a insanguinare il cielo con un falso e ferroso tramonto. L’orizzonte del cortile era limitato ma conosciuto e amato. Era il suo orizzonte.
“Al limitare dell’orizzonte l’industria, la colata continua, l’altoforno che bruciava i residui ferrosi e regalava un tramonto innaturale che colorava il cielo di rosso ad ogni ora del giorno.” (pag 56)
Ora Giovanni sta nella villa di Salivoli, quella dei sogni di ragazzo, ma tutto ha perso sapore, le giornate trascorse senza l’impegno del calcio sono vuote, aride, deprimenti. Il tempo dà valore alle cose, alle memorie, anche a quello che bello non era; tutto ciò che è stato, solo perché non c’è più, anche gli affanni, anche il degrado, anche la provincia sonnolenta e immota, anche la noia, diventano desiderabili, diventano la madeleine inzuppata nel tè in grado di sprigionare un’esplosione di reminiscenze.
Ci sono momenti in cui i sogni del passato si scontrano con la realtà per poi tornare nuovamente sogni nella prospettiva del ricordo, come a pagina 55, dove lo schema è SOGNO>REALTA’>SOGNO.
“La maestra spiegava le guerre puniche , mentre fuori si cominciava a intuire la primavera tra il salmastro delle tamerici e i primi fiori delle agavi spinose. Giovanni lasciava correre la fantasia. La storia con tutte quelle date e battaglie da imparare a memoria non gli interessava proprio. Era un po’ come la matematica, in fondo. Se ne poteva fare a meno. Fantasticare no, invece. seguire i sogni che volavano dietro i raggi di sole, immaginare il volo di un gabbiano nei colori dell’arcobaleno, veder partire navi pirata dalle scogliere a picco sul mare. Quelle erano le cose davvero importanti. La maestra spiegava e lui vestiva i panni di un soldato romano, gladio in pugno, a combattere in un’immensa pianura africana. Era il centurione Giovanni e partecipava alla distruzione di Cartagine. Agli ordini di Publio Cornelio Scipione detto l’Africano. Fuori dalla scuola come sempre incontrava la realtà. C’era soltanto il nonno ad attenderlo. Nessun generale cartaginese. Nessun console romano. Niente di niente. Soltanto il nonno.”
Il sogno non ha età, non ci molla mai, non ci lascia in pace. Non è vero che invecchiando si smette di desiderare, di ambire, di fantasticare. È questo a fregarci, a far sì che Giovanni, impotente a resuscitare il passato, malinconico, infelice, veda se stesso nella giovane promessa marocchina Tarik, identificandosi nelle sue speranze ma anche nella sua nostalgia verso il proprio paese abbandonato.
“Giovanni non ha dimenticato. Lo sa che non deve rinunciare ai sogni, in ogni momento della vita ce ne sono, pure quando tutto sembra finito.” (pag 63)
La fantasia di Giovanni/Gordiano è accesa, inarrestabile, nutrita da racconti e letture eterogenee, che spaziano da Carolina Invernizio alle fiabe dei fratelli Grimm, dai fumetti a De Amicis. Calcio e acciaio è bagnato dagli spruzzi delle onde, percorso dalle grida degli uccelli marini, intriso di salsedine e rimpianto, procede avanti e indietro fra passato e presente, passa dalla terza alla prima persona facendoci piombare dentro i personaggi per poi riuscirne, come un cormorano che si tuffa in mare e dopo riemerge. Le ripetizioni seguono il fluire di una narrazione che avanza spossata, estenuata, eppur scorrevole. I termini sono quotidiani, semplici, riacquistano la valenza primigenia che dovrebbero avere, spogliandosi dell’abuso e dell’iperbole, come fossero anche loro tornati indietro nel tempo, a quando i campi di calcio erano sterrati, al cinema si mangiavano seme e noccioline invece di pop corn, e lo sballo consisteva nel masticare lo stesso chewing gum dall’alba al tramonto.
“Troppi sogni seppelliti tra le buche del cortile. Troppe cose impossibili da dimenticare.” (pag 579)
Sì, non si può dimenticare Piombino, non si può dimenticare il passato. E allora, alla fine, c’è la quadratura del cerchio, o, meglio, la sua chiusura, il loop, l’uroboro. Piombino non si dimentica e diventa “il punto di arrivo e non la fine del sogno”. Si torna indietro, si riscoprono le radici, si riannoda il filo della memoria valorizzando l’essenziale, smitizzandolo e riappropriandosene nel quotidiano, guardandoci intorno e recuperando quello che c’è di buono, ritrovando il futuro. Finché c’è vita, finché si respira, si va avanti.
“Non potrei dimenticare il profumo di questa terra che conserva tutti i miei ricordi. La scogliera nei giorni d’estate, la maglietta sudata dopo una partita di calcio su un campetto improvvisato, la merenda pane burro e marmellata davanti a un fumetto, la canna di bambù divelta per strada in via Amendola dove adesso costruiscono case, il palazzo della sirena e le leggende inventate dal nonno, la spiaggia del Canaletto con il fossato a cielo aperto, maleodorante e romantico sogno del passato. No, non potrei dimenticare Piombino.” (pag 160)
Calcio e acciaio. Dimenticare Piombino - Lupi Gordiano - Libro - A.CAR. - - IBS
Calcio e acciaio. Dimenticare Piombino è un libro di Lupi Gordiano pubblicato da A.CAR. : € 10,62. Lo trovi nel reparto Narrativa italiana di IBS.it
http://www.ibs.it/code/9788864900926/lupi-gordiano/calcio-acciaio-dimenticare.html
/http%3A%2F%2F4.bp.blogspot.com%2F-k8PtZlDQX7c%2FUyxPot7NnwI%2FAAAAAAAAAWA%2Fz8qkivz0BCY%2Fs1600%2Fcalcioeacciaiodefinitiva.jpg)
"Il problema con la vita è che, anche quando non cambia mai, cambia continuamente." Un romanzo dove accade ben poco, Calcio e acciaio di Gordiano Lupi, incentrato su un proustiano ricordare, una ...
http://www.criticaletteraria.org/2014/04/gordiano-lupi-calcio-e-acciaio.html
Ma sti uomini... cosa vogliono?
Non dovrei caricare la lavatrice di sera. Mi vengono in mente pensieri strani. Ma il potere di dominare il tempo non è concesso all’uomo. Tantomeno alla donna. Ancora meno (quasi per niente) a una donna bimadre, lavoratrice e per sua natura incline a incasinarsi con disinvolta facilità.
Perciò ieri sera, addormentata la prole, sto attendendo alla selezione dei colori quando mi perviene il richiamo del marito già allettato (sotto le pezze) e probabilmente allettato (da sue intriganti prospettive…)
”Aspettami, arrivo tra poco” faccio io. Immediatamente mi immagino pronunciare queste parole un po’ come una dichiarazione di guerra, una sfida lanciata con l’occhio languido, appoggiata all’uscio della camera da letto (come se al posto del pigiamone di pile infilato nei calzettoni di Hello Kitty indossassi un completino di pizzo e trasparenze appena scartato dalla confezione). Poi penso che di solito anche la sfida languida comporta una mezz’oretta di attesa che nelle ipotesi più probabili prevede che lui si è già addormentato e che io (ma non credo di essere la sola) di conseguenza, dispiaciuta ma non troppo, continuo imperterrita con le faccende domestiche…(tutto questo alle undici di sera naturalmente).
Comunque devo essere in vena di fantasticherie perché mi vengono pensieri tipo “…Quante cose si possono fare sulla lavatrice? Qual è la posizione che si sposa meglio col ritmo della centrifuga finale?”
A tal proposito mi ricordo di una scena raccontatami da una mia amica, una tipa alquanto ruspante, che vedeva lei e il suo fidanzato del momento intenti a soddisfare il proprio piacere nel bagno, sulla lavatrice in moto:
- Allora io stavo davanti, abbracciata alla lavatrice ed ero tutta un fuoco quando lui, da dietro, mi raccontava all’orecchio quello che mi voleva fare e il solo fatto che potessi arrivare alla gioia (?!?)…sbattuta come i panni della lavatrice mi faceva impazzire.
- Ahahaahaa la gioia (ho appreso dopo che è un termine che usa un noto psicoterapeuta che scrive di sesso su un settimanale) …sbattuta come i panni della lavatrice – avevo ripetuto io senza rendermi conto che mi guardava sbigottita perché la prendevo in giro.
- Sì – aveva ripreso - non hai idea della gioia (!!!) che si raggiunge…solo che a un certo punto, coso…come si chiamava… Gianni … forse… vabbè, siccome che era un tipo preciso e voleva sempre tutte le cose fatte per bene…e mentre io ero abbracciata alla lavatrice…
- Aspettando la gioia… – incalzavo io (perché “gioia” scusate ma nun se po sentì!!!).
- …mentre ero abbracciata alla lavatrice e cercavo de vede’ come funzionava la cosa…me so accorta che lui guardava verso il gabinetto…che stava dopo il bidè che stava dopo la lavatrice.
Allora io me impegnavo de più, quasi quasi me sbattevo più io della lavatrice ma lui continuava a guarda’ il gabinetto. Allora me alzai un pochetto senza perde l’impegno e vedevo che col piede cercava de mette a posto il tappetino del cesso. Allora io furba per evità de perde la gioia me so data uno slancio forte che col piede l’ho messo a posto io il tappetino e così poi è finita bene!!! -
Sorriso a trentadue denti finale.
Sì, avete capito bene. Prima le aveva riempito la testa di immagini eccitantissime e poi voleva mettere a posto il tappetino del cesso mentre lo facevano sulla lavatrice…beh a questo punto la domanda sorge spontanea diceva Lubrano:
…ma sti uomini cosa vogliono?
Pure i polli (noi pollastrelle non sempre…) hanno capito che la loro testa è popolata da immagini…immagini hard …immagini hot che prevedono posizioni di fianco, sotto, sopra, di dietro, ecc., hanno i colori vivi in testa loro…
Ma come si spiega allora il tappetino?
La risposta è che non lo so; fatto sta che gli uomini riescono a tenersi in testa tutte queste cose insieme. A noi donne tocca come al solito faticare di più. Quindi attenzione e impegno nel separare certe cose come facciamo coi colori dei panni in lavatrice e ricordiamoci che le
DONNE (quelle col completino di cui sopra), tessuto di qualità superiore, mai e poi mai vanno mescolate con i seguenti capi:
a)moglie – crocerossina che gli fa anche da madre (… Edipo proprio no eh!)
b)moglie in tutte altre faccende affaccendata…specie quelle di casa (a meno che non usi gli elettrodomestici per gli scopi di cui sopra)
c)mamma chioccia che a letto parla di vaccinazioni e di aerosol
Sennò finisce che i maschietti si fanno il bucato a mano…!!!
P.S. per i più curiosi: no, ieri sera poi non si è addormentato.
Le italiane lo fanno? ...meglio?
Non dovrei caricare la lavatrice di sera. Mi vengono in mente pensieri strani. Ma il potere di dominare il tempo non è concesso all'uomo. Tantomeno alla donna. Ancora meno (quasi per niente) a una...
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