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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

una settimana magica

Natale e Naquale

24 Dicembre 2018 , Scritto da Luca Lapi Con tag #luca lapi, #le riflessioni di luca, #una settimana magica

 

 

 
 
 
E' Natale.
Naquale è il suo gemello.
E' Naquale che qualifica Natale.
Natale senza Naquale si sentirebbe squalificato, divorato dagli squali.
Natale senza Naquale è come una giornata senz'asole, indispensabili affinché Naquale s'insinui, affettuosamente, nella vita di Natale, qualificandola, rendendola degna di essere vissuta e condivisa.
Natale e Naquale sono nati, entrambi, con la camicia, ma, ripeto, Natale ne indossa una senz'asole e senza Naquale non saprebbe con chi altri attaccare bottone, sbottonarsi a 360 gradi.
Natale e Naquale sono inseparabili.
Sono insuperabili in quanto ad affetto reciproco.
Natale si sentirebbe solo, isolato, asolato, direi, senza Naquale.
Ogni giorno di Natale con Naquale è, invece, come un giorno assolato.
Ogni giorno di Natale con Naquale è di un godimento assoluto, reciproco.
E' per questo motivo che vogliono condividerne la gioia con tutte e con tutti.
Buon Natale, per oggi e per sempre!
 
Luca Lapi 
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Due fratelli e le renne

22 Dicembre 2018 , Scritto da Luca Lapi Con tag #luca lapi, #le riflessioni di luca, #una settimana magica

 

 

 
 
 
Due fratelli nascono a distanza di qualche anno l'uno dall'altro.
Il primo è inatteso: i genitori avevano pensato ad una femmina.
Nasce il 1° Maggio: pensavano che, se fosse stata femmina, sarebbe diventata maggiorata.
Lo chiamano... Maggio: potrebbe essere il maggiore di altri fratelli e devoto alla Madonna.
Potrebbe essere lavoratore o fare carriera militare, diventando sergente maggiore.
Nasce, qualche anno dopo, il fratello minore ed i genitori dicono: "Non è minorato, grazie a Dio Padre!"
Lo chiamano, più cristianamente, Mino: cresce con Maggio.
Maggio diventa maggiorenne: Mino è, ancora, minorenne.
I genitori, educati col mito di Babbo Natale con slitta e renne, pensano: "Maggio è maggiorenne, Mino è minorenne: ci sarebbe dono migliore di un paio di renne per ognuno?"
Così fanno.
Maggio e Mino ne sono lieti, ma Mino si ammala: necessita di trapianto di un rene.
Maggio ed i genitori si sottopongono agli esami: Maggio ha un rene compatibile e può essere donatore.
Maggio e Mino vengono internati per procedere all'intervento.
L'esito è positivo: Maggio e Mino tornano a casa dove trovano le loro renne a festeggiarli.
Maggio dice: "Ho un rene in meno..." e Mino dice, a sua volta: "Ho un rene nuovo..."
Entrambi finiscono: "...ma più importanti sono le renne a festeggiare il nostro ritorno! Buon Natale perenne a tutti!"
 
Luca Lapi 
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Il Natale di Luca

20 Dicembre 2018 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #racconto, #una settimana magica, #posta un presepe

 

 

 

 

“Un Natale speciale, questo sarà davvero un Natale speciale” si ripeteva Lucia guardando fuori dal finestrino.

Da piccola le avevano trasmesso il valore, l'importanza di quel santo giorno: nasceva Gesù in una calda atmosfera familiare, con il presepe preparato con cura, l'albero pieno di luci, la Messa di mezzanotte e il panettone.

I suoi fratelli, una volta cresciuti, si erano trasferiti chi in America, chi nel nord Italia, chi in Germania e lei, morti mamma  e papà,  era rimasta sola nella grande casa di San Polo, immersa nel verde, nel silenzio, troppa solitudine, e a volte le faceva paura. A Natale sperava sempre in un rientro dei fratelli coi nipoti e le cognate, per ricreare insieme quella atmosfera di magica allegria di quando erano piccini, invece succedeva che qualcuno declinava l'invito, chi perché il viaggio era troppo lungo, chi aveva figli che non volevano muoversi dalla città, scuse sempre scuse e quest'anno, addirittura, nessuno sarebbe tornato, nemmeno Luca, suo fratello gemello che viveva a Milano e che era quello più affezionato a lei, alla casa, al paese.

Le aveva spiegato che era soffocato da impegni di lavoro, che non poteva assolutamente scendere e lei, colpita come da uno schiaffo in pieno viso, ci era rimasta male. Poi, durante la notte, rimuginando su quelle che le erano apparse delle banali e false giustificazioni, si era resa conto che la voce di Luca al telefono era triste, tremula, vuota. Non lo aveva notato subito perché era offesa e le bruciava la delusione, ma conosceva troppo  bene suo fratello e doveva essergli successo per forza qualcosa. Si convinse che almeno lui non l'avrebbe mai e poi mai lasciata sola la notte di Natale.

Così nel giro di una settimana, senza avvertire nessuno, preparò la valigia, fece il biglietto del treno, non dimenticò di comprare il torrone ai fichi secchi da “zia Carmelina”, una vecchietta che ormai era rimasta l'unica in paese a saperlo fare, e preparò i “pepatelli”, biscotti di cui suo fratello andava matto.

L'antivigilia partì alla volta di Milano, durante il viaggio ebbe tempo di riflettere, di pensare alla sua vita dedicata interamente alla famiglia, alla casa, ai genitori che erano entrambi mancati troppo presto. Non si era mai sposata, insegnava lettere e filosofia al Liceo Classico e aveva visto sfiorire la sua bellezza giorno per giorno, inseguendo il sogno di un grande amore che non era mai arrivato, o almeno per lei era arrivato, ma aveva il volto di Riccardo l'insegnante di matematica, sposato con prole. Lo aveva amato in silenzio fino a quando anche lui sembrò accorgersi dei suoi sguardi, del suo improvviso rossore se lo incrociava nei corridoi della scuola e l'aveva invitata a uscire. Si erano dati  appuntamento fuori dal paese, lontano da occhi indiscreti, tutto era iniziato con un caffè al bar del corso in una città vicina, poi l'incontro divenne prima mensile, quindi settimanale e finivano sempre per fare l'amore in un alberghetto di periferia, a strapparsi i vestiti di dosso dal desiderio di toccarsi, a consumare la loro passione proibita in qualche ora di sesso. Al pensiero ancora le correvano i brividi lungo la schiena. Poi ognuno tornava a casa propria, le feste comandate lui le trascorreva con la famiglia, mai una vacanza insieme, mai una gita domenicale e lei si era abituata a vivere in attesa di quelle poche ore di felicità che le regalava. Fino a quando non aveva cominciato a trovare scuse, a incolpare la moglie di stargli addosso e così gli appuntamenti si erano diradati, fino a cessare del tutto.

La sua età migliore intanto era trascorsa, quindici anni a vivere nell'ombra, a fare l'amante segreta, l'avevano invecchiata anzitempo, le avevano soffocato lo spirito, e ora si era lasciata andare, sembrava più vecchia dei suoi quarantotto anni, in paese la chiamavano la signorina e si sentiva un'acida zitella. I suoi vivaci occhi azzurri si erano spenti, la  figura slanciata, un po' appesantita, ma ormai non si guardava nemmeno più allo specchio, non avrebbe mai avuto una famiglia sua, un figlio a cui insegnare il Natale, a cui raccontare di quando bambina cantava nel coro della chiesa e suo padre si commuoveva ogni volta.

Solo Luca sapeva della sua storia, conosceva il suo segreto e l'aveva sempre compresa, mai giudicata. Così, mentre il paesaggio scorreva veloce dai finestrini, lasciando le sue montagne Lucia scendeva verso il mare, passavano veloci le città illuminate a festa, cambiando scenario di ora in ora e, per la prima volta in vita sua, si sentì felice di non essere a casa, insieme a Luca avrebbe trascorso un Natale diverso, davvero speciale.

Uscita  dalla stazione fu accolta da un'atmosfera di festa, sfavillio di luci, suoni melodiosi, anche gli zampognari erano saliti a Milano per rallegrare la città con la musica natalizia di “tu scendi dalle stelle”. Li guardava curiosa camminare lenti per le strade affollate, il passo cadenzato, e sotto il cappellaccio nero le sembrò di riconoscere Peppino, il paesano  che ogni anno suonava la zampogna nel presepe vivente al suo paese. Si fermò un attimo, quel costume l'aveva sempre affascinata: il mantello a ruota di panno color catrame, i pantaloni aderenti abbottonati al ginocchio e, sotto, i calzettoni chiari, di lana caprina, tenuti stretti da giri e rigiri di linguette di cuoio che salgono dai calzari. Nel loro presepe non mancava mai lo zampognaro davanti la capanna.

Quella musica acuta, strozzata, le faceva salire un nodo in gola. La gente correva indaffarata, entrava e usciva dai negozi con montagne di pacchi fra le braccia. La corsa all'ultimo regalo era forse normale per chi vive la frenesia delle grandi città, per lei no, lei preparava tutto per tempo, passava le serate a incartare, a infiocchettare, a personalizzare  i doni per i suoi cari, regalando anche un po' d'amore ad ognuno con quel gesto antico.

Spaesata, frastornata, si avvicinò a un taxi e si fece accompagnare a casa del fratello.

Aveva già suonato tre volte senza ottenere risposta e l'ultima aveva tenuto pigiato il dito sul campanello con insistenza, perché  iniziava a pensare che Luca le avesse mentito e fosse partito per una vacanza esotica con gli amici, quando finalmente rispose al citofono.

“Chi è?” era stanco. Lucia pensò che davvero stava lavorando troppo.

“Sorpresa...!”

Quando aveva sentito la voce della sorella era rimasto di sasso, senza parole, l'improvvisata pareva averlo paralizzato.

“Che fai scemo non mi apri?” disse Lucia in tono scherzoso

Nessuna risposta, solo un flebile ansimare dall'altra parte della cornetta poi ... tac lo scatto del portone che si apriva.

Davanti alla porta dell'appartamento, Lucia rimase in piedi inebetita, chi si trovava di fronte non era suo fratello, ma un uomo magrissimo, che si reggeva a malapena in piedi, irriconoscibile, con profonde occhiaie, il viso pieno di eruzioni violacee e una tosse violenta che non gli dava respiro. Era ormai un anno che si nascondeva dietro problemi di lavoro e non si era fatto vedere, tanto meno sentire.

Si avvicinò titubante, lo abbracciò, lui piangeva come da bambino, quando i compagni lo prendevano in giro perché era effeminato, perché era gracile e troppo sensibile per i giochi da maschi. Era lei quella forte, quella sempre pronta a menare le mani, come se nella pancia della mamma i due fratelli si fossero scambiati i ruoli. Così era sempre stata protettiva e lo aveva difeso fino a quando aveva lasciato il paese e finalmente si era sentito libero di vivere la sua omosessualità, mai apertamente confessata a nessuno.

Ora però era malato, si vedeva che era una cosa grave, e si trovava solo in quello stupendo attico col terrazzo che dominava via Montenapolene e che aveva arredato tutto da solo col buon gusto di bravo arredatore quale era diventato. Lavorava per la gente del jet set, per gli stilisti, gli attori, e aveva successo, soldi, ma mai mai, anche lui come Lucia, aveva conosciuto l'amore vero.

Si era bruciato in incontri occasionali e ora, le raccontava fra i singhiozzi, che proprio a causa di questa affannosa ricerca d'amore sarebbe morto. Lo aveva colpito la malattia terribile, quella che non si può nominare senza provare vergogna, quella che uccide gli invertiti, i debosciati, che punisce chi ha peccato. Questo secondo le regole, il comune pensiero, l'AIDS.

Lucia non sapeva cosa dire, era impreparata a un simile segreto che il fratello aveva tenuto nascosto per tanti anni, prima che l'ultimo stadio della malattia si manifestasse così violentemente,  non aveva dimestichezza con queste cose e rimase per un attimo senza sapere come reagire, senza nemmeno sapere dove guardare. Il cuore si era fermato e un sudore freddo le correva lungo la schiena.

“Mio Dio" avrebbe voluto gridare, sbattere la testa al muro. No, non era possibile, non stava succedendo a loro. Poi dentro di lei ebbe il sopravvento la pragmatica donna del sud che tanto le ricordava sua madre.

“Beh!? Che ci piangi, stupido, è Natale dopodomani, rimettiti a letto che a te ci penso io.”

Luca passò la notte con febbre alta, spossatezza, mal di testa, dolori al petto, delirante alternava momenti di lucidità in cui la ringraziava e le chiedeva perdono ad altri in cui non la riconosceva nemmeno e la chiamava col nome di un uomo dicendo “Giacomo perché mi hai fatto questo.”

L'indomani era la vigilia, Lucia capì che doveva accompagnarlo in ospedale, chiamò l'ambulanza e, una volta sistemato nel letto, si sedette accanto e non gli lasciò mai la mano.

Stava scendendo la notte, la notte di Natale, era freddo. Dalla finestra si vedevano fiocchi di neve volteggiare nel cielo e scendere silenziosi sulla città in festa. Lucia non smetteva mai di parlare e di rivivere col fratello i loro natali felici.

“Ti ricordi papà che raccoglieva il muschio nel bosco per il presepe e con la segatura faceva la sabbia del deserto dove posare i Re Magi? Ti ricordi Luca il pastore di terracotta con lo zufolo? Ci era caduto a terra mentre litigavamo per posarlo davanti la capanna, una gamba si era rotta e noi da allora lo chiamavamo “Lo zoppo”. Ogni anno era il primo a essere tirato fuori dalla scatola e messo nel presepe, che Natale sarebbe stato senza lo zoppo e quante risate...”

Luca ascoltava, tremante di febbre, riscaldato dai ricordi della sorella, riusciva a sorridere e sussurrare qualcosa

“Lo zoppo e il cane cieco erano i miei preferiti.”

“Il cane te lo avevo “cecato” io, Luca, per gelosia, lo hai mai saputo?”

“Certo che lo sapevo e proprio per questo lo amavo di più.”

Un attimo di silenzio, era quasi mezzanotte, Lucia cominciò a cantare come faceva in chiesa, non aveva perso negli anni la sua voce argentina e nel corridoio dell'ospedale iniziarono a risuonare le  note struggenti.

“Adeste fideles,  laeti triumphantes ... venite adoremus, venite adoremus, venite, adoramus Dominum!...”

A  poco a poco, con delicatezza, si affacciarono alla porta alcuni infermieri, il medico di turno, due malati in grado di muoversi e, in rispettoso silenzio,  si avvicinarono al letto di Luca.

Lui era ripiombato nei ricordi,  in fila coi fratelli che cantavano, stava portando Gesù tra le sue manine piccole e lo posava nella mangiatoia, accanto al bue e l'asinello.

Un ragazzo nero si era accostato più degli altri, il bianco degli occhi sgranati, risaltava sul viso emaciato come due punti luminosi, era cresciuto cattolico in una missione in Africa, giunto in Italia aveva smarrito la strada e si era ammalato prostituendosi in stazione.

"Tutti abbiamo perso la strada” pensava Lucia, “il Natale non è più il nostro Natale”, poi sospirando: “Hai visto Luca? Quanta gente  intorno a noi , un vero presepe stanotte, e  ci sta pure Baldassarre che porta i doni” provò a scherzare, indicando il ragazzo nero accanto al letto.

Ma suo fratello era già lontano, aveva raggiunto il cielo a mezzanotte per cantare l'Osanna con gli angeli, mentre Gesù scendeva nella grotta a portare il perdono sulla terra.

Il suo viso si era disteso, lo aveva abbandonato ogni segno di sofferenza, era tornato bello, levigato, quasi sorridente, come quando era un bambino, felice e inconsapevole.

Lucia non cantava più, piangeva, lacrime silenziose le rigavano il volto, non aveva fatto in tempo a dirgli addio come avrebbe voluto.

“Può sentirmi?” chiese al dottore

“Non so se può sentirti ormai, ma tu puoi sentire lui, cosa desidererebbe tuo fratello?”

“Vorrebbe essere amato, capito, perdonato.”

E si chinò sul suo volto, lo baciò dolcemente, poi inizio a soffiargli sulle guance sulle mani. Avrebbe voluto  rianimarlo in una sorta di “miracolo di Natale”in cui ormai credono solo i bambini. Poi iniziò ad annusarlo, tutto dalla testa ai piedi, in un ultimo saluto  così come  fanno  i cuccioli di cerbiatto quando muore un fratellino per non dimenticare il suo profumo.

 “Buon Natale Luca... buon Natale.... buon Natale.”

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L'ultima letterina

19 Dicembre 2018 , Scritto da Lorenzo Barbieri Con tag #lorenzo barbieri, #una settimana magica, #racconto

                                         

 

 

Stiamo per entrare nel periodo magico delle festività di Natale. La festa in onore di Gesù che nasce. I principali protagonisti di queste feste sono i bambini che sono ansiosi di aprire i regali la mattina del giorno di Natale. Prima di arrivare a trovare i doni sotto l’albero, però, c’è un grande lavoro da fare e a quello ci pensano gli elfi di Babbo Natale. Essi si trovano in una località del grande nord, molto vicino al polo nord, un posto freddissimo dove solo loro sono capaci di abitare. Sono tanti e ognuno di loro si occupa di qualcosa. Ci sono quelli che compilano le liste dei bambini buoni e cattivi, poi le fanno leggere al capo per decidere cosa portare in dono. Altri sono occupati a governare le renne. Come si sa sono animali fantastici, ma anche loro hanno bisogno di cure, cibo buono e riposo. Il lavoro che devono fare la notte di Natale è duro e faticoso. Devono volare intorno al mondo per recapitare i doni. Gli elfi, che preparano i giochi e i regali sono tantissimi, una vera catena di montaggio. Ce ne sono per tutte le categorie: falegnami, fabbri, costruttori di bambole, sarte per i vestitini, operai che producono palle e palloni di tutte le misure. Una grande fabbrica che in poco tempo sforna regali di tutti i tipi. Ci sono anche gli elfi meccanici che devono tenere in efficienza la slitta. Sembra una normalissima slitta, ma, essendo magica, deve poter contenere i doni per tutti i bambini del mondo. Quanti saranno? Milioni di pacchi e pacchetti stipati dentro la slitta. Gli elfi di Babbo Natale vivono insieme nella cittadina che si chiama Rovaniemi che è la città di Babbo Natale. Fra tutti gli elfi, solo tredici sono quelli che possono considerarsi come dei veri segretari del signore di quelle terre, il bonario e sorridente uomo in costume rosso e barba bianca. Il giorno della partenza c’è un gran da fare e una confusione pazzesca, è tutto un via vai di piccoli esseri che a stento si salutano. Corrono avanti  e indietro per fare in modo che Babbo Natale possa partire tranquillo.

- Ehi, Gimpy, hai controllato le letterine dei bambini? Sono state tutte portate al capo? Sai che succede se dimentichiamo qualcuna, vero?

 

- Tranquillo, Itty Bitty, ho controllato fino a un minuto fa, la cassetta era vuota, tutte le lettere sono state soddisfatte

 

- Bene, allora se hai un minuto vuoi chiedere a Sausage se ha dato da mangiare a sufficienza alle renne? Ti ricordi l’anno scorso si era dimenticata e quelle povere bestie hanno sofferto per tutto il viaggio? Ha ragione poi Rudolph ad arrabbiarsi con me, sono io che devo pensare a tutto.

 

- Già fatto, Itty, mi ha assicurato che questa volta è stata molto attenta, è riuscita a mettere anche qualcosa di riserva sotto il piano di appoggio. Certo però che quest’anno l’abbiamo riempita a dovere quella povera slitta, è piena come un uovo, meno male che abbiamo la macchina che rimpiccolisce, altrimenti come avremmo fatto a caricare tutti quei pacchetti.

I due parlavano e nello stesso tempo tenevano sotto controllo il via vai forsennato degli altri. Babbo era ancora chiuso nel suo ufficio a leggere le ultime letterine e a dare uno sguardo più attento alle liste dei buoni e cattivi. Quando le lesse storse un po’ il naso, quella dei cattivi si allungava ogni anno di più.

“Possibile - si chiedeva - che i bambini non siano più bravi come una volta? Cosa c’è che li fa diventare più monelli? Questa faccenda va chiarita al più presto, altrimenti l’anno prossimo ci troveremo in difficoltà, ho troppa gente a lavorare, dovrei licenziare qualcuno e, detto tra noi, la cosa non mi va a genio. Subito dopo Natale ci metteremo a tavolino e studieremo cosa si può fare. Sono sicuro che la colpa non è tanto dei bambini, ma dei genitori troppo teneri e di quelle diavolerie elettroniche. I cellulari, una vera piaga mondiale. Per colpa di quei cosi i bambini stanno perdendo di vista lo spirito del Natale e, senza quello, io che ci sto a fare?

Così pensava Babbo mentre compiva gli ultimi gesti, chiuse tutte le letterine e le liste nel cassetto della scrivania e si accinse a uscire.

- Allora, ragazzi, siamo pronti? Avete fatto tutto? Mi raccomando abbiamo ancora qualche minuto, fate un ultimo controllo che dopo si parte.

Gli elfi chiamati in causa si precipitarono, ognuno secondo le proprie mansioni, per gli ultimi ritocchi. In aiuto a Itty Bitty e Gimpy arrivarono anche Sausage, Door way, Pot licker, Gully e altri. Sembravano delle formiche impazzite, correvano come matti, il padrone aveva chiesto controlli e loro obbedivano come sempre avevano fatto da mille anni a questa parte. Si perché gli elfi non hanno età, ci sono da sempre e ci saranno per sempre. Quando tutti si ripresentarono davanti  al loro capo sull’attenti per dare ognuno il proprio ok, si accorsero che ne mancava uno. Sì perché quelli fidati erano tredici e, contandoli in fila, Babbo ne contò dodici.

- Allora, si può sapere chi manca, che succede? Lo sapete che se tutto  non è in ordine non posso partire, andate a cercarlo adesso, non posso fare più tardi, devo andare.

 

- Capo, credo di sapere chi manca, è Candle beggar, lui è un po’ lento ma è bravo e scrupoloso, se tarda avrà trovato qualcosa d’insolito.

 

- Lo so, è un bravo elfo, ho capito, mi toccherà aspettare.

 

- Eccolo, eccolo, sta arrivando e, da come corre, credo proprio che abbia trovato qualcosa – gridò Window Peeper

 

- Babbo, Babbo, fermatevi per carità, non ce la faccio più.

 

- Tranquillo –rispose Babbo Natale, ti aspetto! Cosa hai trovato per me?

 

- Stavo facendo il giro in ufficio quando ho sentito la stampante in funzione, mi sono fermato a vedere perché, qualcuno l’aveva lasciata accesa e, mentre stavo per spegnerla, ha buttato fuori un foglio. L’ho preso, l’ho letto e ho fatto una corsa per portarvelo. È una letterina di una bambina malata. Voleva scrivere lei la letterina ma non ce la faceva e allora… sarà meglio che la leggiate voi. Io riprendo fiato.

 

- Bravo Candle, hai fatto benissimo, ti ringrazio. Era una lettera che non poteva andare persa, ho letto cosa è successo e sai che ti dico? Che questa sarà la mia prima tappa, andiamo subito da lei, ha bisogno di sapere che noi ci siamo ancora e che non è sola. Lei è malata e dispera di poter ricevere qualche dono, i medici non hanno dato buone notizie, ma lei ha insistito tanto per farmi arrivare questa lettera, gliela ha scritta una  gentile infermiera, ma è stata spedita in ritardo. Va bene, bando alle malinconie, ora possiamo partire. Mi raccomando a voi, mettete tutto a posto e, tranquilli, ci vediamo domani e cominceremo subito a discutere su cosa fare per il prossimo anno.

Vaaai Rudolph, accendi la luce di quel tuo bel nasino e andiamo! Prima tappa questa bambina in ospedale, ho l’impressione che questi medici non capiscano niente, vedrete, ragazze mie, quando riceverà i nostri doni sono sicuro che guarirà, ci scommetto la mia barba.

Al suono dei mille campanellini attaccati ai finimenti delle renne, la slitta si allontanò nel cielo e, nel silenzio delle stelle, risuonò come un’eco la voce di Babbo che cantava:  ohhh oh oh ohhh.

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Il libro magico

17 Dicembre 2018 , Scritto da Lorenzo Barbieri Con tag #lorenzo barbieri, #racconto, #una settimana magica

                                     

 

                                    

 

 

 

Oltre il regno della neve e del gelo dove vive Babbo Natale con gli elfi e le sue amate renne, andando verso oriente e camminando per giorni e giorni, si arriva in una città chiamata  Blacktown. Un posto altrettanto freddo, ma del tutto privo di luce, di alberi e di animali. In quelle terre c’è un silenzio spettrale e il colore dominante è il nero. Quella che da lontano sembra una foresta in realtà è una foresta di alberi di pietra. Sono stati ridotti così quando il mago li ha avvolti nel buio più profondo. Un’oscurità che avvolge tutto e tutti. Il signore e padrone di quella terra oscura è un nemico di Babbo Natale, il mago Negrone che odia tutto ciò che è bianco, che è luce. Vorrebbe dominare tutto il mondo e avvolgerlo nel buio. Sa che finché non troverà il magico libro degli incantesimi non riuscirà ad attuare il suo piano. Per questo motivo fa spiare sempre dai suo accoliti le mosse di Babbo Natale, è convinto che lui possieda quel libro e vuole trovare il modo di rubarlo. Ogni Natale, quando Babbo è in giro per distribuire i doni e far felici i bambini, il mago complotta contro di lui. Manda schiere di uomini neri a invadere il regno degli elfi, ma ogni volta, puntualmente, viene ricacciato indietro, gli elfi sono piccoli ma sono numerosi e furbi. Riescono a nascondersi dietro ogni sasso, ogni pianta che è nella loro foresta. Loro sanno come muoversi fra gli alberi e i cespugli, mentre gli uomini del mago, non sopportando la luce, hanno difficoltà a districarsi in mezzo alle piante che emanano bagliori scintillanti.

Questa volta il mago ha deciso di cambiare tattica, inutile mandare gli uomini neri, parte lui di persona e si avvicina alla foresta. Resta nascosto nell’angolo più oscuro e aspetta che qualche elfo passi da quelle parti. Con un incantesimo vuole soggiogarli e, tramite loro che non hanno difficoltà con la luce, introdursi nel regno del bianco in cerca del libro. Babbo è lontano e gli elfi non sono in allarme, questa volta è deciso a trovare il libro.

Aspetta e aspetta, ma dalle parti oscure dove si è nascosto il mago non passa nessuno, allora, irritato, il mago tenta il grande colpo: si traveste da pellegrino, prende una pozione, che gli permette di sopportare la luce e il bianco, ed entra nel paese di Babbo Natale. E’ sicuro di sé, come avversari ha solo un pugno di piccoli elfi che lui può spazzare via senza difficoltà, il suo principale nemico è in giro sulla sua slitta.

- Ah ah ah ah,  quell’omone grasso e stupido se ne va a perdere tempo su quella ridicola slitta a portare regali a dei mocciosi sempre più viziati. Chiedono, chiedono, non si accontentano mai, ma, quando li avrò avvolti nel buio della notte eterna, avranno poca voglia di giocare, diventeranno docili come agnellini. Devo solo trovare quel maledetto libro, sono sicuro che quel grassone lo tiene da qualche parte, magari a portata di mano per i suoi incantesimi, senza quelli vorrei sapere come fa a far volare quelle stupidissime renne piene di corna.

 

Gli elfi, messi di sentinella, avevano sentito prima, e visto poi, il mago introdursi furtivamente sul sentiero che portava a casa di Babbo. Avevano dato l’allarme e ora erano tutti nascosti nelle vicinanze della casa in attesa del nemico. Sapevano che il mago era forte e usando la magia li poteva sconfiggere, ma non per questo si sarebbero ritirati senza combattere. Molti di loro sarebbero caduti ma erano sicuri che confidando sul numero potevano avere la meglio.

- Ragazzi stiamo calmi e pronti, restate nascosti e non fatevi vedere, mi raccomando, siete tutti armati? Bene aspettiamo che sia a tiro poi ci scaglieremo su di lui senza dargli il tempo di usare le mani, se riesce a lanciare un incantesimo per noi è finita. Qualcuno di voi vada ad avvisare Gertrude, che stia in allerta, forse anche lei corre un terribile pericolo .

Vado io, disse uno degli elfi, uno più piccolo degli altri, era quasi invisibile se si nascondeva fra l’erba alta. Ci vado io perché sono piccolo e posso intrufolarmi meglio.

Detto questo si mise a correre verso la casa, passava da un cespuglio all’altro e questa operazione la faceva talmente veloce che nemmeno i suoi amici riuscivano a vederlo. Arrivò alla casa avvolta in una serpentina di luce, bianca e rossa. Riuscì ad entrare e andò dritto a parlare con la donna che era in cucina impegnata a cucinare dei biscotti per la cena di Natale. Fu il profumo dei biscotti che guidò i passi del piccolo elfo.

 - Buonasera signora Gertrude, mi vede? Sono venuto da lei per comunicarle che corre un grande pericolo. Stia attenta a chi da questi biscotti. Il servizio di vigilanza funziona a metà questa sera,  il mago Negrone è riuscito ad entrare in città e ora gira per le strade, noi le raccomandiamo di non uscire e restare in casa.

 

- Non credo una parola di quello che dici, piccolino, non credo che sia così avventato da entrare addirittura in città. Lo sa che noi abbiamo i mezzi per distruggerlo. Basta che accendiamo i riflettori del campo sportivo e qui diventa mezzogiorno. Non credo gli faccia tanto piacere un trattamento simile.

 

- Si sbaglia, signora deve aver fatto qualche sortilegio, sta camminando in città con tutta luce che c’è e sembra non fargli nessun effetto, è pericoloso. Se è venuto da noi, è chiaro che sa che lo può fare, purtroppo Babbo non c’è,  noi siamo tanti è vero, ma lui usa la magia e può sconfiggerci facilmente.

 

- Bene, mio piccolo amico, se pensa di avere vita facile ha sbagliato indirizzo, non permetterò che un tipo come quello metta a rischio il mondo intero. Prima cosa il libro che cerca è nascosto così bene che gli servirebbe una vita intera per trovarlo e seconda, visto che è venuto a trovarci bisognerà pure accoglierlo degnamente, non trovi? Adesso vai ad avvisare i tuoi compagni di mettersi tutti intorno alla casa ma di non fiatare di non fare niente. Osservate e basta, lasciate che arrivi da me, che entri pure in casa, non credo sappia che ci sono io ad aspettarlo. Solo se le cose si mettessero male, intervenite, ripeto, solo se vedete che ha la meglio su di me. Capito?

 

- Sì, signora, vado subito ad avvisarli, lei è davvero coraggiosa. Auguri,  ora scappo.

Così dicendo s’intrufolò in un buco nella parete della cucina, quello che serviva per far uscire i cattivi odori e scomparve. Gertrude si allontanò per un attimo per poi tornare quasi subito. Si mise seduta davanti alla porta e aspettò. Passarono più di dieci minuti prima che la maniglia della porta si muovesse leggermente, qualcuno stava tentando entrare, la moglie di Babbo se ne accorse e si alzò mettendosi dietro  la porta. Quando  questa si socchiuse, e poi si aprì del tutto per far entrare il mago avvolto in un mantello nero, lei, da dietro, senza nemmeno dire una parola, uscì e cominciò a calare sulla testa del mago violenti colpi con un matterello lungo un metro, era un matterello duro e pesante e ad ogni colpo che lei menava la testa scricchiolava sotto la furia della donna. Bastarono altri pochi colpi per ridurre uno straccio il malcapitato. Ora era disteso per terra svenuto, la testa era piena di bernoccoli grossi come uova. La donna, per nulla intimorita, cominciò a spogliarlo, gli tolse tutti gli indumenti neri lasciandolo seminudo.  Poi accese tutte le luci e lo mise sotto il fascio illuminato. La pelle del mago era bianca perché non aveva mai preso sole e sotto il calore delle lampade cominciò quasi a sfrigolare. Quando sentì il calore scendergli dentro, il mago si svegliò e emise un urlo disumano, cercò qualcosa per difendersi da quella luce che gli stava riscaldando il cuore e lui non voleva assolutamente. Gertrude lo aveva legato per bene e lui dovette subire quella tortura fino a quando il suo cuore nero si sciolse e si aprì al caldo tepore. Il suo viso si trasformò, da arcigno e duro, in uno completamente diverso, divenne un uomo dai lineamenti delicati, nonostante l’età adesso aveva la pelle di un giovane. Gertrude lo liberò dalle corde, ormai non c’era più pericolo e, gli offrì una cioccolata calda. Si misero a parlare come due vecchi amici. Passarono tutta la notte della vigilia di Natale a parlare. Il mattino seguente li vide ancora a chiacchierare, quando Babbo rientrò dalla sua notte magica li trovò addormentati sulle sedie con la testa sul tavolo. Del libro magico non si parlò più e il regno dell’oscurità si aprì alla luce e i diavoli neri tornarono allo stato primitivo di quando erano stati catturati e resi schiavi dal mago. Erano dei folletti dei boschi che furono felici di tornare alle loro case. La magia del Natale e le legnate di Gertrude avevano rotto l’incantesimo.

 

    

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