Overblog
Segui questo blog Administration + Create my blog
signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

bernardo risino

Tre poesie di Bernardo Risino

10 Ottobre 2022 , Scritto da Bernartdo Risino Con tag #bernardo risino, #poesia

 

 

 
 
 
SOGGETTIVA
 

A Milano

le mattine d’estate sono fresche

nelle case assonnate;

fuori già ci si ubriaca

di sole e di smog.

Ogni giorno pare sempre lo stesso,

quasi fosse il metronomo a battere il tempo.

Si esce, si compra il giornale,

si beve caffè e si mangia una brioche:

è abitudine saggia,

l’organismo ha bisogno di forze.

Siamo contenti all’inizio del giorno,

sorridiamo.

Nuvole veleggiano lente

in attesa di essere pioggia.

Poi, nel giorno,

riempiamo di vuote parole i minuti

e i minuti riempiono le ore

e così la fatica di vivere

si fa più pesante.

Il lavoro ci illude

e scherma ogni nostra paura.

Ci caliamo nel vortice scuro

di un abisso spietato.

Ci illudiamo.

In Sicilia

se ne stanno le genti a godersi la vita:

c’è chi mangia granite di mandorla

e chi legge il giornale

al profumo di un gelsomino

o di un aspro e perenne limone.

Ma nei campi assolati i braccianti

si spezzano la schiena e le ossa

per offrire ai mercati primizie.

Qualcuno, talvolta, se c’è un funerale

e il morto era giovane e sano,

di nascosto si tocca i coglioni.

A Noto, in Sicilia, il sole d’estate

è un maglio che schianta ogni forza

e il Corso una ruga nel tempo

che divide il paese in due parti.

A Noto quand’ero ragazzo

e sognavo Milano, dicevo:

“La gente è diversa,

son diversi i paesi e le case.

Sarà come su un altro pianeta.”

M’illudevo.

Siamo corpi in un fiume melmoso

che alla foce si sperde

nel mare infinito del nulla.

MIO PADRE

Mio padre era giovane quando il fato
ha estratto il suo numero a sorte.
Ero un ragazzo,
e la boria degli anni più verdi
frenava ogni forma di dialogo
confinando nel silenzio
ogni parola,
ogni gesto d’affetto.
Ricordo una volta, era giugno,
mi chiese di accompagnarlo
a comprare la frutta da un contadino.
Guidava con calma,
sentivo che voleva parlarmi.
Lasciammo la strada statale
per una trazzera:
ai lati muretti a secco e
alberi d’ulivo a perdita d’occhio.
A un tratto accostò all’ombra
di un solitario carrubo.
Io me ne stavo in silenzio:
l’estate pulsava tra campi assolati
e cicale impazzite.
Mio padre prese il pacchetto e
mi offrì una sigaretta.
“Non fumo,” mentii.
Con calma ritrasse la mano,
ne sfilò una, l’accese.
Fumava e taceva,
ogni tanto tossiva.
“C’è caldo,” gli dissi
per rompere il ghiaccio.
“Hai ragione,” mi fece
buttando fuori il suo fumo.
Sentivo lo sforzo
di dire parole concise,
per chiedere conto
del mio essere assente,
dei miei malumori,
dei colpi di testa.
Ma tacque.
Partimmo che il caldo pesava
sui nostri volti delusi.
Passarono mesi, lui se ne andò.
Io ero lontano e sono tornato
e l’ho visto sul letto
dove, giovane e forte,
aveva goduto.
Ho scrutato il suo volto di marmo
e vi ho colto come un’ombra,
una sorta di muto tormento
solo a me noto.
Non ho pianto
davanti ai parenti schierati.
Poi, di ritorno dal cimitero,
ho preso la macchina
e ho guidato verso la spiaggia
dove, quand’ero bambino,
mi aveva insegnato a nuotare.
Mi sono seduto e ho guardato
le placide onde del mare:
Il ritmo lento e ossessivo
ha sciolto quel grumo
che mi trascinavo da un pezzo 
come un peso segreto,
e i miei occhi si sono velati.
il pianto non era
che la percezione
di un vuoto che dilagava
in ogni mia parte sensibile,
un vuoto che il tempo ha domato,
che a volte ritorna,
e, quando si espande,
nonostante la mia vita abbia fatto il suo corso,
vorrei tornare a quegli anni
e stringere forte mio padre,
e parlargli.

LE DONNE DI TEHERAN

Marciano unite tenendosi per mano
urlando forte perché dia loro ascolto
chi esercita il potere con violenza,
chi si comporta da despota e tiranno.
Le donne di Teheran hanno capito
che è giunto il momento di volare,
di far sentire forte agli aguzzini
che i cuori sono stanchi di subire.
In un abbraccio che sa di libertà
percorrono un sentiero di dolore
che porterà a nuova dignità,
a progredire, a reclamare onore.
Le donne di Teheran prendono il volo
hanno capito che il potere è inerme,
che il loro gesto cambierà la storia,
che ogni dittatura ha una scadenza.
Gridano il nome di Amini Mahsa
uccisa solo perché dal velo nero
spuntava una ciocca di capelli,

oltraggio sommo per biechi assassini

L’hanno finita picchiandola a morte,
l’hanno finita a forza di botte,
senza sapere che da quella morte
migliaia di donne sarebbero risorte.

La polizia morale, ossimoro mortale,
pretende che ogni donna sia silente,
che viva occultata in vesti nere,
che ubbidisca senza tante storie.
In none di un Dio crudele e sadico,
incancreniti nel loro pregiudizio,
pensano che il corpo della donna
alimenti il peccato e spanda il vizio.

Che indossino l’hijab
che coprano le forme,
che viaggino mai sole,
che non ballino e non cantino
che non ridano in pubblico,
che siano ombre
nascoste nelle tenebre,
gridano i carcerieri
dietro le loro barbe nere.

Le donne di Teheran lottano in massa
con i capelli al vento quasi da aliene,
vogliono uscire dal nuovo Medioevo,
vogliono alfine spezzare le catene.

E mentre i cecchini sparano dai tetti

E uccidono persone come cacciagione
E mentre i cecchini sparano dai tetti
e uccidono persone come cacciagione,
urlano con voce roca al mondo intero
che nessuna di loro teme la morte
e hanno solo un gesto da mostrare:
bruciare il velo nero e poi danzare.

Mostra altro