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Emanuele Marcuccio, "Anima di Poesia"

10 Novembre 2014 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #poesia

Emanuele Marcuccio, "Anima di Poesia"

Anima di Poesia

Emanuele Marcuccio

Tracce per la meta edizioni, 2014

Più che analizzare la silloge poetica di Emanuele Marcuccio, “Anima di Poesia” - lavoro già ampiamente compiuto nell’imponente auto-esegesi, nella prefazione, nella postfazione e nel ponderoso apparato critico annesso, nel quale lo ringraziamo per averci citato fra cotanto senno - preferiamo soffermare la nostra attenzione, appunto, sul concetto generale su cui si basa il volume. Ci chiediamo se, com’è augurabile, la produzione di questo giovane autore dovesse protrarsi ancora per molti anni a venire, quanto diventerebbero ingombranti i tomi dedicati alle sue brevi poesie, fra note esplicative, dediche, bibliografie, biografie, introduzioni e commenti?

Anima di Poesia” contiene ventisette liriche multiformi, alcune dedicate a fatti di cronaca, come le catastrofi che hanno segnato gli ultimi decenni, altre alla natura, alla noia del vivere, all’amore. Le emozioni sono dolorose, private, e degne del massimo rispetto come la nostalgia per il padre defunto. Sempre presente la reverenza verso l’atto poetico in sé che è imprescindibile e aiuta a vivere.

I richiami pascoliani, e soprattutto leopardiani, sono infiniti, tanto da far sospettare, più che un’ispirazione, addirittura una immedesimazione dell’autore col cantore di Recanati.

La base, però, è ancora esile, fra versi cacofonici (d’un’alba d’autunno), una troppo evidente, addirittura dichiarata, imitazione del passato e punti esclamativi a sostituzione di un’emozione che non si ha la forza di esprimere. Ma, in questo magma, qualche rada stella brilla: i “capelli neri e vergognosi”, “monte che ti slarghi e in altezza”, “gli arbusti accesi”.

Netta ed evidenziata dall’autore stesso quella che egli chiama la sua evoluzione, cioè il passaggio dall’imitazione dei poeti dell’ottocento a quella degli ermetici novecenteschi, con la caduta della punteggiatura.(Da Supersonica in poi.)

Sicuramente dai primi aforismi di “Pensieri minimi e massime” a questa raccolta c’è un miglioramento evidente. Ecco, noi suggeriamo a questo ancor giovane aspirante poeta di prendersi meno sul serio, di non analizzare la propria poetica come fosse qualcosa di già maturo e compiuto, ma anzi, di spogliarsi della zavorra della cultura classica e lasciarsi andare all’onda delle emozioni, coltivandole, permettendo loro di fluire, incanalandole poi in armonia di forma e contenuto. Tutto ciò, attraverso uno studio della poesia meno auto-compiaciuto, più umile e sereno. Se egli riuscirà ad abbandonare, seppur temporaneamente e a malincuore, i poeti tanto amati, trovando una sua strada non manieristica, bensì spontanea, saranno sempre più numerose le prove riuscite, come la piacevole Torna l’estate e la promettente Eternità:

TORNA L’ESTATE

Torna l’estate

col suo incessante cicaleccio,

torna l’estate

per gli arbusti accesi

e per le vie,

per le montagne

e per le valli amiche.

È qui l’estate,

in questo luglio assolato,

in questo sole bruciante,

in questo raggio accecante.

ETERNITÀ

Oltre quel fumo,

oltre quella porta,

oltre il mare immenso,

oltre l’orizzonte sconfinato,

oltre le piogge di mezz’agosto

c’è una luce che io voglio attraversare,

c’è una soglia che io voglio varcare

in questa pioggia del mio vegetare,

in questo mare del mio non vivere.

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Spunti di viaggio: Cipro non è solo l'isola di Afrodite

9 Novembre 2014 , Scritto da Liliana Comandè Con tag #liliana comandè, #luoghi da conoscere

Spunti di viaggio: Cipro non è solo l'isola di Afrodite

Spiagge, mare, siti archeologici, storia, cultura, buon cibo e divertimento fanno di Cipro una meta ideale per le vacanze.

Omero nei suoi racconti fa spesso riferimento ad Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, nata dalla schiuma del mare in una località chiamata Paphos (dal greco: luogo della luce), che si trova sulla costa Sud-Ovest di Cipro. L’isola, che è la terza per grandezza del Mediterraneo, sin dall’antichità era meta di turismo da parte delle popolazioni che si affacciavano sul bacino del grande mare. Il suo clima mite e le sue bellezze naturali venivano spesso associate alla beltà della dea stessa. Cipro si estende per 240 km da ovest ad est e per 90 km da nord a sud con due imponenti catene montuose che racchiudono la vasta pianura della Mesaoria. Il paesaggio è ricco di contrasti che spaziano dalle verdi colline alla maestosa valle dei cedri, dalle numerose spiagge sabbiose alle montagne che nascondono piccoli e caratteristici paesi, ognuno dei quali ha il proprio particolare fascino e le proprie tradizioni.

La vegetazione, ricca di agrumi, cedri, banani, olivi e vigneti dà l’idea di una terra fertile e ben coltivata. L’isola, la cui archeologia risale all’era neolitica, custodisce ancora testimonianze dell’antica Grecia e del periodo romano ma in tutto il territorio sono ben conservati monumenti, chiese bizantine, castelli, palazzi risalenti ai tempi dei crociati e monasteri. Inoltre, le splendide mura di cinta della capitale Nicosia, vecchie più di quattro secoli, sono la testimonianza del dominio veneziano.

Nella città è interessante visitare il Museo Bizantino, contenente una importante collezione di icone molto antiche; l’Arcivescovado, centro della chiesa ortodossa cipriota; la Cattedrale di san Giovanni, completamente affrescata e il Museo Municipale. All’interno delle mura si trovano le vie Ledra e Onassagorov, che costituiscono la linea di demarcazione che divide in due la città, la cui parte settentrionale è stata occupata di turchi dal 1974.

Da Nicosia, in circa trenta minuti, è possibile raggiungere i Monti Todros, ricoperti di magnifici boschi che difendono l’intimità di chiese e monasteri bizantini.

Larnaka, una delle città più importanti di Cipro, è “adagiata” in una baia che prende il suo nome e il suo lungomare – fiancheggiato da numerose palme – è “brulicante” di caffè, taverne e negozi. Dotata di un porto molto attrezzato, può dare ormeggio a numerose barche e yachts che vengono usati per le escursioni alle varie spiagge dell’isola.

Nella città sono ancora visibili le mura ciclopiche del XII secolo a.C. e la chiesa di San Lazzaro, che contiene le vestigia del santo patrono di Larnaka, che arrivò lì dopo la sua resurrezione eleggendola a sua seconda patria. La città è famosa anche per le celebrazioni della Pentecoste greco-ortodossa, che richiama i ciprioti da ogni parte dell’isola.

Ad un’ora di macchina dalla città si trova il grazioso paese di Lefkara, centro rinomato per la lavorazione dei merletti fatti a mano che vengono esportati in tutto il mondo. Si racconta che Leonardo da Vinci, visitando questo villaggio abbia acquistato una tovaglia d’altare e l’abbia donata al Duomo di Milano.

Dirigendosi verso la parte ovest di Cipro si incontra la città di Choirokotia, che conserva i resti di uno dei più importanti insediamenti neolitici del Mediterraneo orientale risalenti al 6800 a.C., ed alcuni dei reperti ritrovati nel sito possono essere ammirati nel Museo di Nicosia.

Proseguendo verso sud-ovest, percorrendo una buona autostrada, si arriva a Limassol, la più grande città balneare dell’isola che sin dal medioevo era conosciuta dai mercanti per i suoi vini e la canna da zucchero che veniva coltivata qui. Oggi è un centro turistico con la più vivace vita notturna e dove si svolgono eventi di rilievo. Naturalmente ci sono numerosi hotel oltre a pub, discoteche e night club.

Le spiagge sono tutte attrezzate ma è possibile trovarne alcune deserte. Nelle vicinanze del nuovo porto si trova il Castello di Limassol dove nel 1191 Riccardo Cuor di leone sposò Berengaria di Navarra incoronandola regina.

Ad un’ora di auto si trova l’antica città-stato di Kourion, che gode di uno splendido panorama sull’estesa spiaggia di sabbia fine della baia di Episkopi, e che conserva un teatro greco-romano utilizzato ancora oggi per le rappresentazioni di antichi drammi greci e di Shakespeare oltre a concerti di musica classica.

Un’altra bella località di Cipro è Pissouri, ricca di agrumeti, vigneti e luogo di riproduzione di fenicotteri e uccelli acquatici perché qui hanno trovato il loro habitat ideale. Ad ovest dell’isola si trova invece la bella città di Paphos, la cui vita ruota attorno al piccolo porto dove è possibile mangiare dell’ottimo pesce in uno dei tanti caratteristici ristoranti. Non mancano però importanti siti archeologici, ed essendo Paphos il luogo nel quale è nata Afrodite, si può ancora ammirare il tempio a lei dedicato e che era adibito a santuario di feste pagane.

La città fu per ben sette secoli la capitale di Cipro e di quel periodo, storicamente molto importante per la città, conserva molti reperti archeologici tra i quali gli splendidi mosaici raffiguranti scene mitologiche, oltre a tombe e catacombe dei re. Paphos è stata dichiarata dall’Unesco “patrimonio culturale mondiale” e non si può non essere d’accordo. Storia, mitologia, religiosità, tradizioni, monumenti, chiese, monasteri e bellezze naturali sono l’essenza di Paphos.

Ma se dobbiamo giudicare l’isola le daremmo sicuramente un voto molto alto. L’ospitalità della sua gente, il clima dolce 8 mesi l’anno, la buona cucina accompagnata da qualche bicchiere di ottimo vino locale, il sole, le belle spiagge, un mare cristallino, gli alberghi di alto livello, storia e cultura ne fanno una destinazione sicuramente adatta alle esigenze del turista italiano e raggiungerla non è affatto un problema.

Spunti di viaggio: Cipro non è solo l'isola di Afrodite
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Giuseppe Rossi's future

8 Novembre 2014 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #racconto

Terrified of becoming nothing, you never think that you sprung from nowhere. For example, I, Giuseppe Rossi, am this nothing.

Let me explain.

I, Giuseppe Rossi in fact, am not yet born, not even designed nor intended. My entity, Giuseppe Rossi’s entity, identifies with nothing. I am, or rather I am only in the sense that I am not, there's my not being here. I do not have a body nor sides, nor under nor over.

The space in which, so to speak, I exist-am, it's dark and quiet, although I would not call it dark, since I do not have eyes to see it. Time is a concentration of equal moments.

I'm only my future. Just due to the fact that in this moment I know the future, I can tell you about me. In my concentrate broth, I review the future life as a booklet with curled pages.

My name is Joseph, oh, well, that I've already said.

I'll own a gas station.

Yes, but only after that father’s hungry tadpole is stuck in mother’s egg. Zac!

I will vibrate, shapeless lump that is already Giuseppe Rossi, green bean with black eyes like pinheads, nestled in the folds of a uterus and more interested in the problem of proliferation. At that point I'll have an inside and an outside, I will sense what happens, feel the plunger pump, and experience hot and wet and sticky.

Then I’ll get out of the hole.

Mother will be angry when, after taking a good vote at the exams, I'll manage a gas station withFrancis, but I will already have Annamaria in mind and I’ll want to marry her. We will see each other every night, I will take her on my scooter, she will have firm thighs, the red eyes of a rabbit, and she will beat time with her fairy feet. We will dance close to one another all the night long.

But I'm going to marry Jane. At the wedding it’s going to rain and the priest will forget the ring, there will be chicken in aspic and trout, she will be pregnant. I will have known her at the distributor - after Annamaria will already have gone to Milan with the engineer – Jane will stick to me, although I stink of gasoline.

When Pinuccia is born, Mariolino will already have three and he is going to hate the little sister. Pinuccia will come out red, just like Anna, who will have become mad and the engineer will have her locked up in the nursing home in Milan.

At my mother's funeral I'll be late and it will be there that I realize that Jane, after pregnancy, has put on weight. Good woman, Jane, also good in bed when at night, after inflating so many tires, I want to have a little fun too.

But then she will get slim because of cancer, she will become thinner and thinner. When she dies, she will lay down as if to say: look what happened to me. And I will think, yes, she’s a fine woman, but she is not Annamaria.

After that, Pinuccia will wash my shirts, my little red haired that will have married Francis’ son. The gas station will be managed by the two of them. Pinuccia will wash my shirts on Saturday, while her husband fucks another woman.

I will die of a stroke, God willing.

I will not feel bad, I will only be sad for my Pinuccia. There will be lots of beautiful light and silence and a great gas station, all smelling of petrol. I, on the motorcycle, will kiss Annamaria.

Here, in my not to be prior to my existence, am reading with you the book of the future.

But I do not know ... It’s that... I almost feel like giving up ...

What do you think?

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Le meraviglie dei faraoni sulle sponde del Nilo

7 Novembre 2014 , Scritto da Liliana Comandè Con tag #liliana comandè, #luoghi da conoscere

Le meraviglie dei faraoni sulle sponde del Nilo

Una crociera sul Nilo regala emozioni che mai verranno dimenticate.

I misteriosi geroglifici e gli affreschi parietali degli antichi templi conservano intatto tutto il loro fascino, a dispetto del tempo che scorre inesorabile, ammantando di una suggestiva magia ogni pietra, incisione e granello di sabbia di questo paese di sogno. I reperti antichi sembrano ancora pieni di vita in modo molto tangibile e, passeggiando tra le rovine dove i i racconti delle antiche gesta faraoniche sono così superbamente illustrati dalle incisioni, ci si emoziona pensando alle divinità e alla loro eternità che, a volte, così stupidamente desiderata da noi esseri umani, sembra qui esistere davvero.

Osservando le innumerevoli raffigurazioni su ogni centimetro di colonna istoriata, su ogni millimetro di parete, tanto da risultare quasi ossessive, si ha l’impressione di leggere un’autobiografia o un’enciclopedia e ogni incisione è colma di significati, è simbolica.

L’insieme dei grandi massi che costituiscono le splendide architetture dei templi è come un enorme testo scritto sui papiri.

Dando splendida forma alle credenze religiose, così come sono, quelle immagini continuano a celebrare coloro che hanno voluto erigere quei templi.

Da Luxor a Karnak – bellissima la sala ipostila con le colonne come fusti di papiro fascicolati -, dal tempio di Filae – contornato dall’acqua è fra i più magici e suggestivi – a quelli di Komombo e di Edfu – dedicato al mitico dio Horus – dalle tombe della Valle dei Re al Tempio della Regina Hatshepsut.

E a quello di Medinet Habu è un susseguirsi di stupefacenti, monumentali testimonianze della straordinaria maestria degli antichi egizi nelle arti figurative. Nei dintorni di quella megalopoli che è Il Cairo – la capitale egiziana con oltre 20 milioni di abitanti – , riuscendo ad estraniarsi dalla confusione tipica dei siti turistici più famosi, l’imponenza delle celeberrime Piramidi di Giza e il fascino enigmatico della Sfinge, divenuti ormai da secoli simboli stessi dell’Egitto, lasciano stupefatto l’osservatore di fronte alla potenza celebrativa e all’enorme energia che emanano.

A Menphis, l’antica capitale, si rimane affascinati dalla statua del faraone Ramses II, un bellissimo colosso che giace disteso sul pavimento posto più in basso dei visitatori, e che sembra volersi far ammirare dai posteri e rammentare loro lo splendore dei tempi in cui visse.

A Saqqara si può ammirare l’insolita piramide a gradoni di Zoser, che rappresenta l’archetipo delle grandi piramidi meglio conosciute.

Il sud dell’Egitto non è meno spettacolare del resto del paese e, per meglio cogliere le bellezze del fantastico paesaggio di Assuan e dei monumenti situati lungo il corso del Nilo, la crociera è la scelta migliore. Solcando le acque del mitico fiume a bordo di una nave si osserva lo scenario che scorre lentamente davanti ai nostri occhi.

E’ un paesaggio vario quello che si presenta agli occhi dei turisti, che alterna il deserto a zone di verde, i villaggi ai palmeti.

Tuttavia, accarezzati dalla brezza e affascinati dalla bellezza del panorama, si perde facilmente il concetto del tempo e si ha l’impressione che questo si protragga in eterno.

Mentre la nave scivola lenta sull’acqua, il silenzio irreale e altamente emozionante che permea di sé l’intero paesaggio è interrotto solo dal rumore delle palme per il dolce e caldo vento, dal richiamo del muezzin, dal vociare dei bambini che giocano lungo la riva del fiume.

Il tutto è così calmo, dolce, rilassante, ammantato di una luce dorata.

Le feluche, le piccole barche a vela egiziane, sono ormeggiate a riva una di fianco all’altra, come uccellini fermi sui rami, oppure spinte al largo da una brezza mite e delicata che spira sulla superficie dell’acqua. A bordo delle piccole barche, sulle acque placide, quasi lacustri del Nilo, si è cullati dalle canzoni nubiani e colpiti dall’intensa luminosità sprigionata dalla luna.

Da ogni cosa si irradiano le tinte della tranquillità e del piacere. Il blu e il verde sono i colori vividi e intensi che, misti allo splendore dorato del deserto, regalano policromia a quel mondo ed emanano un fascino particolare che contribuisce a rendere estremamente suggestiva l’atmosfera di quel paesaggio unico al mondo.

Le meraviglie dei faraoni sulle sponde del Nilo
Le meraviglie dei faraoni sulle sponde del Nilo
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Impressioni sul 2 novembre, di Quirino Riccitelli.

6 Novembre 2014 , Scritto da Adriana Pedicini Con tag #adriana pedicini

Impressioni sul 2 novembre, di Quirino Riccitelli.

Riflessioni sul 2 novembre, appena trascorso, da parte di un giovane, Quirino Riccitelli, che anela alla verità e vorrebbe un mondo migliore fatto di uomini perbene. Lo dichiara attraverso la parola nuda, talora sfacciata, ma sempre sincera e coerente con la sua integrità morale. (Adriana Pedicini)

"E’ di nuovo domenica di sole, almeno così pare. Oggi però si commemorano i dipartiti deportati in terra consacrata, e nuvoli di addolorati s’accalcano fuori quel luogo sacro, dove lo scuro cancello all’ingresso porta una croce sulla sommità, e circonda tutto quel perimetro mistico. Questo si compone di un’alternanza di poche sontuose cappelle private e, soprattutto, di numerose sepolture umili. Strettoie, secchi per i gambi troppo lunghi da gettare e fontane, coi cipressi tutt’intorno, a tentare forse d’evadere, lecitamente, da tanta tristezza. Dappertutto lumini accesi e fiori nei pressi di lastre di marmo, ciascuna con scritte e date, rigorosamente in rilievo. Il 2 novembre si rinnovano fiori e preghiere, si salutano vecchi amici su lapidi attigue, e ci si aggiorna sui nuovi fallimenti raggiunti dall’ultimo incontro del quale si ha memoria, rammentando magari vecchie sconfitte comuni. Si ricorda sì, ma molti di questi ricordano i cari defunti solo oggi, fanno un po’ come quando mamma mi chiama per ricordarmi di fare gli auguri a zia. Anche oggi quella santa donna m’ha piazzato la camicia buona e ben piegata sul letto, sotto c’era l’unico paio scarpe avverso alla ginnastica, più sotto il pantalone in velluto. Prima le dicevo che alla cintura sulla stampella andrebbe fatto un nuovo buco, perché col forzato digiuno di stimoli nell’ultimo periodo ho perso, sempre sulla retta via e camminandoci nervoso, un altro paio di chili di sopportazione. Oggi io non andrò al cimitero! C’andranno sicuramente credenti, creduloni e pure i falsi eleganti, perché il vestito buono gli copre parte di quella mancata sensibilità e, soprattutto, rafforza la fottuta apparenza che vede i soli accorrenti odierni come devoti e “brave persone”. Fiorai s’arricchiscono in questa data, espandono esposizioni floreali e vendono a prezzi gonfiati la scorza, che vede il fiore come simbolo improprio del dolore provato. Andrò certo… ma, certo, non oggi! Lo farò quando sarà un giorno comune e sfollato. Starò a rinnovare l’intimità di un bel ricordo a mio zio, assorto, a confidare che quel mio pensiero riservato gli arrivi da qualche stramaledetta parte. Poggerò sotto un crisantemo secco e dimenticato l’arido, di quel vento che la scomparsa di mia nonna ha lasciato soffiare nei Natali vuoti, senza più averla quella figura così dannatamente importante. Abbasserò lo sguardo quando rispetterò un attimo eterno e giurerò ancora a quel tale di starci in pari con la coscienza. M’inginocchierò e farò l’inchino all’esempio che bagna di lacrime quegli sfocati e vecchi ricordi dei nonni. Darò le spalle al deserto intorno e porterò un secchio d’acqua, per innaffiarci un po’ della solitudine, scavata, in quella terra sterile, dalla loro mancanza. Camminerò tra i labirinti accesi di triste, troverò e accuserò un paio di amici per la loro sciocca debolezza; poi spenderò un paio di minuti intensi con quel tizio che incrociavo spesso sulle rive degli esempi e, infine, uscirò. La nostalgia la chiuderò a chiave dicendole “Amen”, dopo il segno della croce. Mi bacerò il dito più vicino alle labbra e, così, ne manderò uno sincero a tutti i familiari e conoscenti scomparsi, prematuramente e non. E’ questa la mia sola educazione, perché l’apparenza è maschera, ma è l’essere che veste; rende nudi e nitidi i profili dell’animo, ma non lo fa mai in date particolari. Talvolta ti manda un sogno a ravvivarti l’amore, e lo fa proprio quando lo metti in pausa col cuore. Architetta così trame incomprensibili, che t’imprimono addosso strane sensazioni a cui dare una spiegazione. Da decifrare perciò con una seguente visita sincera, sempre ed assolutamente anonima. Quello che si prova dentro, quando si dovrebbe dimostrare? Esiste un giorno? Del bene e dell’affetto, poi, si darebbe prova nel quotidiano, o forse no? Forse sì, forse un giorno il cuore deciderà al posto degli schemi logici che implicano le costrizioni di una razionalità becera, di quelle più spicciole, proprie del minimamente immaginabile. Lo spero davvero, e l’auspico nel breve quel giorno, nel quale ognuno sarà finalmente se stesso. In quel giorno, libertà sarà il dovere di viversi la vita che si è scelti. Si daranno pacche sulle spalle ai fallimenti e si strizzerà l’occhio al perdono, svincolato dai meri orgogli. L’aspetteranno tutti quell’alba, a preannunciare l’era benevola nascente e il sole, prepotentemente, darà vita a gemme e terre. Farà caldo e saremo spogli dell’essere così maledettamente vivi di vero. Godremo ingordi di quel sole, senza bisogno di protezione alcuna, o d’altro. Ciascuno avrà da bagnarsi i sogni in un mare d’opportunità, per rinfrescarsi da quel sublime senso di benessere, dato dal fulgido che, dentro, disinibito risplende e, incontrastato, s’atteggia di realizzazione. S’affogheranno le inquietudini, tra le stanze strette di castelli di sabbia i bambini rinchiuderanno corde e confini, così potranno crescere di sogni e talenti da esprimere in piena libertà. Non ci sarà la coda all’ombra del refrigerio, perché ognuno avrà la sua, garantita dalla stabilità di una piena soddisfazione. Tutti avranno sorrisi da concedere, consigli genuini, spassionatezza e calore umano, oggi stoccato nei periferici silos delle inopportune convenienze. Stoneranno immagini di guerra e i paesaggi saranno freddi, ma della sola poesia custodita dalla neve, nei magici Natali riservati a ciascuno. Buona domenica di speranza a tutti, con l’augurio sincero che quel giorno arrivi presto nel vostro domani!!!"

Quirino Riccitelli dice di sè:

Sono nato e cresciuto a Piedimonte Matese (CE), dove vivo da disoccupato da 29 anni. Mollai questo posto avaro per 7 anni, dal periodo che va dal diploma (come perito agrario) alla laurea triennale in agraria, conseguita nel febbraio del 2012. Da quella data ho iniziato a inviare curricula dappertutto, ma zero risposte. Oggi spendo fette d’esistenza e tempo per le uniche 2 passioni che ho nella vita: pesca e scrittura. Sogno di trovare un lavoro, ma rafforzo, giorno dopo giorno, quella consapevolezza che muta in convinzione d’emigrare altrove. Nacqui, sempre a Piedimonte, il 23 aprile del 1985 da 2 genitori fantastici, inviati sulla Terra dal Signore. Avevo già una sorella, ma ancora non lo sapevo. Nella culla avevo pure i suoi giochi da riciclare, e fu in quel periodo che iniziai ad esplorare il mondo. Credo di aver catturato il primo persico a 4 anni, fu amore a prima vista. La passione per la scrittura, invece, l’ho sempre avuta, ma me la facevano notare soprattutto gli altri, specialmente le professoresse, a ciascun livello d’istruzione. Vinsi un concorso alle superiori, basato su un tema sulla “Comunità Europea” ed ebbi la fortuna di godermi un viaggio gratuito a Bruxelles. Sfruttai poi quel talento, che gli altri osservavano, nell’iniziale attività di divulgazione, nell’ambito della pesca sportiva. Il mio primo articolo su una rivista cartacea di pesca, a tiratura nazionale, risale al 2007. Da quel momento iniziai ad intraprendere un soddisfacente percorso come articolista, su riviste di “carp fishing” cartacee e online. Periodicamente tengo conferenze su argomenti tecnici, attinenti alle pesca della carpa, durante le fiere di settore annuali. Continuo attualmente a pubblicare articoli e a rinnovare contratti (gratuiti) con sponsors, coi quali baratto prodotti in cambio di pubblicità. Scrivo di tutto, ma scrivere di pesca mi viene piuttosto facile. Nonostante ciò, mi cimento in riflessioni varie, in collezioni di stati d’animo su un foglio e resto schiavo di scrittura compulsiva, assolutamente indesiderata certe volte.

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Spunti di viaggio: Berlino, una città camaleontica

5 Novembre 2014 , Scritto da Liliana Comandè Con tag #liliana comandè, #luoghi da conoscere

Spunti di viaggio: Berlino, una città camaleontica

Viene definita la “città dei giovani”, ma è una città interessante per persone di ogni età.

Berlino, prima fra le città tedesche e una tra le più importanti città d’Europa, si presenta oggi come una città che si è lasciata alle spalle la divisione passata e la parentesi buia del muro, e che guarda soltanto al suo futuro.

La città tedesca è febbricitante, viva, operosa e dà di sé l’immagine di una metropoli gioiosa e multiforme. Berlino, città della cultura, delle opere d’arte, delle tante testimonianze di un passato glorioso e di una storia dolorosa. Una grande metropoli ormai non più in bilico tra presente e passato, in cui convivono con estrema naturalezza le impronte di antichi fasti e gli embrioni di quella che ormai è diventata la città del futuro.

Così, in tutto il loro splendore, sfilano davanti ai nostri occhi il Duomo neo barocco, l’edificio più vecchio di Berlino; il Municipio Rosso, la Colonna Trionfale, il Forum Fridericianum con il complesso dei suoi edifici ottocenteschi; la Gendarmenmarket, una tra le piazze più belle d’Europa; l’Unter den Linden, il famoso viale che origina dalla Porta di Brandeburgo, simbolo della città e la Postdamer Plaz, area di 70mila metri quadrati dove ci sono imponenti edifici costruiti sotto la guida del nostro architetto Renzo Piano.

Città della cultura

Da quando è stata fondata (XXII° secolo) fino alla caduta del muro, Berlino si è caratterizzata come città destinata a continui cambiamenti, depositaria di cultura, arte e tradizioni ma anche aperta a nuove idee che convivono costruttivamente sotto un unico tetto. Nel 1988 fu eletta “città europea della cultura” e a ragione in quanto è una città in continuo fermento culturale.

Berlino ha oltre 150 teatri e palcoscenici, tra cui il Friedrichstadtpalast, il teatro di rivista più grande d’Europa. Inoltre, teatri per musical, teatri dell’Opera, Filarmoniche e molte orchestre sinfoniche. Berlino offre tutti i giorni ogni genere possibile di intrattenimento. Un altro panorama altrettanto sorprendente è quello offerto dai 170 musei berlinesi. Dalla Regina egiziana Nefertiti, all’altare greco di Pergamo, ai pittori del museo “Die Brucke” agli artisti del Bauhaus e il museo di arte contemporanea.

Città del divertimento

Oltre ad essere un grosso centro culturale, Berlino è conosciuta anche per la sua vitalità, per la capacità di fare festa e divertire, per i suoi negozi e la vasta gamma di specialità culinarie. Una città che ha riservato un grosso spazio alla vita che si svolge all’aria aperta, per le strade, tra la gente. Testimonianza ne sono le numerose manifestazioni all’aperto come la “Love Parade”, la maggiore d’Europa, le settimane festive di Berlino, Il grande party di S. Silvestro e ancora il Festival Internazionale del Cinema.

Una grossa attrattiva è rappresentata anche dalle eleganti strade sul Kurfuerstendamm, dove si susseguono raffinate boutique e sfiziosi negozietti. Senza dimenticare i fornitissimi centri commerciali – come il Ka De We, il più grande d’Europa con i suoi 65mila metri quadrati – e i tanti colorati mercatini delle pulci.

Per ricordare infine l’aspetto più godereccio, quello culinario, in grado di accontentare anche i palati più esigenti, basta saper scegliere perché si può passare dalla cucina tradizionale, molto diffusa nei caffè storici di Berlino, a quella multietnica sul Prenzlauer Berg, a quella più elegante e raffinata presente in tutti i ristoranti del centro.

Città dei Congressi ma anche del verde

Berlino è anche un centro economico di prim’ordine con un settore terziario che genera, di conseguenza, un progressivo aumento di meeting, seminari, incentives. La necessità di individuare delle strutture capaci di far fronte a tali esigenze ha reso Berlino una delle città più idonee agli incontri di lavoro e alle varie manifestazioni.

Berlino è la meta ideale anche per chi ha deciso di trascorrere un periodo rilassante, immerso nel verde, senza rinunciare ai comfort della grande metropoli. Infatti, è la città più verde della Germania: oltre un terzo del territorio è coperto da parchi, prati, boschi e distese acquatiche.

Da non perdere una visita al castello di Charlottenburg, il cui parco, che ha più di 300 anni, rappresenta il giardino più antico di Berlino. Inoltre, il giardino zoologico, il più vasto del mondo tra i parchi situati all’interno di una città. Come Berlino, anche i suoi dintorni rispondono pienamente a tali aspettative: castelli, parchi, boschi e laghi sembra che facciano da contorno a quei paesaggi fiabeschi descritti da grandi poeti.

La Berlino turistica

Berlino, ormai, figura tra le città più ospitali e organizzate. Dai servizi ai trasporti pubblici, dalla gastronomia alla sistemazione alberghiera si può sicuramente affermare che è una città superorganizzata.

Del resto, la continua affluenza di visitatori ha fatto sì che il turismo diventasse una voce importante nell’economia della città. Un tipo di turismo sicuramente diverso da tutti quelli finora conosciuti. Un tuffo in un recente-passato che è già futuro. Un viaggio irreale in una città che dal 1961 al 1989 è stata divisa in due, squarciata da un muro, mutilata della sua metà.

Una frattura profonda, drammatica di cui oggi ci accorgiamo soltanto per quella parte di muro che è stata lasciata in piedi ed è tutta ricoperta da murales e il famigerato Checkpoint Charlie, un piccolo posto di controllo simile a quello dove sostano i nostri vigili urbani.

Berlino, una città che entra nell’anima e travolge ogni parametro di giudizio: caotica e silenziosa, allegra e romantica, antica e moderna, affascinante e contraddittoria.

Berlino è una città che non si può raccontare, si deve soltanto visitare.

Spunti di viaggio: Berlino, una città camaleontica
Spunti di viaggio: Berlino, una città camaleontica
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"La mia napoletanità" poesie di Vincenzo Tedeschi.

4 Novembre 2014 , Scritto da Adriana Pedicini Con tag #recensioni, #poesia, #adriana pedicini

"La mia napoletanità" poesie di Vincenzo Tedeschi.

Recensione a cura di Adriana Pedicini

La mia napoletanità

Poesie del Prof. V. Tedeschi

Loffredo Editore

Spesso si dice che la poesia disveli la storia di un’anima e che grazie alla poesia la vita appaia più affascinante o almeno più accettabile.

Poesia infatti è innanzitutto un modo di essere e di sentire, riscontrabile in persone che, dotate di enorme sensibilità e conoscendo i travagli dell’esistenza, vedono in essa

‘na manera pe’ tirà a campà.

Ecco l’incipit del corposo volume di poesie di Vincenzo Tedeschi, nato nell’entroterra sannita, già Medico Ginecologo e Professore di chirurgia ginecologica presso l’Università Federico II di Napoli. Quasi una dichiarazione di poetica quella che risulta nella poesia “Addédeca” con cui anche onora i suoi debiti di gratitudine verso chi lo ha spinto a scrivere.

Di poi l’Autore srotola il nastro dell’esistenza ricordando il momento della nascita, la gioia del nonno paterno nel contemplare lui, primo nipotino,

nu mpilo chiattulillo ma carillo/… ‘o primo nepuscello e mascullillo (‘O nomme mio),

e quindi i ricordi della famiglia in erba, del fratello e della sorella, della mamma di cui con somma emozione ricorda la malattia con un linguaggio ricco di immagini rese con termini dialettali scolpiti nel verso come incisioni in antico legno.

papa puveriello era abbeluto/…ieva appuranno/…..pure ‘nu zinno/ ch se puteva fà pe’ chella freva. (Mamma mia)

E ancora, del padre ricorda la stima da tutti riconosciuta di uomo onesto, di grande cultura e nobile impegno nelle istituzioni scolastiche, ma per un figlio il padre è solo padre, porto sicuro nelle difficoltà della vita, anche quando giunge l’età delle certezze.

Puteva abbonì ca me vedeva/ ‘nu poco ‘e cchiù apprenziunàto/ era ’isso ca me scanagliava/ e ‘o rummèdio subeto truvato. (Papà mio)

Si verifica dunque nelle poesie di Tedeschi la relazione tra arte e vita, tra individuo e storia famigliare, sociale, politica.

Evidente è il tono lirico in poesie che rivelano stati d’animo, rievocano il vissuto, ridestano personaggi della sua infanzia e della sua giovinezza: oltre i genitori, la sorella, il caro fratello Luigi morto prematuramente, la sua compagna di vita.

‘E vvoce d’’a casa, poesia il cui titolo evoca l’arte di Eduardo, esprime appunto la dolcezza del nido famigliare dove l’amore e la concordia mettono al riparo da qualunque timore, ma è anche un prezioso documento di vita che testimonia i disagi della guerra e le difficoltà del dopoguerra.

Venett’ ‘a guerra e ‘mpilo se mangiava…

Addò steva papà nun s’assapeva….

…‘a guerra s’atturnaie/ ma p’ ‘isso ‘o mmale nun fenette…

E infine la perdita delle persone care, momento di solitudine sia per chi resta, sia per chi sta morendo, nonché di incapacità di comunicare, impossibilità di scambiarsi i ruoli per amore.

Pe’ nuie addavero ‘nu trummiento/ quanno steva murenne mamma mia.

Notiamo in esse un linguaggio dialettale complesso che rimanda a tempi lontani (ben sono riportate le traduzioni dei termini più inusitati), metafore dense di allusioni psicologiche, sintagmi di amara nudità che disegnano l’arco della giovinezza, le prime pene, le difficoltà famigliari dalla dolcezza ritmata che ricordano G. Lorca (A mio padre) o in immagini che dicono più delle parole l’intensità del sentimento. Non il languore romantico ma l’analisi sincera quasi impietosa degli affetti, nell’oscillare dei ricordi, dei contrasti, nella ricerca della verità nei rapporti affettivi. E poi l’abbandono sentimentale che è quasi estasi se la piccola “nepuscièlla” con le sue tenere carezze gli si stringe al collo, facendogli capire che questo è l’amore vero, puro, incontaminato.

è proprio chello ca se chiamma ammore. (A Carola)

Diverse altre poesie sono dedicate alla nipotina durante la crescita, con la tenerezza e l’entusiasmo di un nonno che dinanzi alla vita che germoglia, nonostante i lunghi anni di professione o forse proprio grazie ad essi, non ha mai perso lo stupore proprio del miracolo. In queste poesie allora l’affetto e la gioia diventano emozioni che fanno vibrare i versi letteralmente perché la narrazione poetica procede intensamente tra allitterazioni, anafore, rime alternate e altri procedimenti retorici. nun ve pensate ca so’sciut’e mente (Pe’ Caroletta)

L’amore però è anche memoria-nostalgia di una dimensione di vita che si riconosce sull’orlo dell’estinzione, almeno come quotidianità, si traduce in costante ispirazione che sui binari della parola poetica emigra per scoprire il passato e dare un senso al presente.

Infatti nei periodici ritorni al suo paese natìo, lasciando le nuvole asfissianti della città, recupera se non fisicamente almeno nel ricordo volti e personaggi che hanno costellato la sua esistenza: L’arciprete scienziato, Salvatore l’inventore, la figlia adottiva, ‘O pàrturo, Ciccillo, ma anche personaggi e situazioni caratterizzanti la metropoli partenopea come ‘A vammana d’’o quartiere, ‘O professore ‘è mannulino, Rafèle,’A malafemmena, le cui vite danno origine nei versi del Poeta a delle vere e proprie pitture impressionistiche. Difficile e lungo sarebbe riportare il lessico poetico che incide sulla pagina le sfumature del destino, della miseria, della pena di vivere, ma anche del coraggio e della forza d’animo.

Silenzio e solitudine come spazio semantico e spirituale in cui pervenire al coraggio della parola che scava e registra l’effimero che ci sovrasta, l’egoismo che ci inaridisce, la disonestà che ci rovina, e denunciarlo con virile tristezza. Tristezza che con costante fiducia s’innesta alla speranza.

..Che ghiè ‘a vita?....’a nasceta nisciuno ‘o po’ sapè…(‘A vita)

L’antidoto alla miseria consiste nell’onestà, virtù difficile da praticare

Si ‘a gente fosse aunesta, chesta vita sarrìa ‘nu Paraviso (‘A vita)

Si cagnarrà ‘a museca nn’’o saccio….ogni iuorno ‘nu penziero ‘o faccio che sul’a speranza ce rummane. (‘A vita)

Il volume, ricco di tante altre sfaccettature, va concludendosi con due poesie, tra le altre, che testimoniano la necessità atavica di tornare a “bagnarsi”, quasi fossero acqua lustrale, nelle atmosfere del paese natìo, in cui i ricordi affiorano, la bellezza viene scoperta più dignitosa, l’abbraccio dell’animo riconoscente stringe l’albero della famiglia che in quelle terre ha radicato trasmettendo i valori fondamentali sui quali poggia un’esistenza ricca di impegno e di passione.

Paiese mio addò affunna ‘a ràdeca chella forte d’ ‘a fameglia mia.. (‘O paiese mio)

Un volume dunque interessante per la vita che contiene osservata, narrata, approfondita, per la carrellata di personaggi, davvero tanti, che si caratterizzano per la loro tipicità, per gli affetti, i sentimenti d’amore e d’amicizia tratteggiati con tanta tenerezza; un volume interessante per la qualità del lessico partenopeo, per la cura della costruzione del verso, per la veste dignitosa di ogni strofa, infine per le numerosissime sorprese di una lingua che evoca la ricchezza e la stringatezza a un tempo delle lingue classiche, greco e latino. Proprio per tale ricchezza il volume meriterebbe una più approfondita esegesi linguistica.

Un esempio di latinismo stupendo:

Me sunnai aiere albante iuorno (‘Ll’abballo)

Un costrutto latino (ablativo assoluto) che sulla bocca dei paesani suonava forse grossolano, ma che il Prof. Tedeschi ha saputo innalzare a dignità letteraria.

Sulla copertina: Il respiro dell'anima dell'artista sannita Giovenale.

Sulla copertina: Il respiro dell'anima dell'artista sannita Giovenale.

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Gauguin’s flowers

3 Novembre 2014 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #racconto

Gauguin’s flowers

Sara took off her glasses and rubbed her eyes, tired from the light of halogen lamps. In her short-sighted world, the butcher’s shop merged into a liquid shadow with the pharmacy next door. She put the glasses back on in time to see the dust at the passage of a truck, strangled in the narrow and dark street. Together, a strong smell of gunpowder irritated her nostrils.

A late customer peeped. Two sour eyes pinned on her hair and on her depressed face: "Are you closing, dear?"

"No, not yet, come in, ma'am."

"Look, dear, for tonight, I thought about changing my hair color. I'd like a nice mahogany shade."

Sara began to focus on the woman: tough hair, little cap askew, withered breasts, squeezed in a glittering shirt. "Red would be nice for you," she said, thinking that those like her withered her soul. "Where are you going tonight?"

"I’ll go dancing, and you?" She was asking her, but you could see she did not care to know the answer. Her eyes darted between the merchandise.

"Me? Nothing special. "

She showed the customer the colors, with shaking hands. She often trembled while she was working, but never when holding the brush. Sarah knew how to paint all sorts of flowers, the yellow sunflowers of Van Gogh and Gauguin’s scarlet petals.

It was precisely because of Gauguin’s “Les seins aux fleurs rouges” that she had received the first email from F. They had met by chance in a chat line for lovers of Impressionist painting.

"The color expresses more emotion than reality," she wrote, flirtatious, signing TAHITI, as the island loved by Gauguin. "This is revolutionary art, it is the road that leads to Picasso," he thundered manly. He always closed his letters with that single, haunting, original: F

So a long exchange of messages began. They talked about many subjects, but especially of painting. She had learned to recognize the mood of F by punctuation, by the words he chose, by his silence. And, although they had never met in person, she fell in love.

"You tell me how much these lipsticks cost." The customer was looking annoyed.

"9.99, ma'am."

She wrapped the lipstick with the hair dye, than signed the amount on the cash register. She felt her fingers tingling and strange. She found herself watching her own hand as something detached from her body. She had petite hands, with pink hairs and short nails. The hands of an aged girl.

"Look, I gave you fifty."

"Excuse me."

The customer went out, wishing one lazy good year. The road was empting. A group of children lit one firecracker after the other on the sidewalk in front of the window. She could hear them all burst inside her.

She wondered how F would spend the night.

She only knew that he was living in Rome, that he was no longer a boy, and that he had a family of his own. She had invented everything else. Day after day, with the force of her imagination, she had invented a love. With the powerful brush of her heart, she had painted a face, creating it more real than the real, such as those orchids that she colored in the manner of Gauguin. And now she missed his face, she missed his imagined eyes, she missed that hair she herself had invented, she missed that only intuited laugh. She missed the little she had of him that for her was all.

The last passersby went home exchanging cold greetings. A couple entered in a car, arguing. Sara saw a glint of sequins and the neck of a sparkling bottle.

It was time to quit for her. His father was waiting at home to celebrate the New Year together. Widowed and ischemic, she did not want to leave him alone and then no one asked her out any more now.

She took a few banknotes from the cash register and then wrote the bloodless amount next to the date: December 31, Tuesday.

"And for this year..."

She put on her coat and buttoned it, because the wind was damp and bad. She thought of F, of his life she did not know, of the enthusiasm with which he described Degas’ dancers, of his caustic, brilliant sentences. "Dreams only belong to those who dream," he used to say.

F, who wrote to her for months and then stopped.

"The game is great if it doesn’t last too long," he said in his last letter.

Sara looked for the umbrella. She felt heavy and cold. "Maybe I have a little fever," she muttered, touching her forehead, then turned off the light. From the darkness the smell of the soaps took shape, pungent, unhealthy, like rotting flowers.

Then, suddenly, she saw a blue mountain pop up in the dark, a thick, cobalt blue sea, and fleshy, strong-painted scarlet flower made of light and dark.

Then she smiled. With a sharp blow, she pulled down the shutters.

"Tonight", she said to herself, "when everyone else dances, I will paint."

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Spunti di viaggio: Namibia, natura selvaggia e scampoli d’Europa

2 Novembre 2014 , Scritto da Liliana Comandè Con tag #liliana comandè, #luoghi da conoscere

Spunti di viaggio: Namibia, natura selvaggia e scampoli d’Europa

Un paese enorme dove l’uomo è quasi un intruso e la natura la fa da padrona.

Se pensate che la terra sia sovrappopolata, allora andate in Namibia e vi troverete in un altro pianeta. Questo grande paese, situato nella parte occidentale dell’Africa Meridionale, è infatti esteso per 824 mila Kmq, cioè quasi come Italia e Francia messe assieme ed una popolazione che non arriva neppure a due milioni di abitanti. Potrete viaggiare per ore ed ore lungo la buona rete stradale senza incontrare nessuno e se incrociate un’altra macchina è doveroso un saluto.

E’ più facile imbattersi in branchi di struzzi o di antilopi, che di essere umani. Potete vedere il deserto più antico del mondo, il Namib, nella sua versione di sabbia o pietre, addentrarvi nei canyon del Fish River, ammirare la “welwiitschia mirabilis”, uno strano cespuglio appiattito che punteggia sparso il deserto e che è in grado di sopravvivere per mille o duemila anni.

Potete vedere la costa più incredibile del mondo, la Skeleton Coast, deserto di sabbia che sprofonda nel mare dove la nebbia ristagna di notte e fino al tardo mattino, mentre il vento muove le dune in un concerto di scricchiolii e sussurri misteriosi. Nebbia provocata dall’impatto tra la corrente fredda del Benguela che risale lungo i quattromila chilometri di costa e le circostanti acque sempre più calde verso il tropico.

La riva è punteggiata da scheletri di navi arenatesi qui nei secoli scorsi e dalle ossa dei grandi cetacei finiti prigionieri sulle spiagge. Un mare freddo in un paese caldo, dove il bagno è pressoché impossibile e dove non potranno mai sorgere villaggi di vacanze, così da poter mantenere intatto il suo fascino all’infinito.

In compenso, un mare ricco di vita, di pesci, che richiama enormi masse di mammiferi marini: a Capo Cross, infatti, potrete vedere in uno spazio ristretto, 80 o forse 100 mila foche agitarsi, riposarsi, tuffarsi compatte in battaglioni nelle acque per loro accoglienti.

Potete visitare il Parco Etosha, 22 mila Kmq, esteso come una regione italiana, con enormi distese di laghi salati più o meno disseccati, a seconda della stagione, ma anche con vegetazione che ospita grandi branchi di erbivori quali zebre, antilopi, gnu, elefanti e così via, nonché leoni, leopardi e ghepardi.

Potete alloggiare in lodges sperduti nell’immensità, circondati ciascuno da vastissime proprietà, ma tutti confortevoli e gestiti da europei (la Namibia era una colonia tedesca), boeri sudafricani, belgi provenienti da quello che era lo Zaire, ex Congo belga.

La Namibia è un tranquillo paese multietnico, dove le varie popolazioni convivono pacificamente. Il popolo più numeroso è quello degli owambo, originario della parte settentrionale; vi sono poi gli himba – forse il popolo più noto per la bellezza delle sue donne – e che vivono sulle montagne, poi i boscimani, gli herero, le cui donne indossano vistosi ed ampi vestiti, esempio di sincretismo tra la moda ottocentesca europea e la vivacità coloristica africana.

E ancora mulatti originati da incroci tra boeri, immigranti olandesi, e le belle donne degli ottentotti e, infine, gli europei.

La Namibia non è solo natura selvaggia, vi sono anche sorprendenti città, come la capitale Windhoek, con case tradizionali dai tetti spioventi che sembrano qui catapultati dal Nord Europa, modernissimi alberghi e centri commerciali.

O come Swakopmund, accogliente località marina con ottimi alberghi e anche un casinò. Insomma, la Namibia è un paese dalle molte incredibili facce, adatto per i veri viaggiatori più che per le masse anonime di turisti.

Spunti di viaggio: Namibia, natura selvaggia e scampoli d’Europa
Spunti di viaggio: Namibia, natura selvaggia e scampoli d’Europa
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Manlio Gomarasca, "Monnezza amore mio"

1 Novembre 2014 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #cinema, #personaggi da conoscere

Manlio Gomarasca, "Monnezza amore mio"

Tomas Milian

Monnezza amore mio

con Manlio Gomarasca

Rizzoli – Pagine 296 - Euro 18,50

E-Book 10,99

Manlio Gomarasca trasforma in realtà il libro della sua vita, promesso ai fan di Tomas Milian da almeno quindici anni, dai tempi in cui Nocturno Cinema era soltanto una fanzine. Monnezza amore mio - strutturato come un dialogo tra il personaggio e l’attore - è frutto dei ricordi di Milian e della sua volontà di raccontarsi a ruota libera, ma è soprattutto merito di una scrittura nitida e ammaliante di Gomarasca che ti obbliga a continuare nella lettura come se tu sfogliassi un thriller. Tomas Milian da buon cubano racconta la sua verità, com’è giusto che sia, perché il libro è la sua biografia, non un saggio di cinema. Una verità che non piacerà a Dardano Sacchetti e Umberto Lenzi, che per anni si sono disputati la paternità del Monnezza, perché l’attore afferma di essere l’inventore del personaggio, di aver scritto dialoghi e battute, di aver ideato look, smorfie, parolacce, rime baciate, imprecazioni. Peccato che nel libro non ci sia spazio per Ferruccio Amendola, doppiatore che ha contribuito al successo di Milian, mentre Bombolo e Quinto Giambi sono citati a dovere. Per il resto, non manca niente: il suicidio del padre, l’Actor’s Studio, il successo italiano, il triste ritorno negli Stati Uniti. Pagine che raccontano la bisessualità, il rapporto con la famiglia e con un figlio riconquistato dopo un breve abbandono, il consumo di droga, la crisi provocata da alcol e cocaina, la vocazione mistica e il viaggio in India.

Monnezza amore mio è un libro che mi fa tornare alla memoria la quantità industriale di pellicole viste da ragazzetto in un cinema di seconda visione della mia città. Quella sala, che io ricordo bellissima ma che forse non lo era, si chiamava Cinema Teatro Sempione e la domenica era presa d’assalto da frotte di ragazzini che facevano la ressa al botteghino per acquistare il biglietto. C’ero anch’io tra quei ragazzini, ricordo che ci davamo botte, spinte e calci per entrare e aggiudicarci i posti migliori. Prima di entrare in sala si doveva far provvista al banchetto della signora che vendeva semi, noccioline, duri alla menta, stringhe di liquirizia… Il posto in galleria era il più ambito, ché le bucce dei semi e delle noccioline erano armi di prima scelta per bersagliare quei poveracci della platea. Al Sempione proiettavano due pellicole alla volta, entravi alle tre del pomeriggio e ne venivi fuori che era ora di cena. Di solito passavano film di genere, da sala di seconda visione, un ricordo del passato, sono locali scomparsi, uccisi dalla televisione. Al Sempione mi sono visto il ciclo storico di Godzilla, il peplum all’italiana, spaghetti-western in quantità industriale, poliziotteschi che non vi dico, horror di Bava, Freda, Fulci, D’Amato, pellicole comiche di Totò, Franco e Ciccio, Gianni e Pinotto. Tutto quel che piaceva a noi ragazzini degli anni Settanta lo programmavano al Sempione. Mi fa una rabbia oggi passare per Corso Italia, che sarebbe la strada principale del luogo dove vivo, e vedere che al posto del Sempione c’è una profumeria. Del Sempione è rimasta la facciata, il ricordo di quel che era, l’insegna è la stessa ma dentro vendono profumi invece che emozioni. E mica è la stessa cosa. Quando ne discussero in Consiglio Comunale non ci fu un assessore contrario, non uno a dire: “Il Sempione sarebbe proprio un bel cinema d’essai”. Nessuno. Va bene, andiamo avanti così. Facciamoci del male, direbbe Nanni Moretti.

Ho scoperto Tomas Milian proprio sulle scomode panche di legno del Sempione. Dal 1968 al 1972 lui era alle prese con lo spaghetti-western e io ero un ragazzino di otto - dodici anni che la domenica andava al cinema con la nonna, grande divoratrice di cinema. Io amavo quei film, mi emozionavano, mi facevano sognare. E poi ero convinto che fossero americani, mica me ne intendevo di cinema, mi bastava vedere film d’avventura. Un bel giorno fu mio padre a distruggere il sogno. Mi venne a dire che erano spaghetti-western e che li giravano in Sardegna, quando andava bene in Spagna, ma in America e in Messico proprio no, erano posti che i registi non avevano visto neppure in cartolina. Forse per questa sorta di choc giovanile ancora adesso mi è rimasta la fissa del cinema italiano.

Tomas Milian ha accompagnato la mia giovinezza pure negli anni che è passato al poliziottesco. Tutti film che mi sono visto in prima visione al cinema più grande della città, che è sopravvissuto alle televisioni commerciali e si chiama Metropolitan. Ero ancora più grande, studente di liceo e universitario, quando andavo a vedere Nico Giraldi e Venticello, sganasciandomi dalle risate seguendo trame improbabili e dialoghi al limite del turpiloquio. C’è stato un lungo periodo che me lo sono perso il buon Tomas Milian, tutti dicevano che se n’era andato negli States, che non ne voleva più sapere di quel personaggio da trucido. Forse aveva anche ragione, mica poteva fare il Monnezza e Nico Giraldi per tutta la vita. Adesso capita che Tomas Milian lo rivedo in televisione quando passano Havana, Arturo Sandoval o JFK, ma non è più lui, è un caratterista di lusso, pelato e ingrassato. Cosa ci posso fare se per me Tomas Milian resta sempre quello che indossava la parrucca da trucido del Monnezza? Ci ho persino scritto un libro (Il trucido e lo sbirro, Profondo Rosso), dedicato a mio figlio, che dieci anni fa s’è rivisto con me tutto il cinema di Tomas Milian. E poi con Cuba e con i cubani ho un legame importante…

Grazie Gomarasca, hai fatto davvero un ottimo lavoro, regalando uno stile impeccabile ai ricordi di Tomas Milian. Un vero gioiello. Imperdibile per gli appassionati.

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