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Virzì, un romanziere prestato al cinema

29 Settembre 2013 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #cinema

Paolo Virzì nasce nel 1964 a Livorno, città di mare ricca di ironia, la Napoli del Centro Italia, una fetta di meridione capitata per caso vicino a Firenze. Livorno è importante per la formazione culturale di Virzì, per quel che dice, per le storie che si porta dentro e che ci racconta con delicata maestria. Il regista nasce nel quartiere popolare delle Sorgenti, cresce con la passione della letteratura, delle storie di vita quotidiana raccontate nei romanzi di Mark Twain e Charles Dickens. Il romanzo di formazione è nel suo futuro di intellettuale, di regista che rivitalizza e rinnova i canoni della commedia all'italiana. Francesco Bruni è suo sodale sin dai tempi del liceo, con lui comincia a scrivere per alcune filodrammatiche e coltiva il sogno del cinema. Virzì si trasferisce a Roma, studia al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove si diploma in sceneggiatura con il maestro (in tutti i sensi) Furio Scarpelli. Tra i suoi autori di riferimenti va citato anche Gianni Amelio, che gli insegna i trucchi del mestiere al Centro Sperimentale. Collabora alla sceneggiatura di Tempo di uccidere di Giuliano Montaldo (1989), Turné di Gabriele Salvatores (1990), Condominio di Felice Farina (1990), Centro storico di Roberto Giannarelli. Esordisce alla regia con La bella vita (1994), dove racconta la vita problematica di Piombino alle prese con la crisi della siderurgia. Il film viene presentato a Venezia e ottiene il Ciak d'Oro come nuova proposta italiana. Non solo: Sabrina Ferilli ottiene il Nastro d'argento come migliore interprete femminile dell'anno. Il titolo in lavorazione è Dimenticare Piombino. Realizza Ferie d'agosto (1996), che racconta la difficile convivenza sull'isola di Ventotene di due gruppi di turisti italiani in vacanza. Questo film si aggiudica il David di Donatello. Nel 1997 è la volta di Ovosodo, scritto dal maestro Furio Scarpelli e sceneggiato come sempre da Virzì e dall'ottimo Francesco Bruni. Ovosodo vince il Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Venezia e il Ciak d'oro per la migliore sceneggiatura ed è uno dei titoli italiani di maggior successo della stagione. Ovosodo consacra la grandezza di Paolo Virzì e della sua factory tutta livornese (o quasi) composta da autori e attori semi professionisti, ma eccezionali. Nel 1999 Virzì gira Baci e abbracci, un'altra commedia tragicomica con protagonisti un gruppo di disoccupati che si inventano allevatori di struzzi nelle campagne della Val di Cecina. Il film convince critica e pubblico ed entra in competizione al Festival di Locarno. Nel 2001, dopo vicende difficili legate al fallimento della produzione Cecchi Gori, esce finalmente l'ottimo My nime is Tanino, un film fuori dalle corde di Virzì, girato tra la Sicilia e New York. La mano del narratore e del grande Francesco Bruni tuttavia si sente ancora. Caterina va in città (2003) è un buon lavoro non compreso fino in fondo dalla critica. Il regista con mano delicata traccia pregi e difetti dell'Italia di oggi, tra una destra di governo, una sinistra indecisa e la povera gente che si sente sempre più abbandonata. Passano tre anni per rivedere Virzì all'opera, ancora una volta con una pellicola girata a Piombino: N (Io e Napoleone) (2006), che rappresenta l'Isola d'Elba ai tempi dell'esilio dell'imperatore francese, ma la location sono le fonti dei Canali di Marina e il centro storico piombinese, giudicato più idoneo e meglio conservato, ideale per restituire il colore del tempo. Il film è un adattamento del romanzo omonimo di Ernesto Ferrero, risulta piacevole, ma non è tra le cose memorabili del registra livornese, non troppo tagliato per le commedie in costume. Monica Bellucci fa girare la testa ai piombinesi per il periodo in cui si trattiene in città.
Tutta la vita davanti (2008) è un film politico, azzeccato per tempi comici e amarezza di fondo, che affronta il problema del lavoro, dei ragazzi sottopagati sfruttati all'interno di infimi call center. Sabrina Ferilli, Isabella Ragonese e Micaela Ramazzotti sono le mattatrici di una pellicola galeotta che fa incontrare il regista con l'amore della sua vita. Una commedia realistica interpretata da donne.
Virzì vince il Premio Sergio Leone alla carriera, assegnato dal Festival di Annecy nel 2008, gira L'uomo che aveva picchiato la testa (2009), un documentario sull'amato Bobo Rondelli, cantautore livornese underground poco noto al grande pubblico. La pellicola è prodotta dalla sua casa di produzione, Motorino Amaranto, fondata nel 2001, che produce anche La prima cosa bella (2010), forse il suo miglior film, sospeso tra ricordi del passato, ricerca del tempo perduto e sogni di un futuro migliore. Un bel cast composto da Micaela Ramazzotti (fresca sposa del regista), Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Stefania Sandrelli e Marco Messeri. Le vicende di una famiglia livornese e di una madre bellissima (Ramazzotti e poi Sandrelli), dagli anni Settanta a oggi, che condiziona la vita dei figli, soprattutto di Bruno, che torna a Livorno per starle accanto negli ultimi giorni di vita. Diciotto candidature al David di Donatello. Tre successi: sceneggiatura (Virzì, Bruni e Piccolo), attrice protagonista (Ramazzotti) e attore protagonista (Mastandrea). Nastro d'Argento a Taorimina, come miglior film dell'anno.
Tutti i santi giorni (2012) è l'ultimo lavoro di Virzì, purtroppo non all'altezza del precedente, un passo indietro per il regista livornese che gira una storia paradossale, ispirata al romanzo La generazione di Simone Lenzi. La cosa più bella della pellicola è la colonna sonora, composta dalla protagonista Thony, del tutto fuori ruolo come attrice. Luca Marinelli nei panni di Guido salva il film a livello di recitazione, ma può fare poco di fronte a una storia improbabile che finisce per diventare irritante mano a mano che scorrono le immagini. Il desiderio di maternità è il tema conduttore, ma è trattato in maniera troppo sopra le righe e ai limiti della farsa per risultare interessante.
Paolo Virzì è il maestro della nuova commedia all'italiana, quella di Furio Scarpelli e di Age, fatta di storie e di personaggi, non certo la commedia scollacciata e ridanciana che non fa pensare. I migliori film di Virzì sono ambientati in provincia, costituiscono un'epopea livornese dei ceti più umili, degli sconfitti che lottano senza speranza ma che sanno pure stemperare le difficoltà in un sorriso liberatore.
Parlare di Virzì vuol dire anche affrontare il problema di cosa voglia dire per lui essere oggi un uomo di sinistra.
"La mia sinistra è un connubio tra l'allegria popolare e le tematiche alte, ma soprattutto deve essere unita e non elitaria" ha detto a Il Tirreno di Livorno in un'intervista rilasciata a Mario Lancisi, il 18 novembre del 2003. Paolo Virzì è contro chi ha creato un Ulivo-chic e partendo dall'esempio della sua Livorno mezza rossa e mezza anarchica attacca l'intellettualismo girotondino di Nanni Moretti e il politichese di Fabio Mussi. C'è già chi lo ha definito l'anti-Moretti, ma lui non vuole essere contro nessuno, caso mai si sente propositivo e non è abituato a esibire la sua persona. Virzì viene da simpatie giovanili per gli anarchici, ha frequentato la sede di via Ernesto Rossi e il piccolo bar dei vecchietti reduci dalla guerra di Spagna del 1936. Per il giovane Virzì l'anarchia è il comunismo libertario, le canzoni di De Andrè, la lotta contro il palazzo guidato dalla sinistra ufficiale. Dopo il liceo Virzì viene eletto come indipendente nelle liste del PCI, nel consiglio della Circoscrizione 1, quella dei quartieri popolari di Sorgenti e di Corea. Ricopre per alcuni anni la carica di assessore alla cultura e dà una mano per il cinema e per il teatro anche a Claudio Frontera, assessore alla cultura del Comune di Livorno.
Paolo Virzì proviene da una famiglia di sinistra che ha solide radici popolari, gli zii sono socialisti e comunisti, lavorano al Cantiere, le sue letture e le prime visioni cinematografiche sono nutrite di cultura popolare. Quello che Virzì vuole dalla sinistra di oggi è un ritorno all'unità e un riavvicinarsi alle esigenze della gente. "La sinistra deve tornare a essere quella delle vecchie Feste dell'Unità dove andavano a braccetto la porchetta e i dibattiti sulla fame nel mondo", afferma. Virzì vede una borghesia di destra inaffidabile, senza una forte impronta morale e democratica, priva di senso dello Stato. A suo parere serve una sinistra aperta alla società civile che faccia propri gli interessi culturali e politici dei ceti più bassi. Per Virzì la sinistra di governo deve essere come la Biblioteca dei Portuali della sua Livorno: un luogo dove si mescolano tematiche sociali e culturali che provengono dall'alto e dal basso. "La sinistra deve smettere di avere fastidio per ciò che è popolare", conclude Virzì. Un'impostazione condivisibile, più di tanti snobismi elitari.
Per approfondire la figura del regista consigliamo: Alessio Accardo, Gabriele Acerbo, My name is Virzì. L'avventurosa storia di un regista di Livorno, prefazione Gianni Canova, Le Mani, 2010.

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