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MONDIALI, RUSSIA 2018, NOI NO

13 Giugno 2018 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #sport


 

 

 

 

Amici lettori della signorasenzafiltri, appassionati e non del campionato dello sport notoriamente definito da tutti "il più bello del mondo", giovedi 14 Giugno 2018, palla al centro, inizia in Russia il campionato mondiale di calcio ventunesima edizione. Non che gli altri sport non meritino attenzione o non suscitino interesse, ma quello del calcio, che si svolge in sedi diverse ogni quattro anni, oltre a suscitare emozioni a livello planetario, ha anche il merito, durante il corso delle partite, di fermare le cannonate sui fronti di guerra, e così eccoci arrivati a poche ore dal fischio d'inizio, per assistere ad uno spettacolo mondiale.

Per la partita inaugurale saranno schierate in campo la squadra di casa, la Russia e l'Arabia Saudita. Sulla carta le squadre favorite per questa edizione sono sempre le solite note, logicamente la squadra ospitante, poi, subito a seguire, daranno la caccia al titolo l'Argentina, il Brasile, la Germania, l'Inghilterra, la Spagna. Sorprese potrebbero arrivare dall'Australia, dall'Egitto, dall'Islanda, dalla Nigeria, dal Portogallo campione d'Europa, mentre proveranno a fare bella figura le squadre della Polonia, della Serbia, dell'Uruguay, del Senegal, della Croazia, ma non escludiamo altre buone outsider come Colombia, Marocco, Tunisia, Svizzera, Perù e magari anche la matricola Iran. Esordio assoluto per Panama che dimostra come sia veramente un campionato sportivo aperto a tutte le latitudini.
Noi purtroppo non ci saremo. Resteranno a guardare anche team esperti come Olanda, Cile, Camerun. L'ultima volta che la nazionale Italiana ha mancato la qualificazione è stato nel lontanissimo 1958, in occasione dei mondiali in Svezia, dove i padroni di casa, con i fortissimi Skoglund, Gren, Liedholm, cedettero in finale al Brasile, che proveniva dal dramma sportivo della sconfitta con l'Uruguay ai mondiali del 1950. Invece, in questa edizione europea dimostrò il gran calcio pirotecnico dei Carioca, dal quale spiccò il volo un esordiente, un diciassettenne con il numero 10, con il quale iniziò la leggenda di quel numero dietro le spalle che significava estro e fantasia. Il numero 10, cabina di regia e faro di ogni squadra, il suo nome è inciso nella storia del calcio mondiale, se parli di calcio non puoi fare a meno di pensare a Edson Arantes Do Nascimento, Pelè, nessuno mai ha potuto superare il suo mito.

Ma, tornando ai giorni nostri, Russia 2018 parte il 14 giugno e si concluderà con la finale il 15 luglio, un mese di contese entusiasmanti, ma noi purtroppo non ci saremo, sportivamente è giusto così, la palla è rotonda, che vinca il migliore e i nostri potevano fare meglio, in ogni caso il lato positivo è che, dopo una caduta, bisogna subito rialzarsi, abbiamo un nuovo mister giovane ed esperto a livello internazionale come Roberto Mancini, che saprà guidarci nei prossimi appuntamenti per tornare ad essere protagonisti.
Il gioco del calcio, una semplice palla che rotola su un prato verde, solo un gioco, eppure, nella sua filosofia il football è così tanto somigliante al nostro vivere quotidiano. Un mix di vittorie e di sconfitte, rivincite sul destino, passione, entusiasmo, sconforto dopo una debacle, sacrifici per arrivare in cima, lavoro, lavoro e ancora lavoro per un gioco di squadra, uniti nella lotta e nella esaltazione della realizzazione di un sogno, lo sport per intero metafora della nostra vita.

E poi arriva la grande soddisfazione a fari spenti della nostra squadra nazionale femminile che conquista la qualificazione ai prossimi campionati mondiali in Francia nel 2019, la prima tappa è stata raggiunta il prossimo anno ne sentiremo ancora parlare.
Sipario, giovedì entreranno in scena in tutto il mondo la gioia e la fantasia per lo sport più bello del mondo, amici lettori del blog che apre le proprie pagine per il piacere di condividere con voi questo e quant'altro arricchisca l'animo, noi non ci saremo ma sarà come esserci ugualmente con i nostri cuori.

MONDIALI, RUSSIA 2018, NOI NO
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Piombino: stadio Magona

13 Aprile 2018 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #luoghi da conoscere, #sport

 

 

 

Per quanto ci sarai noi ci saremo, ricordando tempi perduti e folle in festa. Sono stati i nostri tempi il tuo splendore, siamo cresciuti al suon d’una leggenda, barbaglio trepido che riscalda i cuori, tra un rigore calciato in mezzo ai pali e una rincorsa sulla fascia laterale. 

Lo stadio più non sei che apriva cancelli verdeggianti a chi usciva in fretta da siviere, sei solo l’ombra di quando le tue gare cominciavano un quarto d’ora dopo perché arrivassero in tempo gli operai; sei solo la parvenza d’un passato, di altiforni e cadenti cokerie che non abbiamo mai dimenticato. 

Tribuna scomparsa, sedili arrugginiti, speranze di corse da bambini, per quella curva resina e ricordi, sole d’un tempo, occhiali verde scuro, un flebile rimpianto di sorriso. E la tua cadente impalcatura, tra gradoni stretti e bassi a tramontana, confonde l’eco di troppe grida andate, sogni che stemperano flebili sconfitte nel balenare piovoso del presente. 

Una sirena che adesso più non suona, non riprende il suo incedere possente tra quei palazzi color rosso mattone, siepi di pitosforo e cipressi. Il passato è solo tempo andato, non lo ritrovi nel gusto delle cose, il suo sapore è sempre un poco amaro, son solo sogni, son solo i tuoi rimpianti

Una palla gonfia quella rete, un urlo immenso dentro mille cuori, accade che d’un tratto lo ricordi quel vento caldo sollevarsi in cielo. Ma tanto lo sai che non ritorna, è un vento andato, è un vento ormai perduto.

 

Su concessione di Gordiano Lupi

Prima pubblicazione Valdicornia news

 

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Enzo Palladini, "Dimmi chi era Recoba"

22 Novembre 2017 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #sport

 

 

 

 

Enzo Palladini
Dimmi chi era Recoba

Edizioni Incontropiede, 2017

– Euro 14,50 – pag. 130

 

Edizioni Incontropiede ha un catalogo straordinario di opere sul calcio, unico editore in Italia a pubblicare libri sullo sport più popolare del mondo, siano romanzi, raccolte di racconti o biografie narrative. Adesso esce in libreria - ma cercatelo su Internet ché per i piccoli editori spesso la libreria resta un sogno - Dimmi chi era Recoba di Enzo Palladini, giornalista del Corriere dello Sport e dal 2002 di Premium Sport, che ha già pubblicato un’interessante guida calcistica di Lisbona e altri volumi a tema football. Il testo è introdotto da Massimo Paganin che ricorda le giocate del compagno di squadra paragonandole ai guizzi di un genio incompreso e ai movimenti di una Play Station. Recoba era genio e sregolatezza, come ogni campione, dotato di tecnica sopraffina rendeva grande la sua Inter quando era in forma e aveva voglia di giocare, la faceva precipitare nel baratro quando attraversava un periodo nero. Gli allenamenti non erano la sua passione, da buon latinoamericano preferiva il palleggio, lasciando la parte atletica ai portatori d’acqua, ma era un uruguagio e quindi lottava senza protestare per i falli subiti, anzi, se poteva, reagiva. La sua fortuna è stata quella di aver giocato in tempi che potevano prescindere dalla parte atletica, ché nel calcio di oggi sarebbe impossibile. Chino - questo il suo nomignolo, pronunciato Cino, alla spagnola - è entrato nella leggenda calcistica, come i Beatles in quella musicale, sembra ammiccare il titolo ispirato a una stupenda canzone degli Stadio. I problemi del calciatore sudamericano si chiamano squalifiche, infortuni, incomprensioni con allenatori, ma resterà in eterno un gioiello di casa Moratti. Il Presidente interista era il suo primo tifoso, sempre pronto a difenderlo, nonostante il sovrappeso, la poca forma fisica e la nomea ormai acquisita di fancazzista. Recoba e i suoi gol da centrocampo hanno segnato un’epoca, sono stati i primi anni Duemila nerazzurri, come il suo modo di mangiare assurdo, da campione che ignora le regole dietetiche ed è pronto a tutto, persino a falsificare un passaporto. La leyenda nacional si conclude il 31 marzo del 2016, al Parque Central di Montevideo, lo stadio del Nacional, nel corso di una serata di calcio, follia e spettacolo. Proprio come era Recoba. Enzo Palladini ricorda con passione e competenza la vita e le gesta del campione uruguagio, la sua esistenza scellerata, in agili capitoli che sembrano tanti racconti calcistici, aggiungendo tracce in appendice su Paco Casal (il procuratore del Chino), appunti sugli uruguagi in Italia e annotazioni sentimentali sul cuore del campione. Postfazione di Arcadio Ghiggia, per concludere che se il Chino si fosse allenato davvero, come dovrebbero fare i calciatori veri, avrebbe frequentato l’Olimpo del calcio per molti anni. Non l’ha fatto, anche perché se l’avesse fatto non sarebbe stato Recoba. Un libro da leggere, se amate del calcio, ancor più se - come me - siete interisti da tre generazioni.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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Calciomania – Libri sul calcio Madeleine calcistica

23 Aprile 2017 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #sport

 

 

Calciomania che mi contagia e che mi ha sempre contagiato, in fondo, visto che il mondo del calcio è stato il mio mondo dai 16 ai 39 anni. Adesso non seguo più il calcio importante, credo che sia una crisi di rigetto perché ha occupato troppo tempo della mia vita. Ma non posso fare a meno di seguire le gesta eroiche della squadra della mia città - l’Atletico Piombino - che disputa l’Eccellenza Toscana e quest’anno si trova a un passo dalla Serie D. Come non posso resistere alla tentazione di sfogliare libri di ricordi calcistici che mi riportano al passato, cavalcando al contrario il percorso del tempo. E allora se arriva La religione granata di Nicola Morello (Yume Edizioni, 15 euro, pagine 180) corro subito a sfogliare le pagine che riguardano Aldo Agroppi e Lido Vieri, calciatori piombinesi che hanno fatto grande il Torino, protagonisti di alcuni miei libri di fiction (Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino), e mi dico che quando vedo Agroppi magari glielo regalo, questo libro, ché sono sicuro gli farà piacere. La religione granata non è consigliato per coloro che vedono il mondo in bianco e nero, ma è un affresco imperdibile che racconta l’universo granata, dalla strage di Superga ai tempi di Sala, Pulici, Graziani, Mondonico, Radice e compagnia cantante…

Fabio Belli e Marco Piccinelli, invece, pubblicano Calcio e martello - Storie e uomini del calcio socialista (Rogas edizioni, pag. 105, euro 10,90), un libro un tantino più ideologico e meno di cuore, ma interessante per come compone un affresco storico - sociale che va dall’Ungheria di Puskas alla Polonia di Lato, passando per il Perugia di Sollier e l’Urss del portierone saracinesca Lev Yashin. Indovinatissimo il titolo.

Edizioni Incontropiede non finisce di stupirci con l’idea innovativa delle guide di secondo livello che affiancano le guide classiche, tascabili, guide di città europee che tratteggiano itinerari calcistici imperdibili per l’appassionato. Primi due volumi Zagabria e Lisbona, a cura di Alberto Facchinetti (factotum della casa editrice e grande esperto di calcio), Jvan Sica e Enzo Palladini (ha contribuito solo per Lisbona). Prezzo economico: 12,50 per 120 pagine in formato tascabile. Unica pecca: poche fotografie e piuttosto scure. Ma i librettini sono pieni zeppi di curiosità, dalla storia di Benfica, Sporting, Belenenses e il ricordo degli stadi dove giocò il Grande Torino, passando per il mito di Eusebio, per toccare i luoghi simbolo della Zagabria calcistica, narrando le stagioni della Dinamo di Jerkovic e Boban. Molte interviste.

Rileggere questi libri è per me fare un tuffo nel passato, addentare una madeleine, lasciarmi tentare dal sapore del tempo perduto. E per un attimo mi rivedo a correre sui campi della Terza Serie, magari quelli assolati e sterrati del Sud che ho sempre amato, campetti dove ho lasciato il cuore e che di tanto in tanto torno frequentare, in sogno o nei romanzi, grazie a personaggi che sono di fantasia solo per il lettore ma che rappresentano la mia vita. Tanto lo so che il tempo perduto non torna. E allora non resta che leggere e sognare.

 

Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

Calciomania – Libri sul calcio Madeleine calcistica
Calciomania – Libri sul calcio Madeleine calcisticaCalciomania – Libri sul calcio Madeleine calcistica
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Mini-Giraglia: non solo una regata.

10 Aprile 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #sport, #arte

 

@fabioguidi

 

Mini-Giraglia: non solo una regata. Una sessantina di equipaggi arrivati dai porti della Toscana, della Liguria e del Lazio, un percorso di oltre quaranta miglia in un tratto marino tra i più suggestivi di tutto il Tirreno e la possibilità di scoprire una delle più belle e incontaminate isole del Mediterraneo.

Arrivata alla XV edizione, la Mini-Giraglia è diventata un appuntamento sempre più apprezzato dai velisti, che partecipano numerosi alla regata organizzata dalla Delegazione della Lega Navale Italiana di Capraia nel primo week end di maggio. Ma quest’anno la Mini-Giraglia, che avrà la sponsorizzazione di Castello di Gussago La Santissima Franciacorta, Vicenzi Biscotteria, Locman Orologi e Braccini Broker Assicurativo, avrà un significato e una rilevanza speciali. Per festeggiare il cinquantesimo anniversario della fondazione della L.N.I., il Comitato Organizzatore ha deciso di associare la regata a un evento che la radicasse ancora più saldamente alla realtà storica e culturale di Capraia e ha scelto di contribuire al restauro del complesso di S. Antonio.

Per la sua bellezza e la sua posizione sul promontorio che domina il porto, la Chiesa di Sant’Antonio rappresenta l’identità stessa di Capraia. Purtroppo, negli anni, la struttura è stata fortemente danneggiata e in particolare la splendida facciata barocca si trovava in uno stato di degrado tale da fare temere a breve un collasso della struttura. Proprio con l’obiettivo primario del restauro della facciata nel 2013 si è costituita l’Associazione Amici di S. Antonio, un gruppo di persone accomunate dall’amore per Capraia. L’associazione, che tra abitanti dell’isola e turisti ha già raggiunto oltre 150 iscritti, si impegna per salvare dal decadimento una chiesa che, insieme al convento, costituisce uno dei complessi di maggiore rilevanza artistica di tutto l’arcipelago toscano. Il primo importante risultato è stato raggiunto e oggi la facciata di S. Antonio, con il progetto di restauro dell’architetto Franco Maffeis supportato da un gruppo di professionisti, è stata riportata al suo antico splendore. A questo punto però, perché quanto fatto fino ad ora non vada perduto, è necessario continuare nell’opera di restauro e valorizzazione della Chiesa. Per questo la Lega Navale di Capraia con il Patrocinio dell’Amministrazione Comunale, l’aiuto della Pro Loco in collaborazione con l’Associazione Amici di S. Antonio, ha deciso di dedicare la XV° edizione della Mini-Giraglia, che si terrà dal 6 al 7 di maggio, alla Chiesa di S. Antonio.

Come già nelle edizioni precedenti, nel pomeriggio di venerdì è previsto l’arrivo di tutte le imbarcazioni; il sabato mattina partenza nelle acque antistanti il porto dell'isola con direzione Giraglia, lo scoglio posto all'estremo Nord della Corsica. Quindi inversione di rotta e traguardo sotto la Torre del Saracino di Capraia. Dopo il rientro di tutti gli equipaggi, avrà inizio una serata di particolare suggestione: è infatti nello spazio antistante la chiesa e il Complesso Monastico di S. Antonio che alla presenza delle Autorità verrà organizzata la premiazione, la consegna di premi e trofei offerti dagli sponsor e un’elegante cena a lume di candela, in cui una parte dei fondi raccolti sarà devoluta all’Associazione Amici di S. Antonio.

 

Foto di @fabioguidi

@fabioguidi

@fabioguidi

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Alberto Facchinetti, "La versione di Gipo"

22 Marzo 2017 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #sport

 

 

 

Alberto Facchinetti

La versione di Gipo

Edizioni Incontropiede – www.incontropiede.it

Pag.- 170 - Euro 16,50

 

In Italia il calcio è lo sport più popolare, ma sia in letteratura sia al cinema non ha mai riscosso grandi successi, nonostante buone opere come Azzurro tenebra di Arpino e Ultimo minuto di Avati. Vogliamo peccare di immodestia e metterci anche il mio Calcio e acciaio, selezionato al Premio Strega nel 2014? Facciamolo. Tanto non costa niente. Aggiungo che il calcio ha dato vita a gustose parodie cinematografiche come Il presidente del Borgorosso con Sordi, I due maghi del pallone con Franco & Ciccio, L'allenatore nel pallone interpretato da Banfi e Mezzo destro e mezzo sinistro con Gigi & Andrea. L’elenco non sarebbe finito, anche se di successi veri e propri - se non in ambito comico - non ce ne sono mai stati. Come dice Pupi Avati, la gente il calcio lo vuol vedere allo stadio, partecipando al rito collettivo della gara calcistica, non leggerlo tra le pagine di un libro o guardarlo in un film. Forse ha ragione il grande regista bolognese, ma per me cresciuto a pane, calcio e fumetti (educazione postmoderna!) il calcio resta affascinante anche da leggere, da scrivere e da vedere nella sala di un cinema di periferia (ce ne sono ancora?).

Alberto Facchinetti deve pensarla come me, se ha messo su una casa editrice che pubblica solo libri di calcio e se scrive quasi esclusivamente biografie romanzate, affascinanti come quelle su Julio Libonatti e Vittorio Scantamburlo (lo scopritore di Del Piero), documentate ed esaustive come la sua ultima fatica: La versione di Gipo. Titolo azzeccatissimo, che ricorda un romanzo di successo, ma che in realtà nasconde la vita avventurosa del grande Gipo Viani. Certo, ai ragazzini che seguono il calcio artefatto dei nostri tristi anni Duemila - che a me interessa zero, dico la verità - è un nome che non dirà niente, ché non si faceva tatuaggi e non si scopava le veline, ma era soltanto uno capace di lavorare sodo.

Facchinetti ripercorre l’epopea di un calciatore di buon mestiere, ma soprattutto di un grande allenatore, inventore di nuove tattiche e schemi, vero e proprio punto di non ritorno tra il calcio del passato e quello degli anni Sessanta, dove sono cresciuto anch’io, prima modesto calciatore poi arbitro della vecchia Lega Semiprofessionisti. Viani si racconta, come in un'immaginaria intervista, come se stesse scrivendo brani di diario della sua vita, tracciando brandelli di un’esistenza che attraversa tutto il calcio italiano degli anni Sessanta. Un libro che fa tornare alla memoria nomi troppo amati da un bambino che collezionava figurine Panini e che ci giocava nel tinello componendo formazioni e inventando immaginarie partite: Rocco, Rivera, Janich, Brera, Pascutti, Carniglia, Nicolè, Pelé... e poi si parla del Milan, del Bologna, della Nazionale, della coppa dei Campioni dei tempi in cui si fremeva nell’attesa di vedere la partita televisiva del mercoledì. Insomma, La versione di Gipo è un libro che profuma di tempo perduto per noi che siamo nati negli anni Sessanta (io nell'anno zero!), che fa commuovere mentre pensiamo a quanto eravamo ingenui e a quanto fosse genuino il calcio d'allora. Tornare indietro è impossibile, quel bambino non può riprendere la pallina del calcio balilla per giocare partite sulle mattonelle, immaginando Peirò centravanti dell’Inter e Pizzaballa portiere del Verona. Ma leggere questo libro ci fa star bene. E tanto basta.

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Il gigante dai piedi di argilla

9 Luglio 2016 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #personaggi da conoscere, #sport

Il gigante dai piedi di argilla

Il “GIGANTE DAI PIEDI DI ARGILLA” , così fu soprannominato Primo Carnera, ricordato per la sua forza straordinaria, per le sue doti agonistiche ma, prima di essere un grande campione, fu soprattutto un uomo buono e gentile che amò la sua famiglia.

Era nato a Sequals, oggi provincia di Pordenone, il 25 ottobre 1906, la sua era una umile famiglia di contadini e la nascita di un figlio non avrebbe fatto notizia a quei tempi e in quella realtà, se non fosse che il neonato era un bambino di dimensioni fuori dal comune. Si parla di sette, otto chili, non ci sono ovviamente notizie certe, ma lo scalpore che causò fa sicuramente propendere per dimensioni eccezionali. Il padre era un mosaicista, la madre casalinga, e con gli scarsi introiti della famiglia si faticava a mantenere Primo, un bambino che cresceva a vista d'occhio, per il quale era difficile trovare le scarpe e che mangiava tanto: era sempre affamato e il cibo non gli bastava mai. Era cresciuto oltremisura e nel 1917, a soli undici anni, rischiò di finire davanti a un plotone di esecuzione perché, durante la prima guerra mondiale, i soldati diretti al fronte, passando dal suo paese, lo videro salutare festoso ma così grande e grosso che pensarono si trattasse di un imboscato. Si salvò grazie ai suoi documenti che testimoniavano in maniera inoppugnabile che si trattava effettivamente di un bambino.

Date le sue dimensioni fisiche aveva difficoltà a rapportarsi con i coetanei, faticava persino a entrare nel banco della scuola, così inadatto a un gigante come lui, e lasciò presto lo studio quando a malapena sapeva leggere e scrivere. Si cercò un lavoro ma per lui, come per tanti in quel periodo, in Italia non ce n'era. Così, nel 1920, esattamente il 29 giugno, Primo lasciò il suo paese in cerca di fortuna, per recarsi a Le Mans presso una zia. Il nuovo inizio non fu facile, anche in terra francese lo aspettavano lavori umili, faticosi, pagati miseramente e i pochi soldi che riusciva a guadagnare non gli bastavano nemmeno per soddisfare il suo smisurato appetito. Qui però avvenne il suo primo incontro con la boxe, un rapporto che gli cambiò la vita per sempre.

Gli Italiani emigrati, un po' per passione, un po' per sfogare le frustrazioni di una vita grama lontano dalle famiglie, si riunivano nella palestra dell'Unione sportiva di Le Mans per scambiarsi quattro cazzotti. Da questa palestra un impresario da baraccone lo convinse, in cambio di pochi soldi ma di cibo a volontà, a intraprendere una carriera che ben poco aveva a che fare con quella del pugile vero e proprio. Primo divenne “il Terribile Giovanni”, l'uomo forzuto che sfidava in match di lotta e pugilato gli avventori dello spettacolo itinerante che teneva questo circo da quattro soldi. Dopo qualche tempo fu però notato, mentre sotto il tendone spostava da solo un pianoforte, da un ex boxeur, Paul Journée, campione dei pesi massimi, che contattò il suo manager e lo convinse che il ragazzo aveva enormi potenzialità che andavano indirizzate e che, con tecnica e allenamento, ne avrebbero fatto un grande campione.

L'impresario era Léon Sée e, insieme al suo allenatore Maurice Eudeline, iniziarono ad allenare Primo Carnera e lo prepararono atleticamente e tecnicamente al primo incontro, che avvenne a Parigi il 12 settembre 1928. Salendo sul ring il gigante italiano lasciò a bocca aperta tutto il pubblico che seguiva ogni suo movimento con esclamazioni di stupore. In due riprese liquidò il suo primo avversario e iniziò così la sua brillante carriera. Va detto comunque che vinceva per la sua grande forza ma anche che fu proiettato ai massimi livelli del pugilato senza una vera gavetta, mancava di esperienza e divenne una stella ancora prima di essersi fatto le ossa sul ring.

Di successo in successo nel 1929 sbarcò in America, dove gli fu tributata un'accoglienza molto calorosa e soprattutto riscosse il tripudio di tutti gli Italiani emigrati che vedevano il lui il mito, il simbolo del riscatto sociale da contrapporre al pregiudizio che avvertivano da parte degli Americani. Nel 1930 Primo Carnera sostenne ventiquattro incontri di cui ventitré furono vinti per KO e uno solo perso ai punti. Il 27 ottobre fece ritorno in Italia e al porto di Genova, sbarcando dalla nave, salutò romanamente il popolo che, sentiti gli echi dei successi americani, lo acclamava dalla banchina. La fama, il successo, la sua grande forza richiamavano molte persone ai suoi incontri, Carnera era richiestissimo e, più cresceva la sua fama, più aumentavano gli introiti, inevitabilmente un tale giro di affari non poteva non attirare la mafia italo-americana che riuscì ad ottenerne il management attraverso il “sindacato”, un'associazione legalmente costituita ma succube del controllo di Al Capone, che la usava come agenzia per gestire il suo giro di scommesse clandestine. Primo Carnera si trovò così gestito da personaggi equivoci, che gli organizzavano incontri su incontri, a volte vinceva altre perdeva ma la sua fama aumentava e gli organizzatori guadagnavano un mare di soldi, di cui al diretto interessato andavano soltanto le briciole.

Lui si accontentava di sfamarsi a volontà, di fare la bella vita comprando auto di lusso, vestendosi in maniera molto elegante e circondandosi di starlette in cerca di notorietà. L'unico investimento che riuscì a fare fu di costruire una villa al suo paese natale in Italia. Quell'omone così forte, così coriaceo e massiccio, nascondeva sentimenti leali verso la sua Patria ed era dotato di una sensibilità pari alla sua grandezza. Quando, durante un incontro, un avversario rimase disteso al tappeto senza vita, si chiuse in sé stesso, cadde in una profonda depressione, da cui uscì soltanto quando la madre del pugile morto gli scrisse una commovente lettera, assolvendolo da ogni colpa e spiegandogli che le lesioni che avevano causato il decesso del figlio erano dovute a un precedente incontro con un altro pugile.

Rimessosi in forze e riacquistato il suo equilibrio, Primo Carnera affrontò l'incontro della vita, non aveva più solo forza da vendere, ora aveva acquistato anche tecnica, una certa eleganza nei movimenti e, il 29 giugno 1933, affrontando Jack Sharkey dispustò l'incontro più bello e importante di tutta la sua carriera. Dopo sei riprese l'avversario era a terra svenuto e lui, vincendo per KO, era diventato campione del mondo. “Ho vinto per l'Italia e per il Duce” dichiarò scendendo dal ring e presto fu invitato a combattere un incontro in Italia che si svolse a Roma, al quale presenziarono tutte le autorità, Mussolini compreso con i due figli maschi. Fu l'evento sportivo con maggiore partecipazione di tutto il Ventennio, Carnera vinse l'incontro osannato da tutta l'Italia e questo si può senz'altro considerare l'apice della sua carriera.

Tornato in America si trovò ad affrontare di nuovo l'incontro per la detenzione del titolo mondiale e, nonostante si fosse battuto come un leone, dimostrando coraggio e determinazione, lo perse. Il peggio purtroppo doveva ancora avvenire e arrivò quando si trovò di fronte Joe Luis, l'astro nascente del pugilato internazionale. Carnera finì al tappeto piuttosto malconcio. Questa brutta e pesante sconfitta ebbe conseguenze devastanti, l'ormai ex campione provò possibili rivincite in nuovi e diversi incontri che si rivelarono inevitabilmente pesanti sconfitte. Primo divenne l'ombra dell'immenso campione che era stato, si avviò verso un progressivo declino fisico che culminò con un intervento per l'asportazione di un rene. Pochi i soldi messi da parte, non potendo più combattere si trovò anche in difficoltà economica, unica nota positiva fu l'incontro con la donna della sua vita, Pina, si sposarono ed ebbero due figli.

Per guadagnarsi da vivere accettò di lavorare in Italia con la compagnia teatrale di Renato Rascel, ebbe qualche parte anche in diversi film e fu un'altra volta baciato dalla fortuna e dal successo: la gente lo amava, lo applaudiva, lo aveva amato da pugile, lo amava da attore e non lo avrebbe mai dimenticato. Questo sincero e genuino amore che tutti nutrivano per lui gli salvò la vita, quando, per la seconda volta, stava finendo davanti a un plotone di esecuzione. Era finita la seconda guerra mondiale ed era stato arrestato da alcuni partigiani che lo volevano fucilare per essersi in passato proclamato fascista, ma trovò anche fra di loro qualcuno che non poteva uccidere chi lo aveva fatto sognare.

Primo Carnera finì la sua carriera in America sui ring del catch e anche in questa disciplina conquistò il titolo mondiale nel 1957, titolo che detenne fino al '62, data del suo definitivo ritiro dalla scena agonistica. Trascorse anni di vita tranquilla in famiglia con la moglie e i figli che lo aiutavano nella gestione di un ristorante e di un negozio di vini in California. Qualche anno più tardi si ammalò gravemente, un tumore del fegato lo portò inesorabilmente verso la morte, l'ultimo desiderio fu di rivedere il suo paese natale e arrivò all'aeroporto di Fiumicino nel mese di maggio: l'uomo che scese dalla scaletta dell'aereo non ricordava nemmeno lontanamente il gigante che aveva conquistato il mondo, la malattia lo stava divorando ed era l'ombra di se stesso, pesava una trentina di chili e non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. L'Italia non lo aveva dimenticato, durante il suo ultimo viaggio verso Udine, le persone lo aspettavano lungo i binari alle stazioni per acclamarlo e salutarlo.

Andò a morire nella sua Sequels, la cittadina che lo aveva visto bambino, era il 29 giugno 1967. Un'altra volta il 29, la stessa data che aveva segnato tutte le tappe importanti della sua vita, quando era partito per la Francia, quando aveva vinto il titolo mondiale e ora chiudeva per sempre la parabola della sua esistenza.

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Vecchie glorie

10 Febbraio 2016 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #personaggi da conoscere, #sport

Vecchie glorie

È domenica e, come ogni domenica, la televisione monopolizzata da mio marito trasmette soltanto partite di calcio che io non disdegno, ma al terzo incontro consecutivo mi arrendo e trovo un libro che parla di vecchie glorie, quindi, restando in tema, mi appassiono alla storia di un campione di altri tempi.

Giuseppe Meazza, a cui oggi è intestato lo stadio di Milano, era un calciatore della nazionale e, con il ruolo di attaccante, vinse due coppe del mondo nel 1934 e nel 1938. Giocò sia nel Milan che nell'Inter e ancora oggi è il quarto marcatore di sempre della serie A con 216 reti al suo attivo.

Un grande calciatore, estroso, con uno stile inconfondibile che lo rese famoso. Il goal alla Meazza era frutto di un'abilità che beffava l'avversario: con uno scatto fulmineo superava i terzini, correva verso la porta costringendo il portiere a uscire e poi lo castigava appena si muoveva e infilava il pallone in un angolo sfiorando il palo.

Giuseppe Meazza era nato a Milano il 23 agosto 1910, soprannominato “Peppin” da amici e parenti, era un ragazzo che veniva dal popolo, orfano di padre caduto al fronte durante la Prima guerra mondiale quando lui aveva solo sette anni, viveva con la madre, fruttivendola al mercato di Milano. Fin da piccolo la sua grande passione era correre dietro a una palla, appena poteva sgattaiolava fuori casa inseguendo un pallone di stracci a piedi nudi perché la mamma, per impedirgli di uscire, gli nascondeva le scarpe. Fu scoperto per caso, proprio mentre giocava coi coetanei negli spiazzi erbosi di porta Vittoria, dallo zio di un compagno che faceva l'osservatore per l'Inter e gli organizzò un provino. Esordì in serie A che non aveva ancora 19 anni, un autentico campione, e a 20 era già un nazionale.

Con la maglia dell'Italia giocò 53 partite, segnando 33 goal. Era nato per giocare a calcio, un talento naturale puro, di quelli che nascono una volta ogni cento anni, un autentico fuoriclasse, che fu ammirato in tutto il mondo, mago del palleggio e della finta. Segnava sempre, di testa, con calcio piazzato, in corsa tirava bolidi imparabili, resta negli annali del calcio la sua rete fatta su rigore mentre durante la rincorsa si reggeva con le mani i pantaloncini cui si era sfilato l'elastico. Vittorio Pozzo, commissario tecnico della nazionale, dopo la partita con l'Austria dove aveva assistito a una straordinaria prestazione del giovane campione disse: “Averlo in squadra significa partire da uno a zero!”

Meazza era anche un ragazzo affascinante, i capelli sempre lucidi di brillantina, fuori dallo stadio era un dongiovanni, continuamente in cerca di avventure, grande ballerino di tango, si presentava con un fiore all'occhiello ed era capace di danzare tutta la notte, passare qualche ora con una ragazza e poi presentarsi allo stadio e segnare due goal. Non aveva propriamente quello che si dice un fisico da atleta, anche perché conduceva una vita sregolata, si perdeva volentieri in serate di divertimento, locali notturni, bordelli di lusso e coltivava vizi: alcool e sigarette, belle macchine e belle donne cambiate con incredibile frequenza, ma aveva anche un grande cuore e coi soldi guadagnati effettuava volentieri donazioni alle opere assistenziali. L'Italia, durante il mondiale del 1938, nei quarti di finale si trovò di fronte la Francia, la gara si disputava a Parigi e i padroni di casa decisero di giocare con la maglia azzurra, così all'Italia non restava che scegliere tra il bianco o il rosso, colore provocatoriamente proposto dai francesi, ma gli azzurri giocarono con la maglia nera e col fascio littorio sul petto.

Orgogliosamente vinsero la partita, disputando uno dei migliori incontri del campionato e liquidando i galletti francesi con un sonoro tre a uno. Passarono in finale battendo il Brasile e si trovarono di fronte l'Ungheria. I magiari dovevano riscattare il pessimo risultato di qualche anno prima, ma il “Balilla”, come lo aveva soprannominato il suo pubblico, era ancora lì, in campo, pronto, con la fascia di capitano al braccio e non lo avrebbe consentito. Fu una partita bellissima ma senza storia: l'Italia alzò la coppa del mondo per la seconda volta consecutiva. Dopo queste due esaltanti vittorie, abbiamo atteso fino al 1982 prima di vincere un'altra volta

Dopo la guerra, Meazza fece l'allenatore, ma non con lo stesso successo professionale, la classe non si può insegnare, il talento non si trasmette dalla panchina e l'unico vero risultato che ebbe quando era il mister dell'Inter fu quello di far firmare il contratto a un giovane ragazzo, anch'egli orfano di padre, che divenne il suo erede nel cuore degli interisti, si chiamava Sandro Mazzola.

Giuseppe Meazza morì per un male incurabile il 21 agosto del 1979, mancavano due giorni e avrebbe compiuto 69 anni. Lasciò orfani milioni di italiani che lo avevano amato, seguito, imitato, perché come disse Bill Shankly, grande campione scozzese, “Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più.”

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L'età d'oro del pallone

20 Aprile 2015 , Scritto da Alessandro Alberti Con tag #alessandro alberti, #sport, #recensioni

L'età d'oro del pallone

Oggi voglio dedicare il mio articolo allo sport più amato in Italia. Il gioco del calcio. Lo voglio fare con l’ausilio di un bellissimo libro che ho appena terminato di leggere: L’Età d’oro del Pallone- Il calcio in Italia dalle origini al 1950. L’argomento calcio è da sempre un argomento dibattuto, vuoi per passione, vuoi perché è lo sport nazionale, resta di fatto un aspetto culturale che incide profondamente la nostra società. Il testo, curato da Ernesto Zucconi e Giuseppe Franzo, ha il pregio di ripercorrere l’evoluzione dello sport nazional popolare per antonomasia. Una ricostruzione dettagliata che inizia con cenni storici e sul perché il gioco con la palla sia stato utilizzato con finalità ludiche e sportive da diverse civiltà non solo quella europea. Secondo alcuni studiosi la palla veniva identificata con i corpi celesti, il sole e la luna che per la loro forma sferica venivano identificati come la perfezione. Si hanno notizie del gioco con la palla sin dall’antica Grecia. Un gioco che poi si evolverà nei secoli acquisendo regole e ruoli. Anche la stessa pratica di questo sport, inizialmente visto come essenzialmente maschile, verrà acquisito anche dal mondo femminile. Il gioco del calcio è visto nell’ottica degli autori, nei termini in cui lo definì Antonio Ghirelli, giornalista e scrittore napoletano: cultura popolare. In questo libro vengono analizzati e contestualizzati i momenti in cui questo sport si evolve, pur ammettendo che, pur vantando duemila anni di storia e gloria romana, il calcio fu introdotto in Italia grazie agli inglesi e agli svizzeri. La nascita dell’Italia calcistica si fa risalire al 1887, quando Edoardo Bosio, commerciante che aveva per motivi di lavoro contatti con Londra, fondò una squadra che prese il nome di International Football Club. Successivamente a Genova nasceva il Genoa Cricket and Football Club. Nel 1898 fu fondata la Figc (Federazione italiana gioco calcio). Il primo campionato italiano si svolse in un solo giorno l’8 maggio 1898. A seguire verranno fondate numerose squadre che daranno vita ad un sempre più partecipato campionato. Inizia così l’epopea del calcio con calciatori dai pantaloni lunghi, berrettino e baffoni. Gli autori si soffermano su vari aspetti, gli avvenimenti fuori dal campo, gli albori calcistici torinesi, la storia e la cronistoria del calcio italiano e delle società di calcio dal 1898 al 1950. I capocannonieri. L’epopea azzurra con i trionfi mondiali dell’Italia guidata da Vittorio Pozzo nel 1934 a Roma e 1938 a Parigi sublimate dalla vittoria olimpica nel 1936 a Berlino. Le prime esperienza di calcio professionistico che risalgono agli anni 1929-30. Un periodo questo in cui le vittorie venivano celebrate dai nostri calciatori con il saluto romano, ormai entrato di fatto nelle abitudini del popolo italiano. Un ampia parte del libro viene dedicata al fumetto, unico modo per raffigurare le competizioni, utilizzando alcuni numeri de I Grandi Campioni dello Sport. Un bel capitolo dedicato ai ricordi di Pozzo e poi per gli amanti delle statistiche i risultati e i gol segnati. Non manca il ricordo di un arbitro speciale: Antonio Birbone. Il testo è impreziosito da numerose foto, fumetti, prime pagine dei giornali. Con un ricordo dedicato al Grande Torino deceduto a Superga il 4 maggio 1949 dopo che l’aereo che trasportava l’intera squadra con lo staff tecnico e medico e numerosi giornalisti si schiantò contro il terrapieno della Basilica. Nessuno si salvò da quella sciagura. Notevole anche la foto dei funerali che attraversarono Torino, bagnati dal pianto di una folla immensa. Un libro completo, esaustivo, intrigante, per tutti gli appassionati del genere. Una ricerca minuziosa, con immagini rare, con dettagli grafici di pregio e foto che non ritraggono solo i campi di calcio di allora, ma anche i tifosi sulle gradinate con i mucchi di biciclette addossate una sull’altra ai piedi delle scalinate, perché era più importante trovare un posto sugli spalti e vedere, assaporare, vivere quel gol, che li avrebbe fatti discutere per almeno una settimana. Un libro che fa riflettere su come il calcio di allora fosse sicuramente più sano, coinvolgente e a suo modo eroico.

[E. Zucconi. G.Franzo L’Età d’oro del pallone è edito da Novantico pag.120 con foto in bianco e nero formato 21×29,7]

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