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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

recensioni

Mauro De Candia, "Sundara"

4 Novembre 2021 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Il libro Sundara di Mauro De Candia (Ensemble, 2021 pp. 80 € 12.00) è un'originale, incisiva, contemplativa visione del mondo, concepita nella manifestazione profonda di liberazione dalle convenzioni culturali e sociali, una osservazione poetica oscillante tra l'intento satirico di una mitologia contemporanea  e l'inconsolabile perplessità nei confronti delle sovrapposizioni esistenziali. Il poeta risana l'equilibrio e la suggestione concedendo al titolo della raccolta l'inno evocativo dell'incanto e della grazia, all'entusiasmo vitale delle poesie il sarcasmo e la fiducia emozionale nei confronti del genere umano, conducendo ogni impressione in un universo metafisico, ammaliato da influenze espressive surreali e oniriche. La libera ed ermetica combinazione stilistica dei versi interpreta il carattere autentico e moderno della riflessione, l'imprevedibilità dell'anima e la sfrenata fantasmagoria dell'immaginazione, delinea il codice significativo con l'enigmatica impenetrabilità delle parole, con l'oscurità schematica della dimensione interiore. Mauro De Candia accoglie le indicazioni di una discontinuità ritmica e attraverso una definizione articolata della logica nella ricerca specialistica di temi filosofici risolve la risorsa speculativa nelle dinamiche rappresentative dell'uomo disponendo l'esigenza di spiegare la propria centralità contenutistica in un percorso identitario. Una poesia sensoriale che concede a ogni  intonazione ipnotica del verso la metamorfosi del discorso, la possibilità terrena dell'orientamento ispiratore. L'elemento poetico dello stupore è il filo conduttore di ogni intuitiva illuminazione e favorisce una nuova prospettiva della scrittura. L'orientamento rapido, autentico, insolito ed eccentrico dei testi dirige la perspicacia di un sillogismo necessario per affermare la verità identificativa e l'immedesimazione della realtà attraverso la meditazione con l'emblema dell'irrealtà. Sundara è un vocabolo proveniente dalla lingua sanscrita e il libro di Mauro De Candia associa al significato animato dell'essenza comunicativa l'intonazione del segnale spirituale e mentale dell'archetipo salvifico della bellezza, congiunge all'accordo poetico il prodigio e la meraviglia taumaturgica, diffonde nel verso autonomo e svincolato l'obiettivo di una eloquenza innovativa, aggiornando il carattere filologico della terminologia e il processo neologico della nuova esigenza letteraria, approfondita nella moderna apertura e nella competenza dell'effetto stilistico. L'estrazione leggendaria della rappresentazione dell'intensità del bene e dell'ostilità del male trascende l'affermazione sublime della poesia. La poesia concentra l'ammirata osservazione su se stessa, unisce la sostanza al profilo lirico, rigenera l'entità della  ricostruzione nell'estensione figurativa del potenziamento semantico, manifesta la combinazione creativa dell'iperbole rafforzando il senso vivo e intelligente del pensiero, nella ricerca rigorosa e compiuta del fondamento esistenziale, nella maturità elegiaca dell'identità.  

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”

https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

CANTOFABULA  (PARTE PRIMA)

 

Un giorno si rinchiuse, in Transilvania,

il Sole che annegava nel bromuro

narrato in un Jules Verne, in un Urania.

 

S'innamorò del buio, un corpo oscuro,

cantando storie, ergendosi più in alto,

sferzando i raggi intrepidi sul muro,

 

e illuminò così tutto il basalto,

e illuminò così l'intera valle,

e un'ombra pose un daimon in risalto,

 

e un canto pose il buio alla sue spalle:

spalle di favola, dorso di terra,

ali di indifferenza han le farfalle.

 

L'indifferenza genera la guerra,

ma io son differente, puoi scoprire

ciò che racconto, l'odio dissotterra

 

e lo tagliuzza, e poi lo fa morire.

Sei son le corde, cinque le vocali,

quattro sono le dita da accudire.

 

Tre sono i versi in bocca agli animali,

due son le mani: aspetta di capire.

 

 

CANTOFABULA (PARTE SECONDA)

 

Un mendicante ursaro era disteso,

toccato fu dal Sole che arpeggiava:

un dito gli mancava, era indifeso

 

quel giorno in cui una banda lo predava,

quando si avvicinò uno scannapane

e con la lama in mano lo sfregiava.

 

E accanto al mendicante era il suo cane.

Triunică (era il suo nome), che abbaiò

e in quel “tre” aleggiava un senso immane:

 

tre voci, tre volteggi in un rondò

compiva la sua lingua; rabbia, pianto

e infine anche la gioia lo guidò.

 

Il suo padrone diede vita a un canto,

una ghironda prese tra le mani

e con le corde il cielo mosse al vanto:

 

 

“Io canto quelle storie degli umani

che mai nessuno ha visto né sentito,

storie che ricordiamo noi zigani,

 

nei secoli il silenzio hanno subito:

io non potrei lasciarle mai morire”.

Il Sole lo ascoltava incuriosito

e vide tra le nubi comparire

le vite già vissute, e immortali

le colse tra i suoi raggi, vide uscire

 

da quella gola donne con le ali,

uomini colorati e poi cavalli,

e in sé raccolse tutti gli animali

 

mentre trascorse un secolo, e poi due,

ma il mendicante e il cane sono lì,

non sono mai invecchiati,

e neanche morti:

contaminando

non si muore

mai.

 

 

 

UN MERCATO

 

Al mercato di Z.

Una signora in carrozzina.

Un cane sul grembo della signora in carrozzina.

Un collare sul collo del cane sul grembo della signora in

carrozzina.

Un collare sulla vita della signora in carrozzina.

Accanto strepita di pece

una giovane coppia-chimera.

Un solo collare è sui colli stretti della coppia:

rimbalzano come anguille le adirate spine dorsali

imprigionate tra i banconi e i marciapiedi,

come la loro vita,

che è più in carrozzina di quella della signora.

Sorride la signora,

la sua mano alata è libera

e accarezza il cane.

 

 

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Aldo Dalla Vecchia, "In nome di Maria"

1 Novembre 2021 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #televisione, #personaggi da conoscere

 

 

 

 

In nome di Maria

Aldo Dalla Vecchia

 

Graphe.it, 2021

pp 75

9,00

 

L’ultimissima fatica di Aldo Dalla Vecchia, di cui seguo la carriera letteraria fin dagli esordi, è dedicata alla mia coetanea Maria De Filippi. Antidiva per eccellenza, voce ruvida, aspetto dimesso, piglio di razza anche quando defilata e seduta su una scala, la De Filippi è l’icona della televisione commerciale, quella conosciuta e amata da Dalla Vecchia.

Il saggio tratta la materia come se fosse una teologia mariana, in una modalità ironicamente e laicamente blasfema, tanta è la potenza di Maria De Filippi in televisione. Da trent’anni Maria scrive, conduce e produce programmi suoi e non solo. Ha curato format che, nel bene e nel male, hanno avuto un successo enorme e hanno fatto la storia della televisione: Amici, Uomini e Donne, C’è posta per te ma anche, indirettamente, Temptation Island. Capaci di catturare un pubblico trasversale per età, dai ragazzi che si appassionano ai talent, fino agli anziani che cercano di rimorchiare a Uomini e Donne.

Aldo Dalla Vecchia ne sottolinea la propensione all’ascolto, il tirar fuori ciò che l’interlocutore ha da dire, che lui definisce “maieutica”, proprio come quella di Socrate, fatta di brachilogia, ovvero di frasi brevi che ritmano la narrazione e i dialoghi. Si tende alla sottrazione, all’understatement, a dare risalto per contrasto, in particolare all’immedesimazione col pubblico al fine di coinvolgerlo. Più di tutto, spicca la grande preparazione, la conoscenza di ogni aspetto del meccanismo televisivo, dal casting alle scenografie.

Il posto d’onore è dedicato al programma cult Uomini e Donne, specchio criticato ma fedele della società, democraticamente in evoluzione con la trasformazione del tronista in over, gay e persino trans. E “tronista” è solo uno dei tanti neologismi coniati da questi programmi che tutti noi, pur storcendo la bocca, almeno qualche volta abbiamo seguito.

Altra trasmissione portante della “fenomenologia mariana” è C’è posta per te. Anche qui la realtà entra dalla porta principale. Ogni storia rispecchia la nostra società, con la crisi economica, il reddito di cittadinanza, la pandemia, i social.

Nel frattempo la tv sta cambiando, sempre più on demand e connessa, sempre meno in diretta, spesso in mobilità e con possibilità d’interazione da parte degli spettatori. Mai come nel post-pandemia si è avuto un cambiamento della fruizione dei palinsesti e una rivoluzione. Siamo ormai tutti - persino la sottoscritta tradizionalista e legata alla tv di un tempo – arcistufi dei programmi che cominciano volutamente tardi, finiscono tardissimo, e sono infarciti di pubblicità, rivolgendo inevitabilmente perciò la nostra attenzione ai canali a pagamento. E di questa televisione che cambia Maria De Filippi ha saputo intercettare le istanze, sempre accogliendo ciò che arriva “da fuori” piuttosto che imponendo un suo punto di vista. Una delle peculiarità della De Filippi è prendere in prestito un genere collaudato della televisione – talk show, talent etc - anche del passato, e renderlo proprio, attualizzandolo.

Di là dal tema trattato, quando apriamo un testo di Dalla Vecchia scatta la nostalgia - quella che comincia ormai ahimè a essere straziante - per certi decenni che non torneranno mai più. Ecco dunque tangentopoli e le stragi di mafia, ecco Fiorello trionfare nelle piazze col Karaoke e una saputella Ambra Angiolini stravincere la guerra dell’audience con Non è la RaiInsomma, di qualsiasi argomento egli scriva - si tratti di interviste alle personalità televisive, di gialli o di biografie di personaggi illustri - Dalla Vecchia non annoia mai e si fa leggere tutto d’un fiato come un romanzo d’appendice.

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Giovanni Verini Supplizi, "Labirinto Bosè"

26 Ottobre 2021 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #musica, #personaggi da conoscere, #saggi

 

 

 

 

Labirinto Bosè

Giovanni Verini Supplizi

 

Crac Edizioni, 2021

pp 400

23,00

 

 

Un saggio per appassionati di dischi e film, più che una biografia vera e propria, sul personaggio Miguel Bosè.

“Bravo ragazzo del 56”, figura eclettica, figlio d’arte - della miss Italia e attrice Lucia Bosè, alla quale somiglia come una goccia d’acqua, e del rinomato torero spagnolo Dominguin - visse i suoi primi anni nella stessa atmosfera eroica e artistica di cui si parla nei romanzi di Hemingway. Attori, pittori, registi e scrittori famosi frequentavano la sua casa, ad accompagnarlo a scuola per un certo periodo fu niente di meno che Picasso. Il padre voleva che intraprendesse una carriera diversa ma lui amava danzare, cantare, dipingere. Divenne così ballerino, attore ma, soprattutto, cantante.

Fantastico il successo degli anni ottanta - il periodo d’oro, insieme ai settanta, della disco dance - con canzoni ballabili che sono rimaste nella memoria di tutti noi, come “Superman” o “Anna”.

Poi la svolta, l’investigazione di ritmi meno commerciali, più sofisticati. Scelta, questa, che gli ha alienato il pubblico italiano, sebbene abbia decretato la sua fama in Spagna e in tutta l’America latina. Sempre più rarefatto, sempre più dedito alla ricerca e allo scavo interiore, sempre più poliedrico e in continua evoluzione, Bosè si allontana dall’immagine commerciale e compie incursioni in tutti i campi artistici, dalla musica, al cinema, al teatro, alla conduzione televisiva. È, infatti, curioso, colto, preparato. Per ogni lavoro studia e si documenta, non lasciando mai nulla al caso, non paventando nessun cambiamento e nessuna immersione in ciò che può apparire anche perverso.

Non esita a mescolare e mediare fra le varie arti, colorando le sue esibizioni in modo pittorico, dando musicalità alla sua recitazione, provando se stesso in molti più campi di quelli a cui sono abituati gli artisti nostrani, mescolando alto e basso, pop e raffinatezza, commerciale e non, fra canzoni solari e altre più oscure ed esistenziali, con suoni sempre più elettronici man mano che passano gli anni.

Una carriera lunga, ininterrotta e intensissima, forse sconosciuta ai più, basata essenzialmente sulla ricerca. Ed è a questa labirintica ricerca, oltre che a uno degli album del cantante spagnolo, che si rifà il titolo del libro di Verini Supplizi - proprietario di uno storico negozio di dischi. Un saggio che, oltre all’amore assoluto per il soggetto, denota un faticoso lavoro di documentazione per stare dietro alla poderosa discografia e all’immenso curriculum di Bosè, costellato di interminabili tour soprattutto in America Latina, ma anche di beneficienza e opere buone.

Se nel saggio è ben delineato il carattere dell’uomo Bosè, descritto da tutti come educato, cortese, “un vero signore”, se l’opera è corredata di numerose interviste a suoi collaboratori - con gustosi aneddoti che ricreano un certo modo di fare musica, cinema o televisione ormai scomparso - poco viene volutamente detto della vita privata. Oltre ogni pettegolezzo o polemica anche recente, questo excursus spazia nella vita esclusivamente artistica di un personaggio camaleontico e complesso.

 

Bosè è nei tantissimi dischi che ha prodotto, nei film che ha interpretato, in tutte le forme d’arte in cui si è cimentato in tanti anni di carriera, TV, teatro, poesia, scrittura… E questo è anche lo stile con il quale abbiamo pensato questo volume” (pag. 335)

 

Una lettura che non annoia, nonostante la ricchissima documentazione didascalica e l’impianto per addetti ai lavori. Un libro che aggancia i fan del personaggio o i cultori della musica in generale, ma anche chi, come me, si lascia catturare dall’aura garbata e dall’atmosfera nostalgica di certi ricordi legati a decenni indimenticabili.

 

 

 

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Luis Vinicio, "Il leone di Belo Horizonte"

19 Ottobre 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #personaggi da conoscere, #recensioni, #sport

 

 

 

 

Luis Vinicio
Il leone di Belo Horizonte

a cura di Paquito Catanzaro
Homo Scrivens – Euro 15 – Pag. 193

 

Per la prima volta Luis Vinicio De Menezes, il Leone di Belo Horizonte, dove è nato il 28 febbraio del 1932, si racconta, e lo fa a Napoli, città di elezione, dove è approdato dopo una lunga carriera calcistica, prima da centravanti goleador e poi da allenatore pioniere del gioco totale. Vinicio debutta nel Botafogo, dove tutti lo chiamano Vinicius, segna un gol contro l’Olaria, gioca insieme a Garrincha (del tutto analfabeta, ma lui gli insegna a scrivere) e Dino Da Costa, tridente offensivo che tremare il mondo fa. Il primo contatto con l’Italia è del 1955, quando ha solo 23 anni, nel Napoli di Amadei e Pesaola, con i partenopei è subito amore, il nomignolo di o’ lione viene proprio dalla curva più sfegatata dei tifosi azzurri, nella città del golfo resta cinque anni e segna caterve di gol (circa settanta), anche ad avversari importanti e storici come la Juventus. A 28 anni la sua carriera pare finita, perché passa al Bologna dove trova davanti a sé il più giovane Harald Nielsen, che gioca quasi sempre, mentre o’ lione ruggisce in panchina. Vinicio torna in Brasile, ma l’Italia chiama ancora, è Lanerossi Vicenza, dove torna il bomber di sempre e trascina la provincia veneta ai primi posti della serie A, incantando il pubblico per tre stagioni. Nel 1966 vedo Vinicio giocare persino nella mia Inter, quella di Helenio Herrera, ché sono un bambino, va bene che fa solo otto gare (e segna un gol), ma ha ben 34 anni e davanti a sé una squadra di campioni. Finisce la carriera a Vicenza, dove segna le ultime reti e tocca quota 150, portando ancora una volta i berici in alto, alla fine segnando più gol di tutti gli attaccanti biancorossi della storia, persino di Paolo Rossi. Cominciano gli anni da allenatore, in C con l’Internapoli (squadra che non esiste più), poi Brindisi, Ternana, ancora Brindisi, finalmente Napoli, poi Lazio, Avellino, Pisa, Udinese, ancora Avellino, per terminare in C2 con lo Juve Stabia, che ha 60 anni.

Paquito Catanzaro raccoglie la vita e i ricordi di Vinicio in un libro scritto in prima persona, ricco di immagini d’epoca e di contributi originali, presi dalla viva voce di Agostinelli, Brancato, Bruscolotti, Burgnich, Carnevale, Carratelli. Coppola, De Maggio, Improta, La Palma, Pinto, Rivieccio, Saranataro e Wilson. O’ lione si racconta a cuore aperto, l’infanzia, il Brasile, l’amore per Napoli, la Lazio e l’Avellino, le parentesi di provincia, l’Inter di HH, il Vicenza … La vita di un uomo e di un grande calciatore, bomber straordinario, pioniere del calcio all’olandese, innamorato del gioco più bello del mondo. Per me resta l’eroe del mio Pisa nerazzurro, ma anche l’attaccante di riserva dell’Inter più grande della storia.

 

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Simone Corvasce, "Algoritmi di scacchi e passi d'angeli"

4 Ottobre 2021 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Algoritmi di scacchi e passi d'angeli di Simone Corvasce (Nulladie Edizioni, 2021) è un libro interessante e un efficace strumento intellettivo, prodotto con sincera padronanza nell'inquadratura progressiva del tempo, delimitato dallo spazio emozionale del poeta. L'autore mette in risalto, attraverso uno stile solido e profondo, il principio sconfinato di simboli e immagini incarnati nelle sue poesie, riveste la transitorietà del genere umano di resistenza benevola, realizza il disegno elegiaco dell'ispirazione, disponendo l'accordo delle reazioni dell'inconscio esistenziale nello spirito della misura primitiva e dimostrativa della riflessione interiore. I testi insegnano il proposito sapiente della comunicazione con il fondamento dinamico dei quesiti filosofici e delle meditazioni religiose, manifestano la rivelazione spontanea dell'intelletto, esprimono nella direzione immaginativa del pensiero la vocazione creativa, l'avvicendamento analogico ed emblematico delle parole accostate alla forma di un divenire spirituale, rintracciando nell'osservazione delle esperienze l'adesione alle nascoste significazioni delle atmosfere archetipali. Simone Corvasce presenta una poesia lirica, classicista, procede lungo i sentieri tortuosi dell'uomo per identificare il segno della soggettività interpretativa, la sostanza primaria dei contenuti colti, l'intuizione dell'appiglio poetico come assoluta e visibile realtà esegetica. Coglie i frammenti di una esistenza frantumata dal disorientamento delle incertezze e dalla mancanza di una linearità permanente, riceve l'influenza della vulnerabilità e della consapevolezza delle reminiscenze biografiche, la consistenza quotidiana della solitudine, le risposte all'abbandono desolato, la paura suscettibile, il senso angoscioso del nulla. Algoritmi di scacchi e passi d'angeli ha il nobile carattere dell'essenzialità dialettica, restituisce alla compassione degli incontri la metafora delle sensazioni immediate, il corrispettivo ontologico della condizione drammatica dell'uomo, la rivelazione dolorosa della vita, il riflesso degli instabili volti dell'anima. Il poeta è messaggero del valore culturale, sostiene la funzione speculativa nella difesa della misericordia umana, replicando alla precarietà dei comportamenti l'intensa forza morale. La ricercata dilatazione dei fantasmi introspettivi attenua l'estensione della sottile malinconia, corregge l'equilibrio del tempo presente, compensa la condensazione della passione rinnovata oltre l'oblio dell'impulso affettivo. La sensazione inconfondibilmente tragica e tradizionale del destino concretizza, nell'orientamento sincero dei versi l'inquietudine moderna, nelle oscurità enigmatiche delle condanne la rassegnata lucidità, coniugando andamenti tormentati di contemporanea sofferenza. L'entità della realtà poetica trae ispirazione dall'esortazione della coscienza e dalle questioni funzionali della saggezza, dal significato sensibile e romantico della congiunzione inscindibile con la natura e l'armonia della conoscenza umana. Simone Corvasce dipinge una spiegazione della finitezza, delineando l'esposizione delle possibilità, la dottrina e la ragione della sensibilità, attraverso il rammarico e la continua analisi della consapevolezza, per oltrepassare la peregrinazione affannosa e disperata dei sentimenti.

 

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”

https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

Dialettica Trascendentale

 

Per sfuggire ai diluvi la colomba

s'è inoltrata più in alto d'ogni cielo.

Ho temuto per lei, ma ecco che torna:

non reca il ramoscello

d'un'altra metafisica.

 

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Non è la vita a concedere meno

di quello che promette. Anzi concede

molto più del dovuto. Per tortura.

 

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Un orologio rotto segna l'ora

giusta due volte al giorno.

Gli altri, al contrario, sbagliano

di secondi, o minuti, ogni momento.

 

Siamo sicuri di cosa vogliamo?

 

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Un pensiero scambiato a mezzanotte.

 

Un attimo che vale l'universo.

 

La tenerezza d'esser soli in due.

 

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Letteratura

 

Il treno, all'alba, ripete stazioni

di ieri: all'infinito, necessarie.

 

Ero me stesso. Adesso?

 

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                                              Ed essa inquieta chiede la tempesta,

                                                   come nelle tempeste fosse pace!

 

                                      M. Lermontov, La vela, trad. T. Landolfi, Adelphi

 

 

La tempesta è passata. Quale cuore

paventa un mare placido?, e la brezza

che accarezza i capelli non sarà

dolce da sciogliere un pianto sincero?

Ecco che a me è preclusa questa gioia

vana, il riso d'un uomo sollevato:

dammi tempesta, e un senso, anche se duole!

 

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Un turbine, un delirio,

fuoco che gonfia il petto

e che vorrebbe esplodere...

Perciò è giusto destino

vivere a patto d'essere schiacciati,

oppressi da chilometri di cielo,

forse troppo lontano.

 

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Congedo

 

Mi domando da tempo

se questa mia inquietudine,

se questa mia poesia

gioverà mai a qualcuno.

Bramo una verità

che non ho. E quel che posso

cantare è solo il dubbio.

Io non sono la luce.

Neanche posso indicarla.

Posso solo gridare nel deserto:

“Preparate la via

a colui che verrà

additando le stelle”.

 

 

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Paquito Catanzaro, "L'aritmetica del noi"

18 Settembre 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #sport

 

 

 

 

Paquito Catanzaro
L’aritmetica del noi
Homo Scrivens – Pag. 185 – Euro 15

www.homoscrivens.it

 

Paquito Catanzaro è uno scrittore che leggo volentieri, leggero ma non superficiale, affronta i grandi temi esistenziali con il sorriso sulle labbra conferendo ai suoi personaggi il tono scanzonato della commedia all’italiana. In questo romanzo ci porta nel mondo del calcio femminile, settore in sviluppo anche a Napoli dove esiste una squadra piuttosto seguita che annovera tra le sue fila piccole campionesse. Il personaggio di fantasia di Catanzaro si chiama Marta, è il centravanti cannoniere della Napoli Women (una via di mezzo tra Goldoni e Popadinova), in lotta con la Juventus per la conquista del tricolore, combattuta tra l’amore per il suo uomo (oltre a un figlio che proprio non vuole) e la passione per il calcio, in un momento cruciale della sua carriera. Il protagonista maschile è il giornalista Hugo Sanchez Bottino, che per colpa della passione del padre si trova a dover portare il nome del più grande attaccante messicano degli anni Ottanta anche se non ama il calcio. Il cronista si districa tra eventi culturali che vedono partecipazioni ridotte, scrive articoli sulle pagine letterarie dell’Eco di Napoli, segue scrittrici alle prime armi. Non vado oltre con la trama, ricca di colpi di scena, incentrata su una storia d’amore complessa e sui possibili scenari che si aprono dopo una lite furibonda, portata avanti con dialoghi intensi e credibili come se fosse una sceneggiatura cinematografica. Le parti calcistiche della storia sono scritte con competenza, così come le sequenze ambientate nel mondo della letteratura - due passioni dell’autore - e l’uso della prima persona aiuta a immedesimarsi nella voce narrante, percorrendo insieme al protagonista le sue vicissitudini. Tra i personaggi di contorno incontriamo Luis Vinicio, ‘o lione dell’area di rigore, grande centravanti dell’Inter di Herrera e ottimo allenatore degli anni Ottanta, che Catanzaro conosce bene per aver scritto la sua autobiografia. Un romanzo che si legge con rapidità, scritto con stile fluido e scorrevole, fuori dalle mode, originale e vero, ambientato in una realtà contemporanea mai artefatta. Homo Scrivens è un buon editore partenopeo che pubblica solo dieci libri all’anno di narrativa, scelti con cura e passione. Paquito Catanzaro - giornalista culturale come il suo personaggio, noto per il blog Il lettore medio - è uno degli autori di punta; di lui consigliamo Due di picche (2020) e Otto e un quarto (2019), oltre al calcisticamente irrinunciabile Il Leone di Belo Horizonte (2021). Cominciate da L’aritmetica del noi, intanto. Non ve ne pentirete.

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Matthew McConaughey, "Greenlights"

17 Settembre 2021 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni, #personaggi da conoscere, #cinema

 

 

 

 

Non mi interessano particolarmente le autobiografie, tantomeno di gente bella, ricca, famosa che, immagino io, non avrà granché da dirmi. Se non mi avessero messo la pulce nell'orecchio con i principi dello Stoicismo che il buon Matthew segue e applica, non avrei mai immaginato di leggerlo. E invece adesso lo sto pure consigliando. Trentacinque anni di aneddoti, sfide, cadute, attese, riflessioni e introspezione incollate da diverse foto dell'epoca e parecchi "adesivi da paraurti" come li chiama lui, cioè quei motti, frasi che contengono verità e consigli utili a vivere. Una vita trascorsa in una famiglia di sani valori cristiani anche se tra padre e madre ogni tanto il salotto buono si trasformava in un ring e i rituali di crescita avvenivano con risse degne di un saloon (per me le scene più esilaranti) ma anche una vita da bravo ragazzo americano fatta di pochi agi e molta azione. La filosofia dell'attore è semplice: la vita è come una mappa cittadina, piena di semafori rossi a cui DEVI fermarti. Chiamala pandemia, disoccupazione, lutto in famiglia, tutti noi abbiamo vissuto momenti, più o meno lunghi, in cui il traffico si è bloccato. Ma tutti i semafori rossi hanno un pregio: prima o poi diventano verdi. E la transizione avviene col tempo, che però, come ci insegnano i fisici, non è una costante, per cui se quello dell'orologio tarda troppo, possiamo noi ribaltare la situazione prima scorgendo il lato buono, rendendo l'attesa attiva (un po' come quando ascolti una musica o rifai mentalmente la lista della spesa in attesa che scatti il colore del via), creandoci degli obiettivi. Tutto ma NON vittimizzarci, compiangerci (piangere sì però), rimpiangere. L'attesa costruttiva fa sì che sia il bersaglio a colpire noi. Per cui desiderare in maniera sincera, ma soprattutto viaggiare, seguire l'istinto e l'intuito, provare, fallire, capire quando ci si sta allontanando da ciò che si è. Cercare di restare fedeli a noi stessi il più possibile, accettare quando ce ne allontaniamo, perdonarci, girare la barra di quanto basta e riprendere la via. Tutto qui? Sì, un tutto che però non è per nulla facile, richiede dedizione, umiltà, coraggio come lo stesso autore sottolinea. Ciò che ne viene è una vita degna di essere vissuta e raccontata anche nelle sue parti più meschine e luride, un viaggio gratificante di amore per sé stessi.

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Paolo Parrini, "Dentro tutte le cose c'è amore"

6 Settembre 2021 , Scritto da rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Il nuovo libro di Paolo Parrini Dentro tutte le cose c'è amore” (Puntoacapo Editrice, 2021) racchiude la materia della memoria, tanto cara all'autore, il continuo stato di provvisorietà e di tumulto interiore alimentato dal senso d'inafferrabile malinconia offuscata tra le righe e nell'ombra dei versi. I testi orientano e governano i luoghi e gli odori collegati ai ricordi, i correlativi oggettivi della natura, l'aspetto somatico dei sentimenti, ispirando l'universale miracolo dell'amore, la declinazione poetica di ogni più viva felicità lungo il cammino delle relazioni umane, nell'intimità degli incontri, nell'essenza delle invocazioni, nell'obbedienza nobile all'ascolto di parole coniugate alla saggezza. Il poeta difende il limite degli scenari spontanei, impressi nelle sue poesie, contempla la devozione alle emozioni mediando l'arte elegiaca con la generosa comprensione degli accadimenti della realtà, decantando la fiducia in un sorriso, ritrovando gli accordi inespressi dell'immaginario sognato e desiderato. L'alchimia degli elementi esistenziali rende unica e indissolubile ogni corrispondenza altruista, trasforma il significato spirituale del tempo, intreccia il mantenimento benevolo nei legami, dilatando il confine di ogni spazio esiliato, la considerazione della coscienza, l'infinita osservazione della reciprocità. La poesia di Paolo Parrini, innamorata dell'attesa, realizza sapientemente la sostanza di ogni piccola, grande previsione empatica, districando la cifra del dolore nella premessa del sentire, modellando l'architettura intimista di ogni distacco nel risveglio della quotidianità, nella gioia di “un filo d'erba” nel paesaggio, rispettato come elemento di riflessione e di consolazione. La perseveranza e la fedeltà al proprio cuore scolpiscono la materia dell'autore, imprimono il suo punto di vista, ricavano l'umanissimo significato delle preghiere pagane rivolte alla vita, confermano l'alleanza con le dinamiche sensibili, mutando la desolazione di ogni sofferenza in risveglio caritatevole. Il poeta è testimone dell'influenza rigeneratrice della propria anima, preserva l'integrità delle espressioni nello stile evoluto in equilibrio con l'esigenza di un indirizzo purificatore, nella vocazione di una identificazione e di un confronto ricambiato con il lettore, dedicando alla purezza di ogni risorsa percettiva l'attraversamento di ogni avversità mediante l'amore. L'amore quindi come esortazione alla cura e all'evoluzione di sé, dono di attenzione profonda al proprio esistere, dialogo nelle azioni e dolcezza nei gesti, voce e silenzio. L'altruismo poetico di Paolo Parrini rafforza l'entusiasmo e la gratitudine, salvaguarda lo svolgersi coraggioso delle separazioni, ripara le offese, accresce la limpidezza della linfa vitale, genera l'identità delle proprie intuizioni. “Dentro tutte le cose c'è amore” è un benefico sortilegio d'amore, avvolge l'universo biografico in un'aura protettiva, disegna la prospettiva struggente della commozione, adattata nella resilienza dei conflitti, adegua la dimensione intima di ogni piccola morte alla rinascita di ogni inclinazione nostalgica, superando il vuoto delle solitudini, nel vero significato della speranza, nelle parole di Pablo Neruda: "Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno.”

 

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”

https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

 

 

 

Non so se fu una corda

o tutte le morti che avevi già vissuto.

Forse morire è cosa leggera

quando si spegne il sole

in un sorriso stanco.

Ma certo resta dentro

un brivido tremendo,

un foglio di giornale portato via dal vento.

 

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La goccia

Scivolo dal cielo alla terra,

nata in un'immensa nube,

brividi nella caduta,

su questa terra dolorosa

e fragile muore il mio tempo breve.

 

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Frammenti siamo

d'uno stesso dolore,

la felicità ci appare a tratti.

Lampeggia.

Come un faro nel buio.

 

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In questa mattina

che si lamenta il cielo

e la pioggia ferisce il viso,

c'è un'armonia che splende

in quelle vecchie mani.

L'amore inciso

sulla polvere degli anni.

 

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Pietre su pietre

si sommano i giorni,

si sfrangiano ruote

sulla strada in salita.

Dov'era la notte

il buio si squarcia

in atomi di stelle.

 

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Su una piazza sconosciuta

hai scolpito cicatrici nuove

ora ti guardi indietro

per scoprire nei volti

un sorriso solo tuo.

 

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È quando il respiro si fa fondo

che il mondo tace e s'attarda

ad ascoltare da finestre

il limitare scosceso di parole

smesse, smania e alba.

E mi addolcisco anch'io.

 

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In una stanza a raccontare

l'amore che non torna,

tra i fumi della nebbia

e il rosso del vino

d'un dolore da curare.

 

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Sopra la mia strada

sei il sasso che rimbalza,

la provincia allegra, il ritorno

dal bosco alla sera. Altri

saranno i carnevali del tuo cuore

che il cielo chiude, in una morsa stretta.

 

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Tito Pioli, "Per dire sole dico Oggipolenta"

13 Agosto 2021 , Scritto da Pietro Pancamo Con tag #pietro pancamo, #recensioni, #fantascienza

 

 

 

 

Tito Pioli

Per dire Sole dico Oggipolenta

 

collana «formelunghe»

 Del Vecchio Editore, Bracciano (Roma), 2021

 pp. 192

 € 18,00

 

 

Un romanzo coraggioso, dalla fantasia ica(u)stica, si spinge avanti in un futuro non lontano, per descrivere un’Italia allo sbando: infatti la nostra penisola, in preda a un’invasione economica “sferrata” dalla Cina, si crogiola suina in un’ignoranza dilagante che, pur vergognosa, è ormai assurta nella vita di tutti (giovani e adulti) a simbolo d’appartenenza nazionale e, dunque, a motivo d’orgoglio collettivo. Intanto la violenza si eleva, per vie telematiche, ad abitudine giornaliera, capace d’aizzare nell’animo d’ognuno gli istinti, per così dire, più distopici e deformi; ecco ad esempio che cosa ci racconta, in proposito, uno fra i personaggi femminili, più rappresentativi dell’intero libro: “[…] avevo creato un lavoro sulla morte, quello era il vero motore della società, mica l’amore mica le amicizie mica lo sport o i libri, la morte era il vero motore e quindi io Nicla ho cominciato facendo un sito con solo video di uomini squartati, di donne che si picchiano, di bambini picchiati, di incidenti mortali, di decapitati, fu un eccezionale successo e cominciavo a incassare con le pubblicità.

La pubblicità è il metro del successo.

Planetario”.

A combattere con tenacia e visionarietà estreme la cancerosa deriva –sia morale che intellettiva– del mondo e dell’umanità, è il protagonista Berto Pinto, un professore ribelle che, nel dipanarsi di pagine e capitoli, si muove di continuo fra rutilanti spunti o, meglio, sputi narrativi in faccia a un Paese che ha dimenticato la propria lingua, addirittura, e che riesce solo a scimmiottare, ormai, l’inglese abbaiante degl’innumerevoli brani rap in arrivo da oltreoceano. E se, in un simile scenario, l’unico “valore” superstite è il calcio di serie A, allora bisogna sfruttarlo opportunamente, questo “nobilissimo” ideale del pallone, per obbligare gli italiani ad acquisire una maggior consapevolezza di sé: “[Io Berto] ho incontrato l’imprenditore cinese Zhao Shuping perché […] un tempo gli avevo insegnato a parlare italiano e allora con lui abbiamo fatto una santa alleanza […] Così lui, che aveva quasi tutte le squadre di calcio italiano, ha detto: «Io ho una idea, io sono cinese, sono geniale come voi italiani», e ha detto: «Insegniamo allo stadio a parlare italiano agli italiani».

«Sì,» –ho detto io– «gli fai questo ricatto agli italiani: o imparate a parlare italiano […] oppure non vi faccio più vedere le partite» […] A San Siro è stato il debutto […] il grande imprenditore Zhao Shuping […] ha urlato alla folla: «Cari tifosi italiani, oggi prima lezione di italiano, saranno dieci lezioni in tutti gli stadi italiani e voi dovete rispondere urlando, se imparate, ancora calcio, se non imparate, calcio nel culo» […] O calcio o calcio nel culo era una scelta senza via d’uscita […] «Prima lezione,» –urlava Zhao Shuping– «aeroplano, si dice aeroplano…», e tutto lo stadio urlava: «Aeroplano, non aereoplano». […] La terza lezione la tenni io, […] ero felice al microfono, davanti a ottantamila studenti, non mi era mai capitato.

«Il congiuntivo. È importante che tu abbia superato l’esame e non: è importante che tu hai superato l’esame», e il popolo a gran voce rispondeva e urlava: «È importante che tu abbia superato l’esame», diamine, ora gli italiani sapevano il congiuntivo […]”.

E ricordare il proprio idioma naturale è sempre una cura formidabile e miracolosa: non per nulla è in grado di ridonare – con minuzia – identità e autocoscienza alla gente nel suo complesso come ai singoli individui, rendendo tutti meno vulnerabili alle storture assortite, e fra l’altro necrofile, della “ticnologia” moderna (sì, la stessa che ci sta pian piano deprivando – anche nella realtà, purtroppo – di ogni buona e proficua “inibizione” culturale o scolastica o spirituale e che ha dannosamente guarito, dal complesso “d’interiorità”, perfino gli artisti. Ma, per fortuna, non Tito Pioli).

 

Pietro Pancamo

(pietro.pancamo@alice.it; pipancam@tin.it)

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Valeria Biotti, "Frida Kahlo"

6 Agosto 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #pittura, #personaggi da conoscere

 

 

 

 

 

Valeria Biotti
Frida Kahlo
Diarkos, 2021

 Euro 17 - pag. 215

 

Valeria Biotti sceglie un modo originale per raccontare Frida e la sua arte, da giornalista ma pure da autrice teatrale, perché mette in scena la vita dell’artista come se fosse una sceneggiatura non consequenziale, tra salti temporali, ricordi, vita corrente, amori, dolori, passioni e capolavori artistici. Vive meno di cinquant’anni la messicana Frida, figlia della rivoluzione messicana, come amava dire, barando sulla data di nascita (1910 e non 1907)), donna rivoluzionaria e ribelle, innovatrice e anticonvenzionale, di grande talento e personalità, nonostante la malattia che l’accompagnò per la sua breve vita. Valeria Biotti mette in primo piano l’evento più importante che segnò i giorni della pittrice ribelle, quando Frida aveva solo otto anni: un grave incidente di autobus contro un tram, colonna vertebrale spezzata, collo del femore distrutto, costole in frantumi, non bastarono trenta operazioni per rimetterla in sesto. I dolori l’accompagnarono per tutta la vita, lei sfruttò l’immobilità forzata per leggere libri sul movimento comunista e per dipingere, affinando la sua arte e migliorando la sua cultura. Comunismo e pittura furono le cose più importanti della sua vita, oltre all’amore per il pittore Diego Rivera, che la protesse e la fece conoscere al grande pubblico, oltre a sposarla, cosa che non vietò a Frida di avere diverse storie extraconiugali (che il marito contraccambiava). Amanti famosi per Frida, come il poeta André Breton e il rivoluzionario russo Lev Trockij, come pare non mancassero le donne nella sua collezione di amori fedifraghi (Rosa Rolando, Chavela Vargas …). Frida non ebbe figli e fu il suo cruccio maggiore, lottò da femminista ante litteram per l’emancipazione; la sua vita intensa e la pittura intimista che raccontava i suoi dolori, al tempo stesso surrealista, pure se non voleva ammetterlo, hanno ispirato registi e scrittori, non ultima Valeria Biotti, che narra la vita dell’artista come se fosse un film. Un libro ottimo, diverso da tutti gli altri, che in appendice cita una corposa bibliografia dove poter attingere notizie ulteriori.

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