racconto
Super Madness: Peace racconto
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Kathmandu, lì 1 Giugno 2021 - La beneficenza non si ferma anche in tempi di Coronavirus. E così, in poco tempo, autrici e professioniste volontarie hanno messo a disposizione parte del loro tempo per la realizzazione di racconti brevi per la raccolta Super Madness: Peace. Il ricavato dalla vendita di quest'opera andrà in beneficenza all'associazione Horac Nepal, con sede a Kathmandu e da anni attiva nella difesa dei minori. Il progetto, nato da un'idea dell'autore e sceneggiatore italiano Stefano Labbia, si pone proprio come obiettivo l'analisi di temi quali l'emarginazione, il bullismo e l'abbandono. Si tratta di temi indubbiamente frequenti nell'universo infantile.
L'associazione Horac Nepal lavora per offrire migliori opportunità di vita ai bambini orfani, vittime di conflitti politici o in condizioni di estrema povertà. Garantisce inoltre che i loro diritti vengano rispettati per orientare questi bambini verso un futuro migliore.
L'intero ricavato dalla raccolta di racconti sarà devoluta all'associazione senza scopo di lucro Horac Nepal. Di seguito, il link relativo all'opera disponibile in versione cartacea: I partecipanti al progetto a scopo di beneficenza sono le seguenti autrici e professioniste: Chiara Pedrocchi, Maria Chiara Carriero, Federica Foradini, Cristina Tizian, Sabina Natali, Carolina Salomoni, Lara Ponchia, Francesca Corona, Barbara Fossi, Cinzia Carnevali, Barbara Astegiano e Giuditta Bertoni. Un contributo speciale nella realizzazione della raccolta va a Riccardo Mainetti, curatore e responsabile editoriale e a Giovanni Querques, impaginatore grafico.
Horac Nepal - Casa per il Soccorso di Bambini Afflittati è un'organizzazione sociale senza scopo di lucro con sede a Kirtipur-06, Taudaha, Kathmandu ed è registrata presso il governo del Nepal e il Consiglio per il benessere sociale del territorio. Lo scopo principale dell'organizzazione è lavorare per il benessere dei bambini, in particolare gli orfani, i bisognosi e i senzatetto. Ci si occupa quindi di fornire loro cibo, alloggio, vestiti, istruzione ed un ambiente familiare e accogliente.
BIO DELL'AUTORE
Stefano Labbia, classe 1984, è un giovane autore italiano di origine brasiliana, Founder e CEO di Black Robot Entertainment, casa di produzione e management agency di prodotti audiovisivi inglese e Black Robot Publishing, casa editrice inglese.
Nato nella capitale d'Italia, ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie, “Gli Orari del Cuore” nel 2016 per Casa Editrice Leonida.
Nel 2017 ha dato alle stampe la sua seconda silloge poetica dal titolo "I Giardini Incantati" (Talos Edizioni) ed il suo primo romanzo "Piccole Vite Infelici" (Elison Publishing - ebook) vincitore del Premio Elison 2017 come miglior romanzo inedito.
Nel 2018 "Piccole Vite Infelici" è stato pubblicato in versione cartacea da Maurizio Vetri Editore. L'autore nello stesso anno ha pubblicato inoltre una raccolta di racconti, "Bingo Bongo & altre storie" (Il Faggio Edizioni – ebook).
Nel 2019 è stata pubblicata la sua terza raccolta poetica dal titolo "Vivo!!!" (Tempra Edizioni) e la sua prima graphic novel per LFA Publisher dal titolo "Killer Loop'S" volume uno.
Nel 2020 escono "Nel Rifugio Sommerso" (Amazon), la sua quarta raccolta di poesie e la riedizione de "Gli Orari del Cuore" prima silloge poetica, arricchita da contenuti extra oltre alla sua seconda raccolta di racconti brevi "Kissinger: blood & conquests" (Black Robot Publishing).
Nel 2021 l'autore da alla luce la sua quinta raccolta poetica dal titolo "Amore dopo amore" e "Il trucco di Molière" (Black Robot Publishing).
Note tecniche
Autore: Autrici varie (da un’idea di Stefano Labbia)
Titolo: Super Madness:Peace
Genere: Raccolta di racconti brevi
Tematica: Analisi di temi sociali (abbandono, emarginazione, bullismo, abuso di potere)
Personaggi principali: Super Madness (eroina principale), Quickly, May Hutchinson ed altri
Ambientazioni: Varie
Link per l'acquisto: https://www.amazon.com/SUPER-MADNESS-HORAC-Nepal-NoProfit-Org/dp/B095HQX7Z7
HORAC NEPAL Taudaha-06, Kirtipur, Nepal
La spiaggia portoghese
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Tutto il resto della famiglia (zii, cugini,etc) abitava in Portogallo. I miei, mia sorella e Bina, sono venuti un mese più tardi. Perciò, sono stata la prima ad arrivarci dall'Africa. La famiglia portoghese è stata molto accogliente. Tutti volevano invitarmi a casa loro per le ferie - era il mese di Agosto. Ha vinto uno degli zii, quello che all'epoca passava le vacanze su una spiaggia nel nord del paese.
Ci sono arrivata alla fine del pomeriggio. Così, quel giorno, niente spiaggia. Ci andammo il giorno seguente. Essendo venuta ad Agosto, l'inverno mozambicano (se non c'è tanto freddo, perlomeno è l´epoca della pioggia), erano mesi che non andavo in spiaggia. Quindi, lo volevo davvero. Quando ci arrivo, la prima cosa che vedo è un uomo pieno di goccioline che scorrono sulla pelle, con un enorme sorriso. - L´acqua è fantastica! – diceva, a tutti quanti volessero ascoltarlo.
Non ci penso due volte. Corro verso l'acqua, mi tuffo immediatamente.
La sensazione non so come descriverla. La differenza tra 30º dell'acqua in Mozambico e i 17º del nord del Portogallo, la senti quando neppure puoi respirare!
Miriam
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C'era una volta una bellissima principessa di nome Miriam che viveva in un bel castello nel Regno di Borgo Bio.
Suo padre, il re, per questioni politiche, e soprattutto nel timore di una guerra impossibile da vincere, diede la giovane in sposa a Nicholas, un re vedovo, particolarmente spietato, del Regno di Fallacia. Il sanguinario regale, guerrafondaio fino all'osso, assieme al suo fortissimo esercito, espugnò i principali regni del Casso, eliminando senza pietà svariati monarchi e intere guarnigioni di soldati, per non parlare della moltitudine di coraggiosi avventurieri che cercavano di liberare la principessa.
Passarono alcuni anni, finché una notte, Miriam, a tradimento, uccise lo sposo, mutilandolo con un sol colpo tramite una taglientissima ascia. Con freddezza infilò la testa dell'uomo (con corona annessa) in un sacchetto di iuta e lo strinse con dello spago.
La diabolica ragazza, prima della fuga, fece esplodere il castello, incendiando la stanza coi barili strapieni di polvere da sparo. Non sopravvisse nessuno.
Miriam tornò a Borgo Bio e servì al padre in un piatto d'argento (nel vero senso della parola!) il capo mozzato di Nicholas.
«Il nostro piano ha funzionato! Il Regno di Fallacia è in mano nostra!» esclamò la figlia con un sorriso mefistofelico.
«Ottimo lavoro! Oltretutto anche gli altri regni risultano indeboliti, dal momento che il caro satanasso si è occupato di decimare i relativi contingenti nonché importanti figure militari, nobiliari e reali» osservò con perfidia il re. «Praticamente il Casso ha soltanto un sovrano, cioè io.»
E vissero felici e crudeli.
Il drago spazientito
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«Si vede che stai tremando, fellone che non sei altro!» gridò con aria spavalda il cavaliere corazzato, brandendo una lucentissima ascia bipenne contro la squamosa bestia di colore verde che torreggiava sopra di lui. «Tu non sai con chi hai a che fare! Sono William Knight di Tower Rock, il miglior cacciatore di Meduse, di Arpie, di Idre e… di draghi. Sono un guerriero, sono un genio, sono astuto proprio come un drago, tant'è vero che nella mia dimora dispongo di un invidiabile trofeo, ovvero la testa di un tuo simile» seguitò a dire, sempre più spaccone.
La fumante creatura sbuffò spazientita, innalzando i piccoli occhi rossi al cielo e, dopo aver ticchettato gli artigli sul terreno per decine e decine di minuti, decise di passare all'azione.
«Sono Dragan dettò Dragà!» tuonò il drago, degnandosi finalmente di focalizzarsi su quel tizio inutilmente blindato e inconcludente come combattente. L’alato rettile, una volta ondeggiata la coda e dispiegate le ali come fossero due ventagli, senza troppi complimenti sputò un’enorme fiammata, facendo diventare il cavaliere tutto ferro incandescente, fumo e arrosto, per poi ingoiarlo per intero. Infine, si avviò verso l'antro di una caverna, collocata in un'inaccessibile montagna, per una pennichella. «Ah, dimenticavo: divoratore di smargiassi e di fanfaroni!» aggiunse, non prima di emettere un sonoro rutto.
Neocristianesimo
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I
Nel sogno m’appare una croce quasi celtica: al posto del classico cerchio, ecco infatti, all’intersezione dei bracci, la riproduzione stilizzata (“stenografa”, dunque?) di un pallone da calcio; per cui sempre un cerchio (ricolmo, però, di parecchi esagoni bianchi e neri).
Non vi sarebbe alcunché di strano nella visione; solo che la croce è svettante e incombe minacciosa su di me. Che significa? Mi sono macchiato? Qual è la mia colpa? Parlami, El Marada!
II
Un sentimento d’inquietudine m’oscura il petto; frattanto il mattino è fosco, come se tutto il mare si stesse sciogliendo in vapore acqueo. Ma quando raggiungo la chiesetta sul promontorio, a te intitolata, il mio cuore per un attimo si rischiara. Entro e m’inginocchio dinanzi all’altare, per salmodiarti la santa preghiera: «Com’è detto nei taccuini sinottici dell’eterna terna o trinità arbitrale, quando tu – che in genere crossi il perdono nella mente dei fedeli e mistiche rivelazioni, sagge come un VAR –, protendesti coraggioso la Mano de Dios, per deviare il Covid da qualunque proposito omicida, il Messia resuscitò nel terzo tempo e ti annunciò cordiale: «Oggi sarai con me nel Regno dei Gol, ove entrerai fulmineamente, come un destro nella porta. Sì, tu sarai il Destro del Signore!». E fu allora che assurgesti alla traversa col sacro nome di El Marada».
Il parroco mi ha visto e sentito. Per questo adesso mi sorride luminoso e s’avvicina.
«Se qualcosa ti tormenta, spingendoti a cercare la verità» –sussurra paterno– «recati in pellegrinaggio, figliolo mio».
E mi porge un volantino. È la pubblicità del nuovo albergo extralusso, appena inaugurato in Vaticano, e recita così: «Per il Giubileo, vieni a Roma, o credente fervoroso: “Il Resort… o” ti accoglierà».
Pietro Pancamo
(pietro.pancamo@alice.it; pipancam@tin.it)
Follia
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Dopo un ricovero alquanto lungo nel reparto “Oftalmologia” dell’ospedale, l’artista fallito, affetto da un’esistenza d’insuccessi continui, si trova adesso in una clinica per i disagi mentali; infatti nello studio della psicologa assegnatagli, eccolo seduto a raccontare, per filo e per segno, le dinamiche della rovina. È la prima visita e lui, in tono costernato, si lamenta così: «Quando, con una lettera che li definiva un’autentica schifezza, perfino il mensile ciclostilato della parrocchia rifiutò i miei scatti, immediatamente la verità mi apparve chiara. Chiara per intero. Per questo gridai al riflesso nello specchio del mio salotto: “Non capisci? Ho la memoria fotografica, io, e qualunque tipo di luce, solare o artificiale, che percorrendomi gli occhi mi arrivasse al cervello, cancellerebbe all’istante i miei ricordi. Ineluttabilmente. Insomma nel chiuso del mio cranio le cose andrebbero proprio come quando uno è nella camera oscura, intento a sviluppare con gli acidi, e la porta si spalanca d’improvviso, mandando in malora sia i negativi, sia le immagini appena nate”».
«E magari il riflesso le rispose alcunché?», domanda la dottoressa, che, non conoscendo ancora bene il caso, si permette un velo d’ironia nella voce.
«Ovviamente! Mi disse: “Sospettavo già che le vittime dell’Alzheimer fossero, in realtà, gente come me: poveretti il cui passato si dissolve per colpa della luce e non certo di un disturbo chimico o nervoso. Perciò l’unico modo per salvarmi è trascorrere il resto della vita nel buio più completo. Sì, ad esempio mi rintanerò nella mia stanza, dopo averne sbarrato ogni minima finestra e svitato, com’è giusto, tutte le lampadine. Tutte”».
«Lei era d’accordo con questo piano?», s’informa la psicologa, col sorriso mellifluo di chi asseconda lo scemo del villaggio.
«No. Ed anzi ne avevo colto subito il punto debole. Tanto che proruppi: “Stupido, nulla può essere sprangato ermeticamente! Per cui durante il giorno qualche spiffero di luce, prima o poi, si insinuerà inevitabilmente fra i listelli delle persiane. E sai che farà? Mi colpirà le iridi a tradimento, elidendomi le fotogr… i ricordi!”».
«E lei, allora, trovò una soluzione migliore?», sogghigna, beffarda, la psicologa, non aspettandosi quanto sta per accadere.
«Certo: un eccesso di acidi!», esclama l’artista con fermezza. E si toglie, di scatto, gli occhiali neri da cieco.
Pietro Pancamo
(pietro.pancamo@alice.it; pipancam@tin.it)
Mani
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Non potendo sopportare un mondo, divenuto da tempo il regno dell’odio, i baci e gli abbracci preferirono partire per rifugiarsi in Paradiso: ecco perché dismisero con sollievo sia noi e i nostri corpi (intenti a delitti recidivi, fra cui gli stupri assassini), sia le nostre labbra (suggelli continui di patti aberranti, ad esempio mafiosi) abbandonandoci al destino che purtroppo ci attendeva. Fu proprio allora, infatti, che persino negli angoli più remoti della Terra, mani a tradimento sbucarono dal nulla all’improvviso, tempestandoci di schiaffoni insolenti e a perdita d’occhio che – nell’abbattersi collerici sulle nostre guance, per stravolgerle di netto – eran spesso accompagnati da pizzicotti così feroci, da staccarci le gote o quasi. Ovunque eravamo insomma angariati da una furia tremenda, da raffiche di mani che dispensavano percosse a volontà, ma anche “ganascini” dolorosi – e questa situazione, intollerabile quanto mostruosa, si protrasse per anni interminabili, obbligandoci a un passo fatale: redimerci e optare per l’amore.
«Ebbene sia» –proclamarono i capi di stato in seduta congiunta e a nome della razza umana intera – «Rinunciamo per sempre a ciò che abbiamo di più caro: l’odio».
A una simile dichiarazione, solennemente intrisa di sincerità e sacrificio, le mani iraconde – forse strumento del Cielo – cessarono all’istante di malmenarci a iosa; poi, commosse, si strinsero due a due in tanti nodi serrati, composti di dita. In tal modo ogni coppia formò un pugno (innocuo, per fortuna, dato che in realtà era quello intrecciato della preghiera).
Ormai i soli ceffoni autorizzati, ed effettivamente presenti qui sul nostro pianeta, furon gli “schiaffi” che le mani di ciascuno (adulto o bimbo che fosse) si scambiarono a vicenda nel gesto dell’applauso: l’applauso che accolse corale il ritorno festoso dei baci e degli abbracci.
Pietro Pancamo
(pietro.pancamo@alice.it; pipancam@tin.it)
La finestra del medico
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Dal turno di notte, Ribolatti rincasò più stravolto del solito. La continua lotta in corsia gli aveva spezzato i nervi, negli ultimi quattro mesi, e la sua mente stava cedendo, con violenta facilità, alla fatica, alla paura… al dolore. In genere l’unico sollievo, quando finalmente poteva rientrare dall’ospedale, era camminare trafelato su e giù nel salone. Così scostò sia tavolini che poltrone, anche quel mattino, e aprì la finestra per avere un po’ d’aria; solo che il bagliore intenso del cielo, un cielo che prese subito a passargli con insistenza davanti agli occhi, lo accecò d’impeto, suscitandogli un rigurgito di rabbia che lo spinse ad affacciarsi.
«Lo so!» –gridò Ribolatti alle villette intorno, sparse lungo un pendio delle Retiche– «Voi coglioni dediti al televisore, credete ai virologi di Bruno Vespa, e quindi al famoso salto di specie dai pipistrelli all’uomo! Ma la verità è un’altra: quelli che si sono ammalati di Covid sono vampiri, in realtà. Schifosi vampiri! Perciò nessun salto di specie. Anzi!».
Rifiatò un attimo, per aggiungere a squarciagola: «Gran coglioni, andate dal falegname o nel bosco a comprare o fabbricarvi un paletto di frassino! Poi tornate a casa e se nel vostro nucleo familiare c’è per caso qualche guarito, trafiggetegli il cuore!».
Ormai era in preda a una furia delirante: a un autentico accesso di follia, insomma.
«E non dimenticate di trucidare anche i medici! Perché, sebbene la vostra tv adorata proclami il contrario, noi non siamo affatto eroi. Siamo traditori, invece! Adesso lo capisco! Traditori dell’umanità, che cercano di tenere in vita un branco di mostri assassini!».
Fu pronunciando queste parole che Ribolatti richiuse un battente della finestra, per colpirlo con tutte le forze. Il vetro esplose all’istante, e fra le schegge cadute sul pavimento del salone, colui che –prima d’impazzire– era stato un dottore esemplare, scelse la più lunga e aguzza.
«Somiglia ad un paletto, quasi», pensò ottenebrato, stringendola nel pugno coperto di sangue. E senza aspettare, se la piantò brutalmente in un occhio, mentre il suo cuore si riempiva di lacrime.
Pietro Pancamo
(pietro.pancamo@alice.it; pipancam@tin.it)
Lisbona 2
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Non avevo più amici.
Ma ero tanto giovane, tredici anni!
Ora dico che questo non era preoccupante. A quest'età è molto facile integrarsi, farsi amicizie, disfarsene, farsene delle altre. La vita è veloce, agevole, quasi senza sforzo. Però, a quell'epoca non sentivo questo. È solo l'impressione di oggi.
Forse sarà sbagliata? Ricordo una vita tumultuosa, piena di cadute e rialzi immediati, nella quale ho sentito così intensamente tutte le cose che il cuore sembrava esplodere a tutte le ore. Ho pensato che da adulta, la vita sarebbe stata più liscia, meno agitata, non interessante proprio. È vero che la vita diventa meno agitata, si sentono meno intensamente le cose, i cuori non vanno in estasi a tutte le ore. Ma proprio per la minore agitazione, c'è dello spazio per vedere tutta la tua vita. Non solo il piccolo pezzo che ti agita in quel momento. Sentendo meno, direi che senti di più.
Incontrarsi, perdersi e ritrovarsi
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Quel pomeriggio lo ricordo perfettamente. Un timido approccio, per poi proseguire in un umile ma deciso insistere sino a divampare insieme nella passione.
Purtroppo da circa un mese la frustrazione ha preso il sopravvento, tramutando la nostra relazione in un qualcosa di stantio e compromettendo la magia del rapporto. Giorni fa, valutai di lasciarti, del resto non sono tipo che si cimenta a guadare le paludi. Mi esprimo così, come ben sai le metafore risultano il mio forte. Eppure eccomi qui, idealizzo che possiamo rivitalizzare l’unione, ridarle nuova linfa, ecco. Vedi, abbiamo passato momenti belli e momenti brutti, ragion per cui non si può mica spezzare così un legame.
Ad esempio, ritengo sia necessario cambiare gli schemi al fine di realizzare i nostri progetti, soprattutto per uno in particolare. Sai benissimo quale!
Mia amata scrittura, attraverso te riempirò le pagine bianche che verranno. Non abbandonerò il mio romanzo, anzi, il nostro romanzo.
Depenniamo insieme il blocco dello scrittore!