fabio strinati
Gordiano Lupi, Fabio Strinati, "Dagli Appennini al Tirreno"
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Dagli Appennini al Tirreno
Gordiano Lupi e Fabio Strinati
Edizioni Il Foglio, 2022
Ho sempre pensato che Gordiano Lupi scrivesse già poesia in prosa e qui, in Dagli Appennini al Tirreno – silloge che raccoglie insieme liriche sue e di Fabio Strinati – non faccio alcuno sforzo per adeguarmi al cambiamento di registro. Poesia era e poesia rimane.
I paesaggi di Lupi sono sempre gli stessi, quelli del ricordo. Canta “la sua provincia”, Piombino, “nido accogliente per ogni ritorno”, il posto più denso di significati perché vi si è svolto tutto quello che ha poi avuto valore, perché ogni attimo di presente si è trasformato in un passato trasfigurato dal ricordo, divenuto nostalgia feroce. Pazienza se, dove giocava da bambino, ora Lupi siede nella tarda maturità con in mano un giornale. I pratini sterrati sono gli stessi, il vento porta gli stessi suoni e gli stessi colori, e lui è avvolto dalla stessa maledetta nostalgia, il cuore strutto da memorie perdute, da ambizioni fallite e da quella “brama di rifiorire” che prende a una certa età ma non è mai soddisfatta.
Un realismo composto di piccole cose, sempre uguali, ripetute all’infinito, trasformate e poetizzate dal tempo. Una poesia piana e distesa, anche se le parole sono distillate con cura. Incisi che ricordano Caproni (a messa non andava) e enjambement che rendono colloquiale il versificare.
Il coprotagonista di questa raccolta è Fabio Strinati, poeta che avevo già avuto modo di leggere. Il suo mondo non è la Maremma bensì le Marche, il suo mare è l’Adriatico. Lo troviamo immerso in un paesaggio che è, sì, quello appenninico, fatto di selve e masserie, ma è anche interiore, nutrito di sentimenti privati come l’amore verso la Donna con la d maiuscola, uno sfuggente eterno femminino.
Poesia discorsiva quella di Lupi, più comprensibile e per questo più struggente, versi maggiormente ricercati quelli di Strinati, molto maturati rispetto alle prove precedenti, frutto di grande rispetto per la parola e di grande ricerca stilistica ancora in divenire, sospesa fra “arcaismo ed ermetismo”, come giustamente afferma Alberto Figliolia nella prefazione.
Una bella raccolta corredata di fotografie in bianco e nero, testimone della funzione consolatoria che la poesia ancora oggi possiede, dolce carezza per il nostro cuore affannato.
Questo indelebile mutare, davanti allo specchio e l'apparenza inganna.
Ancora poesie da Pensieri nello scrigno di Fabio Strinati
Questo indelebile mutare
La stabilità non ha scrupolo
per il mutare in miniatura
per nulla la cortesia
una riguardosa strofa di caviale
raffinatamente tronca
eccellente l'opera
con l'abilità delle querce
il configgersi d'un raggio pudico,
ormai smarrita la collera
brilla dicembre con la sua fama
di mostruoso attore
Davanti allo specchio
Un buco nel ritratto buio
il mare il suo sfondo
un proscenio l'erto muro pertinace
di scorie sputano
quel gioco ermetico di brado gergo
così misto e muto l'inerme oggetto
privo di rime assai palese intralcio,
come l'esilio
in lui si cela la pornografia
purché sia mai un ludibrio ella contiene
e dubita il fosco grumo dell'affabulazione.
L'apparenza inganna
E se poi nel sogno bacio
il drago come dello scorpione la coda unta,
lo smilzo serpe la strada solca,
untuoso, fulmineo e la sua tana?
distante forse.
Esisto, l'amore e arrivo come partenza
Ecco alcune poesie tratte da Pensieri nello scrigno di Fabio Strinati
Esisto
Il condottiero sbrana le vertebre
di questa notte inebetita
leziosismi d'arpa,
la mitezza dei morti.
L'amore
...come la prossima
primavera esplode
piange il fiore sfiorato
dagli dèi quel suo esile
suono d'arpa il pianto
dell'amore.
Arrivo come partenza
Scremato è il Grecale
la sua mira
ossequia il mimo
verga l'epitaffio.
truce è l'equinozio,
il soliloquio s'eccita
emula il solo anteporre
l'apostrofo come vacante.
Io ero un'anima debole, un nido di paglia e cereali
Alcuni brani tratti da Dal proprio nido alla vita
ll freddo miete le sue vittime cercandole sempre tra le più deboli.
Io ero un’anima debole, un nido di paglia e di cereali.
La paura del vento, degli urli tra i rami spogli
degli alberi spettrali, e le sentinelle della montagna...
le minacce della vita nei giorni freddi dell’inverno,
che alimentavano in me, un’angoscia devastante,
proprio come le mosche, insonnolite
prima di quel lungo viaggio che forse, staccherà il biglietto
per quei paesaggi miti, o per quei paesaggi, dove i moribondi
siamo sempre noi, anime vaganti per i sentieri infiniti!
La morte è un termine orrendo. Orrenda è la morte,
che all’improvviso arriva, con aria buffa
di chi si prende gioco della vita, di chi la disprezza;
la morte è più vera di un inganno deciso a tavolino,
di questi uomini vestiti di nero, di cui nulla sappiamo
ma che con certezza, come la morte arriva,
che della vita se ne fa beffa!
Il vento è un suono così sottile, così
invisibile, che sa essere custode
e padre al tempo stesso:
il vento è quel treno di ferro
che ti accoglie nel suo viaggio,
facendo scendere ad uno ad uno,
i fantasmi che ti porti dietro!
Nel vento possiamo volare,
leggiadri come piume,
sereni come il cielo
oltre quella linea longitudinale...
oltre un mare lontano,
saggia è la vecchiaia,
matura la tua rondine madre!
Scarabocchio, depressione, la macchia e testimone
SCARABOCCHIO
Rinchiuso tra le pareti in una stanza chiusa e piena
di polvere di acari pusillanimi,
a sorbettare i versi e le rime...
scombussolato nella mia lingua romanza che si fracassa
di vocali urlanti e limacciose per un delirio di parti e controparti,
a cinguettare la seta delle tele negli angoli rimasti...
adirato da impulsi e nutrimenti che mi arrovellano la mente
più di un passo storpio di un foglio sulla rima.
DEPRESSIONE
La salute mia è un ramo d’albero appeso al vento di dicembre
tra rimpianti che la vita ormai andata
brulicano e mantengono,
strane sensazioni a volte, piluccano il tuo essere vinto
e sconfitto, come un uomo poco attratto dalla libertà
che si accendono e si spengono
oltre un confine immaginario animato
dai ricordi fievoli di un’infanzia in agrodolce,
come l’ultima parola che senza fiato
si scarica di rabbia per ferire la tua morte prematura.
LA MACCHIA
Come si dissolvono le nostre polveri nell’incertezza
della vita, o della morte che penetra che arriva
e alimenta altra morte, che impregna
la nostra vita che finalmente, al tocco della falce si svela.
Il tempo è in movimento e lontano;
e la solitudine serpeggia senza catene di ferro
durante i nostri momenti vuoti,
e quando un po’d’ombra arriva a noi come
una macchia di petrolio su questa lavagna di vita,
il nostro vivere diventa fievole,
la nostra anima sbiadita.
TESTIMONE
È nella fessura che porgo l’occhio mio,
la mia perla di lingua tutt’intorno affonda,
sibili e cicalini,
nel suo rattoppo d’origine,
d’occhiatine vispe nella vispezza
che tanto arretra
e d’avanti punta indietreggia,
si stagna il gesto, come sangue rappreso
la sua macchiolina annichilita.
Dentro la mia anima, io, attese
DENTRO LA MIA ANIMA
Dentro il mio io interiore, a volte triste e in solitudine...
ho l’anima che cerca il romanzo della vita
per non morire giovane su questa terra affaticata,
...solcare il mare
lasciandosi alle spalle un lacrimoso tramonto,
che sappia rinverdire l’anima mia di gioia e di speranza!
I miei occhi osservano la primavera: stagione che penetra
con eleganza, come ogni mattina
quando penso alla preziosità della vita...
la più bella scoperta,
l’avventura in un lungomare di conquista!
IO
Credo che la vita sia il mio principale aguzzino,
e quando ci sono quelle giornate umide
e le mosche bidonate nella lordura del momento,
mi ritiro nel mio bureau di taccuini,
guardo il cielo e mi rivedo spiaccicato
su quelle lente nuvole stracolme d’acqua,
in quei giorni stringati di dicembre
e i cortili imbiancati come lenzuoli d’avi e di morte!
ATTESE
Inseguire con gli occhi una linea esile e sottile,
come una traiettoria in metamorfosi,
che piano spira nel suo lasso di polvere e di sepolcri.
Gettare un’occhiatina oltre quel sipario rinserrato,
oltre un avvenire errante e impantanato
nel suo dovere ma nel dubbio
che una lancetta d’orologio
sia bloccata nel suo dilemma muscoloso,
nel frattempo, emergono speranze e gravose attese.
vagante che ha vagato stanca per i campi spenti.
Interrogativo, io e anima
INTERROGATIVO
Quando ho paura del domani, mi aggrappo
alle tante foto appese al muro nella mia stanza:
tengo stretto il mio cuscino,
come l’amore è quell’equilibrio che tutto
scompone e ricompone,
come una foto di famiglia che raggruppa
l’unica foto di un istante, di un’eternità infinita.
IO
Il riflesso del mio io nascosto è celato, come sottovuoto,
il suo sonno addormentato
e la mia voce di primavera che segna e risveglia
il mio luogo, molteplice tragitto,
mi riduce ad uno specchio
che brilla la sua matura ombra
che viene oppressa
per due soldi di letame,
la mia mano, che scrive sopra un foglio bianco
la sua firma di fanciullo,
nel riflesso del mio io
come un orsacchiotto screpolato lasciato
ad ammezzire in tardo autunno,
lungo un tragitto liquoroso all’intercalare delle luci,
il buio nel mio cuore, e una caverna soltanto.
ANIMA
La morte ha un odore di selvatico
più delle lacrime cadute a terra prematuramente,
seminate di speranza e di sorgenti
con accanto le mostrine incanutite di poveri soldati
caduti in guerra e mai risorti,
come
la morte, lei penetra porta scompiglio
e in novembre, solo un vago ricordo di quell’anima
vagante che ha vagato stanca per i campi spenti.
Suoni, se fossi morto prima e lungo addio
SUONI
I suoni si spargono tra passato e presente, impiccati
nelle regioni nere e appartengono,
ai fili clandestini che come reclute tormentate
in questo smorto attimo d’impazienza
emulano empi, sgorgano nell’impazzimento
di un’apparizione usata,
irrisi suoni che svolazzano nell’aria.
SE FOSSI MORTO PRIMA
Se fossi morto prima...
la chiazza del mio essere uomo di miscugli e di fiori
appassiti, mi ha condotto a voi col capo chino e remissivo,
il volto stanco e pieno di rughe e il mio cuore in trappola
dei suoi stessi sentimenti di stampigliatura;
ora, cerco solo di accoppare il mio tempo già finito,
e di bermi un goccio forte, in un’osteria dell’angolo.
LUNGO ADDIO
Un lungo addio è
oltre le montagne figlie della vecchiaia e del tempo,
consumato dal suo stesso addio,
con gli occhi dell’anima,
dentro il cerchio immobile di un lago colorato di grigio,
disegnato dentro,
che già si dona esanime
alle troppe sofferenze che soffiano nel vento
tra le anime tremolanti, in un profondo
infinitamente finito!
Dentro, suono crudo e abbandonato
DENTRO
Dentro un vecchio muro crepato e tinto
che soffre, adolescenza intaccata
in vortici di rogne,
e in eterno, nel sonno le maschere avvolte
dove nascono le cimici uguali
e le cantilene, gli indefiniti aliti e sepolti
sotto occhiaie di pensieri e patimenti
e i timori pesti mai andati,
e in eterno, in graffi sospesi nell’aria
come suoni in una scomoda mente.
SUONO CRUDO
Suono crudo assennato dentro il suo dentro,
di fanghiglia, nel rettangolo
superstite precario,
è un suono graffiato in un istante rudimentale
che scivola turchino
nelle coincidenze di una trappola mortale,
anime ingombrate nell’intasamento
di un dovunque aggrappato,
e le innaturali fisime, le porte socchiuse
in quel loro dentro futile e meschino,
come un suono rinchiuso in una teca
dove matematica e spine
si sbracano ammiccando pose di catarsi!
ABBANDONATO
Non solo mi chino su questa terra di fango marrone
e mi piego scacciando le ferrose catene
in un nevrotico abbandono,
che la sorte ormai guastata
nella sua biada di morte camuffata, travestita
da una sagoma di vita slavata e lunatica,
mi rende uno specchio d’inverno opaco,
e steso nel vuoto nell’incertezza
siderale che tanto mi somiglia,
ecco che mi spengo
in uno stordimento contrariato.
Preludio, vuoto e angosce
PRELUDIO
La voce arranca, arretra tardiva al tramonto
crepa e sospira,
consuma un tempo nell’ambiguo vuoto circostante,
mentre scompare il vento che lì finisce e straripa.
VUOTO
Ho in prestito illusori letarghi d’animale
come invisibili le tane patite e noi, frasche
abbandonate all’interno di un vuoto assonnato.
ANGOSCE
L’anima che invecchia tra gli alberi
dove un legno secco marcisce
è preda del suo spreco inciso
sulla pelle fustigata, estenua del presente,
scende sconosciuta fuliggine
che piano si nasconde.