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Cerca risultati per “donne che emigrano all'estero”

MA È UN UOMO?

5 Marzo 2019 , Scritto da Costantino Delfo Con tag #costantino delfo, #racconto, #vignette e illustrazioni

 

 

 

 

Ma è un uomo? Molti se lo chiedevano, vedendola passare. Le sue forme opulente ricordavano un aspetto giunonico. Era una bella bionda, alta, ben fatta, dalle curve esuberanti, una donna matura, sui quarant’anni; il suo viso aveva tratti regolari e delicati con un naso aquilino e i grandi occhi neri, fortemente marcati dal rimmel, denotavano un temperamento focoso. Aveva un passo giovanile che indicava vigore e agilità insieme. Indossava dei jeans scoloriti, sgualciti o anche stracciati, alla moda, ma sempre molto attillati tanto che il suo culo prorompente sembrava voler lacerare il tessuto. Quella esuberante femminilità contrastava però con la sua voce cupa, baritonale e tuttavia attraente per una donna ma di più per un uomo, quale davvero lui era.

Io Gianni lo conoscevo bene, da bambini abitavamo nello stesso palazzo e spesso lui veniva a casa mia e io andavo a casa sua. Stessa scuola, io alla F, lui nella C. Poi, più avanti, si giocava insieme a calcetto e a tennis e vi assicuro che alle docce si vedeva bene che era un uomo. Poi negli anni di Università ci siamo persi e ieri, camminando in fretta a testa bassa, ci sono andato a sbattere. I nostri volti stavano quasi a scrosciarsi e stavo per dire: “mi scusi” ma quegli occhi anche se imbellettati erano a me ben noti e sono rimasto lì a fissarlo/a, imbambolato. “Ciao”, m’ha detto col suo vocione. “Ciao Gianni”, gli ho risposto e stavo per dargli una manata sul braccio, ma mi son trattenuto. Non sta bene dar sventole alle donne. Gli ho sorriso ma lui/lei sempre serio/a mi ha preso a braccetto e m’ha detto: “Vieni, andiamo al bar”. Non capita spesso d’andare per via abbracciato a una bionda come lei/lui che, per giunta, è un tuo amico d’infanzia. Ci siamo seduti in un angolino appartato e ci siamo guardati. Lei/lui aveva la stessa espressione contrita di allora, quando il preside della scuola ci sorprese a ‘giocare’ con Mara. Gianni cominciò così: “Lei odia gli uomini, ama le donne e io l’amo” m’ha detto. L’ho fissato con aria interrogativa. “Ama un’altra” ha continuato e aveva già gli occhi lucidi. Io, sempre zitto, non sapevo che dire. “Mi sono travestito per starle vicino, capisci?” Venne il cameriere: “Desiderano?” “Un whisky”, disse Gianni. “Due”, dissi io.

 

Illustrazione di Costantino Delfo

 

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Jonathan Coe, "La pioggia prima che cada"

27 Marzo 2019 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni

 

 

 
 
 
La pioggia prima che cada
Jonathan Coe
Feltrinelli, 2013
 
Non so cosa Coe sappia di costellazioni familiari o psicoterapia transgenerazionale. Probabilmente nulla. O, magari, ha chiesto consiglio, come per il Valium con il whisky per sapere se può essere letale. In ogni caso bravo due volte, per questo e per avere reso in maniera assai credibile le storie di quattro generazioni di donne, tutte colpite dallo stesso primitivo trauma affettivo causato dalla bisnonna Ivy: la mancanza d'amore. Rosamund, anziana omosessuale da anni sola, decide di togliersi la vita e, prima di farlo, registra quattro nastri con i ricordi della saga familiare di Imogen, la nipote cieca a cui andrà parte dell'eredità. I nastri servono perché Imogen è introvabile da anni e, ascoltandoli, gli altri eredi avranno abbastanza indizi per trovarla. Essi contengono la descrizione di venti immagini che Imogen non ha mai potuto vedere e ricostruiscono la storia della sua famiglia, un susseguirsi di rapporti familiari anaffettivi, uomini inaffidabili o manipolatori, crudeltà e frustrazioni che conducono tutte le protagoniste a scelte errate o infelici. Ci saranno anche due eventi-presagio, uno che si presenterà nuovamente dopo cinquanta anni, a scandire l'inizio e la fine dell'era funesta tra le donne della famiglia. Perché nella vita pare esserci caos solo perché noi conosciamo una parte degli avvenimenti. Se noi sapessimo tutti i segreti - tutto ciò accade nel momento in cui accade e non magari quindici anni più tardi dalla lettera di una parente che non abbiamo mai conosciuto - se avessimo una visione d'insieme, sia verticale e storica che orizzontale nel senso della sincronicità, potremmo intuire l'ordine delle cose, la trama del destino, così come intuiamo la pioggia prima che cada dall'umidità e dall'elettricità nell'aria, in quell'attimo infinitesimale, frazione che abbiamo appena il tempo di cogliere con i sensi prima di poterla elaborare, perché poi arriva la pioggia a travolgerci, irruenta e scrosciante, proprio come i fatti della vita che ci inondano e ci distolgono dalla nostra percezione del filo conduttore che resta un disegno sfocato sullo sfondo di un quadro di Pollock. 
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UOMINI E DONNE, UN SOLO MODO DI INTERPRETARE IL CALCIO, LO SPORT PIU' BELLO DEL MONDO.

22 Luglio 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #sport

 

 

Ora che sul campionato mondiale di calcio femminile, svoltosi in Francia, si sono spente le luci della ribalta e, in quest'ambito, è tornato il silenzio mediatico, tutti i fan, aspettando l'inizio del campionato, sono quotidianamente in ansiosa attesa con occhi e orecchie puntate sulle vicende delle febbrili compravendite del calcio mercato.
Pensavate che dopo l'esploit delle nostre azzurre nulla fosse cambiato e le poverine sarebbero tornate nell'anonimato? Vi sbagliate, perché, ormai, dopo Francia 2019, il dato è tratto e, da quella sconfitta ai quarti con l'Olanda, il calcio femminile italiano e mondiale non sarà più lo stesso. Pensavate, amici pallonari, che le donne fossero sempre il sesso debole, soprattutto nel calcio, solo per machisti? Io, invece, ho visto colpi di testa, fucilate da fuori aria, tiri al volo, contrasti all'ultimo sangue, scambi di prima rapidi, lanci millimetrici da 50 metri e, soprattutto, un grande entusiasmo, una grande gioia di giocare, tanto gioco di squadra, per nulla tirare a campare, nessuna di loro giocava per lo 0-0. E sugli spalti tifo appassionato ma corretto, nessuna violenza, ripeto, nessuna violenza, né in campo, né fuori. Tutto ciò vi pare poco?
Ma se il calcio al femminile ha proposto il lato migliore di questo sport, a questo punto che importanza ha il sesso di chi lo pratica? In fondo chissà quante volte avete buttato giù tutti i santi dal calendario vedendo i vostri beniamini sbagliare gol a porta vuota, lisciare la palla manco fossero all'oratorio, trotterellare a centrocampo annoiati perché, pur strapagati, senza idee a chi passare la palla o inventare una trama di bel gioco. E, per finire, diciamola tutta, quante volte abbiamo visto, a questi cuor di leone, tirare indietro la gamba? E allora, amici lettori impazziti per le azzurre, ora si volta pagina e in tv, quando vedrete degli incredibili, stratosferici, indicibili e incommentabili pipponi, adesso potrete pure cambiare canale e, comodamente seduti in poltrona (per chi vuole anche allo stadio, tranquilli per il momento al parcheggio c'è posto e il biglietto di ingresso è ragionevole), divertirvi con le calciatrici, buon calcio a tutti, lo sport più bello del mondo adesso, non fa più distinzioni.
Amici del blog che fa anche dello sport, motivo di vera e sana cultura, vi aspetto dopo la partita per altre notizie, prossima volta dalla terra dei canguri.  Stay tuned.

 


 
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Lorenzo Spurio, "Jane Eyre Una rilettura contemporanea"

16 Gennaio 2013 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

Lorenzo Spurio, "Jane Eyre Una rilettura contemporanea"

di Patrizia Poli

Se una caratteristica distingue l’odierna critica letteraria è la multimedialità e l’accostamento della letteratura “alta” a mezzi espressivi non convenzionali e non immediatamente ad essa correlati, dalla narrativa di genere, al cinema, fino ai giochi di ruolo. La smitizzazione del mother text è accompagnata da un’estrema semplificazione del linguaggio critico e da un utilizzo di veicoli non tradizionali quali, ad esempio, le interviste virtuali.

In “Jane Eyre, una rilettura contemporanea”, Lorenzo Spurio si avvicina al testo originale di Charlotte Bronte, per poi allontanarsene, compiendo un excursus su una serie di rewriting successivi e adattamenti anche cinematografici e televisivi, a partire dal famoso prequel del 1966, “Wide Sargasso Sea”, per finire con la parodia mash up del 2010, “Jane Slayer”, dove la protagonista si trasforma in ammazza vampiri.

Invece di puntare sugli aspetti classici e tipici del romanzo della Bronte, come la travagliata infanzia di Jane a Lowood e l’amore romantico per il tenebroso Rochester, Spurio mette in evidenza caratteristiche secondarie, ma interessanti, amplificate dalle riscritture successive.

La prima di queste peculiarità è l’aspetto gotico del testo, con continui richiami a “Northranger Abbey” di Jane Austen.

L’altra è senz’altro l’importanza focale data al personaggio minore di Bertha Mason. Laddove la Bronte non ci spiega le ragioni della pazzia che affligge la prima moglie di Rochester, nei prequel e sequel presi in esame da Spurio, Bertha giganteggia con tutto il suo passato tropicale. Si ha compassione, e c’è addirittura rivalutazione, del personaggio. In ogni versione, Bertha presenta aspetti diversi ma è sempre connessa col riso demoniaco-animalesco e col fuoco, entrambi simboli del male, così come con la natura vampiresca del suo morso.

Nel suo saggio, Spurio prende in esame il colonialismo e si spinge fino a concludere che la Bronte ha inteso punire con la cecità Rochester per il suo razzismo, più che per l’inganno e l’amore adulterino nei confronti dell’ingenua Jane.

Mettendo in risalto la generica benevolenza della Bronte verso gli schiavi e le donne, Spurio tocca temi alternativi e affascinanti. Si parte dal Codice Nero, promulgato nel 1685, a sancire il concetto di schiavo come oggetto, si continua con “A Vindication of the Rights of Women”, dove Mary Wollstonecraft (Shelley), in polemica con Rousseau, rivendica i diritti delle donne, per finire con la magia nera Obeah, trapiantata in America dall’Africa, e simile al Voodoo di Haiti, patria degli zombie.

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Billy Roche, "I racconti di rainwater pond"

21 Luglio 2020 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #racconto

 

 

 

 

I racconti di rainwaterpond

Billy Roche

Traduzione di Beatrice Masi

 

Battaglia edizioni, 2019

pp 303

17,00

 

Peccato per alcuni errori di editing, perché è stata davvero un’ottima idea, quella di Battaglia Edizioni, di tradurre dall’inglese - per la collana “franchi traduttori” – I racconti di Rainwater pond di Billy Roche.

Una serie di novelle ambientate in Irlanda - ma dallo stile narrativo vagamente americano - legate da fili invisibili che le collegano a formare un romanzo corale, l’affresco di una cittadina, Wexford, fra trattorie di paese, stazioni, alberghi, pompe di benzina, negozi di merceria, bar.

Le storie si svolgono tutte attorno allo stagno di Rainwater, sorta di laguna a ridosso del mare, invaso di acqua piovana semi-salata in una cava dismessa, oscuro e apparentemente senza fondo, simbolo di tutto ciò che non si vede ma esiste, nascosto e abissale come certi tormenti senza rimedio.

Attorno a questa pozza si dispiegano le vite degli abitanti di Wexford, operai, artigiani, musicisti, giocatori di hurling, gente che lavora di giorno e si fa una birra al pub la sera. Gente banale che, però, coltiva, nascosti nel cuore, amori lunghi una vita, eterni, tempestosi e romantici, passioni travolgenti e immortali. I personaggi di queste amare e struggenti storie sono quasi sempre donne, viste attraverso la lente deformante di chi di loro è innamorato da sempre, ma anche uomini stanchi, demotivati, che cercano il riscatto di una vita e lo trovano, a volte, in un piccolo insignificante gesto controcorrente, come nel racconto Il giorno libero, che mi ha ricordato La carriola di Pirandello.

Sembra che gli abitanti di Wexford passino la vita ad amarsi l’un l’altro non ricambiati. Queste donne, belle e apparentemente destinate a qualcosa di grande, non capiscono la felicità a cui rinunciano non contraccambiando l’amore ossessivo di uomini sensibili e generosi, barattandolo piuttosto con l’indifferenza di mariti grossolani, coriacei, disillusi, fedifraghi. E così sfioriscono senza perdere, agli occhi di chi le ha amate tutta la vita, la bellezza, il fascino misterioso e insondabile. Personaggi infelici, che hanno lasciato da parte i sogni, che sono diventati mogli, madri e poi nonne, con un nocciolo di dolore e nostalgia a straziar loro il cuore mentre in silenzio qualcuno da lontano le covava con gli occhi, le spiava, provando il desiderio di consolarle o di vendicarsi di loro.

Racconti struggenti e poetici, belli come antiche ballate, costruiti attorno ad amori incompiuti, dove c’è sempre qualcuno che arriva da fuori a portarti via chi hai amato tutta la vita inutilmente.

Una boccata di buona letteratura, una tantum.

 

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Emma Fenu, "Le spose della luna"

30 Giugno 2023 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

 

 

 

Le spose della luna

Emma Fenu

Literary Romance, 2023

 

Le spose della luna racconta una Sardegna fuori dal tempo, antica come un nuraghe, ancestrale e tellurica, fatta di riti magici, di sangue, di faide e vendetta. Una regione dove protagoniste sono le donne, vere padrone della natura e degli elementi, sebbene costrette nell’ambito limitato della casa e del paese; capaci di reggere il mondo su esili spalle mentre non smettono d’impastare il pane; collegate alla terra, alla luna, alle maree sotterranee che fanno fluire la vita, al flusso mestruale, al latte che nutre i neonati. Donne senza smancerie, senza baci, senza dolcezza, arcane figlie e spose di selene, donai dal ventre prominente, simbolo di fertilità. Femmine che soffocano ogni slancio materno perché i figli bisogna essere pronte a perderli, a vederli morire, darsi alla macchia o finire in galera. La maternità contiene già in sé il seme della rappresaglia e del dolore, si partoriscono morti che camminano, destinati alle faide, al banditismo, alla vendetta, fra erbe medicinali, rituali di guarigione e di trapasso, agnelli sgozzati, caglio e sangue, apparizioni e fantasmi, morte e vita.

La storia ripercorre, romanzandola e prendendosi delle libertà, la vicenda di Paska Devaddis, ingiustamente accusata di omicidio nel 1911, costretta alla latitanza insieme al promesso sposo, morta di tubercolosi fra i monti. La Fenu la trasforma in Franzisca, giovinetta piena di grazia, desiderio e ingenuità, che sogna il matrimonio e progetta un futuro, poi strappatole con violenza da una falsa accusa, dal malocchio e dall’invidia di una famiglia rivale. Il fidanzato sfiderà la giustizia per riportare le sue spoglie mortali alla madre, affinché possa essere onorata, vegliata e sepolta con il rispetto che merita.

Alla fine s’intravede un riscatto, un barlume di speranza, una fuoriuscita dal cerchio malefico di ritorsioni e violenza, una ripresa del motivo delicato della speranza, dell’elegia della giovane sposa con tutte le sue virginali aspettative.

Uno stile lirico, connotato, decadente, questo della Fenu, quasi un lamento funebre che impreziosisce la trama senza soffocarla e trascina il lettore incatenandolo da un capitolo all’altro. Una scrittura davvero straordinaria.  Un libro che, invece di peregrinare fra un editore e l’altro, meriterebbe di figurare nella cinquina dello Strega.

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L’uomo è forte di Corrado Alvaro

8 Agosto 2017 , Scritto da Valentino Appoloni Con tag #valentino appoloni, #recensioni

 

 

 

 

L’uomo è forte è un romanzo di Corrado Alvaro, pubblicato nel 1938 da Bompiani. Il libro dovette passare attraverso le forche caudine della censura di regime che chiese inizialmente la soppressione di venti pagine; successivamente le richieste si fecero ben più limitate. Alvaro dovette sopprimere circa venti righe e specificare in un’avvertenza che la vicenda era ambientata in Russia e così il libro venne finalmente pubblicato. Ma in effetti il romanzo potrebbe essere ambientato in qualunque regime totalitario, fascista o comunista, tanto è vero che le autorità tedesche non ne autorizzarono la diffusione in Germania. Ho preso queste informazioni da una cadente edizione Garzanti del 1966, trovata per caso in libreria.

La vicenda vede protagonista l’ingegner Dale che rientra nel suo paese dopo un periodo all’estero; nel frattempo si era risolta una dura guerra civile e il nuovo regime poteva garantire pace e sicurezza. Appena arrivato, Dale viene accolto da un’amica, Barbara. Si capisce ben presto che sicurezza e pace hanno un prezzo altissimo; non c’è vera libertà, si vive nel disagio di essere colti in fallo, di destare sospetti e dubbi in chi ha il potere. Perfino un qualunque lavoratore che aiuta i due giovani a portare i bagagli fuori dalla stazione, sembra implicitamente condizionare la coppia; chiunque ha il potere di segnalare, denunciare, far arrestare. Il regime in questione è di tipo totalitario; non si accontenta genericamente di sottomissione e obbedienza, ma vuole entrare nell’anima delle persone, imporre valori e credenze con la sua capacità di pressione. Alla fine il cittadino deve sentirsi pienamente realizzato nell’obbedienza e addirittura considerare come suo dovere il denunciare ogni atto anche banale di eterodossia. Dale ha una personalità forte; non intende sottomettersi, anche se di fronte ha un regime che lo spia e che in generale crea una cappa di angoscia su tutti i cittadini. Ciascuno può pensare che in una stanza di albergo ci siano dei microfoni; oppure si può temere di essere seguiti per strada. Dale è vissuto all’estero, ha abbastanza denaro, fa acquisti che gli altri non possono permettersi; perciò non può che essere considerato sospetto. Il regime solo lentamente rende esplicito il suo volto feroce; ha forza ed efficacia sulle menti delle persone. La stessa Barbara ne è la prova; sente, infatti, in certi momenti, venerazione per  l’autorità che è una sorta di Divinità cui non si deve nascondere nulla. Si tratta di un tipo di autorità che inoltre ha bisogno di nemici. Non basta aver imposto il proprio credo con le armi; la continua sorveglianza sulle persone deve essere giustificata dalla presenza nociva di uomini dissenzienti. Senza nemici non si può mobilitare la società intorno a dei valori e tenere alta la tensione etica; quei valori sono quelli funzionali al benessere dello stato, spiega la propaganda, ma sono minacciati da una piccola minoranza che tutti devono contribuire a individuare. Il nemico è necessario. Il totalitarismo genera soggezione, ma ha anche gli  strumenti per ottenere una convinta adesione, poiché sa convincere che lo stato viene prima dei sentimenti e dell’amicizia. L’unica etica è quella dettata dall’alto.

Un romanzo di grande impatto, scritto con un linguaggio efficace e raffinato, dall’atmosfera kafkiana, per certi aspetti da accostare al successivo 1984 di Orwell. L’unico limite del romanzo è probabilmente il finale frettoloso, ma è un libro che merita di essere riscoperto.

 

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Carla Magnani, "Acuto"

13 Gennaio 2016 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

Carla Magnani, "Acuto"

Carla Magnani

ACUTO

Euro 10 – E-book 4,99 - Gilgamesh Edizioni

www.gilgameshedizioni.com

La storia si svolge ai tempi nostri, ma con rimandi al passato e in particolare al periodo dal 1968 al 1972, denso di avvenimenti significativi per il mondo intero. L’Italia vede la partecipazione attiva di una città come Pisa, dove il Movimento Studentesco, le lotte sindacali e gruppi extraparlamentari sono ben radicati e decisi a rivendicare un ruolo di primo piano nel cambiamento del panorama politico-sociale della nazione. Elisa, di famiglia borghese-benestante di un piccolo paese, ha da sempre impostato la sua vita evitando ogni coinvolgimento che rappresenti un pericolo al suo bisogno di tranquillità. Nessuna forte emozione, nessuna ricerca di cambiamenti e di scelte significative, solo il mantenimento di uno status quo a garanzia di una piatta, ma serena esistenza. L’inizio dell’estate trova la protagonista nella casa al mare insieme ad alcuni componenti della famiglia. Sua sorella Ester, di due anni più giovane e dal temperamento ribelle, è negli States per lavoro. Sarà proprio quest’ultima, con una breve telefonata, a sconvolgerle la vita, mettendola di fronte a una richiesta che prevede un sì in tempi brevi: Marco, il suo amore degli anni universitari, da tempo residente in Florida, ha pochi mesi di vita e ha espresso, come ultimo desiderio, quello di poterla incontrare. Elisa decide di vedere Marco nonostante la forte ansia che la paura di volare le incute. Riaffiorano i ricordi di quegli anni e della loro storia che sembrava dimenticata. Con i ricordi, ritornano anche le emozioni più belle e i chiarimenti. Tre giorni bastano a Elisa per scoprirsi una donna nuova, arricchita interiormente. Anche se Marco non potrà sottrarsi al suo destino, lei avrà ormai la percezione chiara che non lo perderà mai e lo porterà sempre in sé, in una realizzazione personale che offrirà a se stessa e ai suoi cari l’immagine di una donna finalmente completa e consapevole.

Acuto è ambientato nel presente, ma ha lo sguardo sul passato, su quella storia italiana che raramente viene raccontata a scuola, quella che ha inizio nel Sessantotto col movimento studentesco e passa attraverso le rivendicazioni della Sinistra operaia, il femminismo, la strage di Piazza Fontana e la strategia della tensione, la morte di Pinelli e gli Anni di Piombo, la conquista dello spazio e lo sbarco sulla Luna, l'omologazione degli anni Settanta e le Brigate Rosse, l'omicidio del commissario Calabresi e la vicenda – che toccherà da vicino le vite delle protagoniste – di Franco Serantini. Acuto è però anche la storia di un viaggio in America, alla ricerca di un'occasione perduta, di una seconda chance. Di quella felicità appena sfiorata e poi barattata per la propria quiete quotidiana. Tutto ha inizio con una telefonata ed un evento tragico: l'imminente morte di un vecchio amico. E così Ester viaggerà, fuori e dentro di sé, per cercare una risposta a vecchie domande. (Adriano Bernasconi)

Carla Magnani è nata in Toscana, a Piombino, ma da molti anni risiede in Lombardia. Laureata in Lettere Moderne, ha insegnato in diversi istituti superiori e scuole medie della provincia di Milano e di Brescia. In passato ha vinto alcuni premi di poesia. Acuto è il suo romanzo d'esordio, disponibile in tutte le librerie, negli store online, o direttamente sul sito della casa editrice e dell’autrice al prezzo di 10 euro. Disponibile in ebook al prezzo di 4,99 euro.

Carla Magnani, "Acuto"
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In giro per l'Italia: Civitanova del Sannio

4 Marzo 2015 , Scritto da Franca Poli Con tag #franca poli, #luoghi da conoscere

In giro per l'Italia: Civitanova del Sannio

In questa escursione fra le valli e i monti molisani Flaviano Testa ci ha condotti a Civitanova del Sannio e i suoi scatti colgono con semplicità e perfetta armonia un piccolo paese del Molise che arriva appena a 1000 abitanti.
L'attuale toponimo del paese è successivo all'Unità d'Italia che prima si chiamava solo Civitanova. Nome derivante dalle fortificazioni sannitiche erette a controllo della valle del fiume Trigno e di cui ancora si possono vedere i resti nei pressi del centro abitato. Posto in provincia di Isernia a un'altezza collinare di 650 m, attraversato dall'antico tratturo Lucera – Castel di Sangro, gode di un'ottima posizione, di un piacevole paesaggio e di un fresco clima estivo che attira turisti dalla vicina Campania e dalla metropoli romana. Giungono dopo un breve viaggio e si immergono nel verde dei boschi di faggio, si bagnano e bevono alle fresche sorgenti di acque chiare e freschissime che sgorgano vicino al paese, cercando fragoline, funghi o tartufi bianchi a seconda della stagione o si stendono al sole sulle rive del lago carsico che si trova nei pressi godendosi la “Montagnola” con l'area attrezzata per i pic nic .
Di questo piccolo paese colpisce la bellezza dei vicoli che lo attraversano, passeggiando per le strettoie sembra di tornare indietro nel tempo: al medioevo, periodo in cui quei vicoli risalgono e a quando il conte d'Isernia e sua moglie fecero costruire un monastero e lo donarono ai monaci benedettini. La gente è accogliente, seria e laboriosa. Nel dopoguerra il paesino ha subito una forte emigrazione, causa la totale mancanza di possibilità lavorative e la povertà dei terreni adibiti all'agricoltura, le famiglie lasciavano il paese natale e si recavano all'estero in nord America, in Argentina o in Germania. L'estate, intorno a fine agosto, si tiene la “festa dell'emigrante”, con riti religiosi, conferenze, mostre d'arte, proiezioni di film all'aperto e concerti sinfonici. In queste occasioni spesso fanno ritorno in patria i figli degli emigranti di un tempo per ritrovare le loro radici, cresciuti all'estero parlano poco e male la lingua italiana, ma conoscono benissimo il dialetto locale, dando origine a scenette divertenti. Guardandosi intorno si sentono stranieri a casa loro e ripercorrono con nostalgia i vecchi gradini che li riportano alle case che furono dei padri o dei nonni, desiderando di fuggire dalle grandi città in cui sono costretti per lavoro e di tornare a vivere in un contesto ambientale, sociale e culturale autentico, difficile da trovare. All'inizio dell'autunno in paese restano soprattutto anziani soli e allora qualche straniero ancora è facile incontrarlo ma è un emigrante di altri paesi che qui trova lavoro come badante, in un paese povero ma dove non è costretto a chiedere elemosina e dove i campi diventano giardini e le pietre delle case isolate o dei castelli cadenti, riflettono silenziose i raggi della luna e del sole al ritmo scandito dal tempo e dalle stagioni.

In giro per l'Italia: Civitanova del Sannio
In giro per l'Italia: Civitanova del Sannio
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Karawanfest

6 Giugno 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #cinema

 

 

KARAWANFEST - 6 / 11 GIUGNO 2017

 

AL VIA A ROMA A INGRESSO GRATUITO LA SESTA EDIZIONE DEL FESTIVAL CHE TRATTA I TEMI DELLA CONVIVENZA CON LE COMMEDIE

IN UN’INEDITA VESTE OPENAIR,

TRA I CORTILI DI TOR PIGNATTARA E PIGNETO

 

6 giorni di cinema e incontri dedicati al tema: Illuminando le paure

6 cortili · 8 film · 2 anteprime italiane · 1 anteprima europea

ospiti Pegah Ferydoni e Arifur Rahman

 

Dal 6 all’11 giugno torna a Roma KarawanFest, il primo e unico evento cinematografico che - a ingresso gratuito fino a esaurimento posti - tratta i temi della convivenza e dell’incontro tra culture in tono programmaticamente non drammatico, puntando a ribaltare stereotipi e cliché e proponendo visioni non convenzionali.

Per la sua sesta edizione Karawan torna alle origini nomadi, migrando di sera in sera nei cortili di Tor Pignattara e del Pigneto, e illuminando con la luce del grande cinema le paure e le diffidenze, per favorire momenti di incontro proprio nei cortili, luoghi naturali dello scambio e della condivisione. Nato a Tor Pignattara nel 2012, il progetto mette il cinema al centro di un percorso di coesione sociale e reciproca conoscenza, per riappropriarsi di spazi comuni nel segno della condivisione e dell’arricchimento culturale.

Dal 6 all’11 giugno, Karawan presenterà, ogni sera in un cortile diverso, commedie,racconti di formazione e documentari brillanti, con un’attenzione sempre particolare rivolta alle nuove generazioni di autori e registi emergenti. 8 film rappresentativi delle comunità più numerose del territorio, tutti in lingua originale con sottotitoli in Italiano, molti dei quali in anteprima. Film da tutto il mondo, che raccontano storie di paure superate, rovesciate, cancellate attraverso piccoli grandi atti di coraggio e apertura. Che non sono atti eroici o gesta esemplari, ma creazioni, scoperte, dialoghi, scommesse, amori. Gesti semplici, che ogni giorno si osservano nelle strade dei nostri quartieri, e che sono rievocate nei film in programma, nei laboratori, nelle storie che saranno raccontate al festival. Insieme.

Ogni film sarà introdotto da incursioni e performance artistiche per avvicinare il pubblico alla cultura delle comunità presenti, a cura di Asinitas Onlus, partner del progetto, che presenterà anche racconti provenienti da diverse tradizioni culturali con Narramondi: un gruppo misto di giovani donne cantastorie italiane e straniere.

Un’altra importante novità del 2017 è il gemellaggio con l’analoga manifestazione milanese Cinema di Ringhiera, ideata e diretta da Antonio Augugliaro, co-regista di Io sto con la sposa e realizzata dall’associazione Nuovo Armenia. Entrambe le manifestazioni sono sostenute dal MiBACT con il contributo di MigrArti II edizione 2017, e condividono oltre alle tematiche, la natura itinerante nei cortili dei palazzi, a stretto contatto con le comunità e la cittadinanza. Anche il tema sarà comune:illuminando le paure. Con la luce del cinema, della cultura, dell’incontro, della condivisione. Questo gemellaggio, insieme alla collaborazione con Yalla Shebab Film Festival di Lecce, ha l’obiettivo di costituire un network su scala nazionale per lo scambio e la circuitazione dei film selezionati, e creare una tessitura che unisca le realtà in un racconto corale, radicato nel locale ma che assume contestualmente anche una dimensione nazionale.

Si parte martedì 6 giugno, dal cortile della Biblioteca Goffredo Mameli al Pigneto dove verrà proiettato in anteprima europea, grazie alla collaborazione dell’Ambasciata del Bangladesh, Kingdom of Clay Subjects, la folgorante opera prima del giovane regista bengalese Bijon. Nel segno di Satyajit Ray e Vittorio De Sica, il film è un’ode al diritto al sogno e al futuro, alla conoscenza come forma di libertà. Sarà presente per incontrare il pubblico il creative producer del film, Arifur Rahman. Abbiamo scelto di partire dal Bangladesh con un’opera così potente per dare voce ai talenti artistici e alla ricchezza culturale del paese da cui proviene la più grande comunità bengalese d’Europa, quella di Tor Pignattara.

Proprio per guardare alle comunità e al territorio con uno spirito europeo, Karawan in collaborazione con il Goethe-Institut Rom e il Forum Austriaco di Cultura per il secondo anno propone il progetto Making Heimat, per contribuire a illuminare di nuovi significati i concetti di identità e cittadinanza, a partire dall’intraducibile parola tedesca Heimat, e sollecitare l’opinione pubblica su quanto i confini possano essere spostati per includere e non per escludere. Con il Forum Austriaco verrà presentato il docufilm KINDERS, scelto per la consueta matinée che Karawan dedica alle scuole del territorio. In collaborazione con il Goethe-Institut Rom verrà presentato martedì 7 giugno 300 Worte Deutsch (300 parole in tedesco), frizzante commedia turco-tedesca sull’Islamofobia, in cui un corso accelerato di tedesco per far ottenere la cittadinanza a un gruppo di giovani turche, diventa anche l’occasione della presa di coscienza come donne. Sarà presente l’attrice protagonista Pegah Ferydoni, star di Donne senza uominiKebab for Breakfast, che incontrerà il pubblico e le donne della scuola di italiano per donne straniere del Centro Interculturale Miguelim, con le quali condivideremo prima della proiezione anche il momento dell’Iftar, il pasto serale che spezza il digiuno del Ramadan.

Il 10 giugno Karawan Fest accoglie a Roma gli amici di Cinema di Ringhiera, che presenteranno il docufilm Patience, patience… Tu iras au paradis in vista dello “scambio” che avverrà il 24 giugno, quando Karawan porterà a Milano il documentario Luoghi comuni di Angelo Loy, prodotto da Asinitas. Infine, domenica 11 giugno gran finale in salsa carioca a Largo Raffaele Pettazzoni, adiacente il parco Giordano Sangalli: una festa dedicata all’unione di popoli e culture nel segno di sport e cinema. Verranno proiettati due film legati al mondo del calcio, dove il campo diventa luogo di socialità e spazio pubblico di condivisione. Per l’occasione saranno coinvolte associazioni della rete G2 che operano per la promozione dei diritti delle seconde generazioni e per portare un nuovo concetto di cittadinanza.

KarawanFest 2017 aderisce ai festeggiamenti per i 90 anni di Tor Pignattara e alla campagna per il riconoscimento del quartiere come nuovo rione di Roma.


Per maggiori informazioni
www.karawanfest.it

info@karawanfest.it

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