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Cerca risultati per “Aldo Dalla Vecchia Vita da giornalaia”

Mirko Tondi, "Istruzioni di fuga per principianti"

4 Maggio 2017 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #mirko tondi

 

 

Istruzioni di fuga per principianti

Mirko Tondi

 

Caffèorchidea, 2017

pp 122

12,00

 

Per come si pone, per le citazioni colte, per il modo in cui dialoga col lettore, ci sembra che questo romanzo ambisca a essere un po’ più di quello che è. Istruzioni di fuga per principianti contiene molti cliché cinematografici. La fuga on the road, la valigetta rubata, il viaggio con la nonna (che ci fa venire in mente quello di Mimmo in Bianco, rosso e Verdone.)

Il viaggio è molto limitato nello spazio e nel tempo, dura un giorno ed una notte soltanto, si snoda per la Maremma grossetana, dall’Amiata alla costa, e si conclude a Follonica, fra inseguimenti e fuggifuggi, arabi, pistole e mazzette di soldi. La fuga rappresenta un allontanamento provvisorio da quello che è il tema del capitolo quinto, perno del romanzo, in cui ricorre il leitmotiv del “sono stanco”. La stanchezza del protagonista è la stessa di tutti noi, siamo stanchi delle cattive abitudini, di una società alienante, delle persone - i nostri stessi parenti e amici - che non ci danno mai quello che vorremmo ma anzi acuiscono la nostra solitudine, siamo stanchi di ciò che non possiamo cambiare e siamo costretti ad accettare, siamo stanchi, insomma, delle cose come stanno. Da lì il gesto impensabile fino al giorno prima, lo scarto, l’occasione che fa l’uomo ladro, la ribellione, il furto della valigetta che innesca un mini percorso liberatorio.

Il protagonista Giacomo è un giovane montatore di mobili, orfano di mamma, legato a una ragazza che sembra più un’amica che una vera e propria fidanzata. Lei è intellettualoide, lui invece razionale e vede nella vita solo una serie di numeri e teoremi prevedibili, fino a che la stanchezza lo sopraffà e decide di compiere un furto, pur di portare la nonna, che lo ha cresciuto come una madre e che sta per morire, a vedere per la prima volta la montagna e il mare. La nonna novantenne è un personaggio immobile e taciturno, e nel suo silenzio e nella sua imperscrutabile espressione c’è tutto il non detto del protagonista, la sua vita, i suoi ricordi, i suoi sensi di colpa e d’inadeguatezza. Prima di morire, la donna spreme una lacrima che simboleggia l’abisso del sentimento, il tumulto dell’anima che nessun numero e nessuna società consumistica potrà mai distruggere, comprare, alienare.

Il finale ha un che di rocambolesco e ricorda certi ultimi atti di commedie degli equivoci o di film dove tutti rincorrono tutti – e qui siamo fra Kerouac e Ciccio e Franco - ma c’è anche un tocco di “questione sociale” con il riferimento al tema attuale dell’immigrazione e di chi ci specula sopra.

La musica, come spesso accade, fa da colonna sonora a questo libro/film. Ed è alle canzoni che è demandato il compito di sottolineare ed esplicitare i sentimenti del protagonista, un po’ quello che accadeva nei romanzi ottocenteschi con la descrizione del paesaggio.

 

Poi mi ero soffermato un attimo su Road to nowhere dei Talking Heads, perché la strada in effetti non aveva portato da nessuna parte se non dentro di me” (pag 119)

 

E pure i numeri, che rappresentano la razionalità con cui Giacomo ha dovuto fare i conti – perdonate il gioco di parole – tutta la vita, soccombono alla fine davanti alle emozioni e agli affetti, “alla polvere di nonna che pizzica le narici”, l’unica cosa per la quale valga la pena vivere.

Il mini viaggio all’interno di se stesso porterà infine il protagonista a riconoscere come valori proprio quelle cose e quelle persone di cui si sentiva stanco, dal padre alla fidanzata per finire col suo stesso lavoro, perché ciò che conta è solo dentro di noi e solo nostra è la capacità di guardare alla realtà con gli occhi dell’amore.

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Kim Ki Duk, "Ferro tre"

22 Aprile 2020 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni, #cinema

 

 

Corea, 2004

 

È difficile dire se il mondo in cui viviamo è una realtà o una fantasia”. Questa frase appare in sovra impressione nella famosa sequenza finale del film, in cui si vedono due delicati talloni femminili racchiusi tra due piedi maschili che puntano verso di noi, entrambi su una bilancia che segna 0 kg. Impossibile. Deve essere rotta, come nel film ci hanno mostrato già 2 volte. Solo che durante il film la bilancia andava ricalibrata verso il basso, perché dava pesate eccessive. Forse perché segnava la pesantezza della gabbia lussuosa in cui è rinchiusa la protagonista, il cui nome, come quello del ragazzo, non è mai pronunciato. Entrambi invisibili, lui agli occhi della società, lei a quelli del marito che la riempie di oggetti ma anche di botte e urla, che la svuota di ogni aspirazione, di ogni bellezza, di quello sguardo fiero e profondo che conserva solo nelle fotografie che la immortalano in un momento certamente più felice della sua vita. Lui, pur non essendo un barbone è fondamentalmente un senza fissa dimora: entra in abitazioni private i cui occupanti sono provvisoriamente assenti, usa il letto, la cucina, ma ripara anche le piccole cose che non vanno più, lava i vestiti e i piatti, rimette in ordine le vite altrui, a suo modo. Lui, una vita da tenere in ordine non la ha, vive il momento. E per errore entrerà nella casa di lei, proprio perché, essendo invisibile, a differenza dei lividi sulla sua faccia, freschi di una lite col marito, lui non ne percepisce la presenza. Ma si vedono. Non pronunceranno una sola parola tra loro. Ci sarà solo la fuga, mai disperata, mai affrettata, mai spaventata. Nemmeno quando troveranno il cadavere di un uomo morto in casa, anzi, gli faranno un piccolo ma dignitoso funerale e lo seppelliranno. Perché il mondo è disordinato, anche in certe morti lontani dai figli che si preoccupano solo quando non rispondi più al telefono e non ti vengono a trovare pur sapendoti gravemente malato, e la gentilezza è il migliore atto di cura delle cose e delle persone. Ma quella pausa di doverosa delicatezza verso chi non può più provvedere a sé stesso segnerà la fine del viaggio. Lei torna alla odiata vita coniugale, con un coniuge che non si rassegna ad averla triste e sfiorita per sempre, col costante pensiero al ragazzo senza nome. Lui, invece, col sorriso che non lo abbandona mai, sfrutta la detenzione per rapimento per diventare invisibile agli occhi di chi usa la vista per vedere solo ciò che cerca. Solo così potrà tornare da lei evitando la feroce vendetta del marito. E lei per l’unica volta in 87 minuti di pellicola infrange il silenzio e pronuncia una frase, una bugia, enorme, su di sé e i suoi sentimenti. Ma deve farlo, per sopravvivere a quella gabbia dorata di indifferenza. Perché quando vivi in un mondo che costantemente ti ignora, a volte devi tradirlo per potere preservare il reame invisibile in cui puoi essere te stesso e fare entrare l’unica persona o cosa che ti fa nascere un sorriso. E pazienza per gli altri che pensano di esser solo la causa di quella incomprensibile gioia: alla fine vediamo solo ciò che ci conviene vedere. Solo la contentezza può andare contro la forza di gravità. 

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LE NOVE DOMANDE E MEZZA PIU’ PAZZE DEL MONDO… MA NON TROPPO: PATRIZIA POLI

2 Maggio 2020 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #interviste, #poli patrizia

 

Amici del blog che fra le nuvole contemporanee lancia raggi di sole culturale, non poteva sfuggire al nostro appuntamento la super blogger toscana, Patrizia Poli, la nostra amica che, dietro un viso dai tratti gentili e timidi, cela una donna capace di esprimere, attraverso la forza delle sue parole, un’energia che ti contagia e  ti avvicina alla lettura.

Ora ho la possibilità di farvela conoscere un po’ più a fondo, queste sono le domande che stiamo per rivolgerle.

 

1) signoradeifiltri.blog sta scalando le vette delle preferenze, qual è la ricetta del successo di pubblico?

Credo che sia la costanza. Il blog è aperto dal 2012. Otto anni in cui non mi sono mai arresa e, con perseveranza, ho pubblicato quotidianamente contributi interessanti. E l’ho fatto solo per il piacere di farlo, senza pensare se qualcuno leggesse oppure no, senza inseguire il successo a tutti i costi o stare per forza sul pezzo. E la gente ha capito e seguito perché gli argomenti sono tanti e vari, spesso di nicchia e insoliti. Poi mi sono avvalsa, negli anni, di collaboratori entusiasti e competenti come te, una bella squadra che ha fatto la differenza.

 

2) Con un fulmine Re Artù ti ha colpito e ora puoi viaggiare nel tempo. In che epoca preferiresti andare e perché?

Amo il Medioevo ma penso che non fosse comunque una bella epoca per vivere. Pestilenze, guerre, caccia alle streghe, tribunale dell’Inquisizione e ogni gesto della vita quotidiana permeato di fede e riportato alla religione. Pare che facesse anche più freddo di adesso. Amo il Medioevo ma solo nei libri e nei film. Forse sarei stata più adatta a vivere nell’Ottocento, anche se pure lì la speranza di vita era bassa e si moriva di tisi a trent’anni. Mi vedo a Haworth, nello Yorkshire, aggirarmi per la brughiera chiamando Heathcliff. Una cosa molto romantica e tempestosa.

Per tornare ad Artù, ho appena finito di scrivere un inedito basato sulla materia di Bretagna. È stato il libro che mi è venuto più facile, forse perché sono quaranta anni che ho in mente questa storia e questi personaggi. È il più romantico dei miei libri e anche quello più dolce. Artù è un grande, è la regalità fatta persona, è l’axis mundi.

 

3) Scegli un artista del trapassato per la tua copertina.

Dante Gabriel Rossetti

 

4)Il tuo mantra per descrivere il tuo stile.

Riscrivere e riscrivere all’infinito.

 

5) Il tuo colore preferito.

Rosa.

 

6) Consiglia uno dei tuoi libri e perché?

L’uomo del sorriso. Quello al quale sono più legata, il libro della vita, scritto con amore e dolore.

 

7) Hai di fronte l’A.D. della tua casa editrice, una a caso, Marchetti… Come la convinceresti ad accettare che, in occasione della presentazione di un tuo libro, ti metta una parrucca tipo Jessica Rabbit? E per quale tuo libro ti presenteresti cosi?

Farei presto a convincerla perché è una ragazza allegra, pazzerella e intelligente. Ma non mi vedo nei panni di Jessica, piuttosto di Rabbit, il marito coniglio. Forse lo farei per presentare Bianca come la neve, la storia di una vampira.

 

8) La Toscana è una fucina di grandi letterati perché?

Perché ha la lingua più bella del mondo, è la culla dell’italiano. No, anzi, è l’italiano.

 

9) La canzone preferita che canti sotto la doccia.

Non canto, parlo da sola.

 

1/2)Devi litigare con qualcuno, userai i versi di Dante Alighieri della Divina commedia, quali?

"Al cul fece trombetta".

 

Molto bene amici della signoradeifiltri, ringraziamo Patrizia Poli per essersi aperta per voi, perché una scrittrice come lei  potete considerarla una vostra amica, una delle migliori.

Ci rivediamo al prossimo scrittore, qui sempre su questo blog,  e sarà comunque un piacere.

 

 

 

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Federica Cabras, "Guai a ore nove"

3 Ottobre 2020 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #federica cabras

 

 

 

 

Guai a ore nove

Federica Cabras

 

Literary Romance, 2020

pp 291

14,90

 

Se c’è una cosa che Federica Cabras è brava a fare, è raccontare il lutto, la perdita. Ne aveva già dato un’ottima prova anatomizzando la vedovanza in I misteri di una culla vuota, e ce lo conferma in Guai a ore nove, seguito di Un sogno, un amore, un equivoco. In questo caso non si tratta di una morte ma della fine di un amore.

Così come tutta la prima parte de I misteri di una culla vuota era dedicata al dolore disumano della protagonista per la perdita del marito, qui una buona metà del romanzo riguarda l’amore finito.

Ritroviamo Virginia Carta, la graziosa, intelligente, sbadata protagonista del primo libro. Non lavora più all’“Annie”, il bar di proprietà del suo Giorgio, è ormai diventata una giornalista di Interesse comune, il magazine che occupa tutti i suoi pensieri e le sue ore. Si muove alle dipendenze dell’omonima Virginia, direttrice virago che ricorda la terribile Miranda di Il diavolo veste Prada.

Virginia è in crisi con Giorgio, si sono amati alla follia ma ora si lasciano. E non è un facile e frettoloso lasciarsi. Avete presente quelle serie televisive o quei romanzi dove, dopo ore di programmazione o migliaia di pagine, l’amore tanto sudato, tormentato e conquistato, finisce all’improvviso solo per far spazio a una nuova storia? Qui non è così. La Cabras non ha fretta di liquidare Giorgio. Il dolore della sua protagonista rispecchia la vita vera, il tormento del distacco, l’ineluttabilità di un gesto comunque enormemente sofferto.

La vita però va avanti, nell’esistenza di Virginia ora c’è posto solo per il lavoro, complice quell’ambizione che l’ha sempre divorata e che era palese anche nel primo libro. Ma a mettersi in mezzo sarà un collega, Leonardo Ruinas, detto Nardi. Ambizioso quanto lei, lotterà per portarle via il posto. Da qui una serie di scontri, di guerre e divertenti avventure. Alla fine l’inevitabile freccia di Cupido complicherà ulteriormente le cose.

Ritroviamo la Federica Cabras più frizzante e spigliata, con i suoi dialoghi spumeggianti, moderni, insistiti, televisivi, con i suoi personaggi ben disegnati nonostante i cliché del genere - vedi la tremenda nuova coinquilina Zoe - con i siparietti allegri e il linguaggio giovanile. Bypassando accostamenti ovvi come quello con la Helen Fielding creatrice di Bridget Jones – a sua volta ispiratasi niente di meno che a Jane Austen - tornando indietro eoni nel tempo, paragonerei il suo stile a quello dell’Anguissola di Violetta la timida, un’Anguissola senza preoccupazioni moralistiche, attuale, disinibita e sboccata.

Forse si poteva dare più spazio a Leonardo, al nuovo amore, al suo sviluppo. Ma è come se questo nuovo amore Virginia non lo volesse davvero, come se non fosse la cosa importante del romanzo, come se la protagonista avesse bisogno di tornare indietro a una vita fatta di amici e allegra coabitazione, senza responsabilità, senza le costrizioni e i compromessi del vivere in due, ma con tutte le prospettive ancora aperte dal punto di vista dei sentimenti e della carriera.

Insomma, forse, con questo secondo libro, Virginia Carta ci ha detto che non si rassegna ancora a crescere.

 

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La vera letteratura non è un placebo

4 Ottobre 2020 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

La vera letteratura non è un placeboLa vera letteratura non è un placeboLa vera letteratura non è un placebo

Tre libri diversi dal solito sulla mia scrivania. Non i soliti noir, neppure gialli pronto consumo, oggi vera letteratura, storie di vita che fanno pensare.  

Un giallo atipico di Giuseppe Benassi (Tra le tue sgrinfie, Manni) mi trascina nelle atmosfere più cupe della mia Livorno, alle prese con le avventure dell’avvocato Leopoldo Borrani - di cui in passato ho letto alcune storie - soprattutto mi fa conoscere il disfacimento di un mondo borghese, una vita che va in malora, tra malavita e pitture, menzogne, usurai e quadri d’autore. Scrive bene Benassi, con stile suadente e coinvolgente; tra dialoghi rapidi, concessioni alla gastronomia e divagazioni artistiche, sa dove vuole arrivare e ci conduce per mano il lettore.

Valerio Andreuccetti, invece, affida un’esperienza alle pagine di My Sclerosi & Soundtrack (Youcanprint), confessa le sue vicissitudini alle prese con una malattia degenerativa, esprime tutta la sua voglia di vivere con le parole di Vasco Rossi e di Pino Daniele (quando si rifugia nella sua Ventotene). I versi di che ironia/ questa malattia/ che non mi fa dormire/ che non va più via sono il corollario di una storia che è narrazione di vita vissuta, prepotente bisogno di comunicare che diventa racconto, pagine di letteratura intensa e coinvolgente. Potrei aggiungere solo pochi luoghi comuni come quelli che lo stesso autore (giustamente) critica alla mia breve analisi di un testo scritto molto bene, scorrevole, interessante, persino piacevole, nonostante il tema. Una lettura consigliata a quanti vogliano approfondire il tema della sclerosi multipla, dalla malattia alla terapia, fino alle sedute di analisi e al confronto con il mondo circostante. Avrebbe meritato un editore migliore.

Concludo con Gabriele Galloni, giovane e promettente poeta nato nel 1995, scomparso pochi giorni fa, in circostanze ancora da chiarire, che ho letto nella sua raccolta più matura (L’estate del mondo, Marco Saya Edizioni - un editore di pura poesia che andrebbe portato come esempio). Non riesco a recensire la poesia, genere letterario che amo leggere ma che mi astengo dal commentare, preferisco fare mie certe sensazioni, assaporarle fino in fondo e astenermi da giudizi. Galloni è vero poeta perché trasmette emozioni in forma musicale, amo il suo tono crepuscolare, il verso scarno (come dice Antonio Bux, altro grande poeta), quel suo raccontare l’estate come una speranza, l’anima di ogni persona che sogna a mare aperto. Ricordiamo Galloni con alcuni suoi versi:

 

La spiaggia è sempre vuota come allora.
La domenica un paio di ombrelloni
lontani, una famiglia che passeggia
sul bagnasciuga - madre e padre nudi,
i bambini coperti dal medesimo
telo giallo che scolorisce al sole.

Vuole il cielo che tutte le parole
dette e ascoltate si perdano, adesso.
La famiglia è lontana in un fruscio
scomposto di giornale spaginato
dal vento. Il telo giallo se lo porta
via l’onda, i due bambini lo rincorrono,

ridono all’acqua e ai loro genitori.

 

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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Luca Murano, "I vestiti che non metti più"

19 Novembre 2021 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

 

 

I vestiti che non metti più

Luca Murano

 

Edizioni Dialoghi, 2021

pp 127

14,00

 

Rispetto al precedente Pasta fatta in casa, quest’ultima raccolta di Luca Murano mostra un’ulteriore maturazione. Murano scrive molto bene e i racconti de I vestiti che non metti più - dall’apparenza semplice e dall’ironia persino troppo insistita - procurano al lettore una sottile angoscia. Come se lui avesse l'audacia di dire quello che spesso anche noi pensiamo, di guardare al mondo con la nauseata disapprovazione che anche noi vorremmo esprimere senza riuscirci.

È come entrare nella mente del protagonista del film Un giorno di ordinaria follia di Joel Schumacher. Quante volte la realtà ci appare segretamente distorta, spaventosa, deformata? Ma non lo diciamo a nessuno. Quante volte vediamo cose che non ci sono per gli altri ma per noi esistono (come un gatto nel frigorifero)? Quante volte vorremmo sparare sulla folla dalla rabbia che coviamo e, invece, continuiamo imperterriti a sorridere?

Molto si basa sul coraggio, o meglio sul mancato coraggio. Quel gesto che ci salverebbe agli occhi del mondo, e più ancora ai nostri stessi occhi, e che non abbiamo la dignità di fare, perché esporsi è pericoloso, perché siamo piccoli, umani e vigliacchi come il veterinario davanti al cinghiale scongelato per un finto incidente, lo stesso veterinario che non ha mai avuto il coraggio di vivere senza inibizioni la propria omosessualità.

Vorremmo sganciarci, fuggire all’altro capo del mondo, ribaltare tutta la nostra esistenza, invece ci limitiamo a gettare un Estathè nel cestino o a sputare nel piatto di un avventore – così come il protagonista de La Carriola di Pirandello solleva le zampe della cagnetta - e quello rimarrà l’unico, invisibile, incomprensibile gesto rivoluzionario della nostra vita.

Comune denominatore una totale malinconia, un bisogno di riscatto e di speranza, una vaga nausea di esistere, così come siamo, pur nella bellezza del mondo. E i piccoli gesti, i piccoli innocui particolari di tutti i giorni, come aprire il frigo o preparare una torta di mele, si deformano fino a ad acquisire valenza onirica e perturbante.

I protagonisti, spesso alle soglie della mezza età, si guardano indietro e fanno un bilancio, chiedono a se stessi che senso ha avuto arrivare fino a lì, che cosa hanno concluso nella vita e che cosa rimarrebbe di loro se dovessero perire in quel momento. A salvarli, forse è un vago riconoscimento della bellezza della vita a prescindere, e dell’amore, sentimento salvifico, e anche la comprensione che tutto ciò che hanno vissuto, e ambìto in modo ormai velleitario, fa parte di loro, nel bene e nel male, e da lì non possono che ripartire, per andare comunque avanti.

In questa raccolta ci sono novelle surreali ma anche alcune più tradizionali ed elegiache, come Il mio sottosopra, che forse sono l’elaborazione in forma narrativa di una pagina di diario, di un appunto o di un ricordo. Tutte indistintamente sono molto moderne e calate nell’attimo presente – cosa che, temo, potrebbe renderle meno fruibili in futuro. Le similitudini sono tratte dal vivere comune, da ambiti non letterari bensì cinematografici, televisivi e internettiani.

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NKSG ft. ICE ONE - THE LITTLE THINGS - Official Video

7 Gennaio 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #musica

 

 

NKSG (NukleoSoulgang) la Crew italiana di producers e musicisti che miscelano un sound elettronico con un crossover di Hip Hop, Soul, Reggae and Dub. NKSG è un progetto iniziato nel 2015 che ha portato i suoi show Live e in DjSet in tutta italia.

 

 

NKSG ft. ICE ONE  THE LITTLE THINGS Official Video

OUT NOW

 

"Il brano tratta il tema della riscoperta delle piccole cose come l'amicizia, l'amore e gli affetti che sono le uniche cose veramente importanti che danno un senso alla vita di ognuno di noi".

 

Il Videoclip racconta l'importanza delle piccole cose immaginando la vita di uno dei tanti Babbo Natale che dal 25 Dicembre in poi, dopo essere stati al centro del mondo dai primi di dicembre fino al 25, passano dal 26 in poi nel dimenticatoio cadendo in depressione, nella solitudine e nella disoccupazione fino all'anno successivo... ma "le piccole cose", come un gesto di affetto o l'incontro con un amico fedele, possono cambiare tutto in qualsiasi momento.

 

Produced by: NKSG & Gaiden Studio

Music production: Angelo Elle & Ice One

Lyrics: Nukleo

 

Directed and edited by Val Monteleone

Written by Val Monteleone & Nukleo

Something About Us

 

NKSG (NukleoSulgulgang) è una crew di produttori e musicisti italiani che mescolano suoni elettronici con un crossover di Hip Hop, Soul, Reggae e Dub. Il progetto NKSG è iniziato nel 2015 e ha portato i suoi spettacoli tra Live e DjSet in tutta Italia. La NKSG ha partecipato a importanti festival tra cui il Sardinian Reggae Festival, One Love Festival, Aq Music Festival, River Vibes Festival e ha all'attivo un album ufficiale in studio "Background", numerosi singoli, un EP, banche suono, remix e video musicali prodotti dall'etichetta Cookmusic. Angelo Elle e Nukleo, producers e artisti portanti del progetto, danno vita sia in studio che Live a produzioni ed esibizioni che mescolano synth con strumenti dal vivo e campioni. Angelo Elle, sound master del progetto, sviluppa le produzioni curando gli arrangiamenti e la creazione di un suond originale che negli anni sta caratterizzando e rendendo riconoscibile le produzioni NKSG. Nukleo, la voce del progetto, cura la produzione dei testi e svolge una continua attività di campionamento e ricerca di samples che vengono poi utilizzati nelle produzioni e suonati dal vivo contribuendo alla caratterizzazione del sound della crew. Le loro produzioni nascono da provini, testi, loop, campioni o versioni che sono state poi perfezionate e sviluppate nel corso degli anni suonandole in studio o attraverso collaborazioni con altri produttori, dj e musicisti. Il loro approccio produttivo è basato su la contemporaneità e la collaborazione continua con altri artisti e producers. Attualmente la NKSG sta lavorando al nuovo album con Ice One, storico produttore, artista e dj del panorama hip-hop italiano. La stampa musicale ha detto del loro primo album: “Background è un grande album consigliato non solo ai fan del reggae, ma anche a coloro che sono stanchi degli stereotipi della musica nera e sono alla ricerca di una nuova voce e di un sound unico. Buoni testi con messaggi positivi e una ottima produzione ”.

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Lidia Yuknavitch, "La cronologia dell'acqua"

20 Ottobre 2022 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensioni

 

 

 

 

 

La cronologia dell'acqua 

Lidia Yuknavitch

Nottetempo Edizioni, 2022

 

 

Inizio questo libro con i primi due capitoli che spaccano. Intensissimi per il contenuto, un aborto spontaneo al nono mese, scrittura opulenta, un pizzico di olistica che non guasta mai. Poi l'autofiction continua, l'infanzia col padre padrone, la sorella grande che abbandona la casa appena può, pare ci fossero molestie, la madre con la gamba corta succube del marito, lei che annega metaforicamente e non, tutto ciò nelle acque clorate della piscina. Perché è la cronologia del prezioso liquido, non dimentichiamolo. E quindi piscina lì, piscina quando traslocano in Florida, il padre che non vuole che studi, e poi l'acqua diventa quella delle docce dove ammira i corpi delle atlete, la saliva dei baci ambosessi in cui, ancora minorenne, si prodiga con una sessualità promiscua e violenta che manco Moana quando aveva il doppio degli anni, e poi la piscina dell'Università a cui approda per borsa di studio sportiva e dove si fa buttare fuori in due anni perché più che partecipare a orge sempre strafatta e in iperalcolemia non fa. Questa vita al limite viene minuziosamente descritta fino ai 30 anni quando, in questa vita devastata e sprecata Ken Kasey, mica pizza e fichi, di tutto il collettivo con cui scrive riconosce il talento da scrittrice solo in lei, e glielo dice pure senza infilarle dentro nessun organo dei suoi. Miracolo. Scopriamo poi che il primo racconto con cui lei si fa notare si intitola "la cronologia dell'acqua", e tutto mi fa pensare che fossero i primi due notevoli capitoli a cui poi viene aggiunto tutto questo pippone. Ma quando a metà libro lei invita la sua scrittrice feticcio alle 4:30 del mattino a schiaffeggiarle la patafiolla squirtando come un idrante, no raga, io mi sono arresa e mi sono chiesta "ma che cavolo sto leggendo? Ma questa sarebbe una scrittrice di talento?" Un elenco di umori corporali rilasciati a ogni pagina, una storia inesistente, l'ennesima, posso dirlo?, storia che con la scusa di universalizzare il proprio vissuto  ammira il proprio ombelico peraltro pieno di lanetta puzzolente. Ma anche basta di scrittori che producono grazie alle loro nevrosi. Ma basta di gente che ci fa credere che vivere per raccontarla sia sprecare la vita per poi miracolosamente scoprirsi talentuosi e ripercorrere i folli anni del prima. Ma basta proprio parlare di sé in un afflato narcisistico a spirale. Macchissenefrega di quello che hai fatto o del fatto che quando lo hai fatto non capivi nulla perché eri ottusa da sostanze psicotrope? Ma che plusvalore mi da questa scappata di casa? Ma chi lo dice che i suoi libri valgono, addirittura ha una cattedra negli USA dove insegna scrittura. Ah beh. Figuriamoci. Comunque mollato a 2/3. E non mi è piaciuto a parte i primi capitoli, nel caso non mi fossi spiegata bene.

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Enzo Concardi, "La mente e i luoghi"

18 Gennaio 2023 , Scritto da Raffaele Piazza Con tag #raffaele piazza, #recensioni, #saggi, #luoghi da conoscere, #enzo concardi

 

 

 

Il volume che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Claudio Smiraglia esauriente centrata e ricca di acribia.

La mente e i luoghi sottotitolato Montagne, viaggi, avventure, come scrive lo stesso Concardi nell’introduzione, è una pubblicazione sotto forma prevalentemente di articoli, di riflessione, brevi saggi di ricerca e qualche volta anche di narrazione di eventi.

Si suddivide in quattro parti: Messaggi in bottiglia (1), Dimensioni altre (2), Arpe fatate (III), Per le vie del mondo (IV), tutte suggestioni che rispecchiano una visione lirica e conoscitiva allo stesso tempo, frutto di decenni di frequentazioni montane e altre, effettuate per passione alla ricerca d’incontri, amicizie, momenti di vita intensi e significativi, finestre di solidarietà umana. Il bilancio è altamente positivo in termini di arricchimento generale dello spessore esistenziale e della gamma emotiva.

La ricerca esistenzialistica del senso della vita nelle sue varie circostanze associata al cronotopo, nel tendersi verso istanti perfetti che accadono senza sforzo e non si cercano, attimi spesso sottesi alla contemplazione estatica della natura che attraverso gli occhi entra nell’anima. Il primo frammento della prima sezione è intitolato “Natale da vivere, Natale da consumare” e nel leggerlo viene in mente il saggio di Benedetto Croce Perché non possiamo non dirci cristiani quando il Nostro afferma che la festa del Natale è entrata nel patrimonio storico di tutti i credenti e non credenti, cristiani e laici e potremmo aggiungere nelle coscienze di quasi tutti i popoli del pianeta terra e, del resto, ha scritto giustamente un teologo che con Gesù non si finisce mai a partire dai crocifissi d’oro al collo di ragazze e questo vale anche per gli agnostici e gli atei.

È anche una scrittura di denuncia a livello politico-sociale quella di Enzo perché è detto che in un Convegno del Club Alpino Italiano sono state denunciate tutte le distorsioni del sistema economico all’attacco del bene-montagna ai fini esclusivi di lucro senza la benché minima salvaguardia ambientale.

Invece scrive Enzo che la montagna autentica, quella dei montanari, delle vette, della civiltà alpina dei ghiacciai e delle bufere, delle rocce e dei rifugi, dei boschi e del vento delle cose antiche e del silenzio e dei valori umani, della saggezza e del coraggio, della memoria e della speranza delle suggestioni e delle emozioni… chi la ricerca ancora?    

Quindi è la montagna con il suo indiscutibile fascino la protagonista del libro perfettamente orchestrato architettonicamente composito e articolato e bello è il connubio che si viene a creare tra l’insieme dei frammenti e le affascinanti fotografie riprodotte (scattate quasi tutte dall’autore, tranne Valle Spluga che è di Domenico Lorusso).

E le montagne dette con urgenza non sono solo le Alpi e gli Appennini ma per esempio le Calanques che sono montagne calcaree biancheggianti che si gettano a precipizio nel mare con pareti altissime o formano baie o insenature dai fondali limpidissimi.

Ma c’è anche il rovescio della medaglia perché anche nella nostra contemporaneità tecnologica come si apprende dalle cronache continuano ad accadere incidenti mortali in montagna nella quale perdono la vita gli scalatori a conferma che la natura stessa è superiore all’uomo che è egli stesso natura ma che non è superiore a se stesso.

Raffaele Piazza  

 

 

Enzo Concardi, La mente e i luoghi. Montagne, viaggi e avventure, pref. Claudio Smiraglia, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 240, isbn 978-88-31497-81-7, mianoposta@gmail.com.

 

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Rossella Abortivi, "Corrispondenze"

26 Agosto 2023 , Scritto da Raffaele Piazza Con tag #raffaele piazza, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Abortivi Rossella

 

CORRISPONDENZE

 

La raccolta di poesie che prendiamo in considerazione in questa sede presenta una prefazione di Enzo Concardi esauriente, centrata e ricca di acribia.

Scrive il critico che la poesia di Rossella Abortivi è essenzialmente di carattere esistenziale ed onirico allo stesso tempo con un’alternanza fra realtà e sogno che mette in luce i chiaroscuri di una vita vissuta con ritmi bipolari.

Evocativo il titolo Corrispondenze che farebbe pensare ad un’idea della ricerca espressa simbolicamente di inviare messaggi in bottiglia gettati nel mare del web.

Ogni singola poesia diviene una missiva per il fortunato lettore e tuttavia non può prescindere dalle altre, vista la compattezza semantica del volume espressione di una vita in bilico tra gioia e dolore come condizione umana imprescindibile per cui il lettore, cosa che accade spesso può identificarsi con l’io-poetante anche per l’universalità delle situazioni descritte in un’atmosfera di onirismo purgatoriale che ha un indiscutibile fascino,

Tutti i componimenti presentano i versi centrati sulla pagina elemento che crea un ritmo sincopato che genera una felice musicalità.

Sospensione e magia in questi versi leggeri e icastici che centrano l’anima del lettore generando forti emozioni.

Poetica neolirica tout-court quella della Abortivi che sembra provocare nel lettore un’immersione nelle acque di un di un lago rilassante e protetto più che in un oceano con tempeste e del resto la natura è uno sfondo controcampo alle parole dell’autrice dette sempre con urgenza.

Leggiamo nella splendida poesia Figlia: «È un segmento appuntito / che vibra nell’aria / il tuo lamento notturno / o bimba rosa, / batuffolo di rugiada mai spento...».

Una chiarezza che si coniuga a luminosità pare essere la cifra essenziale del poiein di Rossella elemento connesso ad un forte amore per la vita che la poetessa mette in scena con levigate pennellate di stringhe di sintagmi e unità minime che si aggregano con effetti di straniamento.

In Nebbia è affrontato il tema del tempo: «Nelle mie giornate di nebbia / c’è il calore del cuore / stretto nella morsa del passato di / sbarre pungenti / nere / pesanti».

Il passato qui è una provenienza della quale ogni riferimento resta taciuto e la nebbia del titolo diviene simbolo del dolore.

Mirabile il componimento Azzurro tratto dalla sezione Epochè che significa in filosofia sospensione del giudizio: «Vorrei entrare / nelle finestrelle del cielo / accucciarmi tra le nuvole / e dormire…».

Il senso di una reverie si stempera nella linearità dell’incanto costituendo atmosfere suggestive di grande bellezza nella sottesa consapevolezza del ruolo salvifico della poesia stessa e spesso quella che si potrebbe chiamare dolcezza si adegua ai canoni del mal d’aurora anche se non manca la tematica del male di vivere di montaliana memoria.

Anche il tema amoroso è affrontato in modo sublime in Lampadina: «Il mio amore è come una lampadina / a tratti si accende con bagliori di fuoco / e illumina intere contrade / di desiderio infinito…»

Un esercizio di conoscenza in versi di spiccata originalità in controtendenza con l’oscurità dei nei orfismi e degli sperimentalismi.

Raffaele Piazza

 

 

Rossella Abortivi, Corrispondenze, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2023, pp. 68, isbn 979-12-81351-07-3, mianoposta@gmail.com.

 

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