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Aldo Dalla Vecchia, "Vita da giornalaia"
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Vita da giornalaia
Aldo Dalla Vecchia
Murena editrice, 2015
pp 47
8,00
Ci siamo occupati ampiamente di questo testo, quando era ancora un brogliaccio di un’opera teatrale che stava per andare in scena. Vi rimandiamo perciò alla lettura della precedente e dettagliata recensione. Possiamo solo aggiungere che adesso questo atto unico è diventato un libro vero, con una copertina deliziosa, che richiama, appunto, la Vita da giornalaia, trascorsa dentro un'ipotetica, coloratissima edicola, piena di tutte le testate care all’autore.
Rispetto al copione teatrale, la voce fuori scena si è trasformata in un personaggio che pone domande. Sorge il dubbio che intervistato e intervistatore siano la medesima persona. È se stesso che Aldo Dalla Vecchia interroga, è dentro la sua memoria che fruga alla ricerca di pezzetti di vita dolceamari.
Gli argomenti sono quelli trattati abitualmente dall’autore: la gavetta come giornalista, la carriera in ascesa, che lo ha portato a lavorare come autore di importanti programmi televisivi e collaboratore di note testate, il contatto diretto con i più importanti e glamour personaggi dello spettacolo. Possono sembrare temi non particolarmente rilevanti o impegnati, ma a vivificarli ci sono la dolcezza e il garbo con cui Dalla Vecchia ne parla. La sua passione è profonda, tutto è permeato di nostalgia, dolce ma non zuccherosa, tenera e delicata come il suo animo da eterno ragazzo perbene.
Attraverso i ricordi, ripercorriamo tempi televisivi ormai scomparsi, divenuti quasi epici, incontriamo personaggi forse sopra le righe ma sempre signorili. Ci appaiono più attraenti, più puliti, più affascinanti di quelli di oggi. Oppure, chissà, magari è solo il rimpianto a farci sembrare bello tutto quello che ormai è solo reminiscenza. Come le puntate de La casa nella Prateria, come gli sceneggiati, i quiz del giovedì, il pappagallo di Portobello. Come tutto quello che ci ricorda come eravamo e come non saremo mai più.
Fondamentale il passaggio dalla tv di stato a quella sbarazzina delle reti commerciali. E ciò è tanto più significativo in questo momento in cui tutto sta di nuovo mutando in modo epocale, con l’arrivo dei canali digitali, della tv on demand e interattiva.
“La fine degli Anni Settanta segnò, almeno per me che ero bambino e appassionato di televisione, un passaggio epocale e uno choc benefico, con l’arrivo dei programmi a colori e la nascita delle tivù private, una su tutte Telemilano 58, la futura Canale 5, dove ritrovai molti dei miei beniamini.”
Che rimane di quei tempi pionieristici? Il mondo catodico che conoscevamo sta sparendo, i grandi del passato se ne vanno, a uno a uno, ormai solo illustri fantasmi in Techetechetè, più simile ad un triste necrologio che ad un vivace preserale.
Aldo Dalla Vecchia, "Vita da Giornalaia"
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Vita da Giornalaia
Aldo Dalla Vecchia
Vi proponiamo un’anteprima teatrale dal sapore del tutto esclusivo che dovrebbe uscire a breve anche come testo narrativo.
C’è un attore al centro della scena e c’è una voce fuori campo che pone delle domande. Quello che potrebbe essere un lungo monologo si trasforma in un’intervista, dove il ruolo dell’intervistato e dell’intervistatore si scambiano. A subire un fuoco di domande, infatti, è colui che per abitudine, per professione, per competenza, di solito le ha sempre fatte: lo scrittore, giornalista e autore televisivo Aldo Dalla Vecchia.
Aldo racconta la sua gavetta di figlio d’industriale che ha sempre amato la parola scritta più dell’azienda di papà. Fin da piccolo ha avuto nel sangue il desiderio di diventare giornalista. Lasciato Chiampo, piccolo paese del vicentino, per Milano – città della quale s’innamorerà al punto da piangere di gioia ritornandovi dopo un “brutto” soggiorno romano – Aldo comincia un iter fatto di telefonate in tutte le testate. Si arma di gettoni, occupa una cabina e chiama la “spettabile redazione”. Alla fine qualcuno risponde. Da “Epoca” a “Sorrisi e Canzoni tv”, Aldo si fa strada nei giornali più importanti, dove si occupa di costume e di gossip, di musica, di spettacolo, di arte.
Ma Aldo appartiene anche a quella generazione che ha vissuto il passaggio dalla tivù di stato a quella commerciale. Da una televisione ingessata, didascalica, moralista, si ritrova catapultato in un’emittente fantasmagorica e yuppi. È la nuova tv del biscione, quella dei mitici anni ottanta, dei lustrini, con tutti i chiaroscuri del caso.
Aldo viene accolto in Mediaset e ne vive forse il periodo più innovativo e brillante, quello degli esordi, del Drive in, della Milano da bere. Firma un programma che resta nella storia della televisione “Target”, partecipa a “Verissimo”, a “il Bivio” e a “Giallo Uno”.
Tutto il monologo è una scoppiettante rievocazione di tanti anni di televisione e di mille incontri, da quelli con i miti come Mike Bongiorno, a quelli con personaggi colorati e istrionici come l’amico Malgioglio, Platinette, Moira Orfei, la sensuale Alba Parietti dei tempi del glorioso sgabello. Scorrono sotto i nostri occhi tutti i big: Raffaella Carrà, Mino Reitano, i Pooh, Rita Pavone, Miguel Bosè, Amanda Lear. Il pezzo è tutta una carrellata di soubrette e soubrettine, di personaggi chiacchierati, come Nina Moric e Fabrizio Corona, ma anche di contatti professionali importanti, di maestri del giornalismo e della televisione come Maurizio Costanzo.
Il tono è disteso, ironico, facile ma in grado di ricostruire dall’interno un mondo che tutti noi conosciamo solo superficialmente, senza renderci conto del lavoro che c’è dietro, della fatica anche fisica. Immaginiamo l’impegno, gli appostamenti in attesa del vip di turno, la difficoltà di ottenere l’esclusiva di un’intervista, il lavoro certosino che sta alla base di un programma, la dedizione e la passione di chi non conosce domeniche o feste comandate.
Si spazia attraverso tutta la storia della televisione, da “Pippi Calzelunghe” a “La Casa nella Prateria”, da “Michele Strogoff” a“Drive In”, da “Orzoway” al “GF” - autentico spartiacque fra ciò che lo ha preceduto e la grande stagione del reality – e, ancora, dalla tivù generalista ai canali digitali.
Il testo si apre in due direzioni: da una parte l’approfondimento saggistico, dall’altra la memoria. Le due componenti si fondono in una sola, cosicché l’excursus attraverso la storia della televisione è tracciato sul filo di una prepotente nostalgia personale.
“La fine degli Anni Settanta segnò per noi piccoli telespettatori un passaggio epocale e uno choc assoluto ma benefico, con l’arrivo dei programmi a colori e la nascita delle tivù private, una su tutte Telemilano 58, la futura Canale 5 dove ritrovai molti dei miei beniamini. Il primo è stato Mike; dopo di lui, arrivarono Loretta Goggi, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, Corrado: tutti transfughi dalla Rai.”
CriticaLetteraria: #Anteprima: Aldo Dalla Vecchia, "Vita da Giornalaia"
Vi proponiamo un'anteprima teatrale dal sapore del tutto esclusivo che dovrebbe uscire a breve anche come testo narrativo. C'è un attore al centro della scena e c'è una voce fuori campo che pone ...
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Aldo Dalla Vecchia, "Amerigo Asnicar"
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Le avventure di Amerigo Asnicar
Aldo Dalla Vecchia
Graphe.it Edizioni, 2021
pp 92
11,90
Nostalgia nella nostalgia. Sì, nostalgia, perché questo romanzo, lieve come una caramella che si scioglie sulla lingua, io lo avevo già recensito quando uscì in forma ridotta. Adesso, Aldo Dalla Vecchia - giornalista, autore televisivo e scrittore - lo ha rieditato aggiungendo nuovi gustosi racconti che compongono le avventure di Amerigo Asnicar, personaggio in tutto e per tutto ispirato ad Aldo stesso e al mondo da lui frequentato.
E nostalgia perché il periodo in cui il libro è ambientato, attorno al 2015 dell’Expo, sembra, alla luce di ciò che poi è avvenuto, lontanissimo. Nonostante la forte crisi economica, era ancora un mondo pieno di vita e di cose, fra partite a carte, viaggi, aperitivi, e lavoro senza mascherine sulla faccia.
Da sempre l’autore ci introduce nell’ambiente televisivo, quello fatto di vip, stelline e paillettes, un habitat che lui adora fin da bambino, che vive dall’interno per motivi professionali e che, comunque, ha sempre osservato con distacco bonariamente ironico.
Amerigo Asnicar conduce la stessa vita di Aldo Dalla Vecchia, fa le stesse cose, e frequenta le stesse persone - fra studi televisivi, vernissage e tornei di burraco –, in una Milano amata, dove si muovono personaggi reali o comunque riconoscibili, come la soubrette Alda Marietti, chiaramente riconducibile ad Alba Parietti. Nell'esistenza del protagonista sorgono complicazioni dai risvolti gialli, che è bravo a risolvere, dipanando le matasse alla svelta.
Non sono tanto le trame poliziesche a costituire l’interesse precipuo di questo libro, formato da sei racconti, quanto l’aura gentile e perbene che da sempre accompagna gli scritti di Dalla Vecchia, e il trovarci faccia a faccia - in modo leggermente voyeuristico per noi lettori – con personaggi di cui tutti abbiamo sentito parlare e che ci incuriosiscono, anche quando non lo ammetteremmo mai.
L’altra fonte di interesse è lo stile di scrittura di Dalla Vecchia, sempre pulito, scorrevole, prezioso nella sua semplicità raffinata, uno stile dilettevole che ti tiene incollato alle pagine di qualunque cosa l’autore parli.
Piccola chicca nella chicca, una canzone inedita di Cristiano Malgioglio dal testo piacevole e leggermente hot.
Aldo Dalla Vecchia, "La consapevolezza di te"
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La consapevolezza di te
Aldo Dalla Vecchia
Isenzatregua Edizioni, 2020
pp 140
12,00
Aldo Dalla Vecchia è sempre Aldo Dalla Vecchia anche quando, con un libro come La consapevolezza di te, spalanca un mondo che la sottoscritta non conosceva. È sempre lui anche quando usa parole oscene e riporta incontri – veri o presunti – scaturiti da chat a scopo sessuale.
A frequentare queste chat erotiche che si concludono a letto sono, ci spiega, non soltanto omosessuali ma molti cosiddetti etero, o meglio maschi sposati, con figli e una vita dall’apparenza banale. Forse è questa tediosa normalità che li spinge a fare sesso con altri maschi, oppure è – come sospetta l’autore – uno stratagemma per non indagare il proprio latente essere gay. Cosa che, invece, l’autore fa con spietatezza e compassione, con lotta e accettazione, con sofferenza ed epifania.
Una serie di quadretti corredati di illustrazione finale – soluzione non nuova all’autore – dove, invece del solito gustoso bozzetto di costume televisivo, c’è l’incontro con un esemplare umano di sesso maschile. Dalla Vecchia colloca ognuno di questi personaggi sotto una lente d’ingrandimento, lo seziona e analizza. In questo procedimento, nonostante l’eccitazione, l’eros, la libido, l’autore rimane distaccato. Così, oltre ai partner erotici, l’autore viviseziona anche se stesso, le proprie reazioni, i propri gusti, accettandosi senza forse piacersi del tutto. Quel narrare in seconda persona è sintomo di un voluto allontanamento, del mancato coraggio di dire “io” e del coinvolgimento di ciascuno di noi, tutti potenziali attori di insospettate trasgressioni porno ma non solo.
Con questo libro Aldo Dalla Vecchia torna indietro di anni, come se sentisse il bisogno di svincolarsi da tutte le sovrastrutture accumulate nel tempo, che pure fanno parte di lui - la cultura, la professionalità, le relazioni affettive e amicali - per mostrarsi nudo nel vero senso della parola, per riscoprire il nocciolo più autentico di se stesso donandogli in questo modo una nuova purezza. Capiamo che, dopo la lunga guerra interiore, egli finisce per recuperare tutte le parti di sé, per voler bene a quel ragazzo timido il quale ha cercato con tutte le sperimentazioni possibili la propria unicità.
Il grande assente di questa narrazione, vuoi per pudore, vuoi perché non è l’oggetto dell’indagine, è l’amore, se non accennato come ricordo infantile. Ciò connota di tristezza un contenuto che sarebbe solo squallido e arido se non fosse, appunto, esposto con freddezza da entomologo, con la solita lucida – e al tempo stesso innocente – ironia di Dalla Vecchia, quel suo rimanere elegantemente perbene anche quando tratta una materia scabra con termini crudi e brutali.
Aldo Dalla Vecchia, "Rosa Malcontenta"
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Rosa Malcontenta
Aldo Dalla Vecchia
Sei Editrice, 2013
pp 111
8,00
“Rosa Malcontenta" di Aldo Dalla Vecchia, caso letterario nato sul web, poi riadattato per il teatro, e infine approdato al cartaceo grazie al premio In Primis della Sei editrice, ti afferra fin dalla prima riga e ti fa precipitare in un niente apparente. Un niente dal quale non esci più, fino a che non hai esaurito l’ultima parola. Capoversi, frasi che iniziano e poi finiscono come in una poesia. Dentro c’è tutto, la vita di ognuno di noi, la vita di Rosa e di suo marito Martino, nella provincia veneta di qualche decennio fa.
Un raccontare paratattico portato alle estreme conseguenze, con un minimalismo affinato nei particolari che non impoverisce la materia ma anzi la esalta, la rende più significativa. Come importanti, se ci pensiamo, sono le piccole cose della nostra esistenza, quelle che poi ricorderemo, anche a distanza di anni.
“È uscito con i capelli tirati all’indietro e lisciati con la gommina.
Indossava una maglietta bianca a costine e mutandoni alla coscia.Aveva esagerato con il profumo.” (pag 3)
Un minimalismo pregno, dunque, di cose non dette eppure essenziali, tali da annichilire se ignorate.
Rosa e Martino si conoscono, si sposano, hanno due figli, Adri e Ruben, un’azienda, un giro di parenti, una vita normale, da persone senza pretese né cultura, ma dietro, sotto, dentro, covano dolori, che spesso procedono dal non detto, come l’omosessualità mai esplicitata di Adri. Se uno sa guardare, però, in questa vita normale, in queste “cose da niente”, ci sono increspature, lacerazioni, correnti sotto gli occhi di tutti ma di cui si evita di parlare. Non lo dico quindi non c’è, non sussiste.
Non c’è la pazzia di Lucia, non c’è il ritardo mentale di Achille, Adri non è un bambino solo, debole, effeminato. Non esistono nemmeno gli uomini con cui Rosa si consola da vedova, con brevi, inconcludenti, storie. E non esiste il dolore lacerante della perdita di un marito, della morte di un figlio. Non viene mai confessato, concretizzato. Eppure monta, parola per parola, particolare per particolare, fino a che non deflagra.
Il romanzo si chiude come si è aperto, sulla mancata felicità di Rosa, preconizzata dal marito col soprannome “Malcontenta”, senza sapere che accompagnerà tutta la vita della moglie, incapace d’ignorare i segnali sotterranei, l’oscurità latente, incombente.
“Mio marito per prendermi in giro mi chiamava Malcontenta, perché prima di sposarmi abitavo a Malcontenta, in provincia di Venezia, dal nome della villa del Palladio.” (pag.5)
Rosa non ammette mai la sua angoscia, che esplode solo nel sogno, regno dell’inconscio, del “non detto”.
“Il latte era sempre più dolce e sempre più caldo, e io non ero mai sazia, e non ce la facevo a staccarmi. Adri continuava a guardarmi e a sorridere, e il latte non finiva mai.
In quel momento sentivo che ero finalmente felice.” (pag 111)
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CriticaLetteraria: Aldo Dalla Vecchia, "Rosa Malcontenta"
" Rosa Malcontenta" di Aldo Dalla Vecchia, caso letterario nato sul web, poi riadattato per il teatro, e infine approdato al cartaceo grazie al premio In Primis della Sei editrice, ti afferra fin ...
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Aldo Dalla Vecchia, "Abracadabra"

Abracadabra
Aldo Dalla Vecchia
Pegasus Edition, 2017
pp 117
Aldo Dalla Vecchia, più che scrittore o autore televisivo, è principalmente giornalista, il mestiere che voleva fare fin da piccolo. E con Abracadabra torna alle origini: venti interviste a personaggi noti del mondo dello spettacolo. Le domande hanno a che fare con la rivista Mistero, di cui Dalla Vecchia è collaboratore, e riguardano il paranormale, la spiritualità, la religiosità. Vanno, insomma, a scandagliare il lato più privato della mente umana, dove risiedono le verità personali e nascoste di ognuno di noi, ciò che pensiamo della vita, della morte, di Dio.
Colpisce – come anche in Piccola mappa della nostalgia – la capacità di trasformare piccoli accadimenti, piccoli ricordi, piccole (ma anche grandi, visto i temi trattati) realtà in qualcosa di mitico che, non sappiamo nemmeno noi perché, ci catapulta indietro, in un passato quasi favoloso. Così come quando Enrico Beruschi ricorda il passaggio dalla televisione di stato a quella fantasmagorica di Mediaset. Nel libro si parla di trasmissioni allora d’avanguardia e cult come Non Stop e Drive In, ma anche di rapporto con Dio, di colloqui con papi, di superstizione, di dogmi, di ricerca profonda di fede e spiritualità, come nel caso di Al Bano colpito dal grave lutto familiare o di Diego Dalla Palma, sempre più isolato e meno mondano. Ci sono anche personaggi a mio parere antipatici e criptici – che forse non nascondono nulla se non il bisogno di fare qualche soldo e acquistarsi un po’ di fama- come Lory Del Santo, o assolutamente sopra le righe e insopportabili come il Divino Otelma. Ma in tutti appare un bisogno comunque di ricerca, di speranza e di qualche cosa che non sia solo la materia. E per molti sensibilità equivale a sofferenza.
Il tutto è esposto con la consueta delicatezza e leggerezza di tocco, tratti che riescono a rendere gradevole, non pesante ma nemmeno futile, qualunque argomento. Lo stile è sciolto, piacevole, molto scorrevole, il libretto si legge in fretta, presi, come sempre nel caso di Dalla Vecchia, da un interesse che non sappiamo neppure da dove scaturisca, forse proprio dal suo modo di scrivere elegante e ingenuo insieme. Anche il titolo stesso, Abracadabra, ammanta di levità e magia argomenti profondi come la metempsicosi, il ruolo della chiesa cattolica o l’omosessualità.
Aldo Dalla Vecchia, "Viva la Franca".

Aldo Dalla Vecchia è davvero instancabile. Dopo averci deliziato con Mina per Neofiti, ritorna con questo nuovo libretto, sempre per i tipi di Graphe.it, dedicato a Franca Valeri e ai suoi splendidi cento anni.
Franca Norsa, in arte Valeri, nasce a Milano nel 1920 e sta per compiere cento anni. Oggi la sua voce nelle interviste è un poco strascicata ma non ha perso il fascino e il piglio è il solito: arguto, intelligente, intellettuale, sobrio.
Aldo Dalla Vecchia compie un excursus in stile saggistico, non ripercorrendo diacronicamente tutta la vita della Valeri ma analizzandola, sempre cronologicamente, attraverso le varie arti nelle quali ha eccelso. Si parte dal teatro, per approdare alla radio, quindi al cinema, alla televisione, alla pubblicità (una forma d’arte anch’essa) per finire alla scrittura.
Quest’ultima è la base delle precedenti. Dietro ogni personaggio teatrale, radiofonico, televisivo o cinematografico c’è, in effetti, la scrittura lucida e tagliente della Valeri, definita “chirurgica”. I suoi personaggi sono raffinati, popolari ma non per tutti. Le sue signorine snob, la signora Cecioni, la sora Cesira e i tormentoni come “Scostumato” sono rimasti nell’immaginario e nel linguaggio comune, ma hanno anche saputo fustigare con arguzia e determinazione i vizi della società dell’epoca. La Valeri fa parte di quel panorama colto e blasé da cabaret meneghino anni settanta, quello a cui apparteneva anche Giorgio Gaber.
La sua è una comicità basata sul reale ma anche assurda, cerebrale, caustica. Ella incarna un modello di donna diversa da tutte le altre, la cui principale realizzazione non è la vita coniugale ma che, in ogni caso, sente la sua relativa indipendenza – spesso minata da madri ingombranti e autoritarie – come malinconica solitudine. Una donna moderna e avanti con i tempi, elegante ma che non ha mai puntato sull’aspetto fisico, piuttosto sul cervello e sull’autoironia pungente e sarcastica.
Franca Valeri è davvero patrimonio della nostra cultura nazionale.
Aldo Dalla Vecchia, "Mina per neofiti"

Mina per neofiti
Aldo Dalla Vecchia
Graphe .it, 2020
pp 101
8,50
Prima di parlare di Mina per neofiti, ultima fatica di Aldo Dalla Vecchia, devo fare una precisazione che scandalizzerà i più e mi attirerà il discredito di tutti. A me non piace Mina, non amo la sua voce – quando la sento cambio canale – non amo il suo personaggio né chi, come il giornalista Vincenzo Mollica, l’ha sempre incensata e ha contribuito a costruirne il mito. Penso che sia una bravissima cantante, una raffinata interprete, con dei notevoli virtuosismi vocali, ma come ce ne sono altre, ad esempio Giorgia.
Ho letto questo libro, tuttavia, con interesse, e con un pizzico di curiosità. L’interesse è stato soddisfatto, la curiosità no.
Il fascino di questa biografia – definita un “bigino”, un manualetto di consultazione sulla carriera e le opere della tigre di Cremona - sta ancora nell’inconfondibile penna di Aldo Dalla Vecchia, sempre garbata e nostalgica, che ci fa rivivere molti decenni della nostra cultura nazionale. A parte la Storia con la Esse maiuscola, quello che impatta sul lettore è il fascino della ricostruzione d’epoca, le piacevoli atmosfere del tempo che fu, il rimpianto.
Preferisco la parte dedicata agli anni sessanta e settanta, quando Mina si concedeva ancora come personaggio televisivo glamour. Televisione degli esordi, quella, con show come Milleluci capaci di fare ventitré milioni di spettatori, cifre inarrivabili oggi. Rivediamo Mina con Raffaella Carrà, a colpi di tacchi, minigonne e ombelico scoperto, oppure Mina con Alberto Lupo, eroe de La Cittadella, sogno erotico delle casalinghe, con la sua voce suadente e le sue “parole parole” riprese persino da Papa Francesco.
Mina è stata, oltre che una brava cantante, un personaggio sofisticato, elegante, modernissimo che molte donne imitavano per look e acconciature. Dopo si è trasformata in un mito sfuggente, una sorta di Elena Ferrante della musica. Laddove Battisti è riuscito, ahimè, addirittura a morire, lei si è limitata a oscurarsi, a rendersi irraggiungibile, preziosa e… “costosa”.
Il personaggio Mina, oggi ormai alle soglie degli ottanta anni, è qui mostrato nelle sue molteplici sfaccettature, ad esempio la sua partecipazione come articolista a giornali importanti. Pare che Mina Mazzini abbia, oltre ad un’ugola d’oro, anche una penna sagace e incisiva.
La mia curiosità, invece, è stata disattesa. Mi aspettavo più gossip, più vita privata, proprio quella che Mina ha sempre difeso mascherandosi e ammantandosi, ma nel libro non si parla né di amori né di pettegolezzi. L’autore, innamorato della cantante e della sua arte, ne ha rispettato la scelta di libertà e autonomia, scrivendo un libro asciutto, che ha quasi lo stile di una tesi di laurea, arricchito da preziose testimonianze d’epoca, tratte da giornali, riviste, saggi, biografie e interviste.
A livello personale ne ho tratto godimento rievocativo, come sempre con le opere di Dalla Vecchia, ma anche un quadro utile e puntuale della carriera di un’artista senz’altro fondamentale nel panorama canoro e culturale italiano.
Aldo Dalla Vecchia, "Specchio segreto"
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Specchio segreto
Aldo Dalla Vecchia
Sei Editrice, 2014
pp 298
14,00
Educazione è una parola talmente superata, al giorno d’oggi, da apparire rivoluzionaria. Il garbo con cui sono condotte le interviste che Aldo Dalla Vecchia - autore televisivo e teatrale, giornalista e romanziere – raccoglie nel volume “Specchio segreto”, chiamato come il programma (cult diremmo oggi) di Nanny Loy, per celebrare i sessant’anni della televisione, sfocia in uno stile pulito, elegante, da articolista perbene di una volta.
Dopo una poco significativa introduzione di Maurizio Costanzo, sfilano sessanta interviste precedute da un piccolo commento dell’autore, che spaziano dal 1992 al 2013, rilasciate da personaggi televisivi, alcuni immensi, come Mike Bongiorno o Pippo Baudo o Raffaella Carrà, altri minori ma sempre noti al grande pubblico. Il taglio di ogni articolo è angolare, non contempla tutto il personaggio, la sua vita o la sua opera in toto, ma lo ritrae di scorcio, zoomando su qualche mania privata, come la collezione di bambole di Paolo Limiti, gli omogeneizzati serali di Cristiano Malgioglio, l’amore per le pellicce di Sandra Milo, di là da ogni animalismo. Carrellate di volti, di studi televisivi, ma anche appartamenti, divani, cucine, ninnoli, paillettes e lustrini a profusione.
Per l’autore è una specie di compendio di tutto ciò che ha visto e fatto, dietro le quinte dei programmi tv e da collaboratore di testate importanti come “Epoca” e “Sorrisi e Canzoni”. Vive la cosa da addetto ai lavori ma soprattutto da innamorato della televisione.
Per noi che leggiamo, invece, è curiosità, voyeurismo bonario e pudico. Ci lasciano interdetti certi atteggiamenti kitch. Alba Parietti che per il cinquantesimo compleanno dà una festa degna di Sorrentino, rifacendosi al film “Eyes wide shut”, fra maschere veneziane e miniature di se stessa in bilico sulla torta. Marcella Bella che descrive casa sua come se fosse normale avere “la zona relax, con palestra, sauna, bagno turco, ping pong e biliardino”.
Dal lato opposto, la stessa morbosità applichiamo nei confronti di chi, come la Panicucci, ci appare “normale”, nel suo affannoso destreggiarsi fra figli e lavoro. Lo “spezzatino con patate” che prepara per cena ci rassicura, e, tuttavia, diventa l’altra faccia della medaglia, ridimensiona e bilancia i cinquanta cappelli impilati in casa di Malgioglio. Vita da vip che stupisce sia nella sua stravaganza che nel suo opposto, l’ordinarietà.
Ma, più di ogni altra cosa, quella di Dalla Vecchia è un’operazione nostalgia. Si torna indietro, agli albori della tv commerciale, si torna alle piazze in delirio per un ragazzo col codino, di nome Fiorello, che faceva cantare la gente in strada, aiutato da un parente stretto non ancora divenuto il grande attore drammatico di oggi. Si torna a sederci sul divano con Sandra e Raimondo, accorgendoci di quanto mancano, così come mancano il grande Mike, finto ingenuo, finto ignorante ma vero gentiluomo, ed Enzo Tortora, col suo pappagallo, il suo mercatino, i suoi primi tentativi di collegare “in rete” tutto il paese, in una sorta di social network ante litteram. Vorremmo riavvolgere il nastro, avere altro tempo per risarcire il conduttore di Portobello di tutto ciò che gli abbiamo tolto, del male che gli abbiamo fatto, vorremmo risentire quelle voci e rivedere quei visi dal vivo e non solo in vecchi video d’archivio. Particolarmente straziante appare la seconda intervista a Sandra Mondaini, fatta poco prima della sua scomparsa, così piena di decoro, così laconica e gentile.
“C’è, secondo lei, la nuova Sandra Mondaini”, domanda Dalla Vecchia.
“No, ma solo perché non sono mai stata niente…”
Solo chi è veramente grande possiede quest’umiltà.
Poi c’imbattiamo in qualche chicca per coloro che sono affascinati dai meccanismi televisivi e dalla guerra dell’audience, come l’intervista a Luca Tiraboschi, direttore di Italia uno. Egli lamenta che Canale 5 tenda a cooptare i programmi di successo sulle altre reti.
Colgono nel segno anche le parole di Lorella Cuccarini:
“Viviamo in un momento televisivo in cui non viene richiesta una particolare professionalità. Io stessa, per esempio, tutto quello che so fare nell’ambito dello spettacolo, non lo esprimo più in televisione. Se voglio ballare e cantare, devo farlo in teatro.”
Riflettiamo che è proprio così: oggi, ai conduttori, ai ballerini, agli ospiti dei programmi si chiede solo di esserci, di fare i tronisti e gli opinionisti, un po’ come tutti quanti ormai siamo commentatori sui social network. È semmai dai concorrenti dei talent, dai perfetti sconosciuti, che viene pretesa ogni capacità: i bambini di Antonella Clerici devono stupirci con i loro gorgheggi, i giovani di “La pista” devono volteggiare come professionisti. Vip e sconosciuti, esperti e principianti, s’incrociano e si scambiano di ruolo. Si assiste al fenomeno stravagante per cui, se sei bravo a fare una cosa, ne devi, invece, fare un’altra. I personaggi famosi devono imparare a danzare, a pattinare sul ghiaccio, a morire di fame sull’isola, a imitare. Insomma, la professionalità, la gavetta, lo studio, il mestiere non sono più richiesti, basta una presenza spesso improvvisata e sguaiata, oppure la preparazione certosina ma in un campo che non è quello abituale.
Non poteva mancare, a degna conclusione, l’intervista al mostro sacro Pippo Baudo. Con lui si ripercorrono prima gli albori della tv, poi gli anni settanta, quando ancora la televisione era considerata un mezzo educativo e unificatore per il paese, e i dirigenti erano, a detta di Baudo, “di una cultura pazzesca.” Si passa quindi al mitico decennio anni ottanta, con le due colonne portanti televisive di Domenica in, grande contenitore pomeridiano che mischiava giornalismo e intrattenimento, e Fantastico, show del sabato sera, la cui più bella edizione fu il numero sette, starring Cuccarini e Martinez. Alla fine, ecco gli anni novanta, la droga del lavoro continuo, della costante presenza in video per il conduttore siciliano. Ed è con le parole di Baudo, riferite proprio a questo periodo, che concludiamo il nostro excursus.
“Un artista vorrebbe che l’applauso per lui non finisse mai. Il successo è come una droga, e l’insuccesso è lo stesso: entrambi fanno male.”
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Educazione è una parola talmente superata, al giorno d'oggi, da apparire rivoluzionaria. Il garbo con cui sono condotte le interviste che Aldo Dalla Vecchia - autore televisivo e teatrale ...
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Aldo Dalla Vecchia, "Generazione Five"

Generazione Five
Aldo Dalla Vecchia
Pegasus Edition, 2018
13,00
Aldo Dalla Vecchia ci ha abituato al niente che diventa tutto. Un libricino senza neanche la numerazione delle pagine, fatto d’immagini, o meglio, di figurine firmate Gaspare Capizzi, che hanno tutta l’ingenuità di reminiscenze infantili. Vi ricordate quando giocavamo a “celocelo manca”? Ecco, Aldo, autore televisivo che ha conosciuto tutti i maggiori personaggi del piccolo schermo, innamorato della tv commerciale, gioca con noi mettendo sul piatto la nostalgia.
Ogni pagina un disegno caricaturale, ma non troppo, di un noto personaggio. Accanto una didascalia di mezza pagina dove, col consueto garbo, viene spiegato chi è la persona, che cosa ha fatto e perché è diventata famosa. Niente più di una specie di articolo di Wikipedia, direte voi. Invece, non so come né perché, la solita magia di Aldo fa sì che quei tempi ormai lontani, pionieristici e avventurosi, che videro la nascita della tv moderna, tornino a farci compagnia.
Quaranta icone pop per quaranta anni di televisione. Riecco gli ottanta e novanta, i lustrini e le battute assurde del drive in, trasmissione cult, le ragazze scollacciate ma non volgari, i pupazzi come il Gabibbo o Five, le pietre miliari della televisione come Corrado, Mike Bongiorno o Lorella Cuccarini. Personaggi amati e mai dimenticati. Con pochi tocchi viene ricostruito un mondo, ora che la tivù come l’abbiamo conosciuta sta per scomparire.
Aldo dichiara di non amare la televisione ingessata dei canali Rai, quella in bianco e nero che definisce “antica e noiosa” – quella alla quale la sottoscritta è, invece, follemente attaccata – ma finisce per farla rivivere in personaggi come Loretta Goggi, stella di un grande sceneggiato, La freccia nera. Lui adora la tv commerciale, scanzonata e disinibita, colorata e frivola, moderna e allegra.
E il rimpianto esplode prepotente quando si ricordano persone che non ci sono più, come Sandra e Raimondo, la loro grazia, il loro humour delicato, il loro imperituro tormentone “che barba che noia”.
Quanto ci manca tutto questo, quanta delicatezza, ironia e grazia ormai perdute, quanto vorremmo chiudere gli occhi e fare un balzo indietro nel tempo. Operazione che con Aldo è sempre pienamente riuscita.