Incontro con l'artista G.M. ZAGO e il progetto "Zago and your friends"

Amici lettori di signoradeifiltri.blog oggi abbiamo il piacere di avere nostro ospite un artista che viene dal Nord, da Verona, dalla città di Romeo e Giulietta è qui con noi G. M. Zago!!
Ve lo dico in confidenza, lui non lo sa ma lo porterò in una spa, un centro benessere particolarmente artistico, mi raccomando non glielo spifferate!
Eccolo arrivare ma non è solo, è seguito da un cane.
- Zago hai portato il cane?
- Beh, sì, non si fida di te e non voleva lasciarmi solo.
- Ah!... Come si chiama?
- Homer, aspetta te lo presento... Homer dì qualcosa al Walter.
- Uelà, artista da strapazzo, mi raccomando ti mordo le parti basse se non scrivi bene del mio Zago, eh!
- G.M., ma Homer è un cane che parla?!
- Che vuoi che ti dica, a forza di stare con me, ha cominciato a parlare, pensa che per breve periodo ha pure iniziato a fumare il mio sigaro, ma ci siamo tolti il vizio insieme, per fortuna, è un grande amico, sai.
- Capisco, ma gli hai pure insegnato a dipingere?
- No, preferisce dormire, però mi fa da manager, tratta lui con i galleristi, invece, con i critici, ci parla solo al telefono perché non li sopporta.
- Forse è meglio che entriamo.
Apriamo la porta stile Mondrian, l'ambiente è già caldo e profumato, in sottofondo musica Jazz. Sicuramente troveremo qualcosa da mangiare e da bere.
- Zago ti piace questo posto?
- Sì, non male
- E tu, Homer, che ne dici?
- Bello, ma prima possiamo mangiare qualcosa?
- Più tardi, prima facciamo il bagno in piscina.
- Andate voi che a me l'acqua non piace molto, vado a mangiare qualcosa e poi a fare una partita a flipper.
- Homer, mi raccomando, non mettere troppo ketchup sulle patatine
- Zago, possiamo stare tranquilli con Homer?
- Walter, nessun problema, Homer è un cane che ha un discreto appetito ma non parla con gli sconosciuti.
- Ah, molto bene, allora, dai, tuffiamoci nella piscina con l'acqua color grigio perla.
Per chi non lo sapesse in questa spa l'acqua delle varie piscine è multicolore.
- Zago, devi toglierti tutto.
- Tutto?
- Sì, ma tanto non ci vede nessuno.
- Ma è tutta roba presa in offerta da Beninox!
- Poche storie, Zago, in fondo sono solo parole senza mutande.
- Ah, beh, allora, dai, tuffiamoci.
Siamo in acqua color grigio perla e stiamo per iniziare a parlare di Zago and your friends.
- Zago, come è iniziata questa avventura?
- Era il Marzo del 2010, ero seduto in poltrona a vedere la tv, quando, dal tubo catodico, una di quelle belle signorine "buonasera" mi guarda fisso e mi fa: «Zago, tu devi fare un lavoro a 4 mani con 100 artisti, sarà una mostra per beneficenza, pensaci bene perché non te lo chiederò un’altra volta, mi piacciono le cose che fai ma, se non accetti, grazie e ti saluto».
Tac, la tv si spense da sola e rimasi al buio, ma vidi lo stesso una luce e, così folgorato dall'abbaglio creativo, il giorno dopo parlai con il mio amico Gianluca Cantalupi, responsabile di Emergency UK, presi l'agendina e trovai i 100 artisti per iniziare il lavoro, era un impresa titanica per il numero di opere che ci eravamo prefissati, credetemi serviva anche una bella quantità di materiale da riciclo, le opere dovevano essere impastate di monnezza artistica, ma per fortuna i cassonetti di Verona abbondavano di merce.
- E poi che successe?
- Fu un grande lavoro faticoso ma entusiasmante che, terminato, partì per l'Inghilterra, da Novembre 2011 al 2013. La mostra era unica al mondo nel suo genere, un evento storico, un lavoro eccezionale che venne esposto in più gallerie, riscuotendo un bel successo; le opere, nel formato 100X70, tutte bellissime, vennero vendute e la nostra arte a favore di Emergency contribuì ad aiutare chi è stato meno fortunato di noi, vorrei aggiungere che Zago and your friends è importante anche per altri motivi, non era mai successo che 100 artisti disparati lavorassero a 4 mani con un solo artista, nessuna rivalità, nessun egoismo, nessuna pre-tattica o preconcetto, c'era da dipingere spinti dall'entusiasmo, e dalla convinzione di fare per bene del bene attraverso l'arte, ne venne fuori una serie di opere estremamente emozionanti!
- Poi siamo andati a Roma.
- Eh, già, Zago and your friends non poteva rimanere un'esperienza sulla quale il titolo di coda era "The end". Non mi ricordo come, dove, quando, ma, come per magia, io e altri amici abbiamo deciso di ripetere questa iniziativa, vestita di quella passione che guida un artista, la nuova avventura si è svolta Roma nel Marzo del 2017 in una modalità diversa rispetto a Londra 2011. Per una questione di rapidità temporale, gli artisti presenti 50, con relative 50 opere realizzate a 4 mani con me. Queste opere dopo Roma proseguiranno verso future esposizioni per una continua mostra itinerante alla quale si aggiungeranno, via, via, altri artisti con altre opere, invece altre 50 opere, che furono realizzate individualmente dagli stessi 50 artisti, sono state finalizzate a favore di una associazione di volontari che dedicano corpo e anima alla cura e all'assistenza di cani sfortunati, "Una zampa per Birillo". Ci siamo ritrovati Venerdì 3 Marzo 2017 alla galleria TAG di via di S. Passera, 25 per una serata speciale!
- È stato un grande evento, un grande allestimento, un grande successo di pubblico e, come dicevo, Zago and your friends continua la sua marcia verso le prossime esposizioni, al momento stiamo lavorando per Verona, sarà il nostro terzo atto, appunto nella città Scaligera, ma il nostro sogno nel cassetto rimane Matera 2019, faremo il possibile di farci un salto.
Ma ecco di ritorno Homer.
- Ragazzi, dobbiamo andare via alla svelta!
- E perché?
- Di là ho mangiato tutto il ben di Dio che ho trovato, un tizio se ne è accorto e mi ha detto: «Ma bravo, e adesso chi paga?». Me lo sono guardato e gli ho detto: «Tranquillo, pagheranno Walter e Zago». Il tizio è svenuto ed è caduto come un sacco di patate, io direi che prima che si risvegli è meglio che ce la battiamo!
- Zago, dico che Homer ha ragione, forza filiamo via come il vento!
- Ma siamo nudi!
- Sì, e senza soldi, dai, sgommiamo...
Amici di signoradeifiltri.blog, vi salutiamo; io, Zago ed Homer vi ringraziamo e vi aspettiamo prossimamente a Verona con tutti gli artisti e le grandi opere di Zago and your friends.
Per chi volesse saperne di più e ammirare foto e video delle precedenti mostre, può visitare la pagina Facebook "Zago and your friends" oppure contattare direttamente l'artista G.M. Zago.
Primavera di mare
a Dargys con amore
Una gelida mattina di primavera, tra lecci bagnati e sentori di mimose, cipressi odorosi e palme - mediterranee, ché mica siamo ai tropici -, pini marittimi come tende d'un sipario spalancato sul colle dei Diaccioni, dove cinque torri color mattone squarciano un panorama di vigneti. Assorto nei pensieri, tra case e centri commerciali, mentre bambini corrono a scuola sognando fughe lungo i viali alberati d'un'estate di mare, mentre un volo di gabbiano feconda l'aria del mattino, evitando tamerici salmastre, sfidando la brezza di scirocco che cederà il passo a un caldo sole. Primavera sul lungomare e tra gli sterpi, primavera tra i rovi e nel vallone - dove putride acque stagnanti son riparo di rospi e raganelle -, primavera tra strade in attesa di carezze estive, primavera nei cuori di chi sogna un futuro d'acciaio come il passato. Primavera tra malanni di stagione e piccole follie di fanciulle in fiore. Primavera di mare, tra una barca che prende il largo e il primo sole, timido e tiepido, come il mio cuore che attende una brezza di grecale per lasciarsi andare. Primavera di ricordi, come sempre, primavera di piccole cose, primavera che se non ci fossero i tuoi occhi non sarebbe tale, primavere di sogni e ritorni e vecchi film e sensazioni perdute in un gelato, in un dolce, in un sorriso. Primavera di baci dispersi nel pulviscolo solare, primavera di emozioni antiche, mentre stringo la tua mano e penso di poter volare. Primavera di noi due ancora insieme, come un tempo, nonostante tutto, nonostante la vita, gli anni, il tempo che cambia persone e sentimenti. I tuoi occhi sorridenti son la mia primavera, sapere che non li ho perduti, che non cambiano, quando mi guardi, quando ti guardo, quando ci abbracciamo.
Il vento d'inverno

Specie quando
Il vento d’inverno
Mi trafigge i capelli
Cammino sulla riva del mare.
Odo il richiamo del gabbiano
Il fremito delle vele
Sul taciturno molo.
Qui
Ritrovo chiari mattini
E suoni e aspri odori
Non dimenticati e reti.
Grovigli inestricabili
Che mani antiche
Annodano e riannodano.
Specie quando
La solitudine diventa
Un’ombra sottile e lunga
E fredda nel crepuscolo.
Quando
Gli sfaccendati granchi
E il vento
E l’onda monotona del mare
Osservano il mio passo
Affondare nella sabbia
Senza lasciare tracce
Dalle navate oscure e contorte
Di conchiglie abbandonate
Sale un lamento.
Un suono d’organo struggente
Che mi possiede
Percuote la mia anima
Fino a spezzare il cerchio
Di una tristezza antica
Che mi sovrasta come una tempesta
Piombino: stadio Magona

Per quanto ci sarai noi ci saremo, ricordando tempi perduti e folle in festa. Sono stati i nostri tempi il tuo splendore, siamo cresciuti al suon d’una leggenda, barbaglio trepido che riscalda i cuori, tra un rigore calciato in mezzo ai pali e una rincorsa sulla fascia laterale.
Lo stadio più non sei che apriva cancelli verdeggianti a chi usciva in fretta da siviere, sei solo l’ombra di quando le tue gare cominciavano un quarto d’ora dopo perché arrivassero in tempo gli operai; sei solo la parvenza d’un passato, di altiforni e cadenti cokerie che non abbiamo mai dimenticato.
Tribuna scomparsa, sedili arrugginiti, speranze di corse da bambini, per quella curva resina e ricordi, sole d’un tempo, occhiali verde scuro, un flebile rimpianto di sorriso. E la tua cadente impalcatura, tra gradoni stretti e bassi a tramontana, confonde l’eco di troppe grida andate, sogni che stemperano flebili sconfitte nel balenare piovoso del presente.
Una sirena che adesso più non suona, non riprende il suo incedere possente tra quei palazzi color rosso mattone, siepi di pitosforo e cipressi. Il passato è solo tempo andato, non lo ritrovi nel gusto delle cose, il suo sapore è sempre un poco amaro, son solo sogni, son solo i tuoi rimpianti.
Una palla gonfia quella rete, un urlo immenso dentro mille cuori, accade che d’un tratto lo ricordi quel vento caldo sollevarsi in cielo. Ma tanto lo sai che non ritorna, è un vento andato, è un vento ormai perduto.
Su concessione di Gordiano Lupi
Prima pubblicazione Valdicornia news
PIOMBINO - Per quanto ci sarai noi ci saremo, ricordando tempi perduti e folle in festa. Sono stati i nostri tempi il tuo splendore, siamo cresciuti al suon d'una leggenda, barbaglio trepido che ...
Il sogno di Kaddour

Su un piccolo promontorio che si protende nello stretto di Gibilterra, all’estremo nord del continente africano, c’è un lussuoso ristorante, il Dakhla. Una costruzione compatta, dipinta di bianco e azzurro con una torre circolare composta di finestre in vetro oscurato, un luogo molto spettacolare, con un particolare fascino. Dai suoi terrazzi è ben visibile la costa continentale, due continenti divisi solo da quello stretto braccio di mare che, da sempre, ha significato la fine del mondo conosciuto per i popoli del Mediterraneo. Due mondi diametralmente opposti: da una parte l’Europa con la sua storia, la cultura e il potere. Un insieme di nazioni spesso in guerra fra loro, ma unite nella ricerca di nuovi territori da conquistare e sfruttare, dall’altra le prime propaggini di un continente rimasto a lungo inesplorato, selvaggio e dal territorio ostile, facile preda dei conquistatori dell’altra sponda. Un mondo dove era difficile vivere e dove il giovane Kaddour era nato, circa venti anni prima. Adesso lavorava come sguattero nelle cucine del grande albergo ristorante. La sua esistenza era segnata da orari impossibili e da un duro lavoro che gli impediva di godere delle bellezze, tipiche della sua terra. Entrava nelle cucine alle prime ore del mattino per ripulire ciò che restava della prima colazione degli ospiti e usciva quando già la notte aveva acceso le sue eterne luci nel cielo. Kaddour era stanco di quella vita, sognava ben altro. Dalle storie che gli raccontavano, dalle immagini che vedeva in televisione si stava formando nella sua testa un sogno che diventava ogni giorno sempre più assillante, ossessivo e impellente. Voleva farla finita con quella vita fatta di piatti sporchi e d'avanzi. Voleva godere di maggiore libertà, ricevere carezze di ragazze giovani come lui. Perché? Si chiedeva! Non poter avere un’esistenza pari ai ragazzi dell’altra sponda! A chi gli rispondeva di trovarsi un altro lavoro, lui obiettava che non era facile trovarne altri soddisfacenti. Le uniche possibilità erano mettersi al servizio degli allevatori di cammelli o andare fra coloro che coltivavano le palme da dattero, una delle prime risorse del paese. Le modeste condizioni della famiglia non gli avevano permesso di continuare gli studi, ma non era il lavoro il suo problema più grande, lui sognava l’Europa e quello che rappresentava. Vedeva intorno a sé un mondo diverso, cose che nel suo paese erano vietate, spesso sconosciute e molte volte desiderate. Il Marocco, per quanto evoluto e teso verso il progresso, restava fedele alle tradizioni, alla religione. Secoli di storia avevano creato un ambiente dove era complicato muoversi senza incorrere nei molteplici divieti che la religione imponeva. Kaddour era fermamente deciso a partire verso quella costa che si vedeva all’orizzonte, stava cercando di risparmiare i soldi necessari per ottenere un passaggio su uno di quei barconi che facevano la spola verso la terra dei sogni.
La madre aveva capito le intenzioni del ragazzo e cercava, in tutti i modi, di dissuaderlo dal compiere un gesto irrazionale.
- Ti rendi conto - gli diceva – di cosa vuoi fare, non c’è motivo che tu vada laggiù, sarai un estraneo, non parli la loro lingua, sarai emarginato e non ti faranno certo lavorare, starai peggio di qua. Posso capire che il lavoro che fai non ti piace, possiamo trovarne altro, sei a casa, nella tua terra, non c’è niente che ti minacci. Quelli che vedi andare via, scappano da qualcosa di veramente terribile, dalle guerre, dalla fame, per fortuna qui non c’è niente di tutto questo, hai una vita serena e tranquilla.
- Troppo tranquilla, madre, io sono giovane e vorrei avere una vita che valga la pena vivere, se ci sarà da soffrire sono pronto, il lavoro non potrà essere più duro di quello che faccio adesso. Io voglio essere libero di poter fare quello che desidero, tu li vedi in televisione i giovani dall’altra parte, vanno a scuola, studiano, vivono in case moderne, si riuniscono fra loro, si divertono, frequentano le ragazze e, soprattutto, gli anziani non intervengono sui loro comportamenti, non sono legati alla religione come noi.
- Cosa dici figlio, non riconosci il nostro credo! Tu sei musulmano e la tua religione è questa, loro sono degli infedeli, non prendono sul serio niente, nemmeno il loro Dio.
- Lo so madre, la nostra religione però è troppo rigida, è ferma a secoli fa, non si è mossa di un passo verso l’era moderna. Riesce difficile, quando il lavoro non te lo permette, mettersi a pregare alle ore stabilite e nel modo tradizionale. Gli imam perché non possono apportare un minimo di cambiamento, quel tanto che basta per adeguarsi ai tempi, non siamo più nel periodo che c’era solo il deserto con i cammelli e le palme, anche da noi la modernità è arrivata, e noi ci portiamo dietro ancora il tappetino per la preghiera, se preghiamo in piedi non è lo stesso?
- Figlio! Non bestemmiare in mia presenza, come osi parlare in questa maniera, se tuo padre lo viene a sapere è capace anche di ucciderti lo sai vero? Non ti è permesso parlare così.
- Vedi! Cosa ti dicevo, “non ti è permesso” è per questo che voglio andar via, non posso restare a vivere in un mondo che non condivido, che è lontano da me e dalle mie aspettative. Aiutami a raccogliere i soldi necessari, appena possibile partirò.
La madre tacque, non disse altro, capì che il figlio era ormai perso. Se era convinto e con quelle idee era meglio che partiva. Il padre non avrebbe accettato una sola parola di quanto aveva detto, era capace davvero di ucciderlo, non si poteva mettere in discussione la religione.
Aiutato dai risparmi della madre e dalla sua complicità, due settimane dopo il giovane Kaddour era su una spiaggia libica, aspettando il barcone che doveva prendere il largo verso il continente, con lui c’erano centinaia di altre persone che, nel buio della notte, attendevano trepidanti il momento del distacco dalla propria terra.
Erano tre giorni che erano in navigazione nel Mediterraneo, erano diretti verso le coste italiane. La barca era sovraccarica, molti soffrivano il mal di mare. La puzza stava diventando insopportabile, vomito ed escrementi riempivano lo scafo. Il quarto giorno qualcuno gridò di aver visto, all’orizzonte, una macchia scura, la terra era vicina! L’eccitazione fece risollevare gli animi dei profughi. Kaddour stava abbastanza bene, era giovane e il mare non gli dava fastidio. L’avvistamento gli aveva tirato su il morale, fra non molto avrebbe messo piede sul quel mondo tanto desiderato. D’improvviso, però, all’orizzonte si profilò la sagoma di un'imbarcazione militare, stavano per essere intercettati e questo, pensò, avrebbe facilitato le cose. Le donne e i bambini presenti sarebbero saliti a bordo della nave lasciando gli altri più liberi. Non appena la nave militare accostò il barcone, tutti si riversarono su quel lato, per chiedere acqua e per salire a bordo. Fu l’onda di ritorno della scia che fece urtare i due natanti. La barca con i profughi ondeggiò, s’inclinò in modo impressionante, coloro che erano rivolti verso la nave caddero in mare trascinando gli altri nella caduta. Una volta in acqua, nel tentativo di risalire fecero capovolgere del tutto il natante, che si ribaltò cadendo su di loro, sommergendoli e impedendo una qualsiasi risalita. I marinai riuscirono a tirar su qualche decina di persone, ma tutti gli altri ormai erano stati inghiottiti dalle acque del Mediterraneo. Kaddour, mentre il suo corpo svaniva nel buio degli abissi, lanciò un ultimo sguardo verso l’alto con la mano tesa verso il suo sogno, confuso nella luce tremolante della superficie che diventava sempre più debole, sempre più lontana.
Radioblog: Rosso Botticelli
Firenze, Botticelli, passione, delitti e ... rosso. Questi sono alcuni degli ingredienti sapientemente amalgamanti da Stella Stollo per regalarci questo Rosso Botticelli, edito da Graphofeel, un thriller storico che non vi lascerà indifferenti e vi farà tuffare nell'opulento e misterioso Rinascimento fiorentino alla ricerca della chiave che svelerà enigmi e segreti. Iniziate ad ascoltare le prime pagine e... che il mistero abbia inizio!
Il figlio che verrà

Ciao piccolo mio
siamo tornati adesso dall’ospedale dove ci hanno detto che il sesso del nascituro è maschile. Tu non puoi saperlo che padre avrai e neanche che madre, mentre noi già sappiamo molto di te come figlio.
Sappiamo come si chiamerà, che al momento gode ottima salute e che, da come si muove, sembra voler uscire al più presto dal suo rifugio. Io non sarei tanto ansioso di venir fuori in questo mondo, anche se la nostra attesa è spasmodica, non mi sembra un buon momento per tentare l’avventura della vita con quello che ci circonda. Nei miei sogni, quando pensavo a te, immaginavo di farti trovare un ambiente sano, ben curato, con la natura rispettata, mi vedevo già con te al mio fianco a correre nei prati, andare in bicicletta nei viali di parchi e sentieri di montagna. Non so se sarà ancora possibile realizzare questo sogno. Insieme alla mamma cercheremo di costruire il tuo futuro, seguendo i tuoi passi da lontano senza farci vedere, ma pronti a intervenire nei momenti di bisogno.
Voglio fare di te una persona libera, senza preconcetti, senza false ideologie o indottrinamenti, ma mi rendo conto che la libertà, quella vera, non esiste, è solo una parola, un sogno che ogni essere umano si porta dietro illudendosi di poter dire io sono un uomo libero!
È ancora la vecchia utopia che non muore mai, resiste agli attacchi del tempo ed è sempre lì a impossessarsi di tutti quelli che ancora ci credono, come ci credeva mio padre, giovane che ha vissuto il sessantotto con la ferma convinzione di essere capace insieme ad altri giovani speranzosi, di poter urlare al mondo: noi ce la faremo! Illusioni, caro figlio mio! Non voglio scoraggiarti, ma è bene che la verità ti sia detta subito, senza aspettare falsi profeti, altri movimenti che scaricano parole come fosse sale per sciogliere la neve per le strade. Nessun uomo può definirsi veramente libero, chi afferma il contrario, sa di mentire, anche se fa di tutto per indurti a credere l'opposto. Come si può essere liberi se ancor prima di nascere ti ritrovi debiti, obblighi, un percorso di vita già tracciato da leggi, convenzioni, una serie infinita di legami e di subdoli messaggi che influenzeranno le tue scelte. La libertà che si vuole spacciare come elemento essenziale di vita democratica è solo una facciata per nascondere interessi di parte, sete di potere e il puro, semplice egoismo dell’essere umano. La mia generazione è stata fortunata. Ha vissuto anni senza particolari difficoltà, senza guerre. Credo che la tua invece sarà quella, invece, che assisterà al declino di questa civiltà dei consumi che tanti danni ha portato all’uomo. Io non ci sarò, quando accadrà, spero solo che tu possa assistere al cambiamento, con la coscienza giusta, cercando di percorrere la tua strada senza condizionamenti.
Per prepararti a quel giorno, cercherò di aiutarti a essere un uomo libero di decidere della sua vita, non ti dirò nulla, lascerò che tu percorra la strada con le tue gambe e ti aiuterò solo a sollevarti per farti proseguire il cammino, verso la meta che avrai scelto. L’unica concessione che farò sarà quella di insegnarti il rispetto, prima di te stesso e poi di tutti, non si può convivere in una società multi etnica come la nostra se non c’è il rispetto reciproco.
Non dovrai preoccuparti di me, di quello che il mondo dirà sul mio conto, che non ti ho dato insegnamenti da seguire, che non ho fatto le scelte che tutti si aspettavano, diranno che sono un fallito e forse anche un vigliacco per non aver affrontato i problemi che affliggono l’umanità, non ho dato il mio contributo per evitare il cambiamento.
Non sta a me dire se è giusto o sbagliato, posso solo dire che già aver fatto in modo che tu nascessi è un atto di grande coraggio. La parola "figlio" comporta una grande responsabilità ed io cercherò di essere all’altezza. Tutti si affannano a insegnare ai figli le tradizioni, i costumi, il credo religioso al quale non si deve mai venire meno. È stato sempre così, ed è ancora così, è una buona cosa, ma era una scelta valida quando ancora il mondo era composto da piccoli villaggi lontani e senza comunicazione fra loro, bisognava preservare i valori della famiglia e della patria. Oggi il mondo è un unico grande villaggio, ma le spore di quelle antiche usanze fanno ancora danni notevoli.
Caro figlio, io mi limiterò a comportarmi come quando hai un ospite a pranzo, farò trovare la tavola imbandita con tutte le migliori pietanze e lasciare che lui prenda quello che gli piace, non posso certo suggerirgli o obbligarlo a scegliere quello che piace a me. Io sarò la tua tavola apparecchiata, sarò colui che metterà esposto il cibo, tu sceglierai il tuo menù. Nel momento in cui i nostri sguardi s’incontreranno per la prima volta, sarà quello il momento del mio giuramento nei tuoi confronti, sarò dietro di te a ogni tuo passo, lungo la strada vedrai una sola ombra, la tua e la mia fuse insieme. Sarò il pane per la tua fame, sarò l’acqua per la tua sete, sarò il rifugio, dove trovare ristoro e conforto e, se ti servirà, il tuo amico immaginario con cui confidarti.
Ora riposa, piccolo mio, dormi tranquillo nel tuo caldo nido, mi troverai qua, quando urlerai al mondo la tua venuta. Troverai questa lettera conservata per te, per quando avrai l’età giusta e, forse, io non sarò più con te per aiutarti.
Tutta la notte
Tutta la notte arse il fuoco, nella penombra della stanza, eravamo soli io e te in quel rifugio circondato dalla neve. Fuori l’inverno tesseva alle finestre dialoghi di vento e neve, mentre dormivi al riparo della mia ombra. Ci trovavamo in quel posto isolato perché tu avevi chiesto che la prima volta doveva accadere nel silenzio e nella solitudine, niente, e nessuno, doveva spezzare l’incantesimo di quel momento così importante per te. Volevi un'intimità diversa dai nostri soliti incontri, qualcosa da ricordare nel tempo, mi hai negato il tuo corpo così a lungo che quasi disperavo di riuscire a far breccia nel tuo cuore, nonostante le tue continue dimostrazioni d’amore. Ad ogni mio tentativo, rinnovavi in me un desiderio che non poteva essere soddisfatto, mi guardavi con uno sguardo provocatorio e sorridevi, l’unica concessione erano le tue labbra che mi offrivi in punta di piedi, morbide e piene di fuoco, bruciavano. Ardeva il fuoco nel camino e tu eri nuda sotto la coperta di seta in cui ti eri avvolta. I bagliori delle fiamme t’illuminavano il viso disteso nel torpore che si era impossessato di te. Le mie mani impazienti di marinaio si avventurarono nello sconfinato mare dei capelli, percorsero i boschi delle tue ciglia e accarezzarono le palpebre chiuse, per scendere poi al viso levigato, delicato come il velluto di una pesca matura, le labbra socchiuse, il tuo respiro sapeva di viole. Precipitò la mano lungo la linea sottile del collo che confluiva verso lo spazio del petto e già le dolci colline d’avorio erano lì, piccole, turgide, due coppe da champagne con due ciliegine rosa, un cocktail da sorseggiare lentamente. Indugiai un attimo e sentii sotto le dita il fremito che ti percorse, quando sfiorai le vette per oltrepassare le alture e scender verso la valle. Andai avanti ad esplorare il tuo corpo perdendomi nella sua immensità, quando giunsi alla tua isola mi sentivo come un naufrago, solo, disperso e assetato d’amore. Arse il fuoco, tutta la notte, tutto il tempo dei nostri baci, delle nostre dita intrecciate come una fitta rete di pescatori per catturare ogni attimo di quella felicità a lungo desiderata, per imprigionare dentro di noi il fuoco che bruciava i nostri corpi, il tempo e la luna che faceva da testimone in quel momento. In quella stanza al riparo dall’inverno, dal vento che fischiava alle finestre portandoci suoni di campane.
Marcial Gala, "Verde limone"

Marcial Gala
Verde Limone
Nuova Editrice Berti, 2018
- Pag. 170 – Euro 17
www.nuovaeditriceberti.it
La Nuova Casa Editrice Berti, dopo Gli amanti del secondo piano, torna a occuparsi di Cuba con un testo interessante di uno scrittore come Marcial Gala, membro UNEAC e vincitore di premi in patria, noto per la Trilogia di Cienfuegos. Inedito in Italia, sino a oggi, esce sul territorio nazionale, tradotto (tutto sommato bene) da Pier Luigi “Pedro” Mori, con il suo testo più semplice: Verde Limone (Sentada en su Verde Limón, 2004). Niente di sconvolgente, badate bene, la letteratura cubana contemporanea pare voler affogare in un’orgia di sesso, droga e rum tutti i problemi derivanti dalla caduta delle ideologie, dalla fine del comunismo e dal periodo speciale. Marcial Gala si pone sulla falsariga di Pedro Juan Gutiérrez, solo che ambienta le sue storie a Cienfuegos, in una città di provincia, la Perla del Sur, come la chiamano i cubani. Protagonisti di Verde Limone sono Harris Sanzo, saxofonista geniale e ubriacone, la giovanissima Kirena e il pittore Ricardo. Tema di fondo una storia d’amore e morte, come spesso capita, un rapporto per noi quasi impossibile ma che a Cuba può accadere, tra un musicista di 55 anni e una diciottenne, che si consuma per le strade di una terra povera e disperata. Marcial Gala vive tra L’Avana e Buenos Aires, ma siccome a Cuba di tanto in tanto vuol tornare, si guarda bene dal dare giudizi politici, anche perché non è compito di un letterato; in ogni caso non compone un quadro tranquillizzante, in sintonia con quel che vorrebbe il regime, ma sottolinea cose che non sarebbe opportuno dire a voce alta, come l’abuso di droga e alcol per dimenticare i problemi quotidiani. La vita di Harris procede sempre uguale tra musica e sesso, avventure con turiste e fughe, tradimenti e droga, senza badare al solo amore della sua vita che poco a poco lascia morire, trascinando nella sua vita decadente tutte le ingenue speranze di una ragazzina. Verde Limone è un romanzo che non lascia speranze al lettore, non vuol essere una storia consolatoria, pervasa com’è da fantasmi e ricordi, da sogni e illusioni che cadono in fretta. Scritto con stile piano e diretto, senza tanti fronzoli letterari, di tanto in tanto affiora l’animo poetico di Marcial Gala che si abbandona a dialoghi evocativi con i fantasmi della sua mente. L’autore alterna la prima persona alla terza, coinvolge e affascina, cattura il lettore in vicende sensuali e in panorami degradati, lo obbliga a leggere in rapida successione le pagine che lo separano dalla parola fine. Attendiamo l’autore al varco delle prossime opere, nella speranza che questa nostra Italia di non lettori trovi il tempo per accorgersi che è uscito un nuovo narratore cubano. Da traduttore fallito - un tempo pieno di speranze - di Guillermo Cabrera Infante (La ninfa incostante per Sur - Minimum Fax) resto scettico, ma non è mai detta l’ultima parola …
C'era una volta

Ogni volta che si vuole raccontare una storia, una favola, una di quelle fiabe per bambini, s’inizia spesso con questa locuzione. Cosa nascondono queste parole, a quali mondi fantastici si riferiscono? Molti di questi racconti non sono nati come li conosciamo noi, ma con ben altri scopi e diverse motivazioni. Erano piuttosto truci, capaci di procurare sgomento e paure, certamente non adatte per il pubblico infantile.
I fratelli Grimm, i maggiori autori del genere, erano davvero bravi, le loro storie, nella prima stesura originale, avevano abbondanza di scene violente, di sangue, terrore ed episodi di crudeltà; la semplice lettura faceva accapponare la pelle. Per fortuna il tempo e il mutamento dei costumi hanno fatto in modo che queste storie fossero trasformate per destinarle alla lettura dei bambini.
Cappuccetto rosso che viene mangiata intera dal lupo, e con lei la nonna per essere poi estratte ancora vive squarciando la pancia dell’animale, una sequenza di una crudeltà e ripugnanza terribile, gli animalisti di oggi, e non solo loro, avrebbero condannato la storia con manifestazioni di piazza. Hansel e Gretel, due bambini abbandonati che rischiano di essere divorati da una strega cannibale. Tre porcellini, con una vita semplice e serena, costretti a vivere in uno stato di perenne ansia, inseguiti da un lupo famelico, uno stress indicibile.
Si ha l’impressione che queste fiabe siano state scritte per esorcizzare la paura atavica della gente che viveva quel momento storico. Erano tempi bui, i tempi del medioevo, quando le paure e le incognite del futuro pesavano in maniera determinante, nemmeno la religione era in grado di sopperire alle esigenze della popolazione, anzi aumentava le paure nel popolo profetizzando di immani catastrofi celesti.
Leggendo fra le righe, anche le principesse, protagoniste assolute della maggior parte di queste favole, non avevano molta fortuna, erano i bersagli preferiti dei cattivi di turno. La loro sorte era legata quasi sempre alla disponibilità di un introvabile principe azzurro.
Ogni fiaba che si rispetti segue un percorso in cui si parla sempre di un regno con un re, più o meno buono, regine decisamente cattive e principesse come capro espiatorio. La dolce Biancaneve in fuga per sottrarsi al suo assassino, Cenerentola costretta ai lavori pesanti dal mobbing della matrigna, Aurora messa in coma da una strega vendicativa, Belle mandata a prostituirsi dalla Bestia per pure ragioni di convenienza. Si può immaginare lo stress emotivo e violento cui erano sottoposte queste povere fanciulle in balia di persone poco raccomandabili, sole, nell’attesa di questo fantomatico principe che doveva salvarle. Avrà avuto il suo bel da fare questo principe, sempre pronto a salvare fanciulle, per un finale di storia utopistico.
Un'altra chiave di lettura delle favole potrebbe essere la necessità degli autori - non potendo scrivere apertamente contro il regime vigente, vista l’assoluta indisponibilità dei regnanti a sopportare critiche al loro operato - di rifugiarsi in storie fantastiche che celavano scomode verità.
“C’era una volta in un regno lontano”… Questa locuzione contiene due affermazioni che inducono a una riflessione e a porsi due domande, le risposte sono da ricercarsi nel luogo e nel tempo in cui si scrivevano queste storie.
Nello specifico, “una volta” serviva per ribadire che non c’era nessun legame con il presente, la storia raccontata accadeva un tempo passato, con personaggi di fantasia. Lo stesso criterio era applicato a “un regno lontano”. Doveva essere chiaro e ovvio, a chi leggeva, che non c’era nessun riferimento con i luoghi in cui viveva l’autore delle storie raccontate. La metafora principale era centrata sulla principessa che, nelle intenzioni, rappresentava il popolo. La popolazione, anche se governata da un r, poteva vivere lo stesso una vita felice nella propria terra, ma c’era sempre una mano nell’ombra che tramava per renderla ancora più schiava di quanto non fosse già.
Le varie regine cattive, le streghe, manco a dirlo, impersonavano i governanti che approfittavano del popolo per soddisfare le proprie ambizioni di potere assoluto.
Il principe azzurro era lo spirito di rivalsa, la voce della coscienza del popolo, che veniva invocato a gran voce per liberare la principessa-popolo dalla sottomissione al potente e cacciare i cattivi sovrani. Il principe non poteva che essere azzurro, come il cielo, sinonimo di spazio e di libertà.
“E vissero a lungo felici e contenti” non è altro che la forma scritta della speranza, l’augurio, l’utopia che ogni popolo coltiva nel proprio immaginario, ben sapendo che rimarrà sempre solo una speranza.
Oggi non ci sono più scrittori di favole contro il potere, la democrazia permette di dire e scrivere quello che si vuole, senza metafore o intendimenti celati.
Ogni persona, in ogni tempo e in ogni luogo, dovrebbe poter esprimere il proprio pensiero, purtroppo non è così, sono ancora molto pochi gli uomini che possono dire davvero di essere liberi. I lupi sono sempre in agguato e anche la loro crudeltà, come la parola, è libera di potersi esprimere con violenza inaudita.
La realtà dei tempi attuali costringe molti popoli a vivere alla stregua dei tre porcellini. Una vita in apparenza agiata e spensierata ma con una paura nell’animo che pian piano corrode ogni singola esistenza, distrugge tutti i punti di riferimento con i quali sono cresciute intere generazioni. Non sono tempi che possano essere ricordati in futuro con favole e racconti che iniziano con “C’era una volta".