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Naufragi Galattici

18 Marzo 2019 , Scritto da Umberto Bieco Con tag #umberto bieco, #racconto, #fantascienza

 

 

 

 

Svoltò in vicolo Solo e confluì nella piazza, al centro della quale sorgeva una statua di Nuke Skywalker in posizione indomita, con la spada laser sguainata verso il cielo. Poggiava su un piedestallo a forma di fungo atomico. Alcuni giovani, ai margini, stavano tentando di dar fuoco a un cumulo di immigrati venusiani, marziani e nettuniani, mentre il poliziotto di ronda vigilava, pronto ad intervenire in caso di problemi. «Ragazzi, attenti a non scottarvi» lì ammonì severamente. Appena si girò, uno dei nettuniani, incastrato nell'intrico dei corpi, spacciò della Eccitatina allungandola con la proboscide ad un passante, un attimo prima di avvampare.

Le politiche sull'immigrazione dell'esecutivo di sinistra erano recentemente cambiate, con contentezza e confusione delle destre, le quali segretamente si chiedevano cosa dovevano fare ora che gli veniva scippato il cavallo di battaglia xenofobo – e proprio da coloro che usualmente essi criticavano per l'inclinazione alla tolleranza e all'accoglienza. Che fine aveva fatto il gioco delle parti? Era un po' come se a teatro Arlecchino avesse iniziato ad interpretare anche Pulcinella, pronunciando le sue battute oltre alle proprie. Il governo aveva infatti deciso che l'ingente flusso di profughi aveva raggiunto una quota annuale non più sostenibile, e le frontiere erano state chiuse, disinteressatamente consigliato dalla Confederazione Generale degli Sfruttatori (Confsfruttatori), che aveva stabilito che un milione e mezzo all'anno per dieci anni era un numero soddisfacente, oltre che caldeggiabile. Accordi eran quindi stati raggiunti con il governo mercuriano, e la questione era stata sistemata con la chiara vittoria dei diritti alieni: non sarebbero più piovuti corpi variopinti e variformi dalle nuvole, abbandonati dagli spazioscafisti su navicelle pericolanti, dotate di poco carburante, privi di bevande e cibo. E la Guardia Celeste Nazionale, e le Organizzazioni Non Governative di Salvataggio Spaziale – nel frattempo messe sotto processo - non avrebbero quindi dovuto salvarli. Ora, finalmente, una volta catturati presso le rampe di decollo attorno a cui si accalcavano, potevano morire di stenti e torture nelle gabbie radioattive mercuriane, in cui si desquamavano inesorabilmente fino a consumarsi. Almeno finché non ci sarebbe stato bisogno di altra potenziale manodopera da accumulare per rendere il mercato del lavoro ulteriormente flessibile: a cui conseguiva l'abbassamento dei salari, ma l'aumento della competitività sul mercato galattico – per il bene del pianeta tutto. Salariati esclusi, ovviamente.

Ciò offriva un ulteriore vantaggio: le classi subalterne se la sarebbero ulteriormente presa con gli extraterrestri invece che con chi sfruttava entrambi. La facilità con cui si poteva manovrare la torpida mente delle masse era stupefacente.

Entrò in un bar, e ordinò una bottiglia di ossigeno all'arancia. Un'orchestrina jazz di Saturno suonava utilizzando i propri nasi a trombetta come strumento a fiato. In un angolo, un tizio in gilet con uno scimmione litigava con degli alieni su un debito non pagato. Sovrastata dal brusio e dalle narici musicali, una tv ologrammatica trasmetteva le notizie, tra cui uno spezzone dell'incoronazione di Miss Inoculo. Una ragazza bionda a forma di pesce dalla cintola in giù. Quel volto cominciava ad essergli familiare. Dicevano che era stata pescata sulla costa di Manhattan, prima che New York divenisse una grande prigione intorno al 1997. Poteva mutare la propria metà inferiore da ittica a bipodale a piacimento, e stava intrattenendo la platea con qualche dimostrazione. Gli sembrava si annidasse della malinconia in quel sorriso. O stava solo proiettando la propria.

Ciò lo fece pensare a suo padre, Pyotr, e a com'era sparito. A come la propria generazione, e lui stesso in particolare, non fossero semplicemente all'altezza delle precedenti. A com'era inetto e inutile. A come Pyotr avrebbe chirurgicamente sezionato e dimostrato la realtà, come sapeva fare. A come gli avrebbe chiarito la questione extra-immigratoria. Ma un giorno, dopo pranzo, aveva annunciato una passeggiata digestiva, si era quindi teletrasportato in Canguronia via modem: il contratto flat per le chiamate internazionali lo rendeva conveniente. Aveva cominciato a salire il picco di Hanging Rock e all'improvviso, come i testimoni affermarono, svanì.

Uscì dal bar. Il viluppo di immigrati stava bruciacchiando pigramente. I ragazzi non avevano portato a termine l'operazione con efficacia, distratti sul loro browser oculare da un nuovo video su quanto fossero sporchi gli alieni, tanto da dimenticarsi di quelli davanti a loro. Altri erano corsi al negozio Fapple, dove era appena uscito un nuovo modello di DumbPhone, con una connessione diretta a tutte le nuove foto intime rubate alle celebrità. Prese svogliatamente un secchio, lo riempì alla fontana e lo buttò sugli alieni, slegandoli, per quanto con una vaga quanto inconsapevole aria di accondiscendente superiorità. Loro si sparpagliarono ovunque correndo, gettandosi nei cespugli o entrando nei tombini, come animaletti alti due metri – inseguiti dal poliziotto, che cambiava direzione ogni due o tre falcate, come se volesse prenderli tutti contemporaneamente.

Poi se ne tornò a casa.

A casa trovò la tazza rotta nel secchiaio. Si era sfregata così forte, con quello spazzolino, da incrinarsi e spezzarsi. La solita obsolescenza programmata, che del resto era gli era stato insegnato di apprezzare: occorreva comprare costantemente altra merce, per solidarietà al mercato. “Adotta anche tu un prodotto!” esclamava una delle pubblicità progresso governative. Ne ricordava un'altra ancora che cinguettava: “Il consumismo è cultura!”.

Il progresso aveva il suo prezzo, e bisognava pagarlo.

 

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Il logorio della vita moderna

17 Marzo 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo, #televisione

 

Ricordate Ernesto Calindri seduto al tavolo in mezzo al traffico caotico a bere un Cynar, noto liquore a base di carciofo?

Erano gli anni 60/70 e già si parlava di “logorio della vita moderna”. Cominciavano i primi segnali d’inquinamento, i primi ingorghi nel traffico cittadino. Non si sapeva a cosa avrebbe portato tutto questo.

Oggi, a distanza di mezzo secolo, l’inquinamento non è più solo quello atmosferico o dei fiumi, c’è ben altro oltre la schiuma marrone dei corsi d’acqua o il puzzo di smog in città. C’è un cambiamento climatico in atto che sembra stia per portare all’estinzione del pianeta. A tal proposito, mi confesso una negazionista dubbiosa. Penso che i mutamenti climatici ci sono sempre stati, che abbiamo attraversato periodi in cui gli esseri viventi respiravano anidride carbonica e si avvelenavano con l’ossigeno, che le immani eruzioni vulcaniche della preistoria hanno oscurato i cieli e raffreddato il suolo per secoli, che la tettonica a placche e la deriva dei continenti non sono fantasie.

Non è vero che il pianeta morirà. Il pianeta si salverà come ha sempre fatto, saremo noi a estinguerci o a vivere in condizioni tremende, ma questo alla Terra non importa, come non le importa delle altre 99% di specie che si sono estinte. La vita sopravvivrà sempre, magari su un altro pianeta, su un'altra galassia.

Siamo noi a volere che tutto resti com’è. Che cosa importa al nostro globo se il livello del mare s'innalza di un metro? È a noi che interessa se Venezia sparisce sott’acqua. Perché l’uomo ha sempre pensato egoisticamente a se stesso, alla sua sopravvivenza, al suo benessere, alla sua arte e cultura.

Ma se tutti gli scienziati dicono che il cambiamento è in atto ed è catastrofico, chi sono io per negarlo? In effetti, da quando ero giovane a oggi, specialmente negli ultimi venti anni, le condizioni meteorologiche sono diventate estreme, il vento non è più vento ma tromba d’aria, la pioggia è inondazione, le stagioni umide sono diventate asciutte, gli incendi ci divorano.  Sono aumentati persino i terremoti.

Inoltre, affoghiamo nell’amianto che fino a poco tempo fa era considerato innocuo e usato per costruire qualsiasi cosa, anche le scuole. Ci sono tonnellate di rifiuti tossici interrate ovunque che hanno portato a un tasso di mortalità per cancro altissima. Uno su due, se non addirittura uno su uno, deve fare i conti con questa malattia, prima o poi e, se le cure hanno prolungato la speranza di vita, o magari addirittura di remissione, sono sempre troppi quelli che ci lasciano le penne con grandi sofferenze. E sono sempre più giovani.

E l’incidente di Chernobyl ha fatto sì che tutti noi che quell’aprile/maggio del 1986 andammo al mare a goderci la tintarella adesso abbiamo i noduli alla tiroide.

Ai tempi di Calindri c’era già la droga ma i drogati erano pochi, era un’enclave di emarginati o di figli di papà che potevano permettersela. Ora la droga costa pochissimo ed è ovunque, diffusa in tutti i ceti sociali, in tutte le età, anche precocissime, e in tutti i mestieri. Chi guida il tuo autobus o il tuo aereo, che ti toglie l’appendice, chi ti estrae un dente può avere la mano che trema. E la droga fa sì che la gente sia stupida e distratta, che le inibizioni spariscano e si uccida per un nonnulla, che si ammazzi di botte la moglie perché ha cucinato male, che si fracassi la testa a un figlio per un brutto voto, che si dia fuoco a una fidanzata che ci ha lasciato.

Calindri non sapeva niente ancora dell’esodo dei popoli, dell’immigrazione, del degrado, dello spaccio, della schiavitù, dello sfruttamento, della sudditanza psicologica a culture diverse e retrograde che ci portano all’esasperazione e al razzismo. Non sapeva che non avremmo più potuto chiamare le cose col loro nome per tema di offendere qualcuno, fino ad arrivare alla paralisi culturale e al rifiuto della nostra identità e delle nostre tradizioni.

Calindri non immaginava che il telefono servisse a qualcosa che non fosse chiamare la moglie per dirle di buttare la pasta. Non sapeva niente dei cellulari e dei computer. Non immaginava torme di ragazzi, uomini, donne e vecchi camminare in assoluto silenzio con gli occhi incollati a un piccolo schermo e l’aria triste e disconnessa, sì, ma da tutto ciò che li circonda, dalla bellezza di un cielo, dal rosso di un tramonto. Non immaginava di essere attraversato da onde elettromagnetiche che ci stanno friggendo vivi tutti quanti, aumentando l’incidenza di tumori al cervello. Io, ad esempio, vi sto parlando da una casa dove il wifi è acceso giorno e notte, dove il cellulare è sempre a portata di mano sul comodino o sulla spalliera del divano.

Non si può tornare indietro, sarebbe impossibile, ormai la nostra vita è fatta di trasmissione veloce di dati e questo è il futuro. Temo però che, come per il fumo, si stiano sottovalutando i rischi. E se smetter di fumare è faticoso ma fattibile, smettere di  vivere connessi,  ahimè, temo sia impossibile.

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Il Prezzo del Progresso è Giusto

16 Marzo 2019 , Scritto da Umberto Bieco Con tag #umberto bieco, #racconto, #fantascienza

 

 

Finalmente si rialzò. Si apprestò alla colazione. Versò il tè nella tazza autoriscaldante e lo mescolò con il cucchiaino laser. Le posate laser avevano un manico tradizionale dotato di pulsantini che ne variavano l'estremità a seconda della necessità, facendo apparire una forchetta, o un coltello o un cucchiaio. Alcuni modelli avanzati erano in grado di proiettare anche uno stuzzicadenti o uno spazzolino. Erano molto pratici, ma occorreva stare attenti a non lasciarli troppo a contatto con labbra, gengive o lingua, o si rischiava di danneggiarle. Inoltre, c'erano stati casi di malfunzionamento che, già in fase di sfregamento, avevano mutato il laser da spazzolino in coltello, causando conseguenze non particolarmente gradevoli. Ma era il prezzo che si doveva pagare per il progresso. La casa produttrice si chiamava Spoonwalker.

Con un battito di ciglia accese il notiziario tridimensionale oculare. A Washington stavano incoronando Miss Inoculo. Un nastro le si tendeva tra la spalla destra il fianco sinistro, in cui apparivano le lettere CSK, mentre il diadema postole sul capo vantava diverse piccole siringhe puntate verso l'alto.

Finì il tè e depose la tazza nel secchiaio. Il rubinetto spillò acqua e la tazza cominciò a lavarsi da sola, estraendo uno spazzolino e strofinandoselo. Uscì di casa, e salì su un marciapiede mobile, dotato di tre corsie di velocità, dove, benché spostandosi, stazionavano altri cittadini indaffarati a farsi portare da qualche parte, o impegnati in una salutare passeggiata in cui non facevano un passo.

Molti si raccoglievano presso dei lampioni, di cui osservavano il fascio di luce discendente, assorti. Attraverso il fascio ricevevano informazioni, assumevano visioni, si inoculavano sensazioni. Le assorbivano. Erano, del resto, alcune delle poche fonti di luce. Ve n'era solo di artificiale.

Da anni, ormai, il cielo era uno straccio infuligginito e scuro, che gravava su di loro, strizzandosi a volte di gocce nere.

Scese presso il centro.

 

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Spirali di Ameba - il letto sabbiamobile.

14 Marzo 2019 , Scritto da Umberto Bieco Con tag #umberto bieco, #racconto, #fantascienza

 

 

 

 

Si trovava a letto. Avvolto come in un bozzolo. Si sentiva indolenzito, sfinito, inerme. Inerme come un verme. Ogni tanto accadeva. Come un insetto nella tela del ragno, in attesa di essere mangiato. In attesa che il ragno venisse a mangiarlo. Potenziali obiettivi nell'alzarsi erano nebulosi, indecisi. L'obiettivo più potente era rimanere sotto le coperte, possibilmente perdere coscienza, scienza e conoscenza. E in effetti alla prova dei fatti non resistette, e, dopo un poco convinto deambulare tra alcune stanze indifferenti, si rifugiò con un gemito nella sua tana di stoffa. Non aveva alcuna particolare voglia di vivere. Forse nemmeno di morire. Ma dormire, dormire ancora sarebbe stato un ben lieto e ben accolto sollievo. Sognare cose sconclusionate e bislacche. Qualcosa senza discernibile senso, che riconfigurasse l'ordine delle cose in modo più interessante, e meno triste. Riformulasse le regole, fino ad annullarle. O annullasse le regole fino a riformularle.

Non c'era tristezza nel nonsenso. Farsi inghiottire.

A volte si faceva inghiottire dal letto. Alle elementari, quando sentiva che non era in grado d'andare a scuola, si faceva cadere pian piano nello spazio tra il giaciglio e il muro, sul pavimento nascosto. Quando chi era ancora in casa apriva la porta, e dava un'occhiata, per sincerarsi che fosse effettivamente uscito a fare il suo dovere, trovava un materasso vuoto, con coperte tirate verso lo spazio tra il letto e la parete. Ma nessuna traccia di lui. Era un tale sollievo sottrarsi al mondo. Era una tale angoscia sapere che durante la giornata sarebbe emerso l'inganno.

Il chino capo afflitto dalla colpa, le penombra dell'autoesilio nella stanza.

Un'ulteriore tecnica era quella di mimetizzarsi nelle pieghe delle coperte, fondersi con le forme dell'apparenza di un letto disfatto. A volte l'aveva anche attuato per scherzo, nel matrimoniale, spaventando la madre. Se rimaneva a casa, attorno alle 9:30 si sintonizzava sul canale 10, dove vi era una ricezione approssimativa della tv Hamburgheriana fruita dalle basi militari burgerstrisciate dei dintorni, per vedere il cartone di La tana del drago, e ascoltarne il fruscio crepitante in luogo dell'audio mancante, sulle immagini declinate in variazioni di grigio.

Gli era capitato una volta di prendersi in ritardo, correre verso la scuola, cadere per terra, sporcandosi i pantaloni, facendo cadere le chiavi – e nel rintracciarle, rientrare in casa e cambiarsi – aveva deciso che ormai s'era fatto troppo tardi. Accadde una seconda volta, e non sapeva nemmeno  se si trattasse di qualcosa di genuino, o di organizzato, da lui stesso, a sua insaputa.

 

Alcuni animaletti uscirono da un buco nel  muro e vennero ad annusarlo.

Quando alzò il capo, corsero via.

 

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La conchiglia del sole

12 Marzo 2019 , Scritto da Umberto Bieco Con tag #umberto bieco, #racconto, #fantascienza

 

 

 

 

Si ricordò dell'abbonamento. Si rese conto che aveva azionato la richiesta alla centrale fornitrice del servizio, il quale avrebbe potuto attivarsi da un momento all'altro. Guardò con ansia il prato, oltre la staccionata, preoccupato che qualcuno potesse rimanerne fuori – quando d'improvviso accadde, senza che avesse modo di verificare con accuratezza: la sua casa, il prato attorno ad essa, la staccionata, con lui su di essa, si chiusero in una sorta di campana di vetro e schizzarono vertiginosamente verso l'alto, sottraendogli per un momento il respiro, premendolo verso il suolo. Poi tutto si stabilizzò nuovamente, lasciandolo con un lieve ansimare.

Guardò l'orizzonte.

Stelle luccicanti, pianeti. Profondità abissali.

Roba del genere, insomma.

La casa stava galleggiando nello spazio, dentro ad una cupola trasparente da cui si poteva ammirare il cosmo, da dentro al quale lo si navigava.

Sua madre uscì di casa sorpresa:

«Cos'è successo?»

«Mi spiace, l'ho fatto partire. Non me n'ero accorto»

«Santo cielo, io dovrei andare a fare la spesa!” protestò contrariata – ma poi andò a prendere una sedia o una sdraio e si mise a prendere il sole. Cagnolo scodinzolò fuori dalla sua cuccia tutto contento. Gli piaceva lo spazio. Era probabilmente un lontano discendente di Laika - pensava lui – mentre l'erba verdeggiava, contrastando con il sobrio mantello di velluto spaziale bucherellato di stelle.

Laika suona alla balalajka un pezzo sulla perestrojka, mormorò mentalmente a sé stesso.

Sua nonna uscì di casa e stese un plaid. Stava organizzando un pic nic.

Non si può negare fosse un buon modo per staccarsi da tutto. C'era una tranquillità sovrannaturale.

 

La terra, il suo trambusto, il suo clamore, erano quietati, tacitati, silenziati.

Sibilavano lontani, diventati quasi immaginari – deprivati di consistenza urtante.

Ma laggiù la gente si stava certamente ancora dimenando e stava indubbiamente ancora urlando.

 

Stavano inoculando chiunque, per qualsiasi cosa. C'era chi protestava che gli Inoculi potevano aver effetti collaterali, dare reazioni avverse, non esser stati ben sperimentati. Nessun problema. Le grandi case farmaceutiche, commissionate dallo stato e da esso finanziate, avevan subito trovato la soluzione: un Inoculo contro gli Inoculi. Un Inoculo per prevenire reazioni da Inoculo.

Tutto sistemato. O forse no.

Una percentuale della popolazione ancora non era soddisfatta. Voleva vedere i dati, le carte, le sperimentazioni, i documenti. Gli eran stati forniti. Non eran sufficienti. Chi assicurava loro che non fossero stati alterati? Si era quindi mosso l'esimio professor Tronfio Pomposi, accompagnato dal luminare Boria Tracotanza (detto Tornaconto) – i quali, con grande tatto e capacità comunicativa, avevan fatto sapere al pubblico che il pubblico era composto da idioti ignoranti, mentalmente mentecatti, scientificamente subnormali, nonché etologicamente ovini, suini e bovini – e dovean quindi semplicemente tacere e dare retta a loro, alla comunità di esperti, ai Prestigiosi, ai Magnifici.

Da quel momento in poi, chiunque osasse insinuare un qualche dubbio, foss'anche solo sulle modalità di somministrazione, chiunque avesse ardito sollevare un solo sopracciglio alla parola “inoculazione”, sarebbe stato dichiarato Nemico della Salute Pubblica Numero Uno, e infilato in una poco agognata gogna.

Non voleva nemmeno tentare di immaginare cosa sarebbe successo a chi avesse sollevato DUE sopracciglia. Rifletteva sulla fortuna di chi era dotato di monociglio, ne sarebbe certo stato avvantaggiato – ammesso contassero queste obiezioni tecnicistiche.

Alcuni dottori eran stati radiati, e ad alcune radio era stato dato un dottorato, si eran laureate in medicina e ora, forti della  nuova qualifica, non facevano che ripetere, ribadire, insistere un costante: “inoculatevi, inoculatevi, inoculatevi”.

Gli Illuminati e Convinti consideravano i reticenti con massimo sprezzo. Li additavano come criminali, assassini ed oscurantisti - lebbrosi eredi culturali del Medio Evo.

Dicevano che eran stati troppo ben abituati, viziati, dall'efficacia degli Inoculi, che aveva risparmiato loro di assistere a morti atroci – e ora, con la loro riluttanza, mettevano in pericolo queste conquiste esponendo i bambini a contagi, focolai, epidemie. Quegli altri ribattevano che dati i cospicui interessi pecuniari inerenti gli Inoculi e la comprovate corruzioni farmaceutiche adiacenti, non era possibile sapere con sicurezza, giacché i dati e gli studi potevan esser stati modificati ad hoc – e i danni sottomenzionati. Susy Testapiatta e Aldo Faccianatiche bruciavano lauree di medicina in strada. Il dibattito degenerò in scontri armati, raggi laser, sciabolate elettriche e parolacce sui social network. Lamiere contorte fumanti.

 

Si staccò da questi pensieri, ansiogeni e tristi. S'immerse nuovamente nello spazio profondo, perdendosi in una nebulosa.

 

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Il segno del comando

11 Marzo 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #televisione, #come eravamo

 

Se penso alla paura, penso a Il segno del comando. Sceneggiato televisivo del 1971, in bianco e nero, con Ugo Pagliai, allora giovane e bellissimo, e Carla Gravina, (ma anche Rossella Falk e Massimo Girotti), per la regia di Daniele D’Anza.

Ambientato a Roma, in vicoli bui e misteriosi, in particolare via Margutta, in taverne che scompaiono, palazzi fatiscenti, chiese inquietanti. In bilico fra gotico, giallo e fantastico, disseminato di apparizioni, fantasmi, ritratti misteriosi, medaglioni, manoscritti appartenuti a Lord Byron.

Era tensione allo stato puro e ricorderò sempre il terrore con cui, bambina, assistetti alla mitica puntata della seduta spiritica. Il tutto era amplificato dalla musica e, soprattutto, dall’indimenticabile sigla, Cento campane, nota soprattutto nella versione cantata da Lando Fiorini.

 

Din don din don, amore,

pure le streghe m’hanno detto no

 

I temi, innovativi per l’epoca - occultismo, spiritismo, reincarnazione - avvinsero e stregarono l’Italia per cinque domeniche. Allora si coronava il giorno del Signore, quello dedicato alla famiglia e alla buona tavola sostanziosa, con la visione collettiva (oggi diremmo “gruppo di ascolto”) di un grande teleromanzo a puntate.

Come afferma il sito Fantasticinema: “Si possono restaurare le immagini e riesumare puntate perdute dagli archivi, tuttavia è difficile riproporre le emozioni che circondavano gli sceneggiati tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’80.”

 

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"Dodici metri d'amore" e altro ancora

9 Marzo 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo, #cinema

 

Dell’umorismo si è detto tutto, ne ha parlato Bergson, Pirandello lo ha definito “il sentimento del contrario”, ma, forse, non si è sottolineato abbastanza il fatto che il riso cambia coi tempi.  Ciò che ci faceva sbellicare anni fa non ci diverte più adesso. Ricordo, solo un paio di decenni fa, le grasse risate che facevamo con gli show di Panariello e di Fiorello. Sembra ieri, invece sono già quasi vent’anni. Ricordo certi tormentoni che, probabilmente, sul pubblico di oggi non farebbero presa mentre allora ridevamo tutti, io, mio marito, gli amici.  

E, se vado indietro nel tempo, rammento alcuni capisaldi della comicità sempre rievocati in famiglia, che fecero sganasciare dalle risate me, mio padre, mia madre e mia nonna. Uno era un film con Alberto Sordi, di cui non so il titolo, dove lui si ritrovava catapultato in un comico intrigo di spionaggio.  L’altro è Quattro bassotti per un danese, film della Disney del 66 diretto da Norman Tokar. Andammo tutti a vedere al cinema le peripezie del povero alano combina guai convinto di essere un bassotto, e ridemmo a crepapelle.

Ma, soprattutto, mito imperituro della comicità di casa fu Dodici metri d’amore, film del 54 diretto da Vincent Minnelli, con l’irresistibile scena della novella sposa che cerca di cucinare per il suo maritino, mentre il bestione roulotte è in movimento.

Era tutta un’epoca ad avere gusti e soglia dell’umorismo diversi, più ingenui. Ciò che faceva sganasciare allora, adesso fa sorridere. Tuttavia, i film di quei tempi là (cinquanta/sessanta), possedevano comunque un allure, un fascino sofisticato che li rende tuttora immortali. Grandi registi come, appunto, Minnelli, o come Victor Fleming, con un primo piano, con una dissolvenza, con un semplice suono in sottofondo trasmettevano pathos, emozione, tragedia, eros, molto meglio delle scene esplicite, articolate e spesso inutilmente crudeli, di oggi.

 

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I coralli

8 Marzo 2019 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende

 

 

 

 

Perseo, dopo la trasformazione di Atlante, si rimise ai piedi i sandali alati, appese al fianco la spada con la quale aveva tagliato la testa di Medusa e volò di nuovo nell’aria limpida. Vedeva passare sotto di sé popoli, città, foreste, deserti ... Il mondo era bellissimo, visto dall’alto!

Infine giunse nella terra degli Etiopi; lì Nettuno, dio di tutte le acque, aveva ordinato che Andromeda, la figlia del re, pagasse con la vita l’oltraggio fatto da sua madre alle Nereidi, le belle ninfe del mare.

Perseo, dall’alto, vide la misera fanciulla legata nuda alla roccia, in riva al mare: il vento le agitava i capelli e i suoi grandi occhi erano pieni di lacrime.

Il giovane eroe ne rimase incantato e, per un attimo, si dimenticò di battere le ali che lo tenevano sospeso nel cielo: sbandò, annaspò nell’aria e alla fine si posò su una roccia, vicino alla bella prigioniera.

-  Come ti chiami? - le chiese - Come si chiama questa terra? Perché sei legata così? -

Andromeda taceva: avrebbe voluto coprirsi il volto con le mani; ma era legata, perciò poteva solo piangere e arrossire ... Perseo insisteva con le domande e la fanciulla non voleva che quel giovane dai sandali alati la credesse colpevole di qualche orrendo delitto; perciò, con un filo di voce, gli disse il suo nome e quello della sua terra. Poi cominciò a raccontare:

-  Fu l’amore di mia madre a condurmi alla rovinai Io, per lei, ero la fanciulla più bella del mondo, più bella anche delle ninfe del mare; così andava in giro vantandosi.

 Le Nereidi si offesero terribilmente e pregarono Nettuno di vendicarle … Un drago gigantesco cominciò a seminare morte e distruzione nel nostro regno. Mio padre, disperato, chiese consiglio agli indovini e da tutti ottenne la stessa risposta: l’orribile creatura sarebbe tornata negli abissi del mare, solo dopo avermi divorata! -

-  Ma allora … tu stai aspettando il mostro! E i tuoi genitori dove sono?  - gridò Perseo, incredulo.

La risposta si gela sulle labbra di Andromeda: le onde hanno cominciato a ribollire e in mezzo al mare è apparso il drago, orrendo e minaccioso. Il suo petto copre un gran tratto di acque e si dirige velocemente verso la riva. Andromeda ha ritrovato la voce e ora grida, spaventata.

Ed ecco il giovane dai sandali alati, dirle:

- Non è tempo di piangere! Io sono Perseo, figlio di Giove e di Danae. Ho vinto la Gorgone Medusa e posso volare nel cielo: qualunque fanciulla sarebbe orgogliosa di avermi per marito! Ora, con l'aiuto degli dèi, compirò una nuova, grande impresa, però a un patto: che tu sia mia sposa, se riesco a salvarti! -

Intanto il mostro, facendosi largo fra le onde con l'enorme petto, sta per giungere allo scoglio ... Allora Perseo lega alla cintura la bisaccia che contiene la testa di Medusa; poi, con uno slancio, vola in alto fra le nubi. La sua ombra si disegna sulla superficie del mare e il drago, inferocito, si avventa contro l’immaginario nemico …

È il momento giusto: il giovane eroe piomba dall’alto sulla belva e le trafigge il collo con la lunga spada!  Il mostro vomita sangue, mentre Perseo lo ferisce sul dorso incrostato di conchiglie, sulla testa coperta di squame, sulla coda appuntita ... Infine, un colpo netto, preciso, e la spada micidiale affonda nel cuore della belva!

Perseo guarda le sue mani sporche di sangue e, per lavarle, poggia la testa di Medusa su uno strato di morbidi ramoscelli che coprono la sabbia.

Ed ecco quegli arbusti, ancora freschi e vivi, si induriscono e si tingono di un rosso intenso: sono diventati coralli!

 

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L'amico fantasma

7 Marzo 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo, #televisione

 

Chissà se qualcuno ricorda ancora L’amico fantasma, serie televisiva mandata in onda da Rai 1 nei primi anni settanta?

Rammento poco anch’io, so solo che piaceva tanto in famiglia, soprattutto a mia madre e a me, e che la trovavamo molto accattivante e divertente.

Insomma, La porta rossa, di cui viene al momento trasmessa la seconda serie su Rai 2, con Lino Guanciale nei panni di un commissario di polizia deceduto, ha dei precedenti. Anche ne L’amico fantasma le indagini erano portate avanti dallo spettro di un detective morto nella prima puntata, che stava vicino all’amico investigatore e alla propria moglie ancora amata. Niente a che vedere con le atmosfere crude e noir de La porta rossa, qui era tutto molto spiritoso, si tratta di un vecchio telefilm inglese della seconda metà degli anni 60 che ha per protagonisti due investigatori privati: il primo è  Jeff Randall, interpretato dall’attore Mike Pratt,  il secondo Marty Hopkirk, impersonato da Kenneth Cope.

La sigla è stata composta da John Barry, autore delle musiche dei film di James Bond, fra cui la più famosa è senz’altro Goldfinger.

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Il monte Atlante

6 Marzo 2019 , Scritto da Laura Nuti Con tag #laura nuti, #miti e leggende

 

 

 

 

Dopo la trasformazione delle figlie di re Minia, tutti gli abitanti della Grecia temevano e veneravano il dio del vino; solo Acrisio, re di Argo, sosteneva che né Bacco, né Perseo, suo nipote, erano figli di Giove.

Acrisio aveva una grande opinione di sé: si era conquista­to da solo il trono e riteneva di essere il più forte e il più astuto fra tutti i re della Grecia; che bisogno aveva degli dèi?

«Forse gli dèi non esistono...» pensava.

Perciò non credeva che sua figlia Danae avesse avuto Per­seo proprio dal re dell’Olimpo. Perseo, quel bambino tanto pericoloso, che non doveva nascere.

Infatti un oracolo aveva predetto ad Acrisio che sarebbe stato ucciso da un nipote e il re, per sfuggire al suo destino, aveva fatto rinchiudere la figlia dentro una torre inaccessibi­le. Ma Giove, innamorato della fanciulla, si trasformò in una pioggia dorata, passò attraverso una fessura aperta nel muro e riuscì ugualmente a raggiungerla ... Così nacque Perseo.

Quando Acrisio seppe dell’accaduto, non ebbe un attimo di esitazione:

 

- Chiudete la madre e il figlio in una cassa e gettateli in mare! -  ordinò.

Ma Giove vegliava sui due naufraghi e, sospinta da un vento leggero, la cassa approdò nell'isola di Serifo. Polidecte, re dell'isola, salvò Danae e Perseo e li accolse nella sua reggia.

Il tempo passò e Perseo divenne un giovane forte e intelligente, Danae una donna bellissima. Polidecte era innamorato di lei e voleva sposarla, ma Danae, che viveva solo per il figlio, lo respingeva.

 

- Perseo è un ostacolo alla mia felicità, – pensava il re – devo liberarmi di lui!

 

Infine ebbe un’idea …

Come tutti i giovani, il figlio di Danae amava l’avventura e desiderava dar prova del suo coraggio, perciò un giorno Polidecte gli disse:

 

- So che non hai paura di nulla, ma certamente non ose­resti affrontare la Gorgone Medusa!-

 

- Se la tua è una sfida, o re - rispose Perseo - l’accetto senza esitare! Prima, però, dimmi: chi è questa donna che do­vrebbe farmi tanta paura?-

 

- Medusa non è più una donna, ma un tempo era una fanciulla bellissima, così bella che Nettuno, dio del mare, si inna­morò di lei e subito fu ricambiato con grande passione. I due innamorati, però, scelsero per incontrarsi il tempio di Miner­va, che sorgeva in una valle isolata e silenziosa ... Una notte la dea, scrutando la Terra dall’alto dell’Olimpo, si accorse che il suo tempio era stato profanato! Sdegnata, decise di vendicar­si dell'oltraggio subito ... Ma Nettuno era un dio, e lei non po­teva punirlo; allora rivolse tutta la sua ira contro Medusa e la trasformò in un terribile mostro, con la lingua penzolante, le zanne enormi, i serpenti al posto dei capelli, gli occhi di fuoco. Chiunque l'avesse guardata, sarebbe diventato di pietra! –

 

- Anche ora Medusa ha questo potere? - chiese Perseo, affascinato dalla storia - Certo! La sua casa è circondata da statue di roccia, che un tempo furono uomini e animali - esclamò Polidecte. Vuoi forse rinunciare alla sfida? Sapevo che la verità ti avreb­be sconvolto...

 

- Niente affatto! - rispose il giovane, senza esitare - Voglio partire subito! Non ho paura, anzi: ben presto ti porte­rò la testa di Medusa!-

 

Polidecte aveva raggiunto lo scopo: finalmente avrebbe sposato Danae! Quel presuntuoso non sarebbe certo tornato dalla sua folle impresa: nessuno poteva vincere Medusa.

Invece Perseo, con l’aiuto di Mercurio e Minerva, i suoi fratelli divini, realizzò il progetto straordinario e decapitò la Gorgone.

Ma anche recisa, l’orribile testa conservò il potere di pie­trificare chi la guardasse e i serpenti continuarono a sibilare e a sputare nero veleno.

Dal collo di quel mostro, però, insieme al sangue, uscì uno splendido cavallo alato: il giovane eroe lo chiamò Pegaso.

Ora, dopo la vittoria su Medusa, Perseo, felice e pieno di orgoglio, tornava a Serifo, volava leggero nell’aria, grazie ai sandali alati che gli aveva donato suo fratello Mercurio, e stringeva fra le mani una bisaccia, che racchiudeva la testa della terribile creatura.

Portato dal vento, Perseo vagò nel cielo immenso e, quan­do giunse il tramonto, si fermò nella regione dell'Esperia: era troppo pericoloso volare di notte, anche per un giovane eroe!

L’Espero era il regno di Atlante, un uomo gigantesco: ave­va mille greggi e sulla sua terra nascevano alberi lucenti, che davano frutti d’oro.

- O re - gli disse Perseo, quando fu davanti a lui - Io sono figlio di Giove e ho compiuto grandi imprese: se onori gli dei e apprezzi il coraggio, ti prego, fammi riposare nella tua casa!

 

Atlante lo guardò pieno di sospetto e subito la sua mente corse a un’antica profezia, che ammoniva:

«Un giorno giungerà nella terra dell'Espero uno dei figli di Giove e allora il tuo regno avrà fine ... Egli

ti toglierà i frutti degli alberi d'oro, e la vita!»

Per questo il potente re si rifiutò di ospitare Perseo. Ma il giovane, senza esitare, infilò la mano nella bisaccia e trasse fuori la terribile testa di Medusa ...

Ecco, allora, Atlante diventare un’enorme montagna: la barba e i capelli si trasformano in folti boschi, le spalle e le ma­ni sono rupi scoscese, la testa è la cima più alta, le ossa diven­gono massi.

Ora, ai confini del mondo, non esiste più il gigante padro­ne di mille greggi: al suo posto c’è una catena di monti, che ne conserva il nome e continua a sbarrare la strada a chi vuol av­venturarsi nella terra dove crescono i frutti d'oro...

 

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