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Luca Murano, "I vestiti che non metti più"

19 Novembre 2021 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

 

 

I vestiti che non metti più

Luca Murano

 

Edizioni Dialoghi, 2021

pp 127

14,00

 

Rispetto al precedente Pasta fatta in casa, quest’ultima raccolta di Luca Murano mostra un’ulteriore maturazione. Murano scrive molto bene e i racconti de I vestiti che non metti più - dall’apparenza semplice e dall’ironia persino troppo insistita - procurano al lettore una sottile angoscia. Come se lui avesse l'audacia di dire quello che spesso anche noi pensiamo, di guardare al mondo con la nauseata disapprovazione che anche noi vorremmo esprimere senza riuscirci.

È come entrare nella mente del protagonista del film Un giorno di ordinaria follia di Joel Schumacher. Quante volte la realtà ci appare segretamente distorta, spaventosa, deformata? Ma non lo diciamo a nessuno. Quante volte vediamo cose che non ci sono per gli altri ma per noi esistono (come un gatto nel frigorifero)? Quante volte vorremmo sparare sulla folla dalla rabbia che coviamo e, invece, continuiamo imperterriti a sorridere?

Molto si basa sul coraggio, o meglio sul mancato coraggio. Quel gesto che ci salverebbe agli occhi del mondo, e più ancora ai nostri stessi occhi, e che non abbiamo la dignità di fare, perché esporsi è pericoloso, perché siamo piccoli, umani e vigliacchi come il veterinario davanti al cinghiale scongelato per un finto incidente, lo stesso veterinario che non ha mai avuto il coraggio di vivere senza inibizioni la propria omosessualità.

Vorremmo sganciarci, fuggire all’altro capo del mondo, ribaltare tutta la nostra esistenza, invece ci limitiamo a gettare un Estathè nel cestino o a sputare nel piatto di un avventore – così come il protagonista de La Carriola di Pirandello solleva le zampe della cagnetta - e quello rimarrà l’unico, invisibile, incomprensibile gesto rivoluzionario della nostra vita.

Comune denominatore una totale malinconia, un bisogno di riscatto e di speranza, una vaga nausea di esistere, così come siamo, pur nella bellezza del mondo. E i piccoli gesti, i piccoli innocui particolari di tutti i giorni, come aprire il frigo o preparare una torta di mele, si deformano fino a ad acquisire valenza onirica e perturbante.

I protagonisti, spesso alle soglie della mezza età, si guardano indietro e fanno un bilancio, chiedono a se stessi che senso ha avuto arrivare fino a lì, che cosa hanno concluso nella vita e che cosa rimarrebbe di loro se dovessero perire in quel momento. A salvarli, forse è un vago riconoscimento della bellezza della vita a prescindere, e dell’amore, sentimento salvifico, e anche la comprensione che tutto ciò che hanno vissuto, e ambìto in modo ormai velleitario, fa parte di loro, nel bene e nel male, e da lì non possono che ripartire, per andare comunque avanti.

In questa raccolta ci sono novelle surreali ma anche alcune più tradizionali ed elegiache, come Il mio sottosopra, che forse sono l’elaborazione in forma narrativa di una pagina di diario, di un appunto o di un ricordo. Tutte indistintamente sono molto moderne e calate nell’attimo presente – cosa che, temo, potrebbe renderle meno fruibili in futuro. Le similitudini sono tratte dal vivere comune, da ambiti non letterari bensì cinematografici, televisivi e internettiani.

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Provocazione, una rivista per tutti ma di sole donne

17 Novembre 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #riviste

 

 

 

 

 

È ancora il tempo di pubblicare riviste letterarie su carta? Pare proprio di sì, sembra che gli scrittori italiani non si possano staccare dal supporto cartaceo, anche se la rivista esce online, in  digitale, l’edizione collaterale stampata piace molto. Una rivista longeva come Il Foglio Letterario - nata nel maggio 1999 - da alcuni anni è risorta in digitale grazie a Vincenzo Trama, all’indirizzo www.ilfogliolettrerario.it, ma 4 volte all’anno esce anche su carta, come free press per chi acquista un libro dell’omonima Casa Editrice. Davide Ricchiuti, invece, si è inventato Pro.Vocazione, una rivista monografica per tutti, diretta da un uomo, che pubblica solo autrici. Emblematico il titolo che può essere letto alla latina pro vocazione (per vocazione, il solo motivo per cui ci si occupa ancora di letteratura) e in italiano come provocazione (qualcosa che è destinato a scatenare dibattiti e discussioni). Provocatore per eccellenza, Ricchiuti, che si avvale della collaborazione di Raquel in Dreams (ilustra e impagina) e di Stefania Massarri (consiglia libri e si batte per la parità di genere nel mondo editoriale), ha già dato alle stampe due numeri (Settembre e Dicembre 2021) di un trimestrale molto originale. Rivista gratuita, sia in digitale che su carta, nel primo numero pubblica un racconto inedito di Manuela Montanaro (L’asina zingara) e consiglia la lettura di L’orchestra rubata di Hitler di Silvia Montemurro, Quel luogo a me proibito di Elisa Ruotolo e L’unica persona nera nella stanza di Nadeesha Uyangoda. Il secondo numero ospita La vecchia di Giulia Sara Miori e invita a leggere il romanzo La stanza dei canarini di Giulia Contini, Le ore piene di Valentina Della Seta e Adorazione di Alice Urciolo.  Verrebbe da dire che Ricchiuti è un razzista al contrario, perché discrimina gli uomini nei confronti delle donne, in realtà non è così, perché lo scopo è evitare il cameratismo maschile e rimuovere la disparità di considerazione di cui sono oggetto uomini e donne. Il motto della rivista è: le donne non dovranno sempre proteggersi dagli uomini. Richiedetela a provocazione.rivista@gmail.com oppure sfogliatela su pro-vocazione.onuniverse.com. Vi assicuro che ne vale la pena.

 

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

 

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Midnight Mass

16 Novembre 2021 , Scritto da Altea Con tag #altea, #recensione, #serie tv, #televisione

 

 

 

 

In una piccola isola di pescatori in crisi economica da anni giunge un giovane prete a sostituire temporaneamente l'anziano reverendo che è stato ricoverato in ospedale durante un pellegrinaggio. La comunità è inevitabilmente autoreferenziale, cattolica, affamata di fede, poco collegata col continente. Pochi sono i non praticanti o di fede diversa ma convivono serenamente. L'unica bigotta invasata sopravvive nonostante sia antipatica anche alla sua immagine riflessa. Ma subito è palese che qualcosa è arrivato insieme al parroco: un'entità oscura che scatena eventi latori di funesti presagi. E, subito dopo, il primo miracolo durante la messa, davanti a tutti, agognato e inspiegabile, come tutti i miracoli. Come prevedibile la gente rinnova il fervore verso la chiesa ma alcuni strani comportamenti del religioso e misteriose sparizioni notturne ci fanno intuire che la distinzione tra bene e male non è così evidente. Questa miniserie in 7 puntate, che mi ha ricordato il romanzo "Hex" ma che di  horror ha poco e nulla, ha molteplici piani di lettura che si svelano in un bellissimo dialogo sulla morte tra due ex che si rivedono, e un bellissimo monologo finale su cosa sia la vita, con riflessioni che molto devono a certa psicoanalisi di Hillman e filosofia orientale. Il prete, che come un pappagallo ripete il mantra dell'accettazione all'ex alcolista, è il primo che la infrange sconvolgendo la comunità con un miracolo, inteso come un vero e proprio atto devastante che avrà ricadute sulla vita di tutti. I miracoli non sono desideri. I miracoli, di qualunque natura siano, vanno contro le leggi della fisica o dell'etica, e i vantaggi che essi comportano ricadono per forza sulla comunità con costi spesso insostenibili. Sia che invertiamo il processo dell'entropia, sia che godiamo di vantaggi economici, sociali o sanitari, da un'altra parte paghiamo noi o i nostri simili. E se rincorriamo ciecamente questi sogni, se ci facciamo condurre da persone che celano uno spirito corrotto dietro la rispettabile patina di costrutti sociali accettati dalla maggioranza, sanciremo in breve tempo la nostra distruzione. Il mondo si può sicuramente cambiare ma solo dopo averlo accettato per ciò che è, riconoscendo nella nostra vita non un vuoto simulacro da proteggere egoisticamente, bensì un dono molto meno materiale da offrire alla bellezza a cui viene continuamente esposto. Ma anche quella va prima trovata, e la serenità, la non appartenenza a nessuno degli schieramenti in gioco, di qualunque gioco si parli, l'eresia in senso etimologico, sono l'unico modo efficace. 

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Come cambierebbe la mia vita "senza" il digitale.

15 Novembre 2021 , Scritto da Luca Lapi Con tag #luca lapi, #le riflessioni di luca

 

 

 

 

Come cambierebbe la mia vita "senza" il digitale.
Com'era la mia vita prima del digitale.
Rifletto partendo dalla fine.
La mia vita prima del digitale era:
Vederci in classe, ma non al di fuori della classe.
C'era classe nel vederci in classe?
Ed al di fuori?
Sembrava un declassarci?
Non a me!
La mia vita prima del digitale era:
Scriverci a mano (col rischio di non capire la calligrafia o dattiloscriverci, inviarci cartoline, affrancare la posta da spedire).
La mia vita durante il digitale è:
Scriverci per posta elettronica o tramite Facebook.
E' stato ed è bello, tuttora, per me, scrivere per comunicare, per condividere, per cercare e trovare in un posto, benché virtuale, ma sicuro, amiche ed amici, ma mi mortifica constatare che tutto ciò non avvenga che come in una: "classe" (di cui ho parlato, all'inizio) e non: "al di fuori".
La mia vita "senza il digitale:
Tornerebbe a essere una vita in attesa di uno squillo (non una: "squillo") al telefono, al citofono e alla porta di accesso a casa mia e, comunque, la mia vita è così, tuttora, anche "col" digitale.
Ho detto: "... La mia vita prima del digitale era... affrancare la posta da spedire..."
Mi convinco che la vita digitale, in gran parte della mia esperienza di vita attuale, sia, per alcuni, ma non per tutti, (tranquilli!):
Un affrancarsi, un liberarsi da responsabilità sociali che chiunque sarebbe bene che sentisse come vitali!
"Vita Digitale: come cambia la vita".
Forse, la vita digitale dovrebbe essere intesa da chiunque come un:"pannolino" che può sporcarsi e che, sporcandosi, necessita di essere cambiato, periodicamente, con un: "pannolino" pulito di: "vita reale"e pure codesto può sporcarsi.
Occorre ricordarsi che nella vita digitale, come in quella reale, c'è il dito indice puntato contro qualcuno, c'è il dito pollice puntato verso il basso per condannare qualcuno e c'è il dito medio per augurare, sgarbatamente, a qualcuno, alla maniera di un famoso ex comico genovese, una: "V-Life"!
Vita digitale:
Ci sono le impronte digitali e le mie virtuali sono pronte a essere lasciate nella vita reale di: amiche e di: amici, ma le loro, per paura delle mie, non sono pronte ad essere lasciate nella mia!

Luca Lapi

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PRESENTATO AL ROMAVIDEOGAMELAB IL VIDEOGAME 'NABBOVALDO E IL RICATTO DAL CYBERSPAZIO', per imparare la Cybersecurity

8 Novembre 2021 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #video games

 

 

 

 

Presentato, in occasione del RomeVideoGameLab – quest'anno dedicata a “Umano e digitale” - il videogioco didattico “Nabbovaldo e il ricatto dal cyberspazio”, pensato per avvicinare gli alunni tra gli 11e i 13 anni ai temi della cybersecurity e per migliorare i comportamenti nell’utilizzo della Rete. La presentazione, a cura di Giorgia Bassi e Beatrice Lami, si è tenuta agli Studi di Cinecittà a Roma, presso la Basilica Aemilia – Aula Pac-Man. Una cronaca video della presentazione al link www.youtube.com/watch?v=qeWx_nQXgdw. Un’avventura interattiva, tutta da giocare in aula: non una distrazione, ma anzi una best practice, quella di scaricare un’App e usare lo smartphone a scuola.

Si tratta della 
nuova iniziativa della Ludoteca del Registro.it, che ha come obiettivo quello di diffondere la cultura di internet presso le giovani generazioni. La Ludoteca è un progetto del Registro.it, - l’organismo che, in seno all’Istituto di informatica e Telematica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa, da oltre trent’anni anni assegna e gestisce i domini a targa italiana. Ambienti, mappe, dialoghi, scenari multipli sono i contenuti – validati dai ricercatori del CNR – alla base del videogame che ha l’obiettivo di approfondire, tra i bambini e i ragazzi, le conoscenze legate al Web e la sicurezza online. “Nabbovaldo e il ricatto dal cyberspazio” è stato pensato come strumento didattico per gli insegnanti e come mezzo di apprendimento per gli studenti. Attraverso le modalità tipiche del videogame, infatti, ha l’obiettivo di insegnare, in modo ironico e inconsueto, termini informatici, nozioni di base e comportamenti corretti per navigare. La sezione “Nabbopedia”, inoltre, fornisce un mini-dizionario con le definizioni di alcuni termini tecnici come Trojan, Firewall, Adware, Antivirus, Troll, Ransomware, Scandisk e Spyware. Il gioco, fruibile sia singolarmente che mentre si fanno lezioni e laboratori, genera un punteggio finale che evidenzia la conoscenza dell’utente sui pericoli di Internet, con una speciale attenzione a social network, virus, truffe online, file sharing e netiquette.

Sviluppato in collaborazione con Symmaceo e Grifo Multimedia – e disponibile su App Store di Apple e Google Play – è ispirato al fumetto “Nabbovaldo contro i PC zombie”, della collana “Comics & Science” edita dal Cnr, dove il protagonista, un adolescente sempre online ma ingenuo nell’affrontare i pericoli del cyberspazio, si muove a Internetopoli, la città della Rete. Come si evince dal trailer al link https://www.youtube.com/watch?v=YQy8pqol36c, nel videogioco Nabbo, di professione tuttofare, sarà coinvolto in un’avventura con al centro un Ramsomware (un malware che estorce denaro) che terrà sotto scacco l’intera città e dovrà indagare cercando una soluzione.

Infine, per divulgare il videogame nelle scuole italiane è prevista una guida per genitori e insegnanti e una formazione per i docenti. Il gioco, infatti, oltre alla modalità “single-player”, prevede una versione desktop Windows e MacOS per l’utilizzo didattico in classe. La metodologia proposta dalla Ludoteca del Registro .it sarà inoltre quella della “flipped classroom”, ovvero il momento di confronto in classe come base per un apprendimento attivo e collaborativo, ma anche con il coinvolgimento di studenti degli istituti superiori nel ruolo di “tutor” per gli alunni delle scuole di ordine inferiore.

 

Per maggiori informazioni:

www.ludotecaregistro.it/il-videogioco-nabbovaldo/
ludoteca@registro.it
www.instagram.com/ludotecadelregistro.it/
www.facebook.com/LudotecaRegistro
www.youtube.com/channel/UCQvCwo8lOHfe--od7f2TIpQ

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Mauro De Candia, "Sundara"

4 Novembre 2021 , Scritto da Rita Bompadre Con tag #rita bompadre, #recensioni, #poesia

 

 

 

 

Il libro Sundara di Mauro De Candia (Ensemble, 2021 pp. 80 € 12.00) è un'originale, incisiva, contemplativa visione del mondo, concepita nella manifestazione profonda di liberazione dalle convenzioni culturali e sociali, una osservazione poetica oscillante tra l'intento satirico di una mitologia contemporanea  e l'inconsolabile perplessità nei confronti delle sovrapposizioni esistenziali. Il poeta risana l'equilibrio e la suggestione concedendo al titolo della raccolta l'inno evocativo dell'incanto e della grazia, all'entusiasmo vitale delle poesie il sarcasmo e la fiducia emozionale nei confronti del genere umano, conducendo ogni impressione in un universo metafisico, ammaliato da influenze espressive surreali e oniriche. La libera ed ermetica combinazione stilistica dei versi interpreta il carattere autentico e moderno della riflessione, l'imprevedibilità dell'anima e la sfrenata fantasmagoria dell'immaginazione, delinea il codice significativo con l'enigmatica impenetrabilità delle parole, con l'oscurità schematica della dimensione interiore. Mauro De Candia accoglie le indicazioni di una discontinuità ritmica e attraverso una definizione articolata della logica nella ricerca specialistica di temi filosofici risolve la risorsa speculativa nelle dinamiche rappresentative dell'uomo disponendo l'esigenza di spiegare la propria centralità contenutistica in un percorso identitario. Una poesia sensoriale che concede a ogni  intonazione ipnotica del verso la metamorfosi del discorso, la possibilità terrena dell'orientamento ispiratore. L'elemento poetico dello stupore è il filo conduttore di ogni intuitiva illuminazione e favorisce una nuova prospettiva della scrittura. L'orientamento rapido, autentico, insolito ed eccentrico dei testi dirige la perspicacia di un sillogismo necessario per affermare la verità identificativa e l'immedesimazione della realtà attraverso la meditazione con l'emblema dell'irrealtà. Sundara è un vocabolo proveniente dalla lingua sanscrita e il libro di Mauro De Candia associa al significato animato dell'essenza comunicativa l'intonazione del segnale spirituale e mentale dell'archetipo salvifico della bellezza, congiunge all'accordo poetico il prodigio e la meraviglia taumaturgica, diffonde nel verso autonomo e svincolato l'obiettivo di una eloquenza innovativa, aggiornando il carattere filologico della terminologia e il processo neologico della nuova esigenza letteraria, approfondita nella moderna apertura e nella competenza dell'effetto stilistico. L'estrazione leggendaria della rappresentazione dell'intensità del bene e dell'ostilità del male trascende l'affermazione sublime della poesia. La poesia concentra l'ammirata osservazione su se stessa, unisce la sostanza al profilo lirico, rigenera l'entità della  ricostruzione nell'estensione figurativa del potenziamento semantico, manifesta la combinazione creativa dell'iperbole rafforzando il senso vivo e intelligente del pensiero, nella ricerca rigorosa e compiuta del fondamento esistenziale, nella maturità elegiaca dell'identità.  

 

Rita Bompadre - Centro di Lettura “Arturo Piatti”

https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

CANTOFABULA  (PARTE PRIMA)

 

Un giorno si rinchiuse, in Transilvania,

il Sole che annegava nel bromuro

narrato in un Jules Verne, in un Urania.

 

S'innamorò del buio, un corpo oscuro,

cantando storie, ergendosi più in alto,

sferzando i raggi intrepidi sul muro,

 

e illuminò così tutto il basalto,

e illuminò così l'intera valle,

e un'ombra pose un daimon in risalto,

 

e un canto pose il buio alla sue spalle:

spalle di favola, dorso di terra,

ali di indifferenza han le farfalle.

 

L'indifferenza genera la guerra,

ma io son differente, puoi scoprire

ciò che racconto, l'odio dissotterra

 

e lo tagliuzza, e poi lo fa morire.

Sei son le corde, cinque le vocali,

quattro sono le dita da accudire.

 

Tre sono i versi in bocca agli animali,

due son le mani: aspetta di capire.

 

 

CANTOFABULA (PARTE SECONDA)

 

Un mendicante ursaro era disteso,

toccato fu dal Sole che arpeggiava:

un dito gli mancava, era indifeso

 

quel giorno in cui una banda lo predava,

quando si avvicinò uno scannapane

e con la lama in mano lo sfregiava.

 

E accanto al mendicante era il suo cane.

Triunică (era il suo nome), che abbaiò

e in quel “tre” aleggiava un senso immane:

 

tre voci, tre volteggi in un rondò

compiva la sua lingua; rabbia, pianto

e infine anche la gioia lo guidò.

 

Il suo padrone diede vita a un canto,

una ghironda prese tra le mani

e con le corde il cielo mosse al vanto:

 

 

“Io canto quelle storie degli umani

che mai nessuno ha visto né sentito,

storie che ricordiamo noi zigani,

 

nei secoli il silenzio hanno subito:

io non potrei lasciarle mai morire”.

Il Sole lo ascoltava incuriosito

e vide tra le nubi comparire

le vite già vissute, e immortali

le colse tra i suoi raggi, vide uscire

 

da quella gola donne con le ali,

uomini colorati e poi cavalli,

e in sé raccolse tutti gli animali

 

mentre trascorse un secolo, e poi due,

ma il mendicante e il cane sono lì,

non sono mai invecchiati,

e neanche morti:

contaminando

non si muore

mai.

 

 

 

UN MERCATO

 

Al mercato di Z.

Una signora in carrozzina.

Un cane sul grembo della signora in carrozzina.

Un collare sul collo del cane sul grembo della signora in

carrozzina.

Un collare sulla vita della signora in carrozzina.

Accanto strepita di pece

una giovane coppia-chimera.

Un solo collare è sui colli stretti della coppia:

rimbalzano come anguille le adirate spine dorsali

imprigionate tra i banconi e i marciapiedi,

come la loro vita,

che è più in carrozzina di quella della signora.

Sorride la signora,

la sua mano alata è libera

e accarezza il cane.

 

 

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Jacques Prévert, il poeta dell'amore

3 Novembre 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #personaggi da conoscere, #poesia

 

 

 

 

Nasco a Neuilly-sur-Seine, in piena Bretagna, un dipartimento della Senna, rue de Chartres, poco dopo mezzanotte, è il 4 febbraio del nuovo secolo, appena iniziato il Millenovecento; cresco in provincia, tra usi e tradizioni che mi restano addosso come un’altra pelle. Secondo figlio di André e Suzanne, mio fratello Jean muore troppo giovane, di tifo. La mia famiglia è piccolo borghese, mio padre non se la passa niente bene, segue vaghe idee di socialismo, mi porta con sé a visitare i poveri, cerca di aiutare come può; comprendo presto quanto la vita non sia giusta. Non siamo ricchi in casa, tutt’altro, non mancano i problemi, però mio padre ama la cultura, il cinema e il teatro, fa il critico per puro passatempo, vado con lui, cresco affascinato da quel mondo di finzione e sogni, di storie appassionati e di parole che saranno il leitmotiv della mia vita. Non mi priva di niente, mio padre, caso mai tralascia cose futili, per me vuole il meglio, che cresca con l’incanto della vita vissuta dagli occhi d’un bambino. Devo dire che sono ricettivo, trova terreno fertile mio padre, amo leggere (e questo lo devo anche a mia madre), il cinema è una mia passione, certo la scuola meno, ché ci son troppe regole antiquate e io non le sopporto. Ecco, qui credo di averlo un po’ deluso, povero babbo, lascio la scuola a soli quindici anni, prendo appena la licenza media. Parigi è il mio mondo, poco a poco, ché mio padre trova lavoro all’Office Central de Pauvres, la ville lumiere mi accoglie e io ne resto affascinato, così diversa dalla mia provincia. Mi metto a lavorare, faccio un po’ di tutto per campare. A vent’anni parto militare, prima Lunéville, poi Istanbul, son antimilitarista e faccio pure propaganda, non è facile convivere con armi e superiori. Marcel Duhamel cambia la mia vita, lui è surrealista, io un giovane affascinato dalle idee, diventiamo amici, lo incontro spesso nella sue casa di Montparnasse, aperta a tutti, dove si danno appuntamento intellettuali, jazzisti, poeti e alcolizzati. Rue de Chateau è la mia seconda casa, conosco Raymond Queneau e André Breton, divento surrealista che ho vent’anni, manifesto per i diritti del lavoro, ma la fascinazione dura poco. Nel 1929 scrivo Mort d’un monsieur per dissociarmi, i surrealisti son troppo autoritari, coltivano un cadavere squisito, pure i comunisti non fan per me, troppa ideologia, poi con loro, in fondo mai son stato. Son troppo indipendente, il mio amore per gli oppressi non finisce, solo che non può essere ingabbiato, sono un artista, faccio teatro col Gruppo d’Ottobre, mettiamo in scena tematiche sociali, problemi della gente; difendo i deboli, lo farò tutta la vita, ma a modo mio, senza etichette e sigle. Scrivo Citröen che vien letto nel corso d’uno sciopero, facciamo spettacoli in fabbrica, son libertario ma non ho etichette di partito, non seguo ideologie precostituite, non fan per me. Sposo Simone Dienne, amica d’infanzia, mia prima moglie, violoncellista che mi dà una mano per le colonne sonore dei miei film. Tornano gli insegnamenti di mio padre, il cinema fa parte della mia vita, scrivo tanti soggetti, sceneggio pellicole, tra una commedia e l’altra che mettiamo in scena. Lavoro con Jean Renoir e durante la guerra proteggo amici ebrei e li nascondo, il musicista Kosma, che darà voce alla mia lirica più avanti, pure il decoratore Trauner. A scrivere poesia comincio tardi, dopo il divorzio e la fine della storia con l’attrice Jacqueline Laurent, quando sposo Janine Tricotet e nasce la mia dolce Michelle. Saranno le cose che ricorderete, soprattutto Parole, nel 1945, poi La pioggia e il bel tempoAlberiLe foglie morte. La mia poesia non è banale, deve incidere sul senso della vita, mi amano i giovani perché scrivo comprensibile e parlo d’amore, ma non faccio le rime amore e cuore, semplice mica vuol dire semplicista. Non amo il conformismo, disprezzo il potere, parlo di bimbi e animali, contrappongo il candore di chi è puro con il basso individualismo degli adulti. La mia poesia dovrebbe affrancare l’uomo dall’inutilità del vivere senza scopo, tutto si riassume con l’amore che sconfigge il male e le meschinità del mondo, pure se spesso diventa tradimento e sofferenza, ma sempre lati dell’amore sono. E io di quello parlo, voglio recitare versi pieni di sentimento, non sarò poeta di un’élite, voglio platee di umili e studenti, lavoratori, ragazze innamorate. Bastano poche pennellate per descrivere un sentimento umano, versi avvolgenti, intrisi di passione, staccandosi dal mondo e da intemperie, librandosi nel cuore delle genti. Un amore spontaneo e libero non teme cattivi sguardi, si manifesta anche se c’è chi disapprova, è sempre il momento per amarsi. Niente è più totale dell’amore, come niente è più nefasto della guerra, forse la religione, ché io son ateo e mangiapreti, più d’un vecchio comunista. Religione e guerra pari sono, due catastrofi per il genere umano, producono dolore e sofferenza, portano lontano dall’amore, che è ribellione e forza dirompente per uscire da schemi conformisti. Son giocoliere di parole, uso tutti i trucchi del francese che conosco, il mio amore, che non è mai scontato, vien messo in musica e cantato da Yves Montand, Agnes Capri, Jacques Brothers, Juliette Greco, mica poco. La poesia è cosa che sgorga naturale, come la canzone e il racconto per bambini; teatro e cinema li ho fatti in gioventù, ma una storia resta dentro al cuore: Les Enfants du Paradis. Nel 1948 rischio la vita, cado da una finestra e resto in coma, per fortuna passa il mio amico Pierre Bergé, mi vede e mi porta in ospedale. Non ne vengo fuori mica tanto bene, devo fermarmi con il cinema impegnato e dedicarmi a fare meno cose, cartoni animati e film per bambini. Vivo quasi tutta la vita negli alberghi, senza una vera casa, che decido di abitare dal 1955, un appartamento in un vicolo cieco di Grandes-Carrières, un quartiere dietro al Moulin Rouge. Rimango solo che sono in là con gli anni, qualche amico vero viene a casa, di tanto in tanto, sono malato, non voglio far sapere a tutti che la vita mi sta abbandonando. Omonville-la-Petite, ancora provincia, lontano da dove sono nato, Dipartimento della Manche, 11 aprile del 1977, muoio da poeta, ammalato di una cosa che non curi, cancro ai polmoni, che ti fa soffrire, attorno a me poche cose e troppi versi. Settantasette anni non son tanti, se non avessi fumato tre pacchetti di sigarette al giorno la mia vita avrebbe potuto essere più lunga, ma che volete farci, è stata intensa, ho vissuto d’amore, avvolto in una nuvola di fumo. Son sepolto qui, in questa provincia, accanto alla mia tomba c’è un giardino costruito da moglie, figlia e amici. So che in Francia il mio nome lo puoi leggere sulle insegne di tante piazze e strade, c’è persino qualche monumento nei giardini, ma il luogo più bello dove amo vederlo inciso è sui cornicioni delle scuole, che da ragazzo non ho mai amato ma che da vecchio ho cominciato ad apprezzare.

 

Assunto mio malgrado nella fabbrica delle idee / mi sono rifiutato di timbrare il cartellino / Mobilitato altresì nell’esercito delle idee / ho disertato / Non ho mai capito granché / Non c’è mai granché / né piccolo che / C’è altro. / Altro / vuol dire che amo chi mi piace / e ciò che faccio.

 

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Aldo Dalla Vecchia, "In nome di Maria"

1 Novembre 2021 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #televisione, #personaggi da conoscere

 

 

 

 

In nome di Maria

Aldo Dalla Vecchia

 

Graphe.it, 2021

pp 75

9,00

 

L’ultimissima fatica di Aldo Dalla Vecchia, di cui seguo la carriera letteraria fin dagli esordi, è dedicata alla mia coetanea Maria De Filippi. Antidiva per eccellenza, voce ruvida, aspetto dimesso, piglio di razza anche quando defilata e seduta su una scala, la De Filippi è l’icona della televisione commerciale, quella conosciuta e amata da Dalla Vecchia.

Il saggio tratta la materia come se fosse una teologia mariana, in una modalità ironicamente e laicamente blasfema, tanta è la potenza di Maria De Filippi in televisione. Da trent’anni Maria scrive, conduce e produce programmi suoi e non solo. Ha curato format che, nel bene e nel male, hanno avuto un successo enorme e hanno fatto la storia della televisione: Amici, Uomini e Donne, C’è posta per te ma anche, indirettamente, Temptation Island. Capaci di catturare un pubblico trasversale per età, dai ragazzi che si appassionano ai talent, fino agli anziani che cercano di rimorchiare a Uomini e Donne.

Aldo Dalla Vecchia ne sottolinea la propensione all’ascolto, il tirar fuori ciò che l’interlocutore ha da dire, che lui definisce “maieutica”, proprio come quella di Socrate, fatta di brachilogia, ovvero di frasi brevi che ritmano la narrazione e i dialoghi. Si tende alla sottrazione, all’understatement, a dare risalto per contrasto, in particolare all’immedesimazione col pubblico al fine di coinvolgerlo. Più di tutto, spicca la grande preparazione, la conoscenza di ogni aspetto del meccanismo televisivo, dal casting alle scenografie.

Il posto d’onore è dedicato al programma cult Uomini e Donne, specchio criticato ma fedele della società, democraticamente in evoluzione con la trasformazione del tronista in over, gay e persino trans. E “tronista” è solo uno dei tanti neologismi coniati da questi programmi che tutti noi, pur storcendo la bocca, almeno qualche volta abbiamo seguito.

Altra trasmissione portante della “fenomenologia mariana” è C’è posta per te. Anche qui la realtà entra dalla porta principale. Ogni storia rispecchia la nostra società, con la crisi economica, il reddito di cittadinanza, la pandemia, i social.

Nel frattempo la tv sta cambiando, sempre più on demand e connessa, sempre meno in diretta, spesso in mobilità e con possibilità d’interazione da parte degli spettatori. Mai come nel post-pandemia si è avuto un cambiamento della fruizione dei palinsesti e una rivoluzione. Siamo ormai tutti - persino la sottoscritta tradizionalista e legata alla tv di un tempo – arcistufi dei programmi che cominciano volutamente tardi, finiscono tardissimo, e sono infarciti di pubblicità, rivolgendo inevitabilmente perciò la nostra attenzione ai canali a pagamento. E di questa televisione che cambia Maria De Filippi ha saputo intercettare le istanze, sempre accogliendo ciò che arriva “da fuori” piuttosto che imponendo un suo punto di vista. Una delle peculiarità della De Filippi è prendere in prestito un genere collaudato della televisione – talk show, talent etc - anche del passato, e renderlo proprio, attualizzandolo.

Di là dal tema trattato, quando apriamo un testo di Dalla Vecchia scatta la nostalgia - quella che comincia ormai ahimè a essere straziante - per certi decenni che non torneranno mai più. Ecco dunque tangentopoli e le stragi di mafia, ecco Fiorello trionfare nelle piazze col Karaoke e una saputella Ambra Angiolini stravincere la guerra dell’audience con Non è la RaiInsomma, di qualsiasi argomento egli scriva - si tratti di interviste alle personalità televisive, di gialli o di biografie di personaggi illustri - Dalla Vecchia non annoia mai e si fa leggere tutto d’un fiato come un romanzo d’appendice.

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Giovanni Verini Supplizi, "Labirinto Bosè"

26 Ottobre 2021 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #musica, #personaggi da conoscere, #saggi

 

 

 

 

Labirinto Bosè

Giovanni Verini Supplizi

 

Crac Edizioni, 2021

pp 400

23,00

 

 

Un saggio per appassionati di dischi e film, più che una biografia vera e propria, sul personaggio Miguel Bosè.

“Bravo ragazzo del 56”, figura eclettica, figlio d’arte - della miss Italia e attrice Lucia Bosè, alla quale somiglia come una goccia d’acqua, e del rinomato torero spagnolo Dominguin - visse i suoi primi anni nella stessa atmosfera eroica e artistica di cui si parla nei romanzi di Hemingway. Attori, pittori, registi e scrittori famosi frequentavano la sua casa, ad accompagnarlo a scuola per un certo periodo fu niente di meno che Picasso. Il padre voleva che intraprendesse una carriera diversa ma lui amava danzare, cantare, dipingere. Divenne così ballerino, attore ma, soprattutto, cantante.

Fantastico il successo degli anni ottanta - il periodo d’oro, insieme ai settanta, della disco dance - con canzoni ballabili che sono rimaste nella memoria di tutti noi, come “Superman” o “Anna”.

Poi la svolta, l’investigazione di ritmi meno commerciali, più sofisticati. Scelta, questa, che gli ha alienato il pubblico italiano, sebbene abbia decretato la sua fama in Spagna e in tutta l’America latina. Sempre più rarefatto, sempre più dedito alla ricerca e allo scavo interiore, sempre più poliedrico e in continua evoluzione, Bosè si allontana dall’immagine commerciale e compie incursioni in tutti i campi artistici, dalla musica, al cinema, al teatro, alla conduzione televisiva. È, infatti, curioso, colto, preparato. Per ogni lavoro studia e si documenta, non lasciando mai nulla al caso, non paventando nessun cambiamento e nessuna immersione in ciò che può apparire anche perverso.

Non esita a mescolare e mediare fra le varie arti, colorando le sue esibizioni in modo pittorico, dando musicalità alla sua recitazione, provando se stesso in molti più campi di quelli a cui sono abituati gli artisti nostrani, mescolando alto e basso, pop e raffinatezza, commerciale e non, fra canzoni solari e altre più oscure ed esistenziali, con suoni sempre più elettronici man mano che passano gli anni.

Una carriera lunga, ininterrotta e intensissima, forse sconosciuta ai più, basata essenzialmente sulla ricerca. Ed è a questa labirintica ricerca, oltre che a uno degli album del cantante spagnolo, che si rifà il titolo del libro di Verini Supplizi - proprietario di uno storico negozio di dischi. Un saggio che, oltre all’amore assoluto per il soggetto, denota un faticoso lavoro di documentazione per stare dietro alla poderosa discografia e all’immenso curriculum di Bosè, costellato di interminabili tour soprattutto in America Latina, ma anche di beneficienza e opere buone.

Se nel saggio è ben delineato il carattere dell’uomo Bosè, descritto da tutti come educato, cortese, “un vero signore”, se l’opera è corredata di numerose interviste a suoi collaboratori - con gustosi aneddoti che ricreano un certo modo di fare musica, cinema o televisione ormai scomparso - poco viene volutamente detto della vita privata. Oltre ogni pettegolezzo o polemica anche recente, questo excursus spazia nella vita esclusivamente artistica di un personaggio camaleontico e complesso.

 

Bosè è nei tantissimi dischi che ha prodotto, nei film che ha interpretato, in tutte le forme d’arte in cui si è cimentato in tanti anni di carriera, TV, teatro, poesia, scrittura… E questo è anche lo stile con il quale abbiamo pensato questo volume” (pag. 335)

 

Una lettura che non annoia, nonostante la ricchissima documentazione didascalica e l’impianto per addetti ai lavori. Un libro che aggancia i fan del personaggio o i cultori della musica in generale, ma anche chi, come me, si lascia catturare dall’aura garbata e dall’atmosfera nostalgica di certi ricordi legati a decenni indimenticabili.

 

 

 

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Luis Vinicio, "Il leone di Belo Horizonte"

19 Ottobre 2021 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #personaggi da conoscere, #recensioni, #sport

 

 

 

 

Luis Vinicio
Il leone di Belo Horizonte

a cura di Paquito Catanzaro
Homo Scrivens – Euro 15 – Pag. 193

 

Per la prima volta Luis Vinicio De Menezes, il Leone di Belo Horizonte, dove è nato il 28 febbraio del 1932, si racconta, e lo fa a Napoli, città di elezione, dove è approdato dopo una lunga carriera calcistica, prima da centravanti goleador e poi da allenatore pioniere del gioco totale. Vinicio debutta nel Botafogo, dove tutti lo chiamano Vinicius, segna un gol contro l’Olaria, gioca insieme a Garrincha (del tutto analfabeta, ma lui gli insegna a scrivere) e Dino Da Costa, tridente offensivo che tremare il mondo fa. Il primo contatto con l’Italia è del 1955, quando ha solo 23 anni, nel Napoli di Amadei e Pesaola, con i partenopei è subito amore, il nomignolo di o’ lione viene proprio dalla curva più sfegatata dei tifosi azzurri, nella città del golfo resta cinque anni e segna caterve di gol (circa settanta), anche ad avversari importanti e storici come la Juventus. A 28 anni la sua carriera pare finita, perché passa al Bologna dove trova davanti a sé il più giovane Harald Nielsen, che gioca quasi sempre, mentre o’ lione ruggisce in panchina. Vinicio torna in Brasile, ma l’Italia chiama ancora, è Lanerossi Vicenza, dove torna il bomber di sempre e trascina la provincia veneta ai primi posti della serie A, incantando il pubblico per tre stagioni. Nel 1966 vedo Vinicio giocare persino nella mia Inter, quella di Helenio Herrera, ché sono un bambino, va bene che fa solo otto gare (e segna un gol), ma ha ben 34 anni e davanti a sé una squadra di campioni. Finisce la carriera a Vicenza, dove segna le ultime reti e tocca quota 150, portando ancora una volta i berici in alto, alla fine segnando più gol di tutti gli attaccanti biancorossi della storia, persino di Paolo Rossi. Cominciano gli anni da allenatore, in C con l’Internapoli (squadra che non esiste più), poi Brindisi, Ternana, ancora Brindisi, finalmente Napoli, poi Lazio, Avellino, Pisa, Udinese, ancora Avellino, per terminare in C2 con lo Juve Stabia, che ha 60 anni.

Paquito Catanzaro raccoglie la vita e i ricordi di Vinicio in un libro scritto in prima persona, ricco di immagini d’epoca e di contributi originali, presi dalla viva voce di Agostinelli, Brancato, Bruscolotti, Burgnich, Carnevale, Carratelli. Coppola, De Maggio, Improta, La Palma, Pinto, Rivieccio, Saranataro e Wilson. O’ lione si racconta a cuore aperto, l’infanzia, il Brasile, l’amore per Napoli, la Lazio e l’Avellino, le parentesi di provincia, l’Inter di HH, il Vicenza … La vita di un uomo e di un grande calciatore, bomber straordinario, pioniere del calcio all’olandese, innamorato del gioco più bello del mondo. Per me resta l’eroe del mio Pisa nerazzurro, ma anche l’attaccante di riserva dell’Inter più grande della storia.

 

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