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Federica Cabras, "Chi me lo ha fatto fare"

24 Marzo 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #federica cabras, #recensioni, #eros, #amore

 

 

 

 

Chi me lo ha fatto fare

Federica Cabras

Literary Romance, 2022

pp 266

15,00

 

 

Chi me lo ha fatto fare, di Federica Cabras, è un romanzo divertente ma, soprattutto, autoironico, una sorta di metanarrativa - con tanto di stralci da un’opera in fieri, di estratti da un blog e appunti per articoli - incentrata sul genere letterario del romance, quello che un tempo si definiva soltanto “rosa” ed è ora declinato in molti sottogeneri: dall’erotico al young adult, dall’urban fantasy all’historical, dal regency al male to male etc etc.

L’autrice ne parla con passione e indulgenza ma anche con scherno, e per questo si cala nei panni maschili (insoliti per lei) del “Denigratore”, ovvero Edoardo Muscas, bello senz’anima, giornalista sciupafemmine che deve scrivere un articolo proprio sul genere che disprezza, quello, appunto, rosa. Il pregiudizio da cui parte Edoardo è che le scrittrici di romance sono tutte gallinelle prive di cervello, incapaci di mettere due parole in fila senza sbagliare. Dall’altra parte c’è, però, Costanza Melis, scrittrice bionda, chiara di pelle, rotondetta, occhialuta. Ma anche intelligente, frizzante, colta. Si muove, come molte delle eroine della Cabras, nell’ambiente caro all’autrice, quello dell’editoria, incarnandone sogni e ambizioni. Poiché l’ultimo libro di Costanza non ha venduto, viene sollecitata dall’editore a rendere più pepato ed erotico il prossimo lavoro. Costanza non ha una vita sessuale, inibita com’è da un padre tutto casa e chiesa. Non si sente bella, non si piace, non si dà da fare con gli uomini. Per scrivere, tuttavia, dovrà avere esperienze di prima mano e quindi decide di trovarsi un tizio da usare solo per il sesso e poi mollare. Edoardo e Costanza s’incontrano per caso, lui decide di sfruttare lei, lei di sfruttare lui. Scocca la scintilla e cosa accade lo lascio immaginare.

La Cabras gioca con i cliché del genere, che dichiaratamente non disdegna. Perché mai dovrebbe farlo, dico io, quando tutte le storie hanno in fondo la stessa trama e l’importante è come le si scrive, oltre all’atmosfera che sanno ammannirci? Gioca, soprattutto, con l’eros, le scene piccanti sono anche divertenti, scanzonate, dissacratorie. Notevole spazio è dato al filone secondario, quello costituito dalle vicende amorose del padre di Costanza, bacchettone solo in apparenza, con la disinibita madre di Edoardo.

Un romanzo allegro e spumeggiante, che forse sacrifica un po’ di emotività sull’altare del divertimento, ma certo riesce, e non è poco in questi momenti bui, a strapparci una sonora risata.

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Festival del Cinema Città di Spello

22 Marzo 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #cinema, #concorsi

I

 

 

 

 

Si è conclusa l'undicesima edizione 'Festival del Cinema Città di Spello ed i Borghi Umbri - Le Professioni del Cinema', ideato da Donatella Cocchini e dal regista Fabrizio Cattani. L’Auditorium San Domenico di Foligno ha fatto da cornice alle premiazioni, in cui ha trionfato, cinque professionisti premiati, 'Qui rido io' di Mario Martone. Alessandro D’Anna per il trucco, Ursula Patzak per i costumi, Marco Perna per le acconciature, Giancarlo Muselli per la scenografia e Rodolfo Migliari per gli effetti speciali. All’opera diretta da Martone è andato anche il premio come miglior film decretato dalla giuria dei giornalisti umbri. Tre, invece, i riconoscimenti assegnati all’opera 'I nostri fantasmi' di Alessandro Capitani: quello per la sceneggiatura, con il premio ritirato dallo stesso regista, quello per il montaggio del suono a Filippo Barracco e quello per il creatore di suoni a Ivan Caso. Il premio per il miglior autore della fotografia e quello per il miglior fonico di presa diretta sono andati rispettivamente a Renato Berta Simone Olivero entrambi professionisti del film 'Il buco' di Michelangelo Frammartino. A chiudere il cerchio 'Il silenzio grande' di Alessandro Gassman che si è aggiudicato il premio per le musiche grazie ai maestri Pivio e Aldo De Scalzi, 'Piccolo corpo' con Nadia Trevisan a cui è andato il riconoscimento per il miglior organizzatore/produttore esecutivo e, infine, 'L’Arminuta' che ha vinto il riconoscimento per il miglior montaggio assegnato a Roberto Missiroli. Sempre a 'L’Arminuta' è andato anche il premio di Cinemaitaliano.info

 

Ecco tutti i premi del festival:

Miglior montatore: Roberto Missiroli per 'L’Arminuta' di Giuseppe Bonito

Miglior truccatore: Alessandro D’Anna per 'Qui rido io' di Mario Martone

Miglior costumista: Ursula Patzak per 'Qui rido io' di Mario Martone

Miglior colonna sonora: Pivio e Aldo De Scalzi per 'Il silenzio grande' di Alessandro Gassman

Miglior autore della fotografia cinematografica: Renato Berta per 'Il buco' di Michelangelo Frammartino

Miglior sceneggiatura: Alessandro Capitani per 'I nostri fantasmi' di Alessandro Capitani

Miglior creatore di suoni: Ivan Caso per 'I nostri fantasmi' di Alessandro Capitani

Miglior acconciatore: Marco Perna per 'Qui rido io' di Mario Martone

Miglior scenografo: Giancarlo Muselli per 'Qui rido io' di Mario Martone

Miglior fonico di presa diretta: Simone Olivero per 'Il buco' di Michelangelo Frammartino

Migliori effetti speciali: Rodolfo Migliari per 'Qui rido io' di Mario Martone

Miglior montaggio del suono: Filippo Barracco per 'I nostri fantasmi' di Alessandro Capitani

Miglior organizzatore/produttore esecutivo: Nadia Trevisan per 'Piccolo corpo' di Laura Samani

Miglior film internazionale: 'La persona peggiore del mondo' di Joachim Trier


Nella sezione cortometraggi:

Best short film: 'A moment of magic' di Andrea Casadio

Special jury price: 'Intolerance' di Lorenzo Giovenga e Giuliano Giacomelli

 

Premio Giuria Giornalisti Umbri

Miglior film: 'Qui rido io' di Mario Martone

 

Premio Cinemaitaliano.Info

Miglior film: 'L’Arminuta' di Giuseppe Bonito

 

Premio Cineteca Nazionale Centro Sperimentale Di Cinematografia

Miglior documentario: 'Zenerù' di Andrea Grasselli

Motivazione: Per la capacità di far scoprire allo spettatore la vita del personaggio, Flaminio Beretta, standogli accanto con rispetto ed empatia pur nella eccezionalità di una scelta ermetica molto lontana dalla frenesia e dalla virtualità del mondo contemporaneo. Attraverso Flaminio, inoltre, il regista riesce a raccontare senza didascalismi un territorio e le sue tradizioni, come quella antichissima dello Zenerù che dà il titolo al documentario.

 

PREMIO GIURIA INTERNAZIONALE DELLA WILLIAM PENN UNIVERSITY - OSKALOOSA - IOWA

Miglior documentario: 'Zenerù' di Andrea Grasselli

Miglior cortometraggio: 'A Moment of magic' di Andrea Casadio

Miglior backstage serie tv: 'Domina' di Alessia Colombo

 

Documentari

Miglior documentario: 'I am the Revolution' di Benedetta Argentieri

Motivazione: In un mondo sempre più lacerato da guerre e violenze, con un’attenzione particolare oggi alla drammatica situazione in Ucraina, alla crisi umanitaria divampata nel cuore dell’Europa, il reportage di Benedetta Argentieri ‘I am the Revolution’ ci consegna un potente ritratto di donne, tre testimoni di resilienza e riscatto tra i territori dell’Afghanistan, della Siria e dell’Iraq. Un appassionato racconto di chi si batte in prima linea contro la schiavitù, le discriminazioni e le limitazioni sociali-culturali ai danni dei più fragili. ‘I am the Revolution’ si configura come un emozionante grido di protesta, un vibrante inno di libertà. E di pace.

 

Premio Agenda 2030

'Revenge room' di Diego Botta

 

Nella sezione dedicata ai backstage:

Miglior backstage serie tv: 'A casa tutti bene' di Sara Albani

Miglior backstage film: 'Sorelle per sempre' di Andrea Porporati

 

Tre i Premi Speciali consegnati, a cominciare dal 'Premio all’Eccellenza', consegnato dal direttore di Rai per il sociale, Giovanni Parapini all’attrice Marina Confalone', protagonista di un incontro con il pubblico moderato dal giornalista e critico cinematografico Alessandro Boschi e con la partecipazione in collegamento dell’attore e regista Alessandro Gassmann.

 

Poi, il 'Premio Carlo Savina' assegnato dalla famiglia del celebre maestro al compositore, autore di testi e sound designer Matteo Curallo, che ha incantato il pubblico del San Domenico con una performance musicale affiancato dalla violoncellista Irina Solinas. Infine, il 'Premio Ermanno Olmi' andato al regista de 'Il buco', Michelangelo Frammartino in collegamento da Locarno.

 

Premio Miglior Giovane Promessa - Dopo Ginevra Francesconi, presente al Festival nella serata di venerdì nell’ambito del progetto 'Agenda 2030', a distinguersi quest’anno tra le giovani promesse è stata la piccola Carlotta De Leonardis, tra le protagoniste del film 'L’Arminuta' di Giuseppe Bonito. A sceglierla una giuria composta da alcuni membri dell’Associazione Agenti dello Spettacolo, rappresentati sul palco da Stefano Chiappi e Mira Topcieva.

 

Per il secondo anno consecutivo, inoltre, il Festival ha ospitato il Premio 'Meno di Trenta'iniziativa curata da Silvia Saitta e Stefano Amadio con cinemaitaliano.info e dedicata agli artisti del cinema e della serialità televisiva con meno di trentanni. Cinque i riconoscimenti assegnati in occasione delle premiazioni:

Miglior attrice cinema:
Aurora Giovinazzo

Aurora Giovinazzo ha acceso una scintilla nella giuria. Una fiamma che è la stessa con cui incendia la sua protagonista Matilde in Freaks Out, figlia di una guerra che cercherà di superare con l'aiuto della sua banda di scapestrati, ma soprattutto attingendo da quel potere che è il medesimo che Aurora mette nelle proprie interpretazioni. Un'eroina che si illumina e che ci permette di guardare al futuro, che auguriamo possa risplendere per questa attrice, a cui va un premio che ci ricorda anche la magia del cinema italiano e della capacità delle sue emozioni.

 

Miglior attore cinema:
Francesco Russo

Motivazione: nel cinema italiano c’è in atto un Rinascimento del “genere” cinematografico, in cui l’Horror si sta facendo spazio: Francesco Russo l’ha intercettato e s’è misurato con un ruolo fuori dal coro per il classico orrorifico, destreggiandosi con un dialetto lontano dal suo di nascita. Francesco conferma una versatile capacità di plasmarsi, già colta ne L’amica geniale o in un’opera come Pecore in erba, ma che nel film di De Feo e Strippoli spicca, permettendoci di parlare di talento. Questo riconoscimento è per come, con il personaggio di Fabrizio, consenta s’intercetti l’essere calzante nel ruolo ma anche tutta la duttilità che gli appartiene e che pensiamo possa aprirgli la porta principale del grande schermo.

 

Miglior attrice serie tv:
Cristina Cappelli

Motivazione: per averci regalato, con genuina ed efficace semplicità, il ritratto contemporaneo di una donna forte, ma allo stesso tempo vulnerabile, alle prese con dubbi e paure che sono specchio di una generazione. Abile nell'alternare, con la complicità del collega Angelo Spagnoletti, momenti comici a momenti più drammatici, Cristina è riuscita a superare in scioltezza la sua prima grande sfida in un ruolo da co-protagonista, dimostrando una maturità ed un talento che ci auguriamo le possano regalare un futuro promettente nel panorama cinematografico e seriale italiano.

 

Miglior attore serie tv:
Angelo Spagnoletti

Motivazione: per aver tratteggiato un ragazzo, Daniel, che poteva risultare il solito protagonista per il quale si fa fatica tifare, ma che invece ha saputo dimostrarsi un ragazzo onesto, divertente e sincero con cui potersi immedesimare. In lui sono racchiuse le speranze di una generazione di mezzo, quella dei trentenni, che guarda con nostalgia al passato e un po’ di paura al futuro. Il merito di Angelo è anche quello di aver saputo trovare una chimica perfetta con gli altri personaggi, in primis con la co-protagonista Cristina Cappelli, aiutandoli a brillare e a non farli diventare preda dell’ombra di Daniel.

 

Menzione della Giuria:
Giulia Dragotto

Motivazione: per la sua incredibile performance in Anna di Niccolò Ammaniti. L’inesperienza, la messa in scena impegnativa, il fatto che l’intera serie pesasse sulle sue spalle sono stati tutti ostacoli che si sono sbriciolati ai piedi del suo talento cristallino, che appare istintivo in una così giovane interprete e che promette un futuro di grandezza. Data la natura distopica della storia che è stata chiamata a mettere in scena, Giulia è riuscita a trasmettere sentimenti ed emozioni difficili da immaginare anche per interpreti navigati, e ha fatto innamorare all’unanimità i membri della giuria.

Tra i tanti ospiti presenti alla cerimonia di premiazione, condotta da Francesco Castiglione, anche il padrino del festival Alessandro Sperduti e gli attori Ester PantanoLiliana FiorelliFrancesco Foti Valeria Fabrizi. E proprio l’attrice di 'Che Dio ci aiuti', è salita sul palco per un momento dedicato a 'Tata Giacobetti e il Quartetto Cetra', celebrati dall’omaggio musicale di 'Un bacio a mezzanotte' che ha visto esibirsi lo stesso Castiglione insieme a Simona Fiordi.


Per maggiori informazioni:

www.festivalcinemaspello.com/
https://it-it.facebook.com/festivalcinema.spello/
segreteria@festivalcinemaspello.com

Foto by Rocco Giurato

Foto by Rocco Giurato

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Gianni Macchia, "Bettino ci aspetta"

20 Marzo 2022 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni, #eros

 

 

Gianni Macchia
Bettino ci aspetta
Amazon 2021 – pag. 110

 

 

 

Gianni Macchia lo conoscevo come attore, sono stato un suo fan nei film scandalo di Fernando di Leo, lavori innovativi come Brucia ragazzo brucia e Amarsi male, ma non sapevo della sua passione letteraria, mentre apprezzavo la feconda vena di pittore. Sante Rodella mi fa conoscere la dimensione di Macchia narratore introducendo un racconto (romanzo è eccessivo, non ci sono sotto trame) erotico, dedicato ad Alberto Moravia (primo lettore dell’opera) e a Marina, musa ispiratrice della storia. L’erotismo è il filo conduttore dell’esistenza di un attore - scrittore, icona sexy degli anni Settanta, simbolo di trasgressione e ispiratore di un nuovo ruolo per la donna nella società. Questo breve racconto è un gioco letterario lieve ed intenso, ricco di personaggi femminili appena abbozzati ma realistici, donne in preda al vortice dei sensi, disponibili e sfuggenti. Macchia ricorda una madre che non ha conosciuto, una zia protettiva, un padre - padrone, poi si abbandona al racconto, una storia d’amore a tratti torbida e malsana, erotica e tragica, profumata di vita vissuta. Bettino ci aspetta è scritto come una storia vera, ambientata nel 1972, quando l’autore faceva il performer di Body Art a Roma, parte con la conoscenza di Fiamma in una villa, diventa la storia di un’attrazione disperata che conduce nel gorgo della passione. Il libro è ricco di particolari erotici descritti con cura, dalla scena dei cani che possiedono la ragazza, passando per sodomizzazioni violente e rapporti sadomasochisti, in una temperie narrativa che a tratti ricorda Salò di Pasolini. Lo stile di Macchia è secco e rapido, senza fronzoli letterari, interessato al puro racconto e alla descrizione di particolari erotici scabrosi, senza compiacimento ma con crudo realismo. Un libro che farà conoscere al lettore un lato meno noto di un attore ricordato per una scarna filmografia, che oltre ai due film di esordio comprende pellicole come Una ragazza di nome Giulio, Morbosità, Lo stallone, Vacanze per un massacro, che in parte riportano alle atmosfere della narrativa erotica. Il libro contiene in appendice alcuni dipinti di Gianni Macchia, oltre a un elenco competo di tutte le sue partecipazioni cinematografiche e teatrali. 

 

Per leggere il libro: https://www.amazon.it/Bettino-ci-Aspetta-Gianni-Macchia-ebook/dp/B08X7GPD54

 

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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Sante Rodella, "Il prof. di religione"

19 Marzo 2022 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Sante Rodella
Il prof. di religione
Tracciati 2017

Euro 12 – pag. 180

 

 

Sante Rodella scrive un romanzo autobiografico come Il prof. di religione, forse la sua cosa più compiuta, anche perché parla del mondo della scuola che conosce bene e di tutte le occasioni mancate per rendere l’insegnamento interdisciplinare e non diviso a compartimenti stagno. Una biografia dell’anima, ambientata in una Venezia decadente e nostalgica dove il protagonista si trova a vivere e a insegnare (da laico) una disciplina sottovalutata che (se ben fatta) può aprire mondi impensabili. Un romanzo che ci porta negli anni Ottanta, forse più veri, vissuti in mezzo alle persone, senza Internet e cellulari connessi, con discussioni in prima persona ed echi ancora vivi delle proteste studentesche sessantottine. Il prof. di religione è un libro scritto da un cristiano laico che vuol cercare di condividere la sua fede in Dio attraverso argomenti non banali e un’aperta discussione con gli studenti. La sala professori vista come una stazione ferroviaria, una sala d’aspetto dove transitano professori di varie categorie, vede il giovane protagonista (28 anni, primo incarico) consapevole del fatto che la sua materia è considerata di serie Z, pur se lui vorrebbe darle dignità nuova. Tra le pagine di Rodella vive il cambiamento scolastico nel corso degli anni, non sempre in meglio, il rapporto tra professore e alunni, i rapporti tra colleghi delle varie materie, la volontà di far diventare la scuola un luogo di crescita intellettuale, troppo lasciata all’inventiva estemporanea dei singoli insegnanti. Il personaggio principale soffre un male di vivere inconfessabile che si porta dietro dai tempi dell’università, della leva militare, del corso di teologia, fino all’insegnamento, dove si unisce a colleghi che vivono identiche emozioni. Tutte le difficoltà di entrare in contatto con un mondo di ragazzi sconosciuti, ognuno con la propria personalità, vivono nei ricordi di Rodella, alle prese con il primo incarico, con un mondo che non conosce, dove c’è solo da imparare. Venezia non è solo lo sfondo del romanzo, ne diventa quasi protagonista, descritta con pennellate impressionistiche in tutta la sua decadente bellezza, così come non mancano le discussioni sull’ora di religione da abolire e le prese di posizione dei colleghi marxisti o kantiani. Uno spaccato scolastico, di vita vissuta, un romanzo dall’andamento suadente e malinconico, come una sinfonia d’autunno, tra i banchi di scuola, passando per calle e campielli veneziani. Femminismo, amore per il prossimo, fede, discussioni con Aldo tra marxismo e religiosità cristiana, passando per Dostoevskij e I demoni, dialoghi socratici tra studenti e professore, un libro che trasuda cultura e amore per un mondo che potrebbe essere migliore con un minimo di impegno e di condivisione. Il prof. di religione è un libro che trasuda letture, cita a piene mani eventi storici del passato, scrittori e opere indimenticabili, passando per vite di santi come Martino, un uomo (se non vogliamo credere alla santità) che è un monito per tutti. Un romanzo utile come incentivo per nuove letture, per farsi un’idea sul vecchio e nuovo concordato, sui gay e sulle donne che insegnano religione, sul clero e le aperture mentali, il cinema e la poesia religiosa, per finire con l’ora alternativa alla religione. Il prof. di religione ha una dimensione letteraria indefinibile, tra romanzo autobiografico e saggio filosofico, opera morale e romanzo di formazione, scritto con stile coinvolgente e originale.

 

Per ordinarlo: https://www.amazon.it/prof-religione-Sante-Rodella/dp/8894194728/ref=sr_1_2?hvadid=80676698325534&hvbmt=be&hvdev=c&hvqmt=e&keywords=il+prof+di+religione&qid=1647685639&sr=8-2

 

Gordiano Lupi

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Terrestri? Puah!

18 Marzo 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto, #fantascienza

 

 

 

 

Il capitano Xaxooxoxo, dopo essere uscito dal nascondiglio, (un bidone vuoto della spazzatura) si mise a correre a perdifiato in direzione dell'astronave ben mimetizzata tra la vegetazione di un bosco nei pressi di una cittadina dove l'ufficiale aveva il compito di effettuare una breve ricognizione.

«Apri i portelli, presto!» urlò a Roxooroxoxo, il suo pilota. Quest’ultimo rimase attonito alcuni secondi, per poi azionare due leve di forma cubica. 

«Chiudi i portelli, decolla e allontaniamoci il più possibile» ordinò ansimando il suo superiore appena rientrato nel veicolo stellare. 

Una volta che furono oltre l'atmosfera terrestre, il responsabile di volo spaziale chiese spiegazioni.

«Perché sei così agitato?»

«Noi zoxooxoxoniani, abbiamo delle fattezze simili a quelle degli umani, purtroppo…»

«Purtroppo... cosa?»

«Sono da considerarsi una razza violenta e selvaggia, per di più risultano decisamente strani» continuò a raccontare il capitano Xaxooxoxo con aria sconvolta e accasciandosi in un sedile vicino ai comandi. «Attivando il traduttore simultaneo modello Gnywywyxoxo ho sentito una madre pronunciare al proprio figlio parole del tipo "Mi fai ribollire il sangue!" - “Quando tuo padre tornerà a casa ti spellerà vivo!" - "Mi sta scoppiando la testa!" -"Per colpa tua mi sono mangiata il fegato!" e quant'altro.»

«Qual è stata la reazione del figlio?»

«Le ha risposto dicendole che si era rotto l'apparato genitale e di come la prendeva sempre nell'ano, a differenza della faccia di escrementi del fratello.»

«Che schifo, si prestano a delle cose a dir poco blasfeme» commentò rabbrividendo Roxooroxoxo. «È meglio lasciar perdere, sicuramente troveremo altri posti da poter colonizzare.»

 

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La valigia

17 Marzo 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

Mi trovavo a Fiumicino per prendere un aereo diretto a Varsavia, in attesa di attraversare i controlli di sicurezza. 

Mentre procedevo a singhiozzo verso gli appositi varchi, una ragazza, chiaramente annoiata da quel profluvio di persone, attaccò bottone con il sottoscritto. Scoprii che la bella biondina era di origine svizzera e che doveva prendere un volo per Ginevra.

Durante il piacevole discorrere le raccontai in breve della mia relazione a distanza e che stavo andando in Polonia dalla fidanzata. 

In prossimità dei body scanner, la ginevrina si focalizzò sulla mia Samsonite piena zeppa di adesivi di svariati luoghi, reputandomi un provetto ed esperto viaggiatore.

«Una valigia da avventuriero, proprio» osservò.

«Ah, guarda c'è di tutto» le dissi, indicando con il dito indice. «Hotel Hilton di New York, Hotel Mediterraneo di Atene, Bangkok, Malaysia, Jakarta, Cheng Resort di Hong Kong, Pretoria, Bogotà, Tibet, Hammamet Resort di Tunisi, Costa Rica, Paraguay... eh, avoglia!»

«Ti manca il Panama.»

«È vero, spero un giorno di visitarlo.»

«Intendevo dire il cappello in testa.»

Entrambi sorridemmo. 

«Praticamente hai girato ovunque!» esclamò la svizzerotta soffermandosi ancora sul bagaglio alla Turisti per caso.

«L'unica nota stonata è questa: l'etichetta dell'albergo Trinacria di Palermo» ammisi storcendo il naso ma con aria divertita. 

«Perché, scusa?»

«Perché è l'unico posto in cui sono stato veramente.»

La "suisse" scoppiò a ridere.

«Sei troppo simpatico! La tua amata con te si divertirà... un mondo, giusto per restare in tema.»

Porco mondo, non proprio. L'incontro con Agnieszka, come le precedenti volte, fu costellato dai litigi per via del suo carattere lunatico per non dire di merda. 

Alcune settimane dopo, quando rientrai in Italia per ritornare a casa, mia madre notò subito il mio scazzo. Nonostante la sua espressione interrogativa dipinta sul volto, non mi chiese nulla in merito però sicuramente immaginava che la "polska" mi aveva fracassato i maroni. Da precisare, poi, che avevo comprato vari souvenir, quindi il bagaglio risultava più pesante rispetto alla partenza.

«Cavolo! Cosa c'hai messo dentro? Sassi?» mi domandò la mamma soppesando la Samsonite prima di aprirla.

«No, la mia rabbia!» abbaiai.

Ad ogni modo, tutti quei "caccamarini" colorati li applicava Elisa, la mia sorellina. Spesso le venivano regalati da una sua compagna di classe il cui padre gestiva un'avviata agenzia di viaggi. A tal proposito, si stupì che non “aggiornassi” la valigia con dei posti polacchi, malgrado la Polonia l'avessi visitata in lungo e largo.

Sì, in in effetti gli appiccichini polacchesi andavano messi, ma soprattutto l’adesivo più importante, che avrei potuto benissimo realizzare con l'aiuto di una stamperia al fine di attaccarlo in onore di quella bisbetica fidanzata di allora: Suka! (Stronza, trad. in polacco)

 

 

 

 

 

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Il barattolone di vetro

16 Marzo 2022 , Scritto da Giuseppe Scilipoti Con tag #giuseppe scilipoti, #racconto

 

 

 

 

«È sigillato con la magia, soltanto io posso aprire il barattolone di "Polvere di Fata"» ci diceva sempre la nonna, indicando un contenitore di vetro con chiusura a gancio, collocato sopra una mensola vicino la finestra. 

Io, mia sorella, e i nostri due cuginetti, spesso restavamo a fissarlo come se fosse un oggetto incantato e di cui temevamo un sacrilegio, qualora l'avessimo toccato.

Ad ogni modo, notammo che la nonna utilizzava quella sostanza di colore bianco per svariati motivi. Ad esempio, ne cospargeva un po' dentro una casseruola piena di ceci, sostenendo enfaticamente che ci avrebbe reso forti e vitali. Una trovata originale per farci mangiare, non c'è che dire!

Mi ricordo che una volta, in cortile, mi sbucciai il ginocchio mentre giocavo a pallone. Mi misi a frignare, finché sopraggiunse la nonna. Sorridendomi amorevolmente, mi disinfettò la ferita e la ricoprì con due o tre pizzichi di fantomatica "Polvere di Fata", constatando con mio grande stupore che non sanguinava più. 

«Lo so, è miracolosa!» mi disse, accarezzandomi la testa ed invitandomi a non fare altre monellerie. 

Alcuni mesi dopo, la nonna morì e per sua espressa volontà venne cremata. 

Noi, quelli dell'Orto Botanico (così ci soprannominavamo in riferimento ad un famoso libro intitolato I ragazzi della Via Pal) eravamo talmente addolorati da tentare un'azione disperata. In pratica, dall'urna travasammo le ceneri della nonnina nel barattolone in questione, sperando che la polverina l'avrebbe potuta riportare in vita.

I nostri genitori e nostri parenti ci beccarono a operazione conclusa e ce le suonarono di santa ragione. Scoprimmo poi che in realtà la "Polvere di Fata” risultava bicarbonato.

 

 

 

Nota dell'autore: il racconto è parzialmente autobiografico.

 

 

 

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Laura Nuti, "Storia di Melusina"

12 Marzo 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #laura nuti, #recensioni, #fantasy, #miti e leggende

 

 

 

 

Storia di Melusina

Laura Nuti

Marchetti Editore, 2022

pp 63

10,00

 

 

La leggenda di Melusina, metà donna e metà serpente (o forse sirena), risale ad antichi miti celtici ed è giunta a noi in versioni diverse, tutte volte a esaltare remoti casati europei, soprattutto quello dei Lusignano. La sua figura è presente principalmente nel folklore francese, nella versione scritta da Jean D’Arras e in quella successiva di Coudrette, ma viene poi ripresa da molti autori moderni, fra i quali spicca Goethe.

Melusina ha origini fatate, è bella in modo sovrannaturale, con un corpo flessuoso e occhi cangianti. Incontra Reymund nella foresta e i due si piacciono. Solo lei è in grado di consolarlo dalla sua disperazione. Decidono di sposarsi, lui, però, non dovrà mai cercarla di sabato, pena la fine del loro matrimonio. Accetta perché da subito ne è soggiogato, Melusina si rivela affascinante, competente, splendida. Gli partorisce molti figli, solo due dei quali sono normali, gli altri hanno qualche sembianza animalesca: artigli, zanne, musi pelosi, occhi da ciclope. Ma sono comunque giovani forti, ardimentosi, prestanti. La stranezza della prole non diminuisce l’amore e l’affiatamento della famiglia. Melusina e Reymund si amano, lei, intelligente e saggia, aiuta il marito a condurre in porto imprese brillanti, a governare con giustizia. Insieme allevano i figli nel segno della dedizione e dell’amore.

Nella versione di Laura Nuti, Melusina rappresenta un femminino erotico, fertile e materno insieme, che spaventa l’uomo non in grado di comprenderlo e accettarlo. Melusina è la divinità antica che si fonde col nuovo concetto medievale cristiano, dove la donna è legata alla stregoneria e discende dalla prima peccatrice. E Reymund è combattuto fra questa mentalità medievale e il proprio istinto che gli dice di fidarsi della moglie, di amarla senza riserve, sospetti o timori. Ma gli altri si mettono in mezzo, la coppia deve per forza uscire dalla bolla incantata in cui vive e scontrarsi con la cattiveria e i pregiudizi del mondo esterno.  La bolla scoppia, il matrimonio finisce, sopravvive solo l’istinto materno, l’ultimo a morire, l’unico accettato dalla società. Eppure, siamo consapevoli che il sentimento dei coniugi, così profondo e tenace, sarà comunque capace di sfidare la lontananza e la divisione. Reymund e Melusina continueranno ad amarsi, a distanza, oltre ogni tempo, ogni luogo e ogni diversità.

Con questa bella narrazione, Laura Nuti si conferma esperta studiosa di mitologia e fiabe ma anche e soprattutto brava narratrice. Leggendola, mi vengono in mente le atmosfere di Gianbattista Basile. Ci riracconta la storia con un’affabulazione che scorre come acqua di fonte. Le sue parole scivolano facili e felici e hanno il sapore delle antiche narrazioni, quelle del Cantafiabe ne “Le fiabe sonore” dei fratelli Fabbri, quelle dei libri ingialliti nelle soffitte, appartenuti a chissà quale antico bambino. Questa leggerezza, questa capacità affabulatoria, è frutto di uno sforzo certosino di lima, di un lavoro di riduzione all’osso, a un essenziale mai scevro di romanticismo e arcano mistero.

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“RADICI”,  una mostra d’arte per schiarire il tempo oscuro

11 Marzo 2022 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #arte

 

 

 
 
 
Un giorno prima della mostra ad Alessia, la curatrice e gallerista, ho espresso una mia riflessione sullo stato attuale delle cose. Non ero dubbioso, impaurito oppure incerto ma, dopo due anni di emergenza sanitaria ancora insoluta, unita al dramma della guerra in corso, non potevo fare a meno di pensare che al momento ogni evento culturale, sportivo, o di semplice intrattenimento, poteva subire un condizionamento. Alessia mi ha risposto, con serena convinzione, che la vita continua e che la gente ha bisogno di vivere le cose che la fanno stare bene. La passione ci fa sorridere anche se ci sarebbe da piangere e l’arte ha il compito di colorare sempre la nostra esistenza nei momenti più bui.
Sabato 5 Marzo 2022 Alessia Ferraro ha aperto la sua Ikigai art gallery per la mostra “Radici”, e devo ammettere che aveva ragione, non ho potuto dirglielo prima e così lo faccio ora. Insieme a lei, e grazie a lei, hanno esposto Antonio, Emanuele, Giovanni, Marcello, Walter. Mi piace non chiamarli per cognome per una sorta di amichevole fratellanza artistica.
Il tema  della mostra è “Radici” e ognuno di loro ha mostrato le proprie. Tutti artisti nati.
Giovanni: un ragazzino di circa ottant'anni che non sa se fa le cornici per dipingere oppure se dipinge per poi fare le cornici, un vero artista a tutto tondo che ha esposto “Scopello e le sue meraviglie”. Una manualità fantasiosa per il piacere di comunicare il bello.
Emanuele: dal ciuffo ribelle e dal sorriso elegante, lavora la stoffa, la tocca, la accarezza, la modella, la rende viva con l’aggiunta di parti in metallo o altro, ispirandosi al suo sogno interiore. Lui sogna le forme, le vede a occhi aperti e poi costruisce l’opera, predilige il nero, che non significa il nulla ma il principio della luce.
Marcello: disegna a matita come se ballasse con il sottofondo di una musica melodica, ma è la potenza del colore pennellato con un energia straordinaria che lo fa tuffare nelle proprie forme. L’osservatore delle sue opere vorrebbe toccare quel colore con le mani e assaporare la materia. Che sia questo il desiderio di Marcello? Glielo chiederò la prossima volta.
Antonio: viene da Torino, il suo amore per l'arte sfiora la perfezione, il suo iperrealismo è poetico, la sua tecnica è pulita, raffinata ed emozionante allo stesso tempo; tutti gli iperrealisti hanno quel dono di natura, quella mano ferma che li rende unici, quella concentrazione che potremmo scambiare per ossessione. Gente apparentemente calma ma con un'energia dirompente.
Walter: è un artista per natura, un artigiano per tradizione. Queste sono le sue radici, il suo background, un percorso mai statico basato su lavoro fatto a mano con passione.
Alessia Ferraro aveva ragione, alla mostra ho visto tanti giovani visitatori che esprimevano gioia e serenità. Con alcuni di loro mi sono piacevolmente intrattenuto, i loro occhi brillavano di curiosità e di bella spontaneità. Il futuro è dalla parte loro, l’arte può rendere il loro percorso di vita armonico e positivo.
La mostra “Radici” alla Ikigai art gallery in Via Sirte, 39 in Roma, si è aperta il 5 e terminerà il 15 marzo ’22.
Gli artisti hanno esposto le proprie radici ed è quello che fanno sempre, per loro è naturale, ma questa volta avevano un motivo in più per colorare questo periodo storico: esprimendo un linguaggio universale confermano che è la bellezza che salverà il mondo.
Amici lettori, ci rivediamo alla prossima iniziativa artistica e sarà sempre un piacere.
“RADICI”,  una mostra d’arte per schiarire il tempo oscuro
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Lucifer

9 Marzo 2022 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #televisione, #serie tv, #fantasy, #amore

What better modern incarnation of the nineteenth-century Byronic and Satanic hero than the devil himself?
There are products — television, literary, cinematographic — that stand out not for the plot or originality of the idea and setting, but for a single perfect character. This is the case of the urban fantasy and police procedural series Lucifer, developed by Tom Kapinos, produced by anything but rookie Jerry Bruckheimer, based on a comic, aired from 2016 to 2021, and now distributed by Netflix, which impresses in the collective (and erotic) imagination with its protagonist: Lucifer Morningstar, the rejected son of God, the fallen angel Samael who later became Lucifer, that is “bearer of Light”, or of clarity, of knowledge, of truth.
Fed up of administering justice by punishing and torturing the guilty in the bleak hell, the devil Lucifer incarnates, descends to earth and opens the “Lux”, a successful nightclub in Los Angeles, the city “of angels”. Here he becomes a collaborator of an attractive detective, Chloe Decker, a former movie starlet, helping her, with a capacity for psychological penetration that borders on hypnotism, to clarify cases of crime, of which the viewer would not give a damn if it were not that he is the one to solve them.
Handsome, with an innate dandy elegance and feline movements, Lucifer is played by Welsh actor Tom Ellis. To fully appreciate the acting, you need to listen to the original English where Ellis stands out for his marked and sophisticated British accent among the other American actors. Lucifer is intriguing, intelligent, funny, salacious, irreverent, disrespectful, and exudes indisputable manhood from every pore. The actor is exceptional in rendering the devilry of the gaze: his pitch-black eyes become fixed and even slightly cross when he tempts humans, putting them in front of their most hidden desires. No one resists when captured by Lucifer’s magnetic gaze, which searches inside you to grasp the deep core of your ambitions. Lucifer himself is incapable of telling lies. He doesn’t know how to lie, he always tells the truth even when it can hurt.
The story is about love and redemption. Lucifer is never gratuitously evil. Although he is unbelievably self-centered, he is still an angel, and his actions are dictated by justice. “I’m not evil, I’m not a monster” he is keen to repeat. Although he enjoys luring his victims into temptation, even though he drinks like a fish, takes drugs, has wild and orgiastic sex with women and men, as the narrative progresses, his expressions become more and more human. Basically he turns into a good guy — a good devil, if you allow me the pun — honest and nice, that everyone likes, despite his supernatural strength, his power, his subterranean and menacing danger.
Lucifer is in eternal conflict with his father. And who wouldn’t have a problem with God as a parent? The more he humanizes himself, the more emotions overwhelm him. When he kills his brother Uriel to save the people he loves, he experiences pain, guilt, despair. And, with the passing of the episodes, even his body changes: he loses his demonic face — initially hidden under the human one — and his wonderful, feathery, immaculate wings grow back, despite the rebellious angel tries to cut them off every time.
To tempt him and bring him back to the past comes Eve, the first woman, who had already had an affair with him. She is not evil but she is intrinsically sinful, she wants to be free and not just Adam’s rib, she would like Lucifer to go back to incarnate the devil who seduced her in Eden, therefore she pushes him to cultivate the worst part of himself, violence, the pleasure of torturing sinners, Dionysian sex. And so the monstrous face of Lucifer returns to manifest itself again, his wings are no longer white but become similar to those of a demonic bat.
But Lucifer is not doing that, he rebels, eternally divided between the two parts of himself, the dark and the bright, the devil and the angel. He doesn’t love what he was, what he returns to be with Eve, but neither is he comfortable with the sensations that Chloe makes him feel, with that need she has to tame him and make him bourgeois. He ends up hating himself deeply, in a desperation that is both self-harm and the need for redemption. Eventually, however, he regains control of himself, returns for a moment to be the mighty king of the underworld, and drives out the army of darkness unintentionally unleashed on earth by Eve. The final episode of the fourth season, with the victory of the king of the underworld over the demons and the heartfelt farewell from Chloe before Lucifer spreads his wings and flies to sit on his lonely throne, is the most beautiful episode and could have been the worthy conclusion of the whole series.
But Eve is not Lucifer’s true love. Inevitably, he falls in love with the detective Chloe, beautiful in an angelic way, the only one able to resist his charm and not fall into his arms at the first inviting glance. Chloe is good, selfless, serious, professional, empathetic. Lucifer loves her totally, absolutely, spiritually. He who lives immersed in the pleasures of sex has a pure, selfless, disembodied adoration for her. For Chloe he is ready to sacrifice himself, to defend her and protect her, to renounce her in order to see her happy, to oppose anyone who wants to disappoint or hurt her, to close his protective wings around her. Lucifer loves Chloe as any woman would want to be loved: in a complete, supernatural way, even if he can’t tell her because saying the phrase “I love you” would mean admitting that he is not a demon, because his father, that is God, has never said to love his children (read also all of humanity), but, on the contrary, he manipulated and followed them from above with detachment and without apparent empathy.
The love of Lucifer and Chloe is identified with unconditional union and complicity. Chloe is a kindred spirit, she is a gift placed by God on Lucifer’s path to redeem him, she is the only one capable of seeing him for what he really is, not an evil monster but a man in search of moral redemption. Her smug gaze, when Lucifer casts out demons by showing them his monstrous body and, at the same time, his indisputable royalty, indicates acceptance of every part of him, even the most hideous and dark, and the female admiration for the male power used only when needed and against those who really deserve it.
And the two of them, Chloe and Lucifer, are not only lovers, they are also partners — “partners to the end”, “partners for eternity”. They work in pairs to solve cases, they are a perfect team, he magnetic and impulsive, she rational and staid. They are what every couple would like to be, that is, something special, unique, a perfectly fitted mechanism.
With Chloe, Lucifer feels at home. Hell, he explains to us, was never his home and heaven “was hell”. Because his father despised him, because his mother abandoned him, because his brothers were in competition with him. Because hell is gray, boring, gloomy. Los Angeles, on the other hand, is alive, colorful, alluring, full of charming and warm beings, full of naked, inviting bodies. And he, day after day, feels attracted to them, he feels affection and interest, to the point that his innate and “professional” need to punish people turns into a desire for justice, for redemption for the victims of evil. By human beings, for the first time, he is respected, and he understands that he has a role and a family.
Beneath the surface of this funny, ironic, brilliant and glossy series, God and the Devil, good and evil, intertwine, overturn. Some angels are evil, like Uriel and Michael, while demons discover to have a tender heart and even a soul, like Mazekeen. Cain and Abel, in the third series, exchange roles, make peace. And even Lucifer has a twin, the evil angel Michael, blinded by envy. Impersonated by Ellis himself, Michael stands out for his less clear eyes and a slight curve in posture, two imperceptible differences masterfully rendered by the actor.
God’s will remains inscrutable but often his actions appear to everyone, even to his own children, unjust, evil. Why does God allow suffering that even the Devil tries to prevent?
And God himself truly comes, in season five, to settle the conflicts of his highly dysfunctional family. Perhaps this excessive humanization of the divinity, who puts on an apron and cooks the sauté, is criticizable but certainly the scene of the family dinner with God at the table is one of the most hilarious.
Not only that, God is tired of responsibility and thinks of withdrawing, of leaving someone in charge. Lucifer believes he deserves the job, he knows he would be better than his father, because he would eliminate suffering, hunger and war, while his father left the free will to man that created only pain and injustice. He wants to become God, apparently out of ambition, in reality to finally feel worthy and deserving of Chloe, the most important person in the whole universe for him. And for Chloe, he, self-centered, selfish and vain, is willing to sacrifice his own life. “I choose you” he tells her as he risks dying, for having set foot in the paradise from which he was banished, in order to save her from an untimely death.
In the course of this long series, all human feelings are, from time to time, dissected and analyzed, through the discovery that Lucifer and Mazekeen make and through the character of Linda, the psychiatrist who accompanies them. Linda is involved in the diatribes of the celestials, in their divine and human problems. She must mediate conflicts, make Lucifer and others aware of their emotions: jealousy, love, envy, tenderness, loneliness, vulnerability, friendship, mourning. And these feelings are eviscerated and also connected to the investigations in progress, reverberating in the interrogations, on the suspects and on the guilty.
Great space is given, as expected, to the sense of guilt. Eternal damnation is represented as a continuous endless loop in which one relives one’s sins and the worst moments of one’s life. And while many of the characters experience constant evolution, an uninterrupted search for improvement, with frequent relapses into the negative dynamics of the past, it is precisely the sense of guilt for the evil done to damn us to hell. In short, to be forgiven, we must first forgive ourselves.
Much is also based on the acceptance of the shady part of oneself, especially in the character of Ella, on the need to learn to live with the inner darkness. Where there is darkness, God himself affirms in the fifth season, the light is all the more intense. And, if even the devil has redeemed himself, anyone can do it, to the point that, in the end, Lucifer will discover that his mission is not to become God but not even to torment the damned, but to help them find peace as he found it.
I conclude by saying that I have never laughed and cried as much as with this fantastic TV series. I am a writer and if, with one of my novels, I could make the reader feel half of what the “Lucifer” series made me feel, I would have already created something extraordinary.

 
 
 

 

 

 

 

Quale migliore moderna incarnazione dell’ottocentesco eroe byronico e satanico se non il diavolo in persona?

Ci sono prodotti – televisivi, letterari, cinematografici - che spiccano non per trama o originalità dell’idea e dell’ambientazione, bensì per un unico azzeccatissimo personaggio. È questo il caso della serie urban fantasy e police procedural Lucifer, sviluppata da Tom Kapinos, prodotta dal tutt’altro che novellino Jerry Bruckheimer, tratta da un fumetto, andata in onda dal 2016 al 2021, e ora distribuita da Netflix, che s’imprime nell’immaginario collettivo (ed erotico) con il suo protagonista: Lucifer Morningstar, il figlio reietto di Dio, l’angelo caduto Samael poi divenuto Lucifero, cioè “portatore di Luce”, ovvero di chiarezza, di conoscenza, di verità.

Stufo di amministrare la giustizia punendo e torturando i colpevoli nel tetro inferno, il diavolo Lucifero s’incarna, scende sulla terra e apre il “Lux”, un locale notturno di successo a Los Angeles, la città “degli angeli”, appunto. Qui diventa collaboratore di un’avvenente detective, Chloe Decker, ex starlette del cinema, aiutandola, con una capacità di penetrazione psicologica che rasenta l’ipnotismo, a chiarire casi di cronaca nera, di cui allo spettatore non importerebbe un fico secco se non fosse che a risolverli c’è lui.

Bello, aitante, di un’innata eleganza dandy e dalle movenze feline, Lucifer è interpretato dall’attore gallese Tom Ellis. Per apprezzarne a pieno la recitazione bisogna ascoltare l’originale inglese dove Ellis spicca per il suo marcato e sofisticato accento britannico in mezzo agli altri attori americani. Lucifer è intrigante, intelligente, divertente, salace, irriverente, irrispettoso, e trasuda indiscutibile virilità da tutti i pori. L’attore è eccezionale nel rendere la diavoleria dello sguardo: i suoi occhi neri come la pece diventano fissi e persino leggermente strabici quando tenta gli umani, mettendoli di fronte ai loro più reconditi desideri. Nessuno resiste quando viene imprigionato dallo sguardo magnetico di Lucifer, che ti fruga dentro a cogliere il nocciolo profondo delle tue ambizioni. Lucifer stesso è incapace di dire bugie. Non sa mentire, dice sempre la verità anche quando questa può ferire.

La storia parla di amore e redenzione. Lucifer non è mai gratuitamente malvagio. Sebbene sia egocentrico fino all’inverosimile, è pur sempre un angelo, e le sue azioni sono dettate da giustizia. “Non sono malvagio, non sono un mostro” ci tiene a ripetere. Anche se si diverte a indurre le sue vittime in tentazione, anche se beve come una spugna, si droga, fa sesso sfrenato e orgiastico con donne e uomini, man mano che procede la narrazione, le sue espressioni diventano sempre più umane. In pratica si trasforma in un bravo ragazzo – un buon diavolo, se mi concedete il gioco di parole - onesto e simpatico, che piace a tutti, nonostante la sua forza soprannaturale, la sua potenza, la sua sotterranea e minacciosa pericolosità.

Lucifer è in eterno conflitto col padre. E chi non avrebbe problemi con Dio come genitore? Più si umanizza, più le emozioni lo travolgono. Quando uccide il fratello Uriel per salvare le persone che ama, sperimenta dolore, senso di colpa, disperazione. E, col passare degli episodi, persino il suo corpo muta: perde il volto demoniaco – all’inizio celato sotto quello umano - e gli ricrescono delle stupende, piumose, immacolate ali, nonostante l’angelo ribelle cerchi di tagliarsele ogni volta.

A tentarlo e a riportarlo al passato arriva Eve, la prima donna, che aveva già avuto una storia con lui. Non è cattiva ma è intrinsecamente peccaminosa, vuole essere libera e non più solo la costola di Adamo, vorrebbe che Lucifer tornasse a incarnare il diavolo che l’ha sedotta nell’Eden, perciò lo spinge a coltivare la parte peggiore di sé, la violenza, il piacere di torturare i peccatori, il sesso dionisiaco. E così il volto mostruoso di Lucifer torna nuovamente a manifestarsi, le ali non sono più bianche ma diventano simili a quelle di un demoniaco pipistrello.

Lucifer però non ci sta, si ribella, eternamente diviso fra le due parti di sé, quella oscura e quella luminosa, il diavolo e l’angelo. Non ama ciò che era, ciò che torna a essere insieme a Eve, ma nemmeno è suo agio con le sensazioni che gli fa provare Chloe, con quel bisogno che lei ha di addomesticarlo e imborghesirlo. Finisce per odiare se stesso profondamente, in una disperazione che è insieme autolesionismo e bisogno di redenzione. Alla fine, però, torna padrone di sé, torna per un istante a essere il potente re degli inferi, e scaccia l’armata delle tenebre involontariamente scatenata sulla terra da Eve. L’ultima puntata della quarta stagione, con la vittoria del re degli inferi sui demoni e l’accorato commiato da Chloe prima che Lucifer spieghi le ali e voli a sedersi sul suo trono solitario, è la puntata più bella e avrebbe potuto essere la degna conclusione di tutta la serie.   

Ma non è Eve il vero amore di Lucifer. Inevitabilmente, egli s’innamora della detective Chloe, bella in modo angelico, l’unica in grado di resistere al suo fascino e non cadergli fra le braccia alla prima occhiata invitante. Chloe è buona, altruista, seria, professionale, empatica. Lucifer la ama in modo totale, assoluto, spirituale. Lui che vive immerso nei piaceri del sesso ha verso di lei un’adorazione pura, altruista, disincarnata. Per lei è pronto a sacrificarsi, a difenderla e proteggerla da ogni insidia, a rinunciare a lei pur di vederla felice, a opporsi a chiunque voglia deluderla o ferirla, a chiuderla dentro le sue ali protettive. Lucifer ama Chloe come qualunque donna vorrebbe essere amata: in modo completo, sovrannaturale, anche se non riesce a dirglielo perché pronunciare la frase “Io ti amo” vorrebbe dire ammettere di non essere un demonio, perché suo padre, cioè Dio, non ha mai detto di amare i figli (leggi anche tutta l’umanità), ma, anzi, li ha manipolati e seguiti dall’alto con distacco e senza apparente empatia.

L’amore di Lucifer e Chloe s’identifica con l’unione incondizionata e la complicità. Chloe è uno spirito affine, è un dono messo da Dio sulla strada di Lucifer per redimerlo, è l’unica capace di vederlo per quello che realmente è, non un mostro malvagio ma un uomo alla ricerca del riscatto morale. Il suo sguardo compiaciuto, quando Lucifer scaccia i demoni mostrando loro il suo mostruoso corpo e, insieme, la sua indiscutibile regalità, indica l’accettazione di ogni parte di Lucifer, anche la più orrenda e oscura, e l’ammirazione femminile per la maschia potenza usata solo quando serve e contro chi davvero lo merita.

E loro due, Chloe e Lucifer, non sono solo amanti, sono anche partners – “partners fino alla fine”, “partners per l’eternità”. Lavorano in coppia per risolvere i casi, sono una squadra perfetta, lui magnetico e impulsivo, lei razionale e compassata. Sono quello che ogni coppia vorrebbe essere, cioè qualcosa di speciale, di unico, un meccanismo perfettamente incastrato.  

Con Chloe, Lucifer, si sente a casa. L’inferno, ci spiega, non è mai stata casa sua e il paradiso “era l’inferno”. Perché suo padre lo disprezzava, perché sua madre lo ha abbandonato, perché i suoi fratelli erano in competizione con lui. Perché l’inferno è grigio, noioso, cupo. Los Angeles, invece, è viva, colorata, allettante, piena di esseri affascinanti e calorosi, piena di corpi nudi, invitanti. E lui, giorno dopo giorno, si sente attratto da loro, prova affetto e interesse, al punto che il suo bisogno innato e “professionale” di punirli si trasforma in desiderio di giustizia, di riscatto per le vittime del male. Dagli esseri umani, per la prima volta, è rispettato, e capisce di avere un ruolo e una famiglia.

Sotto la superficie di questa serie divertente, ironica, brillante e patinata, Dio e il Diavolo, bene e male, si intrecciano, si ribaltano.  Alcuni angeli sono cattivi, come Uriel e Michael, mentre i demoni scoprono di possedere un cuore tenero e persino un’anima, come Mazekeen. Caino e Abele, nella terza serie, si scambiano di ruolo, si riappacificano. E persino Lucifer ha un gemello, l’angelo cattivo Michael, accecato dall’invidia nei suoi confronti. Impersonato dallo stesso Ellis, Michael si distingue per lo sguardo meno limpido e una leggera curva nella postura, due impercettibili differenze magistralmente rese dall’attore.

La volontà di Dio resta imperscrutabile ma spesso le sue azioni appaiono a tutti, anche ai suoi stessi figli, ingiuste, cattive. Perché Dio permette una sofferenza che persino il Diavolo cerca d’impedire?

E Dio in persona arriva davvero, nella quinta stagione, a dirimere i conflitti della sua famiglia altamente disfunzionale. Scelta forse criticabile degli autori, questa eccessiva umanizzazione della divinità che si mette il grembiule e cucina il soffritto, ma certamente la scena della cena di famiglia con Dio a tavola è una delle più esilaranti.

Non solo, Dio è stanco della responsabilità e pensa di ritirarsi, di lasciare a qualcuno la sua carica. Lucifer crede di meritare il posto, sa che sarebbe migliore di suo padre, perché eliminerebbe la sofferenza, le ingiustizie, la fame e la guerra, mentre il padre ha lasciato all’uomo il libero arbitrio che ha creato solo dolore e ingiustizia. Vuol diventare lui Dio, apparentemente per ambizione, in realtà per sentirsi finalmente degno e meritevole di Chloe, la persona più importante in tutto l’universo per lui. E per Chloe, lui, egocentrico, egoista e vanesio, è disposto a sacrificare la sua stessa vita. “Io scelgo te” le dice mentre rischia di morire, per aver rimesso piede nel paradiso da cui era stato bandito, pur di salvarla da una morte prematura.

Nel corso di questa lunga serie, tutti i sentimenti umani vengono, di volta in volta, sezionati e analizzati, attraverso la scoperta che ne fanno Lucifer, Mazekeen e attraverso il personaggio di Linda, la psichiatra che li accompagna. Linda è suo malgrado coinvolta nelle diatribe dei celesti, nei loro problemi divini e umani insieme. Lei deve mediare i conflitti, rendere consapevoli Lucifer e gli altri delle proprie emozioni: gelosia, amore, invidia, tenerezza, solitudine, vulnerabilità, amicizia, lutto. E questi sentimenti vengono sviscerati e collegati anche alle indagini in corso, riverberandosi negli interrogatori, sugli indiziati e sui colpevoli.

Grande spazio è dato, come prevedibile, al senso di colpa. La dannazione eterna è rappresentata come un continuo loop infinito in cui si rivivono i propri peccati e i momenti peggiori della propria vita. E mentre molti dei personaggi sperimentano una costante evoluzione, una ricerca di perfezionamento ininterrotta, con frequenti ricadute nelle dinamiche negative del passato, è proprio il senso di colpa per il male compiuto a dannarci all’inferno. Per essere perdonati, insomma, bisogna prima perdonare noi stessi.

Molto si basa anche sull’accettazione della parte ombrosa di sé, specialmente nel personaggio di Ella, sulla necessità di imparare a convivere con il buio interiore. Dove c’è oscurità, afferma Dio in persona nella quinta stagione, la luce è tanto più intensa. E, se persino il diavolo si è redento, chiunque può farlo, al punto che, nel finale, Lucifer scoprirà che la sua missione non è diventare Dio ma nemmeno tormentare i dannati, bensì aiutarli a trovare la pace come lui l’ha trovata.

Concludo dicendo che non ho mai riso e pianto tanto come con questa fantastica serie televisiva. Sono una scrittrice e, se riuscissi con uno dei miei romanzi a far provare al lettore la metà di ciò che la serie “Lucifer” ha fatto provare a me, avrei già creato qualcosa di straordinario.

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