Rifletto ancora sull’ipertrofia dell’ego.
Rifletto ancora sull’ipertrofia dell’ego.
Si sentono in rete affermazioni deliranti: “La Mazzantini non sa scrivere, Pavese era un pivello, non si capisce perché Erri de Luca stia su Wikipedia, quel tal libro è vomitevole, in libreria c’è solo spazzatura, gli editori pubblicano stupidaggini.” Ed io, invece, m'inchino sempre a tutti, imparo da tutti, anche da quello che non mi piace, apprezzo le sfumature, le differenze, la varietà. Penso che un best seller non lo diventa per caso, che un classico resta nell’immaginario collettivo per un motivo preciso. A me, alla fine, piace tutto, anche Moccia. “Tre metri sopra il cielo” mi ha catturato sotto l’ombrellone, “Hunger Games” mi ha tenuto incollata alle pagine, la Meyer mi ha appassionato. E, se leggo una poesia di Pavese, ancora mi si smuove dentro qualcosa. Intuizioni, scorciatoie, cortocircuiti fra mente e cuore, fra forma ed emozione. Non ne posso fare a meno, mentre posso benissimo rinunciare ai miei scritti.
Forse si scrive solo se si riconosce la scrittura degli altri prima della propria.
Rai Eri: la televisione da leggere
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Chi ha una nonna con il grembialetto come armatura e il mestolo brandito a mo’ di spada, si sarà forse accorto che il leggendario Artusi è stato sostituito ormai ai fornelli dai libri de La prova del cuoco, a marchio Eri Rai. Eri è il marchio editoriale con il quale la Rai pubblica libri, riviste e prodotti multimediali connessi con la sua programmazione, sfornando una media di cinquanta testi l’anno e definisce se stessa “La Rai da leggere”.
L’inizio dell’attività editoriale della Rai risale al gennaio del 1925, con la pubblicazione del settimanale “Radio Orario” che riportava i programmi delle stazioni radio italiane ed europee. Nel 1930, “Radio Orario” con l’EIAR divenne il Radiocorriere e nel 1954 il Radiocorriere TV.
Il 15 settembre del 1949 si costituì la società ERI Edizioni Radio Italiana che produsse molte collane. Si spaziava dall’arte alla letteratura, dai libri per ragazzi ai corsi di lingue. Scrissero per la Eri autori del calibro di Emilio Cecchi, Carlo Emilio Gadda, Mario Praz, Folco Quilici, Natalino Sapegno, Giorgio Saviane, Giani Stuparich, Demetrio Volcic. Al Radiocorriere si aggiunsero riviste specializzate fra le quali “L’Approdo letterario” e “L’approdo musicale”.
Dagli anni 90 Eri pubblica i libri delle trasmissioni più importanti e reportage giornalistici a firma Enzo Biagi, Bruno Vespa, Sergio Zavoli, Piero Angela, Antonio Caprarica. Dal 1996 ha ceduto l’attività editoriale alla capogruppo Rai.
In particolare vogliamo riferirci qui a un periodo in cui la Rai ancora assolveva diligentemente il suo compito di funzione pubblica, di alfabetizzazione di massa, di didattica popolare.
Nel 1970 uscì un libro collegato strettamente a una trasmissione molto seguita dagli adulti ma anche da qualche bambino curioso e precoce. Il testo s’intitolava En Français, era una coedizione con Le Monnier, e si legava all’omonimo corso di lingue, basandosi su una serie di film pedagogici prodotti dal Ministero degli Affari Esteri francese per l’insegnamento della lingua nel mondo.
Era un’epoca, quella, in cui il francese ancora contendeva il primato all’inglese come lingua straniera indispensabile, sebbene l’inglese cominciasse ad avere quell’ammiccante bagliore di modernità che tanto ci affascinava, collegato alla swinging London, ai Beatles e alle minigonne di Mary Quant.
Il libro si articolava in due volumi, riportando i dialoghi dei micro film della trasmissione, piccoli sketch ambientati nella Francia tradizionale. C’era un intermezzo in cui veniva illustrato il contenuto lessicale del testo e una parte successiva in cui i vocaboli erano inseriti in un contesto più moderno. Seguivano poi esercizi linguistici e grammaticali.
“Né le trasmissioni, né il libro”, è spiegato nell’introduzione, “hanno lo scopo di insegnare una grammatica. Gli esercizi stessi non sono esercizi grammaticali, ma tendono, attraverso la ripetizione, alla “fixation”delle forme studiate.” (pag. 4)
Pur con molta cautela, possiamo trovare qui il nucleo del moderno insegnamento delle lingue, quello che non si basa più sull’apprendimento di regole grammaticali, bensì sull’immersione con uso contestuale delle formule linguistiche. A nostro avviso, questo metodo, portato poi alle estreme conseguenze, ha creato più danni che benefici, impedendo la destrutturazione delle frasi, l’analisi logica e grammaticale, la distinzione fra soggetto, predicato e complemento, riportando l’apprendimento a un pre-razionale incamerare frasi fatte, valido per chi operi davvero in un contesto di full immersion (o per i bambini molto piccoli dal cervello plastico) ma non nelle poche, sbrigative, ore concesse dal ministero alla didattica delle lingue straniere.
Il corso di francese andava in onda nel primo pomeriggio ed univa adulti e bambini, le mamme lo seguivano rispolverando ricordi di scuola, ai ragazzi piacevano le scenette - fra pecorelle e fiere di paese, fra trattorie campestri e ricette di cucina – guardandole assorbivano parole e modi di dire, affascinati dalle storie ironiche, dalla vita quotidiana, dal ragazzino che nell’intermède girava le caselle del quadro a pannelli mobili.
Non mancavano, alla fine di ogni lezione, pezzi scritti in italiano (per essere ben comprensibili a tutti) sulla Francia contemporanea, volti ad attirare il turismo internazionale, denunciando forse quale fosse, in realtà, il vero scopo della pur lodevole iniziativa. Ma a noi non interessa questo, a noi piace ricordare l’ansia con la quale aspettavamo l’inizio della trasmissione nel dopopranzo, la gioia con la quale prendevamo in mano il librone ad essa collegato – pesante tomo bianco bordato di giallo col profilo della Francia in copertina – la soddisfazione quando riuscivamo a capire tutti i brani che ritrovavamo scritti dopo averli uditi in televisione, arrivando a leggerli, a pronunciarli correttamente, a ricordarli, a farne un patrimonio personale al quale poi avremmo sempre attinto.
Insomma, il corso di francese Eri Rai (Le Monnier) appartiene al quel bagaglio di conoscenze che, una volta acquisite, non ci lasciano più per la vita.
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CriticaLetteraria: Come eravamo: Rai Eri, la televisione da leggere
Chi ha una nonna con il grembialetto come armatura e il mestolo brandito a mo' di spada, si sarà forse accorto che il leggendario Artusi è stato sostituito ormai ai fornelli dai libri de La prova...
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Tobias Smollett a Livorno
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Liala, un caso editoriale del tempo che fu
Dopo il 1950 viene a cadere il disprezzo vociano per il romanzo borghese, che aspira ormai a far parte della letteratura. Ma prima, nel periodo fascista e anche oltre, si ha una netta divisione fra letteratura di massa e d’intrattenimento, con romanzieri a grande tiratura (Zuccoli, D’Ambra, Pitigrilli, DaVerona) e romanzi scritti da intellettuali per altri intellettuali (Gadda, Landolfi, Bilenchi, Vittorini, Bersani).
Si ha così la formazione di un doppio mercato della letteratura. Mentre Guido da Verona vende due milioni e mezzo di copie, grazie soprattutto al successo di Mimì Bluette fiore del mio giardino, Palazzeschi, Moravia de Gli indifferenti, e Bontempelli restano sempre sotto le centomila copie. Solo Sorelle Materassi sfiora quota duecentomila.
Nella prima metà del secolo, la narrativa di successo continua a praticare strutture già sperimentate alla fine dell’ottocento, con l’aggiunta di nuovi generi come il romanzo eroico fascista, quello “pornografico” di Pitigrilli, quello umoristico di Achille Campanile e, infine, quello rosa.
È del 1931 il primo romanzo di Liala, pseudonimo di Liana Cambiasi, Negretti Odescalchi. (1897 – 1995)
“Nacqui a Carate Lario”, ci dice, “nella bella villa che i nonni avevano sul lago.” Si sposa giovane col marchese Cambiasi ma il matrimonio non funziona e Liala trova l’amore in un giovane aviatore, Vittorio Centurione Scotto, dal quale ha una bambina. Purtroppo, nel 1926, l’ufficiale muore in un incidente, precipitando nel lago con l’aereo, e Liala sfoga il suo dolore scrivendo il suo primo romanzo: Signorsì, “per non impazzire”, dice. Il romanzo ha per argomento l’aviazione, tema mai trattato da una donna prima di allora e ha un immediato successo di pubblico.
“Al mio pilota devo la celebrità. Fu per essere ancora con lui che scrissi Signorsì, che mi rese subito celebre, perché parlavo di quei voli che lui amava tanto. Ma il nome “Liala” lo ebbi da d’Annunzio. Prima ancora che Signorsì uscisse, il grande Arnoldo Mondadori aveva parlato a d’Annunzio di una giovane donna che aveva scritto un romanzo aviatorio, cosa eccezionale per quei tempi. Il Comandante volle conoscermi: andai al Vittoriale con Mondadori e, firmandomi una sua fotografia, immediatamente d’Annunzio mutò il mio Liana in Liala: perché, disse, un’ala sta bene nel nome di chi parla con tanto amore di ali. Vi mise un’ala e io volai.”
Dopo venti giorni l’editore le telefona sconvolto: la prima edizione è già esaurita.
Dal 1930 al 48 si lega sentimentalmente ad un altro ufficiale, Pietro Sordi, sebbene il marito l’abbia riaccolta e le abbia dato un’altra figlia.
Oltre all’ambiente militare, ai singoli personaggi, come Lalla Acquaviva protagonista dell’omonima trilogia, oltre alle trame, ciò che ci resta dei suoi romanzi è più l’immagine di uno stile, fatto di molteplici sfumature.
Innanzi tutto i personaggi. Che siano ufficiali come Furio di Villafranca, oppure pittori come Milo Drago o scultori, sono sempre aristocratici, alti, belli - mori con gli occhi azzurri o biondi con gli occhi neri - capaci di dominarti con lo sguardo (niente a che vedere col sadico Christian Gray) di corteggiarti con gesti galanti che hanno nel loro stesso dna.
Le donne sono modelle dai capelli color fuoco e gli occhi verdi, oppure timide fanciulle pudiche, con le trecce e lo sguardo basso. Hanno nomi altisonanti e strani – si dice presi da riviste d’ippica: Beba, Coralla, Pervinca, e aspetto più sanguigno e d’Annunziano che preraffaelita.
“Diede un’ultima spazzolata ai capelli vaporosi, leggeri e ondulati, che le sfioravano le spalle, si umettò le labbra. Infilò il soprabito. Sul turchino scuro della stoffa pesante, sfavillarono i meravigliosi capelli fulvi, d’un bel fulvo cupo, che incorniciava divinamente il volto bianco, sul quale le labbra rosse, colme di sangue sano e violento, mettevano una viva nota di ardente colore.” (Da L’Arco nel cielo)
Gli ambienti sono descritti con visiva ed estetizzante minuzia che fa appello a tutti e cinque i sensi. Di architetture, arredamenti, abbigliamento, cibo, è mostrato ogni particolare. Le tavole sono apparecchiate sontuosamente, oppure in modo campestre, il pane è fragrante, il pollo croccante. Si sentono profumi penetranti, rumori, odori, si vedono i colori risaltare l’uno sull’altro come in un quadro.
“Sopra una tovaglia bianca, di bella tela di Fiandra, aveva messo piatti e bicchieri quasi lussuosi, le posate erano di metallo vile, ma lucenti e deterse. Soltanto, in mezzo alla tavola, si ergeva un vasetto d’argento, in cui era immerso un crisantemo viola.” (da Melodia dell’antico amore)
“Un gran silenzio pesò su tutte le cose, dominò nella sala. E in quel silenzio, s’udì il ticchettio di due orologi. Quello piccolo che stava su una tavola dall’opalina color topazio, e quello grande, elettrico, incastrato nel muro dell’anticamera. Due suoni cadenzati e dissimili che davano il senso della fugacità del tempo.” (Da Come i baci sull’acqua)
La sensualità che trasuda dalle scene è prepotente quanto trattenuta.
“Camminavano vicini, vicini, quando il vento sollevava il soprabito di Mabel lo portava a sfiorare le gambe di Arno Dala. E lui, per quella carezza dell’abito della donna amata, godeva.” (Da Come i baci sull’acqua)
L’erotismo si concretizza in “sangue che scorre più veloce nei polsi”, in torbidi sguardi, in un desiderio represso ma tangibile, che faceva temere a quelle stesse madre e nonne - che ci passavano i libri sui quali avevano pianto e sognato di nascosto - che la lettura fosse troppo azzardata per delle signorinette, volendo restare in tema e citare Wanda Bontà.
“Il suo viso portava le tracce della lunga notte d’amore, ma gli occhi erano pieni di gioia. Mai, come quella notte, Beba era stata sua, mai aveva avuto così forte e terribile la sensazione del possesso. La placida sensualità di Beba aveva avuto guizzi e fremiti, le belle carni s’erano insolitamente animate, e mai il viso di Beba era stato così sciupato e devastato dai baci.” (Da Signorsì.)
Lo stile è pulito ma ridondante, pletorico, giocato sui sinonimi: “Voglio sapere che lingue parlate, quali idiomi conoscete.”
Liala è una scrittrice sottovalutata, una narratrice abile, capace di farti vedere, sentire e toccare ciò di cui racconta, capace di creare atmosfere che non si dimenticano. È esponente a tutti gli effetti del decadentismo, colto nei suoi aspetti estetizzanti, barocchi, a tinte forti fatte di sesso, di amore e morte, di grandi passioni ultraterrene (Lalla che torna), di uomini libertini alla ricerca di fanciulle pure, di vergini da sgualcire.
After 1950 contempt the bourgeois novel fell, the same that now aspires to be part of literature. But first, in the fascist period and beyond, there is a clear division between mass literature and entertainment, with large-scale novelists (Zuccoli, D'Ambra, Pitigrilli, DaVerona) and novels written by intellectuals for other intellectuals (Gadda , Landolfi, Bilenchi, Vittorini, Bersani).
Thus there is the formation of a double market for literature. While Guido da Verona sells two and a half million copies, thanks above all to the success of Mimì Bluette flower of my garden, Palazzeschi, Moravia de Gli indifferenti, and Bontempelli always remain below one hundred thousand copies. Only Sorelle Materassi touches two hundred thousand.
In the first half of the century, successful fiction continues to practice structures already tested at the end of the nineteenth century, with the addition of new genres such as the heroic fascist novel, the "pornographic" novel by Pitigrilli, the humorous one by Achille Campanile and, finally , the pink one.
Liala's first novel - pseudonym of Liana Cambiasi, Negretti Odescalchi - is from 1931. (1897 - 1995)
"I was born in Carate Lario", she tells us, "in the beautiful villa that the grandparents had on the lake." She marries with the Marquis Cambiasi but the marriage does not work and Liala finds love in a young aviator, Vittorio Centurione Scotto, from whom she has a baby girl. Unfortunately, in 1926, the officer died in an accident, crashing into the lake by plane, and Liala vented her pain by writing her first novel: Signorsì, "not to go crazy," she says. The novel has aviation as its subject, a theme never discussed by a woman before and has immediate public success.
“I owe celebrity to my pilot. It was to be with him again that I wrote Signorsi, which made me immediately famous, because I was talking about those flights that he loved so much. But I got the name "Liala" from d'Annunzio. Even before Signorsì came out, the great Arnoldo Mondadori had spoken to d'Annunzio about a young woman who had written an aviation novel, something exceptional for those times. The Commander wanted to get to know me: I went to the Vittoriale with Mondadori and, by signing a photograph of me, immediately d 'Annunzio changed my Liana to Liala: because, he said, a wing is well in the name of those who speak with love of wings. He gave me a wing and I flew. "
After twenty days the upset publisher calls her: the first edition is already sold out.
From 1930 to 48 she was romantically linked to another officer, Pietro Sordi, although her husband accepted her again and gave her another daughter.
In addition to the military environment, to individual characters, such as Lalla Acquaviva the protagonist of the trilogy with the same name, in addition to the plots, what we have of her novels is more the image of a style, made of multiple shades.
First of all the characters. Whether they are officers like Furio di Villafranca, or painters like Milo Drago, or sculptors, they are always aristocratic, tall, handsome - dark-haired with blue eyes or blond with black eyes - capable of dominating you with their eyes (nothing to do with the sadistic Christian Gray) to woo you with gallant gestures that have in their own DNA.
The women are models with fire-colored hair and green eyes, or shy modest girls with braids and a low gaze. They have high-sounding and strange names - they are said to be taken from horse racing magazines: Beba, Coralla, Periwinkle, and look more sanguine and d’Annunzian than Pre-Raphaelite.
"She gave one last brush to the fluffy, light and wavy hair that brushed her shoulders, she moistened her lips. She put on hes overcoat. On the dark blue of the heavy fabric, the wonderful tawny hair shone, of a beautiful dark fawn, which divinely framed the white face, on which the red lips, full of healthy and violent blood, put a lively note of ardent color. " (From The rainbow in the sky)
The environments are described with a visual and aestheticizing minutia that appeals to all five senses. Every detail of architecture, furnishings, clothing, food is shown. The tables are set sumptuously, or in a rural way, the bread is fragrant, the chicken crispy. You can feel penetrating perfumes, noises, smells, you can see the colours stand out as in a painting.
“On a white tablecloth, made of fine Flanders, she had placed almost luxurious dishes and glasses, the cutlery was of base metal, but shiny and clean. Only, in the middle of the table, stood a silver jar, in which a purple chrysanthemum was immersed. " (from Melody of ancient love)
“A great silence weighed on all things, dominated the room. And in that silence, the ticking of two clocks was heard. The small one that stood on a topaz-colored opal table, and the large, electric one, embedded in the wall of the anteroom. Two rhythmic and dissimilar sounds that gave a sense of the transience of time. " (From Like the kisses on the water)
The sensuality exudes from the scenes:
“They walked close, when the wind lifted Mabel's overcoat it brought her to touch Arno Dala's legs. And he, for that caress of the beloved woman's dress, rejoyed. " (From Like the kisses on the water)
Eroticism takes the form of "blood that flows faster in the wrists", in murky glances, in a repressed but tangible desire, which made those same mother and grandmothers - who passed the books on which they had cried and secretly dreamed – fear that the reading was too risky for “Signorinette”, wanting to stay on topic and quote Wanda Bontà.
"Hes face bore traces of the long night of love, but hes eyes were full of joy. Never, like that night, had Beba been his, never had the feeling of possession been so strong and terrible. Beba's placid sensuality had flickered and quivered, the beautiful flesh had unusually animated, and never had Beba's face been so wasted and devastated by kisses. " (From Signorsì)
The style is clean but redundant, pletoric, played on synonyms: "I want to know what languages you speak, which idioms you know."
Liala is an underrated writer, a skilled narrator, capable of making you see, hear and touch what she tells, capable of creating atmospheres that are not forgotten. She is an exponent to all effects of decadentism, captured in his aestheticizing, baroque aspects, with strong colours made of sex, love and death, of great otherworldly passions (Lalla who returns), of libertine men looking for pure girls and virgins to crease.
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CriticaLetteraria: Pillole d'Autore: Liala
Dopo il 1950 viene a cadere il disprezzo vociano per il romanzo borghese, che aspira ormai a far parte della letteratura. Ma prima, nel periodo fascista e anche oltre, si ha una netta divisione fra
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Michael Viewegh, "Fuori Gioco"
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Fuori Gioco
Michael Viewegh
Atmosphere libri, 2012
15,00
Atmosphere Libri, non è un Eap ma penalizza, di fatto, gli italiani. Ha scelto, in particolare con la collana “Biblioteca dell’Acqua”, di far conoscere romanzi stranieri, soprattutto dell’est europeo. Traduce autori accumunati da quanto di universale c’è nell’essere umano: i sentimenti, lo sviluppo, la crescita, il senso del fallimento o della realizzazione. Così è per il ceco Michael Viewegh, da molti considerato il nuovo Kundera.
“Fuori gioco” è un romanzo che si legge volentieri, che scorre da un veloce capitolo all’altro, ma che non ti lascia molto, se non l’impressione di una buona scrittura. Non è poco, direte voi, ma non è neanche tutto, pensiamo noi.
La storia si svolge attorno ad alcuni ex compagni di scuola che continuano a frequentarsi dopo la maturità, grazie anche ad annuali rimpatriate. Eva è quasi lo stereotipo della “più bella della classe”, quella che tutti vogliono, persino i professori. Sembrerebbe più un tipo che un personaggio se non fosse per il fastidio che prova portandosi appresso la sua fisicità; se non fosse che forse è vagamente bisessuale; se non fosse che l’età, alla fine, giunge anche per lei, segnandole collo e seno; se non fosse che nemmeno lei capisce cosa vuole nella vita - poiché fare quello che tutti si aspettano da lei, cioè sposare l’altro bello della classe, Jeff, che l’ha “prenotata” appena vista, seguendo le regole di un gioco infantile mai smentito - non la renderà felice; se non fosse che, alla fine, bacia Tom nel bagno del ristorante. Soprattutto non la porterà a conciliare amore e sesso, trovando la passione fisica solo nell’attempato professor Vartecky. Jeff ottiene la mano della bella che ha “prenotato”, ma il loro matrimonio si rivelerà un fallimento, minato dalla gelosia per la storia con Vartecky. Dopo il divorzio, Jeff si troverà a convivere con Tom, alcolista, a sua volta disperatamente, romanticamente, innamorato di Eva per tutta la vita, e con Skippy, ginecologo buffone, che tutti credono vittima anche lui del fascino della più bella ma, in realtà, segretamente omosessuale, incapace di fare outing e costretto a comportarsi da macho. C’è poi Hurejovà, la Saputella, a nostro avviso il personaggio più riuscito. La Saputella è la classica brutta secchiona della classe. Darebbe tutto quello che ha per avere il fisico di Eva, i suoi capelli, le sue tette svettanti, i suoi movimenti armoniosi. Invece porta le lenti, ha i capelli opachi, il sedere troppo grosso, un padre stanco e infelice.
“Per le ragazze brutte come me l’unica misura di tutte le cose diventa prima o poi la bellezza. Fin dai miei primi tre anni, alla sabbiera del parco, scelgo il punto dal quale godere la visuale migliore. Non gioco mai vicino ai bidoni della spazzatura, non io. Scelgo il gelato in base al colore, perché si abbini almeno un po’ ai vestiti che indosso. Ma vi rendete conto?Una ragazzina con gli occhiali, con addosso degli sformati pantaloni di velluto blu a coste larghe, non ordina il gelato al pistacchio, anche se ne ha voglia, perché ha paura che i colori non si abbinino … Nessuno è di così cattivo gusto, del resto, da abbinare il verde e il blu. Riuscite anche solo lontanamente a immaginare i timori di una fanciulla di dodici anni, del tutto priva di fascino, che non può permettersi nessun’altra imperfezione?” (pag. 23)
Sicura che nessuno farà mai sesso con lei, se non “verso la mezzanotte e dopo molte birre”, Hurejovà si dedica all’onanismo, mentre sogna di Tom, il compagno che ama, pur sapendolo innamorato, come e più di tutti, di Eva, e s’inventa intanto un fidanzato immaginario, Libor, di cui conosce a menadito abitudini e difetti. La Saputella assisterà il padre morente, con un amore senza smancerie, venato di tenerezza e repulsione, e perciò ancora più straziante. La Saputella sposerà Boris, amandolo in modo diverso da Tom, piangendo perché non è l’uomo dei suoi sogni, piangendo perché è solo un timido sorvegliante di metropolitana, un addetto “alla linea gialla”, che, ogni giorno, gracchia i suoi annunci con disperata rassegnazione: la rassegnazione dei vinti, degli onesti, dei buoni.
C’è anche l’Autore, fra i personaggi, che ci racconta brevi tratti della sua vita, per tanti versi simile ai quella delle sue creature, una gioventù da sfigato, amori adolescenziali, delusioni, riscatti, il bisogno di tenersi a galla.
Nessuno degli ormai quarantenni che si ritrovano alle cene di classe è felice, nessuno è davvero ciò che avrebbe voluto essere. La vita non mantiene le promesse, specialmente per chi da essa si aspetta qualcosa, sopravvivono solo i già vinti in partenza, quelli che si barcamenano. Alcuni escono di scena presto, vanno “fuori gioco”, come sostiene la nonna dell’Autore (suggerendogli l’idea per il romanzo) e l’autore stesso quando dice “ormai è cominciata anche per noi”. È la vita che è cominciata, la vita che ti delude, ti toglie, che è fatta anche di morte, come il suicidio della brutta Irena o l’incidente a Karel.
“Amo un vigilante della metro e continuo a sentire l’impellente necessità di giustificarmi. È strano: in via teorica so che la vita è imprevedibile, variegata e multiforme, che si ribella alle semplificazioni e così via, ma ogni volta che m’imbatto sul serio nel benché minimo accenno ad una reale vareità delle forme di vita, vengo di solito presa in contropiede.” (pag.160)
Questo romanzo piace a chi predilige una narrazione difficile che ti costringe a un’attenzione costante, a una ricostruzione della trama. Abilmente, portandoti da un capitolo all’altro con apparente leggerezza, non cambia solo il punto di vista e la prospettiva da cui narra, ma compie anche balzi temporali, facendo avanzare la trama in modo impercettibile ma fondamentale. Piace anche a chi vuole essere messo di fronte alla crudezza dei sentimenti, ai meccanismi della mente senza sconti per le meschinità, le invidie, le brutture, senza eroismi o romanticismi. C’è chi loda questo romanzo per l’apparente leggerezza, per l’ironia, c’è chi lo trova divertente. A noi sembra di una tristezza spietata, senza speranza, arido e amaro come i postumi di una sbronza, la stessa con cui Tom apre e chiude la storia. Ma in certi punti la narrazione fredda, tagliente, trattenuta, si lacera, è come se l’autore si lasciasse prendere la mano, ricordasse di essere uno scrittore a tutti gli effetti. Sono forse i momenti più belli, quelli più lirici, seppur disincantati e noi, seguendo l’autore e i personaggi, diventiamo come le foglie d’autunno: secchi, stridenti e, tuttavia, coriacei, resistenti, attaccati alla vita nonostante e oltre tutto.
“All’interno del complesso ospedaliero gli alberi sono ormai quasi privi di foglie e in mezzo ai rami spogli s’intravedono gli edifici un paio di settimane fa ancora nascosti. Le foglie si sono seccate e indurite, ogni raffica del vento freddo di novembre le fa stridere sull’asfalto; in molti punti ormai restano solo mucchietti di polvere marrone, ma sotto il ciliegio accanto al padiglione in cui è ricoverato papà resistono ancora gli ultimi colori vividi: un giallo caldo e il carminio. Li afferro con gli occhi come se rappresentassero la mia ultima speranza.” (pag 169)
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CriticaLetteraria: Michael Viewegh, "Fuori Gioco"
Atmosphere Libri, non è un Eap ma penalizza, di fatto, gli italiani. Ha scelto, in particolare con la collana "Biblioteca dell'Acqua", di far conoscere romanzi stranieri, soprattutto dell'est ...
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"Cime Tempestose" di Emily Brontë, l'amore come ossessione
A tre anni Emily Brontë aveva già perso la madre e cresceva nel ricordo delle due sorelline scomparse, Maria ed Elisabeth. La zia allevò lei, Charlotte, Anne e Patrick (detto Branwell dal cognome materno) col metodismo wesleyano, nelle riunioni di famiglia un tema consueto era il resoconto di morti edificanti. Il padre era irlandese, la madre della Cornovaglia, più che inglesi erano celti, e questo retaggio di miti e folklore, unito alla natura selvaggia in cui crebbero, esaltò l’immaginazione dei fratelli.
Emily (1818-1848) era una ragazza dalle braccia lunghe, dal passo elastico, dalla figura regale, anche quando correva nella brughiera fischiando ai cani. Nel ritratto che le fece Patrick Branwell, "gli occhi sono notturni, occhi che mettono a disagio, che non accettano la realtà solare e non rifiutano alcun orrore tenebroso "(introduzione a Cime tempestose, Garzanti 1965)
Come afferma Charlotte (l’autrice di Jane Eyre), "mia sorella non ebbe per natura un’indole socievole, le circostanze favorirono e alimentarono un’inclinazione alla solitudine: tranne che per andare in chiesa o per fare una passeggiata sulle colline, ella raramente varcava la soglia di casa.
Il fratello Patrick era pittore e poeta, dedito all’alcol e all’oppio, perfetta incarnazione dell’eroe byronico. Lui ed Emily erano legatissimi, vagavano insieme per la brughiera, paghi l’uno dell’altra; morì alcolizzato nel '48 fra le braccia di Emily. Lei non gli sopravvisse, o meglio non gli volle sopravvivere, si abbandonò con voluttà alla tisi che la corrodeva da tempo. Prese freddo durante il funerale, cominciò a tossire, non volle curarsi, spirò tre mesi dopo il fratello. In testa al corteo funebre camminava Keeper, il selvaggio bulldog che lei sola sapeva ammansire. Dopo la sua morte, Charlotte distrusse tutti gli scritti che avrebbero potuto comprometterne la reputazione ma anche illuminarci sull’origine dei suoi versi e del suo romanzo.
Cime tempestose (1847) è un’opera, come la definisce il Praz, "fra le più tumultuosamente romantiche di tutta la letteratura inglese". Il titolo originale è Wuthering Heights. Wuthering è variante regionale dell’aggettivo scozzese whither, parola che indica il tumulto atmosferico cui è soggetta la casa degli Earnshaw. I paesaggi e la meteorologia sono esasperati, come esasperati sono i caratteri dei protagonisti. Più che romanzo, Cime tempestose è tragedia, poema epico. La filosofia che sottende l’opera è che tutto il creato, animato e inanimato, psichico e fisico, è mosso da due principi, lo spietato-selvaggio e il dolce-passivo, rappresentato dai due poli, le due magioni, Wuthering Heights e Thrushcross Grange con i loro abitanti, gli Earnshaw e i Linton. Ma c’è una seconda generazione, dove il contrasto fra figli della tempesta e figli della calma è smussato, si accavalla fino a confondersi, a trovare una forma di redenzione.
Heathcliff e Catherine sono i due personaggi principali, titanici e granitici, fatti della stessa sostanza della natura in cui vivono. Per loro, odio e amore, passione e vendetta, sono la stessa cosa. Heathcliff e Chaterine si compensano, come Emily e Branwell, sono cresciuti insieme, fratelli/amanti. Heathcliff è spesso descritto con termini che ricordano più la natura selvaggia che non l’essere umano, è l’eroe maledetto dalla risata diabolica. Cathy è donna ma anche spettro, incarnata in una progenie maledetta.
“I am Heathcliff”, dice Catherine, nella potente indimenticabile dichiarazione che racchiude l’essenza stessa dell’amore romantico.
Il mio amore per Heathcliff somiglia alle eterne rocce che stanno sottoterra: una sorgente di gioia poco visibile, ma necessaria. Nelly, io sono Heathcliff! Lui è sempre, sempre nella mia mente; non come un piacere, come neppur io son sempre un piacere per me stessa, ma come il mio proprio essere. (p. 95)
Secondo il poeta decadente Swinburne, Emily dipinge “l’amore che corrode la vita stessa, devasta il presente, distrugge l’avvenire, con il suo fuoco divoratore.” È l’amore ossessione, l’amore romantico, trascendente, violento e inarrestabile.
Ai personaggi di Emily Brontë non si applica l’ordinaria antitesi fra bene e male. Essi non si pentono dei loro impulsi distruttivi. Costretti a deviare dal loro corso naturale, come un fiume che esce dagli argini, devastano incolpevoli ciò che incontrano sul loro cammino. I loro atti spietati, la loro cattiveria, in una parola il male che essi compiono e rappresentano, fanno parte del creato, hanno una ragione d’essere e una posizione nel cosmo. Come sostiene il Praz, “il punto di vista di Emily Brontë non è immorale ma premorale”. Il contrasto non è quello vittoriano fra bene e male, ma fra simile e dissimile.
Lui è più di me stessa. Di qualsiasi cosa siano fatte le nostre anime, la sua e la mia sono simili; e l’anima di Linton è differente come un raggio di luna dal lampo, o il gelo dal fuoco. (p. 93)
Questo concetto di premoralità, di bene e male come parte di un unico disegno divino, sarà la costante anche dei romanzi odierni di Anne Rice che molto derivano dall’atmosfera gotica, romantica, di Cime Tempestose. Come l’asessuato, eppur erotico, morso vampiresco, il sesso tradizionale ha poco a che vedere con l’attrazione inesorabile che unisce Heathcliff a Catherine e che è vicina alle forze sotterranee della natura, alle maree che trascinano, alle correnti, al magma.
Dov’è? Non là, non in cielo, non morta: dov’è? (...) E io prego, la ripeto la mia preghiera finché la mia lingua riuscirà a pronunciarla: Catherine Earnshaw, possa tu non riposare mai finché vivo io! Hai detto che ti ho uccisa io… perseguitami, dunque! Credo che gli uccisi perseguitino i loro uccisori. So di spiriti che hanno vagato sulla terra. Rimani con me sempre, prendi qualsiasi forma, fammi diventar pazzo! Soltanto non lasciarmi in questo abisso dove non posso trovarti! Oh, Dio; è indicibile! Non posso vivere senza la mia vita! Non posso vivere senza l’anima mia! (p. 183)
Riferimenti critici:
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Mario Praz, Storia della Letteratura inglese, Sansoni editore, 1979
Introduzione a “Cime tempestose”, Garzanti, 1965
Eddie Flintoff, In the steps of the Brontës, Conuntryside Books, 1993
At three years old Emily Brontë had already lost her mother and was growing in memory of the two missing sisters, Maria and Elisabeth. Her aunt raised her, Charlotte, Anne and Patrick (called Branwell from the maternal surname) with the Wesleyan method, in family reunions a usual theme was the report of edifying deaths. The father was Irish, the mother of Cornwall, more than English, were Celts, and this legacy of myths and folklore, combined with the wild nature in which they grew up, exalted the imagination of the brothers.
Emily (1818-1848) was a girl with long arms, an elastic step, a regal figure, even when she ran on the moor whistling to dogs. In the portrait that Patrick Branwell made of her, "the eyes are nocturnal, eyes that make you uncomfortable, that do not accept the solar reality and do not refuse any dark horror" (introduction to Cime tempestuous, Garzanti 1965)
As Charlotte (the author of Jane Eyre) states, "my sister did not have a sociable nature by nature, circumstances favored and fueled an inclination to solitude: except for going to church or taking a walk on the hills, she rarely crossed the threshold."
Brother Patrick was a painter and poet, dedicated to alcohol and opium, the perfect embodiment of the Byronic hero. He and Emily were very close, they wandered together on the moor, happy to be toghether he died an alcoholic in '48 in Emily's arms. She did not survive him, or rather she did not want to survive him, she reluctantly abandoned herself to the phthisis that had been corroding her for some time. She caught cold during the funeral, began to cough, did not want to be cured, expired three months later his brother. At the head of the funeral procession walked Keeper, the wild bulldog that she alone could tame. After her death, Charlotte destroyed all the writings that could have compromised hes reputation but also enlightened us on the origin of his verses and his novel.
Wuthering Heights (1847) is a work, as Praz defines it, "among the most tumultuously romantic of all English literature". Wuthering is a regional variant of the Scottish adjective whither, a word that indicates the atmospheric turmoil to which the Earnshaw house is subject. Landscapes and meteorology are exasperated, just as exasperated are the characters of the protagonists. More than a novel, Wuthering Heights is a tragedy, an epic poem. The philosophy behind the work is that all creation, animated and inanimate, psychic and physical, is driven by two principles, the ruthless-wild and the sweet-passive, represented by the two poles, the two mansions, Wuthering Heights and Thrushcross Grange with their inhabitants, the Earnshaw and the Lintons. But there is a second generation, where the contrast between the children of the storm and the children of calmness is smoothed out, until it gets confused, to find a form of redemption.
Heathcliff and Catherine are the two main characters, titanic and granitic, made of the same substance as the nature in which they live. For them, hate and love, passion and revenge are the same thing. Heathcliff and Chaterine compensate each other, like Emily and Branwell, they grew up together, brothers / lovers. Heathcliff is often described in terms that remind us more of the wild nature than the human being, he is the hero cursed by diabolical laughter. Cathy is a woman but also a ghost, embodied in a cursed progeny.
"I am Heathcliff," says Catherine, in the powerful unforgettable declaration that contains the very essence of romantic love.
"My love for Heathcliff resembles the eternal rocks that lie underground: a source of joy that is hardly visible, but necessary. Nelly, I'm Heathcliff! He is always, always in my mind; not as a pleasure, as I am not always a pleasure for myself, but as my own being".
According to the decadent poet Swinburne, Emily paints "the love that corrodes life itself, devastates the present, destroys the future, with its devouring fire." It is love obsession, romantic love, transcendent, violent and unstoppable.
The ordinary antithesis between good and evil does not apply to the characters of Emily Brontë. They do not regret their destructive impulses. Forced to deviate from their natural course, like a river coming out of the banks, they devastate innocently what they encounter on their way. Their merciless acts, their malice, in a word the evil they do and represent, are part of creation, have a reason for being and a position in the cosmos. As Praz argues, "Emily Brontë's point of view is not immoral but premoral". The contrast is not Victorian between good and evil, but between similar and dissimilar.
"He is more than myself. Whatever our souls are made of, his and mine are alike; and Linton's soul is different like a moonbeam from lightning, or frost from fire.
This concept of premorality, of good and evil as part of a single divine plan, will also be the constant of today's Anne Rice novels that derive a lot from the gothic, romantic atmosphere of wuthering Heights. Like the asexual, yet erotic, vampire bite, traditional sex has little to do with the inexorable attraction that unites Heathcliff with Catherine and that is close to the underground forces of nature, the tides that drag, currents, magma.
"Where is she? Not there, not in heaven, not dead: where is she? (...) And I pray, I repeat my prayer until my tongue can pronounce it: Catherine Earnshaw, may you never rest as long as I live! You said I killed you ... persecute me, then! I believe that the killed persecute their killers. I know of spirits who have wandered on earth. Stay with me always, take any shape, make me go crazy! Just don't leave me in this abyss where I can't find you! Oh God; it is unspeakable! I can't live without my life! I can't live without my soul!
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CriticaLetteraria: "Cime Tempestose" di Emily Brontë, l'amore come ossessione
Cime tempestose di Emily Brontë Garzanti, 1965 pp. 353 gli occhi sono notturni, occhi che mettono a disagio, che non accettano la realtà solare e non rifiutano alcun orrore tenebroso (introduzione a
http://www.criticaletteraria.org/2012/04/cime-tempestose-di-emily-bronte-lamore.html
"The neverending history"
Umile sasso di terra
spaccata e detrita,
logoro, noioso,
avulso di vita.
Sbiancato nel Tempio
di un mare profondo
o rosso del sangue
di angosce del Mondo.
Lavato da lacrime
di Anime inquiete,
per Mano Divina
a raggiunger le mete.
Anelita impronta
erosa dal vento,
scia futura
nei pianti del Tempo.
Umile sasso,
inanime corpo,
restituisci alla vita,
la Vita che hai.
Dedicato a Martina, Sara e Giulia
Riflessioni a cielo aperto
Non esiste poter razionalizzare sempre e comunque il pensiero o i pensieri degli altri…
Scrivere è per me la sensazione di benessere o di sofferenza che nasce dall’emozione, dall’istante mentre è già passato. Questa è la mia vita!
Ciò che conta per me, quello che provo vivendo, non si può pretendere di capire e giudicare semplicemente… leggendo. Quindi, mi dico sempre: Uomo, non pretendere per forza di voler capire ciò che non potrai capire mai.
Il mio pensiero va sempre per i miei Amori che spero non tradiranno mai il mio cuore: Martina, Sara e Giulia chiedendo loro, solo per Amore, di amare e di non tradirsi mai.
Il Mondo può essere bello,
prima da scoprire
e poi da vivere,
anche se ciò e soprattutto chi ci circonda potrebbero non farcelo credere.
Buona Vita a Voi e a tutto il Vostro Mondo,
dove spero sempre essere presente anch’io.
Ripeto: solo per Amore,
babbo.
The truth out there
Che i tuoi occhi
inseguan sempre
spazi aperti e l'orizzonte
e le orecchie non si fermino
ad ascoltare i silenzi.
Cerca e trova
i profumi, quelli più inebrianti
l’aurea tua non li confonda
dai baci amari e tradimenti.
Tendi sempre le tue mani
a sorrisi e sguardi onesti.
Con mente sana poi rifiuta
gli egoismi degli stolti
la cattiveria delle genti
e poi…
ama, ama, ama…
…e fallo solo per Amore,
E non buttarti via al momento
credendolo migliore,
per diventare un oggettino
tutto usato, senza valore.
Fuori c’è ancora tutt’un mondo da scoprire
che ti cerca e ti vuol bene;
tu non perderlo di vista,
è il tuo Mondo, ti appartiene.
E se poi ricorderai
la triste storia tua con me;
forse allora capirai:
nessuno s'è fermato
neppur davanti a te.
Un piccolo cielo ci sarà sempre
guardiano di quei mali,
prigioniero tra quei monti.
nella favola negata
ai più maestosi orizzonti.
Non fidarti di nessuno
a segnare il tuo destino,
neanche quando di rimorsi
avrai segnato il tuo cammino.
La tua vita è una sola,
importante e tu lo sai,
ma potrai aver vissuto
quando rimpianti non avrai.
Se la tua Anima è pulita
prova a chiederti il perché;
forse, anche solo un poco,
tu somigli tutta a me.
Scegli di viver l’emozione
che non genera vergogna
quella che non si nasconde
quando il tuo pensiero…
sogna.
Sogna, Amore e sogna ancora,
sogna sempre Cosa Buona
scegli solo Buona Vita
Ama, ascolta e poi perdona.
Non vorrei perdermi i tuoi anni
perciò non crescer troppo in fretta,
però cresci bimba mia,
c’è il tuo babbo che ti aspetta!
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