Finzione
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Primo piano a destra
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Piove
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Incontro ravvicinato
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Presunzione
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Ida Verrei: Il bambino difficile
DIVERSO, ATIPICO, O PREGIUDIZIALE PEDAGOGICA?
(ritrovato tra le mie antiche carte, quando, noi maestre della vecchia guardia, credevamo ancora nella scuola, come agenzia di educazione permanente per tutti)
Bambino difficile, individualità frammentata e problematica che mobilita angosce e scatena difese negli educatori: è il bambino che manifesta rifiuto sistematico di partecipazione, mancanza di abilità operative, difficoltà relazionali, condotte sempre inquietanti che lo fanno percepire come diverso, atipico.
Si individua subito il bambino difficile nelle sue molteplici connotazioni: egli possiede una propria fisicità, gestualità e modalità comunicative riconoscibili ma che vengono riportate a stereotipi che conducono a definirlo passivo, incapace, irrecuperabile, ineducabile.
Quel bambino non corrisponde all’immagine ottimale di alunno scelta dagli insegnanti: gli ostacoli a tale corrispondenza sono insormontabili; le aspettative non si concretizzano; vengono meno le certezze; l’attesa di gratificazione dell’adulto-educatore e di autorealizzazione viene delusa e il ruolo-guida del docente entra in crisi.
Si è precostituito ottimisticamente un esito in cui si crede per cultura e formazione e ci si viene a trovare di fronte al problema, non solo di accettazione o rifiuto, ma di analisi critica di se stessi.
La reazione emotiva che ne deriva è di opposizione, sfiducia, intolleranza; e le motivazioni di ordine socioculturale poggiano sulla convinzione che la subcultura o le culture altre, nelle quali di solito si colloca il bambino difficile, non possano elevarsi verso la cultura dominante, dove tutto è valutato in termini di produttività; la posizione di tipo mentale, infine, è di cieca fiducia nella logica adultistica, non conforme a quella del bambino e di quel bambino in particolare.
E lui, il caso difficile, come vive l’impatto con l’adulto in crisi? Egli è carente sul piano logico-cognitivo, non possiede risorse emotive, né strumenti comunicativi, si esprime attraverso codici che vengono respinti, ed allora fugge, rifiuta, aggredisce ma inconsapevolmente trasmette messaggi, richieste, bisogni.
E allora è il pregiudizio pedagogico che andrebbe rimosso. Andrebbe elaborato un diverso modello educativo che non si riferisca soltanto alla progressiva costruzione di strutture e alla sollecitazione scientifica dei processi di apprendimento e di tutti gli altri dinamismi psichici, ma che, riferendosi alla complessità di ogni persona, consideri il significato più umano dell’incontro IO-TU.
Occorre che si rifletta sulla vera dimensione della natura individuale, la quale, pur essendo conoscibile, è spesso misteriosa e fragile, comunque sempre irripetibile.
Un modello educativo, quindi, che muova dalla capacità di accostarsi a qualunque bambino, anche al più difficile, con l’attenzione e il rispetto alla unicità della sua natura.
È da qui che può prendere inizio un itinerario da percorrere insieme, maestro ed alunno, verso un comune decondizionamento.
In ciò sta un duplice riscatto: quello dell’adulto, dall’eccessiva ansietà per l’esito produttivo e visibile, quello che in termini quantitativi si dice rendimento scolastico; l’altro, del bambino, che trova in un rapporto rinnovato la possibilità per comprender-si e recuperare valore, equilibrio e definizione alle proprie espansioni vitali frustrate.
Ida Verrei
Il nuovo libro di Maria Vittoria Masserotti, fresco di stampa
O giorni, o mesi, che andate sempre via…
Questo verso di Francesco Guccini è la chiave di partenza del libro, quella che in qualche modo apre e chiude il cerchio narrativo: il tempo passa inesorabilmente, seguendo un moto lineare ma, allo stesso modo dei mesi e delle stagioni, si ripropone continuamente, come in un moto circolare… sempre diverso e sempre uguale, se qualcosa muore qualcosa rinasce, mentre il passato e il presente si intersecano e la storia e la memoria diventano uno scrigno prezioso: tutto alla fine può essere ripescato e rivissuto.
(Dalla prefazione di Lamberto Picconi)
Non sei morto e io sto così
Non sei morto e io sto così
respiro nella mia paura
sopporto quello che non si può sopportare.
Nella tua stanza c’è chi è convinto di essere a casa,
e ogni giorno crede di passeggiare sul lungomare
e descrive le onde, piccole e chiare.
Pensavo dov’è la nostra vita
dove siamo noi
dov’è tutto quello che avevamo
che ci spettava,
da qualche parte ci devi essere ancora
forse in cielo, su una stella.
Mi manchi in casa, fuori, in ogni gesto.
Eri come un padre, ora sei mio figlio
Sei un pezzo di me anche se non lo ricordi più.
C’è una mano dietro tutto questo, c’è una regia,
ci deve essere un senso, una malignità, un destino cattivo.
Però oggi ti ho visto ridere, era la tua espressione, erano i tuoi occhi.
Segnalazione
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Gli anni della lotta armata
Cronologia di una rivoluzione mancata
di Davide Steccanella
Bietti editore
Il conflitto che ha insanguinato l'Italia tra gli anni Sessanta e Ottanta
dello scorso secolo è senza precedenti. Questo volume ricostruisce il
contesto storico, sociale e politico della lotta armata in Italia,
ripercorrendo i drammatici avvenimenti che costellarono la seconda metà
del Novecento. Dagli attentati agli scontri di piazza, dai processi alle
esecuzioni in carcere, fino allo stragismo armato – una ricognizione alla
scoperta del volto notturno di uno tra i secoli più controversi della storia
italiana, non solo per ricostruirne storicamente le tappe, ma anche per
comprendere meglio il perché, in quegli anni, molti decisero di armarsi.
Davide Steccanella (Bologna, 1962) vive a Milano, dove esercita la professione
di avvocato penalista.
Segnalazione
Mercoledì 10 aprile la Fondazione "Gerardino Romano" ospita Adriana Pedicini