Segnalazione
Nel mare dei litblog ci piace segnalarvi il blog di Patrizia La Daga
accurato, ben fatto, competente e non arroccato, come altri, su posizioni elitarie e monopolistiche, bensì aperto all'interazione con nuove realtà emergenti in continua evoluzione.
ed in particolare l'azzeccatissimo articolo
di cui un piccolo estratto
"In rete, come fuori dalla rete, si trova di tutto. E i lettori non mi sembrano così ingenui da non saperlo. Quanto alle tendenze egocentriche di cui è accusata di soffrire la categoria, la mia sensazione è che i primi a fare ostruzionismo nei confronti dei nuovi books blogger siano spesso proprio quelli più forti e con maggiore anzianità. Su Twitter c’è chi fa girare sempre gli stessi nomi e si guarda bene dall’interagire con chi si è affacciato da poco alla rete." Patrizia La Daga
Beppe Iannozzi, "L'ultimo segreto di Nietzsche", recensione di Gordiano Lupi
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Beppe Iannozzi
L’ultimo segreto di Nietsche
(Il ritorno del filosofo a Torino)
Cicorivolta Edizioni – Pag. 185 – euro 13,00
www.cicorivoltaedizioni.com
Beppe Iannozzi è scrittore versatile ed enciclopedico, la sua narrativa attraversa molte branche del sapere, spesso fondendosi alla saggistica divulgativa, sconcertando il lettore - ma l’effetto è voluto - che sta cercando soltanto un romanzo da leggere. Iannozzi non fa narrativa da spiaggia, non scrive romanzi di genere, non racconta le gesta intrepide del solito commissario di polizia che vive in luoghi di fantasia, fuma come un turco, beve Marsala e si ciba di manicaretti prelibati. Iannozzi cita Wikipedia e Seneca senza problemi, passando dal popolare al colto, scrive un romanzo filosofico che indaga la follia di Nietsche, ma anche la teoria dell’Eterno Ritorno e il mistero della Sindone, oltre a fornire un sacco di ipotesi suggestive sulla persona di Gesù Cristo. L’ultimo segreto di Nietsche è anche un libro sui misteri di Torino che tanto affascinano Dario Argento e molti maestri del brivido, così come ne restano soggiogati diversi esperti di esoterismo. Iannozzi racconta le trame del maligno, ripercorre le tappe salienti della vita di Vlad Tepes l’Impalatore, meglio noto come Dracula, una delle tante incarnazioni del demonio. Sarebbe lui l’Anticristo nietzschiano? Cristo, invece, sarebbe “un Messia alieno venuto da un mondo più evoluto per insegnarci a cagare e a pisciare” e il Paradiso solo il suo Pianeta d’origine? Lo scriveva Peter Kolosimo nei libri della mia adolescenza, tomi che ho letto e riletto, consumandoli e credendoci come uno sciocco, prima che l’età della ragione mi facesse dire che se dovevo credere a cose improbabili tanto valeva confidare nella religione. Non è terrestre di Kolosimo - coma fa notare l’autore - rappresenta persino Lucifero nei panni di uno scienziato pazzo da fumetto che vuole distruggere l’universo. Romanzo filosofico è una definizione che mi convince per l’opera di Iannozzi, lavoro non di facile lettura, non consigliato per tutti, ma solo per palati fini, per chi non il solito romanzo di genere. “L’idea è il filosofo e il filosofo è un uomo e non può sfuggire alla sua natura di ricercare un’idea migliore, o di migliorare quell’idea che un tempo nutriva”, afferma l’autore. Il Bertrand Russel di Perché non sono cristiano, Ecce Homo scritto a Torino da Nietsche, L’Anticristo, l’Eterno Ritorno, ma anche la dottrina della Chiesa e le parole di Giovanni Paolo II sul diavolo sono alla base di un’opera che cita persino Che Guevara, la canzone di Carlos Puebla, gli avvistamenti UFO e la costruzione della Mole Antonelliana. Per concludere che Nietsche finirà per seguire la sua filosofia e un giorno tornerà a Torino, perché niente finisce davvero, tutto ritorna. Per sempre.
Un libro non commerciale, intriso di contenuti storico – filosofici, che solo un piccolo editore intelligente come Cicorivolta poteva avere il coraggio di pubblicare.
Gordiano Lupi - www.infolupi.it
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Mary Shelley, "Frankenstein"
C’è una storia d’amore che lega un poeta e una scrittrice entrambi inglesi: Percy Bysshe Shelley (1792 – 1822) e Mary Shelley (1797 – 1851)
Mary è figlia della femminista Mary Wollstonecraft, ed è cresciuta secondo i libertari principi dell’ideologia materna, Percy è sposato con Harriet, dalla quale ha dei bambini che gli verranno poi sottratti. Quando s’incontrano, Mary ha diciassette anni, s’innamorano, fuggono insieme e riescono a sposarsi solo dopo l’improvvisa vedovanza di lui. Mettono al mondo molti figli di cui solo pochi sopravvivono ai genitori. Trovano rifugio alle loro peregrinazioni in Italia, dove Percy muore tragicamente in barca a largo di Lerici. Lo bruciano sulla spiaggia di Viareggio, in puro stile romantico, lei torna in patria giurando che curerà le edizioni delle opere del marito e porterà il suo nome fino alla fine dei suoi giorni.
Lui è uno degli esponenti di spicco fra i Lake Poets, insieme a Wordsworth, Keats, Coleridge. Scrive “Ode to a Skylark” e la tragedia “the Cenci”, ma quella che lascia un graffio, una zampata, un’orma nell’argilla dell’immaginario collettivo e nella storia del fantastico è lei, Mary.
La sorellastra di Mary, Claire Clairmont, diventa l’amante di Lord Byron, il quale comincia a bazzicare la casa degli Shelley, villa Diodati sul lago di Ginevra, insieme ad un altro amico, John Polidori. Piove, le serate sono tediose e fredde, la compagnia passa il tempo leggendo novelle tedesche di fantasmi. Viene lanciata l’’idea di una gara a chi scrive la storia gotica più spaventosa ed intrigante. Nascono così “Il Vampiro” di Polidori, ispirato alla figura di Byron e primo esempio di succhia sangue raffinato e malinconico, e “Frankenstein” di Mary Shelley.
Sul principio lei non ha idee, ogni mattina si alza e dice che non le è venuto in mente nessun soggetto da cui trarre una trama interessante, mentre tutti gli altri già scrivono. Sente però gli uomini che discutono di principio della vita, di darwinismo, di galvanismo. Poi, una notte, ha un incubo, vede un essere terrificante, assemblato da uno studente che gli sta inginocchiato accanto. Si sveglia sconvolta, capisce che, se riuscirà a trasfondere sulla carta lo stesso spavento che ha provato nel sogno, creerà qualcosa di potente.
Ed è così, infatti. A soli diciannove anni, nel 1817, Mary dà vita ad una creatura che resterà nel mito collettivo: il mostro senza nome plasmato dallo scienziato Victor Frankenstein. Il romanzo esce in forma epistolare e anonima e solo in un secondo tempo si scoprirà che l’autore non è Percy Bysshe Shelley ma la sua giovane moglie. Sarà un successo, al pari del più tardo “Dracula” di Bram Stoker (1897).
Il personaggio di Victor s’ispira a Percy Bysshe, ha, come lui, amore per la scienza, passione e anima spirituale. L’orgoglio lo spinge ad atteggiarsi a creatore, a voler superare la natura dando origine ad un essere più forte, più sano, più intelligente e longevo del normale. Accadrà l’opposto: dai pezzi di cadavere cuciti insieme e rianimati tramite la corrente elettrica (che allora doveva apparire come qualcosa di fantascientifico e magico insieme) esce una creatura orribile, dall’aspetto spaventoso e dai modi animaleschi, incapace di trattenere gli impulsi omicidi. Ossessionato dalla sete di conoscenza, Victor si è spinto oltre il lecito e la natura si è ribellata, l’uomo non può competere con Dio, non può infrangere le leggi dell’ universo, pena la morte, la distruzione.
A unire ancora una volta Mary e suo marito è il sottotitolo del romanzo, “The Modern Prometheus”. Nel 1820 Percy scriverà, infatti, “Il Prometheus Unbound”. È interessante vedere come entrambi i coniugi si siano ispirati alla stessa figura ma usando aspetti diversi del mito. In Mary, Prometeo non si limita a rubare il fuoco per donarlo all’umanità ma lo usa per plasmare l’argilla e modellare l’uomo stesso. In entrambi i casi Prometeo è un simbolo di ribellione, di rivolta contro la volontà divina con tutte le conseguenze che ne derivano.
L’atmosfera del romanzo risente del romanticismo dei versi di Coleridge, in particolare “The Ballad of the Ancient Mariner”. Nella cornice fantastica del gotico si concretano angosce metafisiche e anticipazioni scientifiche distopiche, come quelle in seguito sviluppate da Wells nei suoi romanzi. (“The Time Machine” è del 1895)
Di là dalle implicazioni etiche, tuttavia, il testo ci colpisce per il profondo romanticismo della figura del mostro, che tutti tendiamo a chiamare Frankenstein, scambiandolo per il suo artefice.
Il mostro ha un’evoluzione: osserva gli esseri umani, impara da loro a parlare, legge Milton e il diario di Victor Frankenstein. Apprende la lingua, i sentimenti, le aspirazioni degli uomini, desidera frequentarli, conoscerli, aiutarli, farsi benvolere. Ma il suo aspetto lo condanna: tutti lo rifiutano, tutti fuggono atterriti davanti a lui, i suoi gesti gentili sono scambiati per aggressioni. Il dolore lo schiaccia, fa esplodere la rabbia ed egli ricomincia a uccidere, diventa completamente ciò che tutti credono sia. Solo e dannato vaga per il mondo, “Everywhere I see bliss, from which I alone am irrevocably excluded.”
La figura ha una grande valenza romantica, avvolta com’è nella sua immensa solitudine, ispira orrore e compassione insieme, perché capiamo che la sua cattiveria deriva dal dolore e dai rifiuti subiti. Chiede, infatti, al suo creatore di fargli una sposa, una femmina della sua razza. Victor Frankenstein si mette all’opera, ma poi ci ripensa, non volendo produrre una genia di obbrobri. Quando il mostro lo scopre, il dispiacere lo sopraffa e per vendicarsi gli uccide l’amata moglie Elisabeth.
Proprio leggendo il diario del dottor Frankenstein, l’infelice essere scoprirà quanto il suo creatore sia deluso di lui, quanto lo disprezzi e lo abbia voluto diverso. Come un figlio non amato dal padre, si sente ferito, solo e disperato.
Ci sarà poi lo scontro finale, con la creatura che ucciderà il creatore (come nelle ultime scene di “Excalibur”, il film di John Boorman, dove Re Artù e il figlio Mordred - nato dall’incesto con Morgana - si ammazzano a vicenda.) È l’eterno mito del Doppelgänger, l’alter ego maligno che incarna ed esterna tutto ciò che di oscuro e cattivo si cela nella nostra anima, è Mr Hyde per dr Jekyll, è Gollum per Frodo, è Voldemort per Harry Potter.
Ma quanto dolore, quanto rimpianto nella creatura che distrugge il suo creatore. Ci viene in mente il primo “Star Trek” (di Robert Wise, 1979) dove l'antica sonda Voyager 6, partita centinaia di anni prima dalla Terra, cerca disperatamente di riunirsi all’umanità che l’ha costruita.
Lo stesso desiderio di unità, di riappacificazione con il padre/creatore, e, insieme, di cupio dissolvi, si ha nel romanzo della Shelley.
“He is dead who called me into being; and when I shall be no more, the very remembrance of us both will speedily vanish. I shall no longer see the sun or stars, or feel the winds play on my cheecks. Light, feeling, and sense will pass away; and in this condition must I find my happiness.”
Da non dimenticare, il bel film che, nel 1994, Kenneth Branagh ha tratto dal romanzo, se possibile addirittura migliorandone e portandone a compimento la trama. Il mostro miserevole vi è interpretato da Robert de Niro, Elisabeth Lavenza è Helena Bonhan Carter e Victor Frankenstein lo stesso Branagh. Si ricorda, infine, anche la riuscitissima parodia girata da Mel Brooks: “Frankenstein Junior”.
There is a love story between a British poet and writer: Percy Bysshe Shelley (1792 - 1822) and Mary Shelley (1797 - 1851)
Mary is the daughter of the feminist Mary Wollstonecraft, grown according to the libertarian principles of maternal ideology, Percy is married to Harriet, from whom he has children who will then be stolen from him. When they meet, Mary is seventeen, they fall in love, they run away together and manage to get married only after his sudden widowhood. They bring many children into the world of which only a few survive their parents. They find refuge to their wanderings in Italy, where Percy tragically dies on a boat off Lerici. They burn him on the beach of Viareggio, in pure romantic style, she returns home by swearing that she will take care of the editions of her husband's works and will bear her name until the end of her days.
He is one of the leading exponents of the Lake Poets, along with Wordsworth, Keats, Coleridge. He writes "Ode to a Skylark" and the tragedy "the Cenci", but the one that leaves a scratch, a paw, a footprint in the clay of the collective imagination and in the history of the fantastic is her, Mary.
Mary's half-sister, Claire Clairmont, becomes the lover of Lord Byron, who begins to hang out at the Shelley house, Diodati villa on Lake Geneva, together with another friend, John Polidori. It's raining, the evenings are tedious and cold, the company spends time reading German ghost stories. The idea of a competition is launched for those who write the most frightening and intriguing Gothic story. Thus were born Polidori's "The Vampire", inspired by the figure of Byron and the first example of a refined and melancholy blood sucker, and "Frankenstein" by Mary Shelley.
At the beginning she has no ideas, every morning she gets up and says that no subject has come to mind from which to draw an interesting plot, while everyone else is already writing. But she hears men discussing the principle of life, Darwinism, galvanism. Then, one night, she has a nightmare, she sees a terrifying being, assembled by a student who is kneeling beside him. She wakes up shocked, realizes that if she manages to spread the same fright she felt in the dream on paper, she will create something powerful.
And so it is. At only nineteen years old, in 1817, Mary gives life to a creature that will remain in the collective myth: the nameless monster shaped by the scientist Victor Frankenstein. The novel comes out in epistolary and anonymous form and only later it will be discovered that the author is not Percy Bysshe Shelley but his young wife. It will be a success, like Bram Stoker's later "Dracula" (1897).
Victor's character is inspired by Percy Bysshe, he has, like him, love for science, passion and spiritual soul. Pride pushes him to act as a creator, to want to go beyond nature giving rise to a stronger, healthier, more intelligent and long-lived being than normal. The opposite will happen: from the pieces of corpses sewn together and revived by electric current (which then had to appear as something sci-fi and magical together) comes a horrible creature, with a scary look and animalistic ways, unable to hold back the murderous impulses. Obsessed with the thirst for knowledge, Victor goes beyond the law and nature rebels, man cannot compete with God, he cannot break the laws of the universe, under penalty of death, destruction.
To unite once again Mary and her husband is the subtitle of the novel, "The Modern Prometheus". In 1820 Percy wrote, in fact, "The Prometheus Unbound". It is interesting to see how both spouses were inspired by the same figure but using different aspects of the myth. In Mary, Prometheus does not just steal the fire to give it to humanity but uses it to shape the clay and shape the man himself. In both cases Prometheus is a symbol of rebellion, of revolt against the divine will with all the consequences that derive from it.
The atmosphere of the novel is influenced by the romanticism of Coleridge's lines, in particular "The Ballad of the Ancient Mariner". In the fantastic frame of the Gothic, metaphysical anxieties and dystopian scientific advances materialize, such as those later developed by Wells in his novels. ("The Time Machine" is from 1895)
Beyond the ethical implications, however, the text strikes us for the profound romanticism of the figure of the monster, which we all tend to call Frankenstein, mistaking it for its author.
The monster has an evolution: he observes humans, learns from them to speak, reads Milton and the diary of Victor Frankenstein. He learns the language, the feelings, the aspirations of men, he wants to be in conctact with them, get to know them, help them, be liked. But his appearance condemns him: everyone refuses him, everyone runs away terrified in front of him, his gentle gestures are mistaken for aggression.
Pain crushes him, detonates anger and he begins to kill again, it completely becomes what everyone believes it is. Alone and damned wanders the world, "Everywhere I see bliss, from which I alone am irrevocably excluded."
The figure has a great romantic value, wrapped as it is in its immense solitude, it inspires horror and compassion together, because we understand that its wickedness derives from the pain and the waste suffered. In fact, he asks his creator to make him a bride, a female of his race. Victor Frankenstein gets to work, but then he thinks about it again, not wanting to produce a genius of shadowy men. When the monster discovers it, sorrow overwhelms him and in revenge kills his beloved wife Elisabeth.
Just by reading Dr. Frankenstein's diary, the unhappy being will discover how disappointed his creator is with him, how much he despises him and wanted him different. Like a son not loved by his father, he feels hurt, lonely and desperate.
Then there will be the final confrontation, with the creature that will kill the creator (as in the last scenes of "Excalibur", the film by John Boorman, where King Arthur and his son Mordred - born from the incest with Morgana - kill each other. ) It is the eternal myth of the Doppelgänger, the evil alter ego that embodies and external all that dark and evil is hidden in our soul, it is Mr Hyde for dr Jekyll, it is Gollum for Frodo, it is Voldemort for Harry Potter.
But how much pain, how much regret in the creature that destroys its creator. We are reminded of the first "Star Trek" (by Robert Wise, 1979) where the ancient Voyager 6 spacecraft, which left hundreds of years earlier from Earth, desperately tries to reunite with the humanity that built it.
The same desire for unity, for reconciliation with the father / creator, and, at the same time, for cupio dissolve, occurs in Shelley's novel.
"He is dead who called me into being; and when I shall be no more, the very remembrance of us both will speedily vanish. I shall no longer see the sun or stars, or feel the winds play on my cheecks. Light, feeling, and sense will pass away; and in this condition must I find my happiness. "
Not to forget, the beautiful film that, in 1994, Kenneth Branagh took from the novel, if possible even improving and completing the plot. The miserable monster is played by Robert de Niro, Elisabeth Lavenza is Helena Bonhan Carter and Victor Frankenstein himself Branagh. Finally, we also remember the very successful parody filmed by Mel Brooks: "Frankenstein Junior".
Viaggio senza fine. Racconto di Adriana Pedicini
“E che cazzo!” un urlo uscì di botto dalla chiostra sconnessa dei denti anneriti dalle troppe sigarette. Un prurito enorme lo aveva costretto ad affondare le unghie indurite nella carne fino a farla sanguinare. Nel dormiveglia ancora non capiva se apparteneva al suo corpo tutto questo prurito o a quello che ormai restava del suo sarcofago. Prese una ciabatta nel vano tentativo di schiacciare qualche cimice o altro lurido insetto in agguato.
Si girò e rigirò nella brandina ed ebbe schifo del suo compagno di cella che aveva il gusto orrendo di pisciare sulle pareti tracciando chissà quali improbabili disegni. Gli disse di smettere e che usasse la latrina. Ne ebbe in risposta un calcio in bocca che gli mandò giù un incisivo già traballante nella sua sede.
Rimpianse per un attimo, come riscosso alla coscienza per una improvvisa luce, i tempi in cui ogni sera raccattava per strada cartoni abbandonati per farne il giaciglio personale da quando aveva preso a vivere in strada, lasciando la casa in cui - lo aveva capito - non c’era più disponibile per lui neppure un centimetro quadrato che non fosse occupato da lei.
Sparse a terra guepiere bordate di trine, boccette di profumo rovesciate, scarpe di ogni tipo e colore. Puzzava di marcio questa eccessiva cura di sé, questa voluttà di apparire la tigre aggressiva dal cuore tenero e compiacente. Anche perché non era lui il destinatario di tali soavità. Il colmo fu quando trovò sul suo comodino, - non capì mai se volutamente lasciata o frutto di sbadataggine - la foto di un lui in una piccola bustina di plastica con su scritto Dott. Avv. A. Z.
Una colata di emozioni rabbiose scese dentro di lui da capo a piedi per poi lasciarlo in uno stato di prostrazione indicibile. Si sentì affiorare sulla pelle il tante volte provocatoriamente sbandierato orgoglio maschile. Ne ebbe paura lui stesso, temette un gesto insano che gli potesse recare giustizia immediata, diede una testata al muro, corse in bagno mettendo la testa sotto lo scroscio gelido del rubinetto. Si guardò pietosamente allo specchio, gli passarono davanti agli occhi le immagini tutte della sua vita fino a quel momento. Trattenne con grande sforzo la voglia di urlare e di spaccare tutto, la tensione nervosa gli provocò un collasso.
La testa ancora gli girava, era pesante; riuscì tuttavia a raccogliere dentro una ragionevole decisione le sue energie residue. Senza prendere nulla, anzi lasciando persino i suoi effetti personali, si chiuse alle spalle la porta di casa avendo deciso una volta per tutte di troncare i ponti col passato. Vagava ormai senza meta come spinto da una strana forza, da una volontà ossessiva di andare via, di andare oltre, lontano. Solo un viaggio continuo e incessante l’avrebbe potuto condurre lontano da sé, dalla sua sofferenza interiore, dal suo smacco come uomo e come marito.
Quel giorno aveva preso l’ultimo treno, come ormai faceva da anni, pagando il biglietto con i pochi spiccioli raccattati all’angolo poco distante grazie all’elemosina di frettolosi e distratti passanti
Si era trovato catapultato in una grande piazza, dove un via vai di gente di diverse razze, dalle facce ebeti più della sua - pensava - non faceva altro che andare avanti e dietro come automi impazziti. Tutto quel brulicare, quel vocìo, quelle risate scomposte, quel fervore di vita gli dava ai nervi come quell’insegna di Illy-caffè che sinistramente svettava sul palazzo più alto della piazza. Non voleva vedere nessuno, voleva stare solo. Pensò di andarsi a seppellire nel sottopassaggio. Peggio. Il puzzo dell’urina che i cani leccavano come acqua pura e i resti di cibo sminuzzato che donne, uomini e bambini raccoglievano nel fondo di luride ciotole gli diedero il voltastomaco e stette ad un punto dal vomitare. Più in là corpi deturpati da antiche malattie e volti stravolti da alcol e droghe di pessima qualità creavano come una via Crucis di dannati destinati a condividere la sofferenza del Golgota tra l’indifferenza della gente comune. Molti di essi non avrebbero visto l’alba schiarire il cielo del giorno successivo.
Il vento sibilava incuneandosi nel tunnel come in una corsia preferenziale diradando almeno in parte la cappa di effluvi maleodoranti. Decise di tornare su, almeno avrebbe respirato meglio; a notte fonda sarebbero rimasti a girovagare solo i soliti bastardi in cerca di avventure o accomunati dalla voglia di fare qualche rapina - bel colpo - senza correre rischi.
Non si sarebbero curati certo di lui poveraccio senza neppure una lira.
Aveva fatto male i conti.
Seduto e poi sdraiato su una panchina ai bordi della piazza, poco a poco si era abbandonato al sonno più per la stanchezza che per il piacere di una buona dormita All’improvviso si sentì prima strattonare e poi tirare per i piedi fino al punto che di scatto si ridestò. Capì di aver occupato un posto fisso, già ricovero notturno di un giovane sbandato che dopo aver praticato i suoi riti serali andava lì a far decantare il suo sangue di tutte le tossiche sostanze, sdraiato semimorto senza un cencio che gli coprisse il corpo. E dire che l’aveva notato avanzare col passo traballante e soprattutto lentissimo, fermarsi di tanto in tanto come per dondolarsi su se stesso. Non aveva calcolato il tempo, non sapeva che, trascorsi i minuti necessari a ricoprire il breve tratto, i passi avrebbero condotto lì il giovane, proprio a quella panchina.
Trascorse il resto della notte alla meno peggio sdraiato alla stazione ferroviaria su una panchina di granito, troppo fredda e dura per un sonno ristoratore. Dormì agitando braccia e gambe in quell’improvvisato letto. Non era abituato a quelle anguste superfici. Si ritrovò a terra, la testa dolente e un sopracciglio spaccato. Ebbe un sussulto. Era stordito, non ricordava più dov’era.
Vide davanti a sé un’ombra, un’immagine strana. Non vedeva bene, forse a causa del sangue gocciolato nell’occhio. Si risedette, si rialzò mille volte. Era sconvolto, non capiva. Gli giravano gli occhi, la testa, i vagoni e i palazzi. Tutto gli sembrava mostruoso e nemico.
Soprattutto lo innervosiva il fatto che le braccia, per quanti pugni dessero all’ombra, sempre ricadevano inerti, senza riuscire a scacciarla. - Ho bisogno di muovermi” - pensò- “Devo andarmene di qui, non posso rimanere neppure un minuto, non posso darla vinta a questo diavolo che m’insegue”.
Per poco non si fracassò la caviglia salendo d’un balzo sul treno che si era appena avviato, un attimo prima che le porte a soffietto si sbarrassero ritraendo l’ultimo gradino.
Sedette in un angolo dello scompartimento quasi vuoto. Grondava sudore e dolore.
Il cuore era ancora pieno di amore e di donna, la sua. La mente no.
“Cazzo, perché sono su questo treno? Dove va, dove vado adesso?”
Si guardò intorno; nessuno, neppure un’anima viva. Per un attimo. Di lì a poco una straniera, di pelle olivastra, dalla gonna sgargiante, coi seni costretti in una blusa troppo attillata si sedette alle sue spalle.
- Chi sarà questa baldracca - pensò. - Quasi quasi me la spasserò stasera con lei; non farà mica storie. Con quella faccia di merda avrà fatto scuola a chissà quanti giovani e deliziato chissà quanti vecchi rimbambiti -. - Avrò tra le mani almeno un po’ di quello che era mio e me l’hanno scippato -.
Si alzò percorrendo guardingo il breve spazio che separava le due poltrone del vagone, si sedette proteso a intessere un qualche dialogo.
Appena le fu accanto la pur non troppo linda signora si ritrasse al puzzo che l’uomo ormai emanava. Non toccava acqua da parecchio.
Il fiato fetido rantolando su dai bronchi costipati dal catrame veniva fuori con zaffate nauseabonde.
Con un ghigno malefico la donna gli ordinò di non starle addosso, di andarsi a sedere a un altro posto.
La mente andò in corto circuito. Si vide di nuovo accerchiato dal fantasma traditore, da un’ombra scura che in forma di corvo lo accompagnava svolazzando fuori dal finestrino battendo il becco contro il vetro lurido.
Non tollerò questo ennesimo affronto. Non distinguendo più tra il nero corvino dei capelli di sua moglie e il rossiccio impastato di striature bianche della sconosciuta, né ricordando più l’aspetto dell’una e dell’altra, protese il braccio sinistro e facendo una torsione del corpo la strinse alla gola fino a farle uscire gli occhi fuori dalle orbite.
Le sputò sul viso e si dannò nel tentativo di aprire le portiere del treno in corsa. All’arrivo del controllore e della polizia di bordo non seppe pronunciare una sola parola ma solo emise grugniti di rabbia e uno strano riso disperato. Non oppose resistenza, si fece stringere le manette ai polsi. Finì in carcere. Si sentiva un vincitore, aveva ormai sconfitto per sempre l’ombra che gli toglieva l’aria, la bestia rivale nera e oscura come la notte che di tanto in tanto gli faceva visita. Eppure mai come in quel momento il cielo attraverso la grata del lucernario gli sembrò piccolo e lontano. Il viaggio lontano da sé era stato troppo breve oppure aveva sbagliato la meta. O forse il modo.
"Mario Bonanno, una vita per la musica" di Gordiano Lupi
Conosco Mario Bonanno, musicologo catanese del 1964, grazie alla Casa Editrice Bastogi di Foggia, per la quale diversi anni fa ho pubblicato Un’isola a passo di son - Viaggio nel mondo della musica cubana. A quel tempo Bonanno dirigeva la rivista Musica & Parole, un prezioso strumento per musicofili che scandagliava con numeri monografici la canzone d’autore italiana. Mi propose di collaborare con lui ma alla fine non ne facemmo di niente. Bonanno è un purista, non è interessato a divagazioni caraibiche, il suo programma riguarda solo la musica italiana di qualità. Ricordo ancora quei volumetti agili che raccontavano l’opera di Paolo Conte, Roberto Vecchioni, Fabrizio De André, piccoli gioielli per collezionisti, strumenti di lavoro indispensabili. La rivista ha chiuso i battenti, come la maggior parte delle pubblicazioni cartacee di argomento letterario - musicale, soppiantata dal web che fagocita tutto con la sua onnipresenza e gratuità. Bonanno, invece, continua il suo lavoro di ricercatore musicale, collaborando con piccoli e medi editori, sensibili alle istanze culturali. Stampa Alternativa è uno di questi, Marcello Baraghini è da sempre alfiere della cultura popolare, scopritore di talenti e divulgatore di notizie su grandi musicisti dimenticati (Claudio Lolli, Sergio Endrigo…). Bonanno ha pubblicato tre gioielli per Stampa Alternativa: Che mi dici di Stefano Rosso? Fenomenologia di un cantautore rimosso (2011), Rosso è il colore dell’amore - Intorno alle canzoni di Pierangelo Bertoli (2012) e Io se fossi Dio - L’apocalisse secondo Gaber (2013). Rosso e Bertoli sono due cantanti importanti della musica leggera italiana, due veri e proprio intellettuali rimossi, dei quali non si parlava da tempo, mentre - in periodi culturalmente poveri come quelli che stiamo vivendo - si sentiva la necessità di una loro riscoperta. I due libri contengono allegati preziosi: un CD con un concerto semi inedito di Stefano Rosso e un DVD con intervista - concerto di Pierangelo Bertoli. Il lettore - ascoltatore avrà modi di apprezzare le note irridenti de Lo spinello ma anche lo struggente impegno politico di Rosso colore. Non solo. Conoscerà in maniera approfondita le motivazioni dell’opera culturale di due cantautori impegnati, ma non soporiferi e non necessariamente tristi e pesanti. Io se fossi Dio, invece, è un libro monografico sulla canzone più discussa scritta da Giorgio Gaber e Sandro Luporini, riproposta nelle due versioni (1980 e 1991), tra interviste, esegesi, storia e un pizzico di gossip.
Mario Bonanno è uno di quei personaggi che fanno bene alla cultura italiana, la vera cultura popolare, che non si vergogna di parlare di cinema di genere e musica leggera. Tra i suoi libri migliori ricordiamo: Paolo Conte. Sotto le stelle del jazz (2000), Angelo Branduardi. Futuro antico (2002), Francesco De Gregori. Cercando un altro Egitto (2003), Ivan Graziani. Il chitarrista (2005), Anni affollati. Italia e i cantautori. 1973-1983, Storia di dischi andati (2009), Roberto Vecchioni. Samarcanda (2010). Cercateli. Ne vale la pena.
Gordiano Lupi
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Gordiano Lupi, "Yoani Sànchez in attesa della primavera"
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Yoani Sànchez
in attesa della primavera
Gordiano Lupi
Edizioni Anordest
pp 225
12, 90
Per chi è abituato a vivere in un paese libero senza nemmeno rendersene conto, leggere “In attesa della primavera”, il libro che Gordiano Lupi dedica alla blogger cubana Yoani Sànchez, è come prendere un pugno nello stomaco, un pugno che non si ritira dopo l’affondo, ma rimane conficcato a darti un sapore di fiele e di bile in bocca. Ma andiamo con ordine.
Gordiano Lupi è il traduttore ufficiale di Yoani Sànchez, da anni ne segue il blog e cura i rapporti con la dissidente attraverso contatti continui. Yoani è una filologa cubana, che, dopo un passato da piccola castrista qualsiasi, comincia a porsi delle domande. È giovane, inquieta, intelligente. Cresce in lei il dubbio, il contrasto, “l’eresia”. Perché è così che il regime castrista di Fidel prima, e di suo fratello Raùl poi, interpretano il desiderio di libertà di Yoani.
Yoani è costretta a subire le violenze di un regime affamante e liberticida, di un’autorità cieca e brutale, e soffre per Cuba, l’isola amata, la patria ferita, dove il dengue è endemico, dove le tessere del razionamento alimentare non concedono abbastanza calorie per la sussistenza eppure, una volta abolite, vengono rimpiante. Yoani studia in una “scuola di campagna”, sorta di lager dove subisce soprusi, fame e pidocchi, s’immerge nelle lettere per evadere da un presente che non le piace, sogna di viaggiare. Sarà proprio questo, il desiderio frustrato di viaggiare, ancor più dei due arresti subiti, a costituire la vera privazione di libertà, la più penosa. Per chi sa cosa si prova salendo su un aereo con l’emozione nel cuore, questa specie di arresti insulari sono un tormento.
“Sogno di poter vivere in un’isola dove non si debba più chiedere il permesso per entrare e uscire. Mi illudo che in un prossimo futuro vivrò in un paese normale, che non impedirà un viaggio all’estero per motivi politici. Per il momento posso solo usare Twitter – la mia unica arma – e gridare forte: Internet e libertà di movimento per i cubani!”(pag 79)
Yoani non capisce perché nella sua nazione “tutto è proibito”: non si può espatriare, non si possono leggere certi libri o assistere a certi spettacoli, non si può esprimere liberamente la propria opinione, non si può accedere ad internet, per molto tempo, addirittura, non si può nemmeno possedere un computer. Il disgusto la soffoca, l’angoscia la opprime. Vede morire uno dopo l’altro tutti i dissidenti che entrano in sciopero della fame e non ne escono vivi. La scelta è spegnersi asfissiata dai divieti oppure ribellarsi. Allora entra in un albergo con connessione internet e, clandestinamente, scrive il primo post di Generaciòn Y, il blog che - pur oscurato dalle autorità dal 2008 al 2011 – la renderà famosa in tutto il mondo, farà di lei una delle persone più influenti del pianeta, candidata al Nobel per la pace nel 2012, capace di interloquire persino con Barack Obama e per questo accusata d’imperialismo dai filo castristi.
Il blog, tradotto per La Stampa da Gordiano Lupi, è attivo da cinque anni e, in questo tempo, la fragile cubana - magrissima, di una bellezza spirituale e quieta - si trasforma in attivista temeraria, sempre più consapevole di sé, sempre più simbolo, faro e luce per tutti i cubani e tutti i dissidenti nel mondo, al pari di Aung San Suu Kyi - ma anche sempre più spaventata, fra oscuramenti, diffamazioni, arresti, minacce e percosse.
Impaurita soprattutto perché madre di un ragazzo nei cui occhi legge il medesimo anelito di libertà, le stesse domande senza risposta di quando lei era piccola. Ama in suo figlio l’indipendenza di spirito e, insieme, la teme. Ha la nausea ogni volta che, fin da bambino, lo sa costretto a compromessi, a tacere per convenienza a quieto vivere, per “non mettersi nei guai”. Non vuole per lui il destino che è toccato a lei, vuole che Teo cresca in una Cuba emancipata, democratica, dove chiunque possa manifestare dissenso, dove le elezioni non siano una farsa, dove la cultura e le conoscenze circolino senza impedimenti, dove sia concesso fare una valigia e partire alla scoperta del mondo, dove non si debba lavorare la vigilia di Natale, dove ognuno sia libero di pregare il suo Dio e decidere se accettare o rifiutare il modello occidentale. Invece Yoani, suo marito Rinaldo e il figlio Teo, vivono in un paese dove non esistono prigionieri politici ma solo “delinquenti comuni”: undici milioni di delinquenti comuni, solo perché teste pensanti.
“Non conosco a fondo la libertà”, ci dice - e quanto è struggente questo non comprendere nemmeno ciò che ci manca, nemmeno l’oggetto del desiderio - “ma per me è come una meta, un obiettivo da perseguire. Penso che libertà voglia dire vivere in un paese dove sia possibile fermarsi in un angolo e gridare: Qui non c’è libertà! La libertà è uno spazio dove è possibile ottenere ancor più libertà. La libertà comincia dentro noi stessi, il giorno in cui ti alzi e dici: Non voglio andare avanti così. Non voglio più indossare una maschera. Non voglio permettere che mi rubino ancora spazi di opinione, di libero movimento.” (pag 128)
Yoani sa che la sua vita è appesa a un filo, sa che, se un giornalista può essere licenziato, ghettizzato, messo a tacere, è più difficile fermare un blogger perché la rete ha le sue vie virali e capillari di espansione. Yoani sa che per fermare un blogger bisogna ucciderlo. La sua garanzia è la visibilità, il numero dei lettori, il numero dei followers, il numero dei premi ricevuti. Ecco perché per chi la segue e la traduce è diventata quasi un’ossessione. Parlare di lei al mondo significa, non solo diffondere le sue idee e il suo sogno di libertà e democrazia, ma anche tenerla in vita, salvarla dalla prigione, dalla macchina del fango, dall’eliminazione fisica.
Nel suo blog antigovernativo Yoani dice cose terribili e dure ma le dice con pacatezza, con gentilezza, senza eccessi, sempre guardando anche l’altro lato della medaglia, sempre cercando conferma delle voci, dei sospetti. E, quando i filo castristi la ingiuriano in un aeroporto - il giorno che finalmente le è concesso espatriare - è felice perché capisce di trovarsi in un posto dove c’è libertà di espressione.
Vale per i suoi post quello che lei stessa afferma di Aung San Suu Kyi:
“Nessuno come lei ha potuto descrivere l’orrore con dolcezza, senza che il grido s’impadronisse del suo stile e il rancore le salisse agli occhi.” (pag 85)
I suoi messaggi sono scritti con uno stile letterario, non parlano solo di politica e società, ma anche di vita quotidiana. La immaginiamo pallida e assorta, fra panni stesi e faccende rimandate, rispondere a mail e telefonate, con, nella stanza accanto, un figlio, dissidente sì, ma pure affamato e in attesa del pranzo. Riviviamo la sua infanzia, poi la pubertà nella scuola di campagna, le malattie contratte fra fame e sporcizia, la congiuntivite, il bisogno di farsi uno shampoo, i capelli rasati a zero per paura dei parassiti, gli anni dell’università, le lotte al fianco delle Damas de Blanco, le proteste in piazza, le notti in prigione (di cui, per pudore, racconta poco, solo l’umiliazione delle perquisizioni “sotto le gonne”) ma anche il desiderio - lei atea – di vedere un presepe, di festeggiare il Natale, di fare una valigia anche solo per lasciarla in un angolo, inutilizzata.
Tutto questo ci fa male dentro, ci ferisce. Leggere Generaciòn Y appassiona e addolora insieme.
Gordiano Lupi rende bene lo stile incisivo della Sànchez, più da scrittrice che da semplice blogger, ed è bravo a riassumere i cinque anni di vita di Generaciòn Y, rendendoli avvincenti come un romanzo, pur se procedendo a scatti, a balzi avanti e indietro nel tempo, com’è nello stile dello scrittore, traduttore ed editore piombinese.
Per questo ora siamo tutti qui con lei, con Yoani, ad attendere una primavera che forse tarderà, che sarà pure costellata di sofferenze, di disagi e contrasti, ma, siamo certi, prima o poi giungerà anche per Cuba.
“La democrazia arriverà ventiquattro ore dopo che tutti noi cubani l’avremo pretesa come un nostro preciso diritto”. (pag 119)
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Yoani Sànchez in attesa della primavera di Gordiano Lupi Edizioni Anordest, 2013 Per chi è abituato a vivere in un paese libero senza nemmeno rendersene conto, leggere "I n attesa della primavera "
http://www.criticaletteraria.org/2013/06/gordiano-lupi-yoani-sanchez-in-attesa.html
Marcello Signore, "Padre a tempo indeterminato", recensione di Gordiano Lupi
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Marcello Signore
Padre a tempo indeterminato
Edizioni Anordest – Pag. 192 – Euro 12,90
La casa editrice lancia il libro con uno strillo intrigante: “il primo libro in Europa con colonna sonora integrata”. Spiega l’ufficio stampa: “Per la prima volta un libro completo di colonna sonora:
grazie a PLAY.ME, leggendo il romanzo, sarà possibile ascoltare in streaming su smartphone una playlist di canzoni scelte dall’autore”. Lascio al pubblico questo privilegio, ché io non possiedo smartphone - e non ho nessuna intenzione di comprarlo! - ho capito da poco (forse grazie a Grillo, ecco a cosa è servito il Movimento Cinque Stelle!) cosa significa streaming, mentre playlist è l’unico vocabolo che - obtorto collo - è entrato a far parte del mio linguaggio. Mi scuso per il latino. So che non va più di moda. Vediamo la trama del romanzo.
Michael è un giovane di successo, arrogante, saccente, misogino e sociopatico. Dopo un anno passato a Los Angeles, torna a lavorare a Milano in una famosa agenzia di comunicazione. Ha un unico obiettivo: rendere l’ufficio un inferno e le sue colleghe miserabili, documentando ogni nuovo sadico stratagemma sul suo diario di bordo. Il destino decide di dargli un calcio nel sedere e Michael scopre di aver lasciato a Los Angeles qualcosa in più di un semplice souvenir: una figlia che non sapeva di avere e di cui adesso deve prendersi cura. Con una tazza di caffè americano
in una mano e un biberon nell’altra, quest’uomo dal sarcasmo scorretto si prepara al lavoro più difficile della sua carriera: diventare padre a tempo indeterminato. Il romanzo racconta con ironia la storia di un cambiamento inaspettato: da bastardo part-time a padre a tempo indeterminato. Al romanzo è abbinato un book-trailer (poteva mancare in un prodotto così tecnologico?), in collaborazione con Nokia, L’Uomo Elite Milano e MSGM, Andrea Olivo e Fabrizio Martinelli hanno realizzato un filmato interamente girato con il nuovo Nokia Lumia 920. Il video sarà disponibile dal 4 luglio e vede come protagonista il modello di Elite, Mario Scalia, nei panni di Michael.
Due parole sull’autore. Ne sentiremo parlare, credo. Marcello Signore, 24 anni, è nato a Napoli. Dopo un’esperienza negli Stati Uniti vive a Milano, dove si occupa di social media. Grazie al successo web della serie Pausa Pranzo, nel 2011 approda in tv, su La3, dove conduce Mi chiamo NERD, una nuova trasmissione interattiva scritta e pensata da lui per i giovani. Nel 2012 diventa blogger di Huffington Post Italia. Non solo. Si tratta di uno dei nuovi volti di Occupy Deejay su DeejayTV. Con oltre 10.000 followers fra Facebook, Twitter e YouTube, Marcello è un “social writer”, i suoi post e i suoi racconti vengono seguiti ogni giorno da centinaia di utenti e sono fra i più commentati del web. Dopo il successo di alcune storie brevi pubblicate su Facebook e sul suo blog, questo è il suo primo romanzo. Il libro sarà presentato il 4 luglio, presso la Libreria Hoepli di Milano (Via Ulrico Hoepli, 5) alle ore 18, con un evento in partnership con Nokia su “Lo scrittore al tempo dei social media”. Insieme all’autore interverranno Alessandro Rimassa (direttore del Centro Ricerche dello IED), Giuliano Federico (direttore di Swide.com), Silvia Vianello (conduttrice di Smart&App su La3) e Alessandro Cusmano (brand manager di Nokia Italia). Il dibattito sarà moderato da Paolo Maria Noseda, interprete di Che tempo che fa e autore de La voce degli altri. La presentazione sarà trasmessa in streaming via Google Hangout sul canale di Marcello Signore <http://www.youtube.com/marcellosignore>.
Gordiano Lupi
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Collodi a Livorno
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È risaputo che i fiorentini benestanti amano farsi le vacanze a Livorno. Fra questi c'era anche Carlo Collodi (1826 - 1890), l'autore dell'indimenticato Pinocchio, che soleva "annoiarsi terribilmente" dalle nostre parti per tutto luglio e agosto.
Ricordiamo qui una sua opera meno conosciuta: "Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno". Pubblicato nel settembre del 1856 per l'editore Mariani, fu venduto ai viaggiatori come opuscolo informativo, nel primo anno di funzionamento della Ferrovia Leopolda che, appunto, collegava Firenze a Livorno.
Costruita negli anni 40 del XIX secolo, la ferrovia partì proprio da Livorno, con un binario unico, e suscitò le ire (e i tumulti) dei barcaioli dell'Arno che vedevano scemare il lavoro. Delle tre stazioni della ferrovia, la nostra - la dismessa stazione San Marco - è l'unica a non essere ancora stata oggetto di riqualificazione, nonostante numerose proposte.
Fra romanzo d'appendice ingarbugliato e autoironico, e manuale d'informazioni utili per i viaggiatori, il volumetto tascabile scritto dal Collodi, è una guida storico - umoristica che si colloca nella letteratura, allora all'avanguardia, dedicata ai viaggi su strade ferrate. Descrive, con brio tutto toscano, le peripezie dei pionieri del treno a vapore, fra tradizione contadina e nuovo che avanza, in uno stile di contaminazione letteraria sul modello di Sterne.
Le descrizioni che ci riguardano non sono propriamente lusinghiere, sia per quanto riguarda l'arte:
"In fatto di monumenti e di cose antiche, Livorno ha ben poco da presentare all'occhio dell'artista e dell'amatore. E ciò si capisce facilmente: imperocché nelle città consacrate quasi esclusivamente al commercio e all'industria, le belle Arti non vi respirano a modo loro e raramente vi ottengono la Carta di soggiorno!"
che le persone:
"La donna livornese, e particolarmente la donna del popolo ha, in generale, fattezze regolari, begli occhi, bei denti - e molti capelli. Il maschio non presenta nulla di singolare che lo distingua - seppure non si vogliano eccettuare i barcaioli e i saccaioli, nei quali l'esercizio quotidiano di una vita affaticata, sviluppa ordinariamente delle forme robuste e delle tendenze ercoline!"
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Patrizia Poli presenta: Carlo Collodi a Livorno
http://www.livornomagazine.it/Livorno-arte-cultura/SCRITTORI/carlo-collodi.htm
Anonimo, "Il caso editoriale dell'anno", recensione di Gordiano Lupi
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Anonimo
Il caso editoriale dell’anno
Edizioni Anordest – Pag. 206 – Euro 12,90
Il caso editoriale dell’anno si può leggere come un romanzo verità, ché il mondo editoriale italiano è un po’ come sparare sulla Croce Rossa, dove tiri cogli sempre bene, avrebbe detto Gaber. Ma sarebbe bene leggerlo anche come un romanzo tout-court, ché l’autore è dotato di ottima penna, per l’occasione intrisa di ironia e persino di sarcasmo. Il lettore divorerà le duecento pagine di un libro agile e rapido, ideale compagno d’una giornata estiva. Scrittori, editori, agenti letterari, fiumi di Champagne e vin rosé, festival della letteratura, inaugurazioni di librerie italiane all’estero, prestigiosi premi letterari, fiere del libro, rumors letterari, presentazioni di libri, ladri di diamanti, giganteschi e imbarazzanti Hummer argentati, e poi Forte dei Marmi, Torino, Roma, Cannes, New York, Parigi, Barcellona. Sono alcuni degli intriganti elementi che caratterizzano questo irresistibile romanzo.
Una sorta di commedia esistenziale nella quale viene presentato uno spaccato del mondo editoriale italiano (le sue piccolezze, i suoi trucchi di marketing…) e le disavventure di uno scrittore investito da un inaspettato successo editoriale. Come vendere più di un milione di copie del proprio romanzo, continuare a sentirsi inadeguati e stentare a trovare il proprio posto nel mondo. Una spietata critica dell’ambiente editoriale, ma anche un romanzo ferocemente divertente. Ed è, in ultima analisi, anche un gioco postmoderno sull’idea di sparizione (in questo caso dell’autore, l’Anonimo). Sulla scia del bestseller Studio illegale di Duchesne che faceva conoscere il mondo degli avvocati, questo libro svela i retroscena dell’ambito editoriale e di tutto ciò che alla gente comune lo fa sembrare un ambiente patinato e irraggiungibile. Con cinica ironia viene descritto il boom editoriale di un romanzetto di poco conto in cui nemmeno l’autore credeva,destinato a diventare un successo internazionale di critica e di vendite, fino a essere tradotto in tutto il mondo. Leggiamo un brano.
“Dopo l’ubriacatura di stampa tutta a mio favore, dalle pagine letterarie del Manifesto a Vanity Fair, passando per Repubblica e Anna, adesso c’è stato un repentino volta faccia e lo sport nazionale è diventato quello di parlare male del mio libro e in modo particolare di parlare male di me, e da quando hanno cominciato ad essermi tutti contro le copie vendute sono aumentate vertiginosamente di settimana in settimana: più parlano male del libro e più la gente corre a comprarlo e tutto questo ha un nome: sindrome di susannatamaroumbertoecobaricco”.
Al termine della lettura resta un interrogativo: chi sarà mai questo autore che ha deciso di svelare i retroscena del mondo editoriale italiano? Non lo sappiamo. Una cosa è certa, è più scaltro di altri che l’hanno preceduto, autori polemici e sarcastici che hanno scritto libri simili facendo nomi e cognomi, accusando, criticando e soprattutto mettendo il loro nome in copertina. Il nostro Anonimo, invece, è al riparo da ogni ritorsione, diretta o indiretta. Il senno di poi (di cui son piene le fosse) ci fa concludere che ha fatto bene.
Gordiano Lupi - www.infol.it/lupi