Radioblog: letture da metropolitana
Ed eccoci giunti alla prima puntata del 2018 di Radio Blog.
Da adesso in poi nessuno potrà dire: “Non ho tempo per leggere!”
Inauguriamo infatti il nuovo anno parlando di LETTURE DA METROPOLITANA, un sito che raccoglie racconti brevi, la cui lettura non supera i 5 minuti di tempo, dunque adatti ad essere letti da una fermata della metropolitana all’altra e comunque ideali per chi va sempre di fretta e non può cimentarsi in letture troppo lunghe e impegnative.
Parleremo di questo progetto con Serena Pisaneschi, una delle autrici di questa attuale ed originale iniziativa letteraria, nonché amministratrice del blog “Fate Largo ai sognatori”, da poco on line.
Vi lascio dunque all’ascolto di questa puntata, al termine della quale vi leggerò ovviamente una lettura da metropolitana.
L’illustrazione è come sempre a cura della nostra Eva Pratesi.
Buon ascolto!
www.fatelargoaisognatori.wordpress.com
Per contattarci: radioblog2017@gmail.com
Il sito di Eva Pratesi è: www.geographicvovel.com
Musica: www.bensound.com
Dolce cara mammina
Esistono parole, rime, frasette che, al solo risentirle, ci aprono un mondo di ricordi e ci struggono il cuore.
Fin qui ho parlato di due poesie famose in ambito scolastico, una di Fusinato e l’altra di Pascoli. Da oggi voglio ricordare i jingle popolari della pubblicità anni sessanta. Non me ne vogliate, penso che non ci sia mai stato, né prima né dopo, un periodo altrettanto pieno di speranza, di fiducia nello sviluppo e nella civiltà. Quasi finita la ricostruzione post bellica, in pieno svolgimento il boom economico, guardavamo al futuro come ad una cornucopia di possibilità. Le cose non potevano – pensavamo noi ingenui - che andare meglio, col progredire della scolarizzazione, della tecnologia, della medicina.
Ne abbiamo ricavato inquinamento, cataclismi, degrado, sporcizia, immigrazione senza controllo, snaturamento della nostra cultura e delle nostre radici, violenza in famiglia, droga, alcol e sballo, baby gangs, tumori. In una parola: fine della speranza e dilagare della paura.
Perciò, consoliamoci coi ricordi, smielati è il caso di dire. E pazienza se oggi corre voce che il miele industriale faccia male, sia finto come tutto il resto, a noi piace ricordarlo così, come nella pubblicità dell’Ambrosoli:
Bella, dolce cara mammina,
la più bella mammina
la la la la
DANZERO' SCUOLA DI DANZA A PRATO: UNA SPLENDIDA REALTA'
Siamo un associazione di Prato.
Ci occupiamo di tutte le discipline di ballo per tutte le età.
Nella nostra sede di oltre 600 mq organizziamo corsi, stage
e manifestazioni culturali di ogni tipo.
#danzerò #salsa a prato #kizomba a prato
#bachata a prato #danza del ventre a prato
#tango a prato #hip hop a prato
#danza a prato #scuola di ballo a prato
Disponiamo della struttura più grande della città (oltre 600MQ).
I nostri soci possono godere di spazi ampi:
4 sale con specchi e parquet, area relax, area bar, spogliatoi e ambienti climatizzati.
La sala social (160 MQ) è attrezzata con impianto audio e luci per feste e manifestazioni.
Infatti, oltre alle attività legate alla danza, mettiamo a disposizione gli spazi dedicati per feste ed attività.
Puoi provare senza impegno, corsi per grandi e piccini di:
Salsa cubana e portoricana, Bachata, Bachata fusion, Balli cubani tradizionali, Kizomba, Hip hop, Danza del ventre, Danza classica e moderna, Tango argentino, Latin hustle, Gestualità femminile, Musical, Storia della danza e della musica (relativa al ballo).
Il tutto con l' ausilio di insegnanti specifici per ciascuna disciplina.
CINZIA DIDDI ABITI ESCLUSIVI PER EDOARDO ERCOLE
Edoardo Ercole, figura imponente quasi da condottiero militare, con una fortissima volontà di conquista, che lo porta a raggiungere mete ed obiettivi esclusivissimi, un'anima gentile, aristocratica, non conformista, ironica e nobile.
I capi che ho realizzato in esclusiva per lui rispecchiano queste sue peculiarità caratteriali e si ispirano al mood military/chic.
Sono moltissimi gli elementi che nel tempo la moda ha preso in prestito dall'ambiente militare.
Eserciti di ogni latitudine ed epoca hanno ispirato fortemente i creatori di moda, sfruttando il proverbiale fascino della divisa.
L'outfit di Edoardo, esclusivo e studiato, mixa il rigore dell'uniforme, alla classe di un look senza tempo, rispecchiandone fedelmente la personalità.
Il risultato finale?
Un uomo che trasuda eleganza e un non so che di misterioso ma allo stesso tempo che ama la praticità e il confort. Tessuti pregiatissimi, colori equilibrati e, qua e là e senza troppo chiasso, qualche decorazione e abbellimento dal guizzo eccentrico: il cappotto in cashmere dalle spalle scese quasi a sembrare un grande mantello da comandante di milizie, la giacca in velluto blu dai preziosi bottoni Gold resa unica e Glam da ricami in filo d' oro zecchino.
Il pantalone aderente slim con banda laterale in grosgrain blu e il tocco ironico ...
una catena in oro e pelle nera ai passanti.
La maglia girocollo con pochette nel taschino, in controtendenza rispetto agli standard, che prevedono la pochette per la giacca, rappresenta l'aspetto non convenzionalista, tratto distintivo della personalità di Edoardo.
Cinzia Diddi
L’abito è stato creato da Cinzia Diddi per Edoardo Ercole, figlio della diva per eccellenza, Serena Grandi, in occasione del suo compleanno.
L’evento si è tenuto nella prestigiosa location del Just Cavalli a Milano, Edoardo, in splendida forma dopo l’intervento di liposcultura in diretta a Domenica Live, ha accolto ospiti ed amici per brindare e spegnere insieme le candeline.
Moltissimi sono stati i volti noti presenti, tra cui la madre Serena Grandi, le amiche Mercedesz Henger e Francesca Cipriani, Marco Predolin, la bellissima Ivana Mrazova, il Tronista Alex Migliorini e Alessandro D’Amico, l’icona gay Elenoire Ferruzzi e tantissimi altri.
Una serata dal tocco glamour da non perdere assolutamente.
Siate buoni, o figli
Per continuare la serie delle poesie che ci facevano imparare a memoria - e questa è bella lunga, non so come farei adesso a recitarla a mente – ce n’è una che prediligevo e ancora oggi mi fa salire le lacrime agli occhi: Il rospo di Giovanni Pascoli.
Qui il “fanciullino” non è buono, tutt’altro, qui è semmai l’immagine della malvagità inconsapevole, quasi innocente nella sua implacabilità. A esser buono è il “mostro”, il rospo brutto, e per ciò stesso “cattivo”. Lui è l’unico ad aver l’animo tenero e sensibile, capace di vedere la bellezza della natura. Se ne sta per i fatti suoi, mentre i fanciulli, belli e amati, imperversano sul suo corpo sgraziato. Ad aver pietà di lui non è un uomo, non è una donna, ma un povero asino vecchio e macilento, vittima a sua volta di percosse e brutalità.
Era un tramonto dopo il temporale.
C'era a ponente un cumulo di cirri
color di rosa. Presso la rotaia
d'un'erbosa viottola, sull'orlo
d'una pozza, era un rospo. Egli guardava
il cielo intenerito dalla pioggia;
e le foglie degli alberi bagnate
parean tinte di porpora, e le pozze
annugolate come madreperla.
Nel dì che si velava, anche il fringuello
velava il canto, e, dopo il bombar lungo
del giorno nero, pace era nel cielo
e nella terra.
Un uomo che passava
vide la schifa bestia; e con un forte
brivido la calcò col suo calcagno...
Venne una donna con un fiore al busto,
ed in un occhio le cacciò l'ombrella...
Quattro ragazzi vennero sereni,
allegri, biondi: ognuno avea sua madre,
a scuola andava ognuno. - Ah! la bestiaccia!
dissero. Il rospo andava saltelloni
per la scabra viottola cercando
la notte e l'ombra. Ed ecco i quattro bimbi
con una brocca a pungerlo, a picchiarlo,
a straziarlo. Sotto i colpi il rospo
schiumava, e i bimbi: - Come è mai cattivo!
L'occhio strappato ed una zampa cionca,
cincischiato, slogato, insanguinato,
non era morto; e gli voleano i bimbi
gettare un laccio, ma scivolò via
arrancando. Incontrò la carreggiata,
vi si annicchiò fra l'erba verde e il fango.
Ed i fanciulli in estasi e in furore
s'erano certo divertiti un mondo.
Guarda, Piero! Di’, Carlo! Ugo, dà retta!
prendiamo, per finirlo, ora un pietrone.
E, rossi in viso, empivano di strilli
la dolce sera. Intanto uno rinvenne
con una grossa lastra: - Ecco trovato!
A stento la reggea con le due mani
piccole, e s'aiutava coi ginocchi.
Ecco! - E ristette sopra il rospo, e gli altri
a bocca aperta, senza batter ciglio,
stavano intorno con la gioia in cuore.
E quello alzò la lastra. Uno... due...
Quando
videro un carro che venia tirato,
là, da un asino vecchio, zoppo, stanco,
con gli ossi fuori e con la pelle rotta.
Il barroccio veniva cigolando
nei solchi delle ruote, trascinato
dalla povera bestia. Essa il barroccio
tirava, e avea due cestoni indosso.
La stalla, dopo un giorno di fatica,
era ancor lungi; il barrocciaio urlava,
e segnava ciascun: - «Arrì »- d'un colpo.
Il solco delle rote era profondo,
pieno di melma, e così stretto e duro
ch'ogni giro di rota era uno strappo.
L'asino s'avanzava, rantolando
tra una nuvola d'urla e di percosse.
La strada era in pendio: tutto il gran carro
pesava sopra il ciuco e lo spingeva.
Ed i fanciulli videro, e, gridando
al lor compagno: - Fermo con la pietra!
dissero: - il carro passerà sul rospo;
c'è più gusto così.
Dunque, in attesa,
sgranavano gli allegri occhi i fanciulli.
Ecco, scendendo per la carreggiata,
dove il mostro attendea d'esser infranto,
l'asino vide il rospo: e triste, curvo
sovra un più tristo, stracco, rotto, morto,
sembrò fiutarlo con la testa bassa.
Il forzato, il dannato, il torturato,
oh! fece grazia! Le sue forze spente
raccolse, e irrigidendo aspre le corde
sugli spellati muscoli, ed alzando
il grave basto, e resistendo ai colpi
del barrocciaio, trasse con un secco
scricchiolio, fuori, e deviò la ruota,
lasciando vivo dietro lui quel gramo.
Poi riprese la via sotto il randello.
Allor nel cielo azzurro, dove un astro
già pullulava, intesero i fanciulli
Uno che disse: - Siate buoni, o figli.
Mario Bonanno, "Ho sognato di vivere"
Ho sognato di vivere
Mario Bonanno
Variazioni sul tema del tempo in Roberto Vecchioni
Stampa Alternativa, 2017 - Grande Concerto
Pag.100 - Euro 14 - Carta patinata/ Foto a colori
Credo di aver letto quasi tutti i libri di Mario Bonanno, che seguo dai tempi in cui dirigeva una bella rivista musicale edita da Bastogi, dedicata alla musica italiana e soprattutto ai cantautori, ma non a musicisti stile Pino Daniele e Claudio Baglioni... solo a cantautori impegnati, i cui testi sono molto vicini alla poesia. Al tempo stesso, ascolto Roberto Vecchioni dal 1970, ho visto il mio primo concerto del professore, a Firenze, al teatro tenda di Lungarno Moro, nel 1985. Fu una cosa stupenda. Ricordo ancora quando prima di cantare Improvviso paese disse che quella canzone la conosceva soltanto lui e che la metteva in scaletta per pochi intimi. La mia ragazza del tempo mi prese per pazzo quando ripresi parola per parola, con le lacrime agli occhi, la musica del cantautore milanese e andai avanti con E’ vero Fulvio/ dimmi che è vero/ quante hai saputo/ prenderne in giro... . Ecco, tutto questo per avvisare che Ho sognato di vivere non è il solito librettino che vi racconta quattro fesserie su Vecchioni, un po' di pettegolezzi, le vicissitudini affettive legate alla singola canzone e l'esegesi della scrittura. No davvero. Questo libro di Bonanno è un saggio profondo e meditato sulla musica di Vecchioni, parte dell'idea che di poesia si tratta - aiutata dalla sonorità delle note - e come tale la spiega, ricorrendo alla filosofia di Bergson e alla letteratura di Borges, alla poesia di Rimbaud e Verlaine, abbandonandosi a meditazioni sul tema del tempo, della morte, della religione e della vita, analizzando parole e rime. Vecchioni è cultura postmoderna in tutti sensi, capace di parlare in una stessa canzone di Carl Barks e Moravia, di Paperino e di Ulisse, dell’Atalanta e del senso della vita. Molte citazioni dai testi - anche i meno noti - di Vecchioni, ti fanno venire voglia di andare a riascoltare l'intera produzione, ma troviamo anche documentate appendici dove leggiamo l'interpretazione autentica del professore che approfondisce le sue stesse parole. Un libro dedicato a chi conosce a fondo l'opera di Roberto Vecchioni, uno dei nostri cantautori più interessanti, un intellettuale - autore di romanzi profondi e di racconti intensi - a tutto tondo, che non presenterà mai il Festival di Sanremo (per fortuna!) ma che (in compenso) l'ha vinto. Non con la sua canzone più bella, che per me resta L'uomo che si gioca il cielo a dadi. Dedicata a tutti i padri del mondo. Il libro costa 14 euro, prezzo poco accessibile per un libro di 100 pagine, ma è in carta patinata e ci sono dieci pagine di foto a colori. Se amate Vecchioni vale la pena, date retta…
Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
Sul ponte sventola bandiera bianca
Fra le poesie che ci facevano imparare a memoria alle elementari negli anni sessanta, una di quelle che più mi è rimasta impressa è L’ultima ora di Venezia di Arnaldo Fusinato (1817 – 1888). Amico di Prati ed Aleardi, l’autore fu poeta patriottico contro l’oppressione austriaca. Nel marzo del 1848 insorsero le città del Lombardo Veneto, costringendo alla ritirata le guarnigioni austriache. Nel 49 anche Venezia insorse e fu proclamata la Repubblica di San Marco, dove Fusinato prestò servizio come tenente. Anche qui, nonostante la difesa guidata da Daniele Manin, dopo quasi un anno la città si dovette arrendere alle forze austriache. Nella poesia L'ultima ora di Venezia si può leggere tutto lo sconforto provato da Fusinato in quei momenti, che il mio cuore di bimba romantica, imbevuta - per retaggio familiare - di ideali patriottici, riusciva a sentire nel profondo.
È fosco l'aere,
il cielo è muto;
ed io sul tacito
veron seduto,
in solitaria
malinconia
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!
Fra i rotti nugoli
dell'occidente
il raggio perdesi
del sol morente,
e mesto sibila
per l'aria bruna
l'ultimo gemito
della laguna.
Passa una gondola
della città:
- Ehi, della gondola,
qual novità? -
- Il morbo infuria
il pan ci manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca! -
No, no, non splendere
su tanti guai,
sole d'Italia,
non splender mai!
E su la veneta
spenta fortuna
si eterni il gemito
della laguna.
Venezia! L'ultima
ora è venuta;
illustre martire,
tu sei perduta...
Il morbo infuria,
il pan ti manca,
sul ponte sventola
bandiera bianca!
Ma non le ignivome
palle roventi,
né i mille fulmini
su te stridenti,
troncaro ai liberi
tuoi dì lo stame...
Viva Venezia!
muore di fame!
Su le tue pagine
scolpisci, o storia,
l'altrui nequizie
e la sua gloria,
e grida ai posteri:
- Tre volte infame
chi vuol Venezia
morta di fame! -
Viva Venezia!
L'ira nemica
la sua risuscita
virtude antica;
ma il morbo infuria,
ma il pan ci manca...
sul ponte sventola
bandiera bianca!
Ed ora infrangasi
qui su la pietra,
finché è ancor libera
questa mia cetra.
A te, Venezia,
l'ultimo canto,
l'ultimo bacio,
l'ultimo pianto!
Ramingo ed esule
in suol straniero,
vivrai, Venezia,
nel mio pensiero;
vivrai nel tempio
qui del mio core
come l'immagine
del primo amore.
Ma il vento sibila
ma l'ombra è scura,
ma tutta in tenebre
è la natura:
le corde stridono,
la voce manca...
sul ponte sventola
bandiera bianca!
Franco Battiato ha ripreso il ritornello nella canzone Bandiera bianca.
La fine del desiderio
“Io ho la Befana della mia nonna”, scrivevo il 7 gennaio 1970, “della mia zia e quella di casa mia, anche se c’è una Befana sola. La Befana di casa mia mi ha portato queste cose: un vestitino, una sciarpa, un libretto da ritagliare ed incollare e i vestiti di carta delle bamboline di cartone che hanno questi nomi: Sceila, Marzia, Sindi e Terri. Un seggioloncino con un piattino sopra per dare la pappa alle bambole. La Befana di nonna e zia mi ha portato altre cose: la calza come da noi, un settimino in cui ho trovato tremila lire, un maglioncino bianco. Sarebbe stato meglio che invece di tutti questi bei giocattoli la Befana avesse guarito la mia nonna, o mi avesse portato, so che per la Befana è impossibile, un fratellino.”
Devo dire che il fratellino poi è arrivato, ma questa è un’altra storia. La più bella Epifania della mia vita me la regalò mia nonna. Fece man bassa in un banchetto chiamato “trentacinque tutto”, cioè trentacinque lire il pezzo - parente dei nostri negozi a 0,99 centesimi. Lei in cucina aveva ancora una bella cappa di quelle di un tempo e riempì il camino di giocattoli e sorpresine che, a pensarci oggi, dovevano essere poveri e piccoli, ma a me tutto quel ben di Dio colorato diede alla testa. Mi sembrava d’impazzire dalla gioia. Meno male che esistono i nonni: con i loro gusti un po’ antiquati si trascinano dietro tradizioni e radici.
Oggi le famiglie sono allargate, nonni e parenti si moltiplicano, l’importante è che ci siano rispetto, affetto ed esempi positivi. Almeno si spera.
Non so quanto riescano a godere delle feste questi nostri bambini sovraesposti, riempiti a forza di regali, costretti a scartare montagne di oggetti, per Natale, per Befana e per i famigerati megacompleanni che vanno di moda adesso. Ho il terrore di togliere a questi futuri uomini e donne la cosa più preziosa, il motore che dovrebbe spingerli ad andare avanti e costruirsi qualcosa: il desiderio. Sostituito dalla nausea precoce, dalla noia – che non è quella sana e stimolante del non avere troppe distrazioni ma il suo esatto contrario, l’avere già sperimentato e ottenuto tutto. Per questo a cinque anni mangiano solo pasta bianca e poi a tredici magari s’impasticcano e bevono per sballarsi.
Ok, le feste sono finite, fra alti e bassi ne sono uscita comunque indenne.
Ci sono parecchie cose nuove nel guardaroba, ma la voglia di comprarne altre è poca perché, quando ti guardi allo specchio e vedi il tuo corpo trasformato in qualcosa che non ti piace e non riconosci, non hai più desiderio di agghindarlo.
Due magliette sportive grigie, da notare quella con Minnie, indicatissima per la mia età.
Cappellino, foulard, guanti e collane: quando sei grassa, comprare accessori è l’ultima soddisfazione che ti rimane.
Abito nero, elegante. Può servire in tante occasioni (vedi funerale improvviso).
Scarpe luccicanti e borsa.
Cardigan che ha lo stesso colore dei miei sobri capelli, con tanto di fiore da signora d’altri tempi.
Maglione bianco, puro e delicato. Bianco is the new nero per me. Forse non è un colore dimagrante ma illumina e sta bene assolutamente con tutto.
"I have my grandmother's Befana", I wrote on 7 January 1970, " that of my aunt and that of my home, even if there is only one Befana. The Befana of my house brought me these things: a dress, a scarf, a booklet to cut out and glue, and the paper clothes for cardboard dolls that have these names: Sceila, Marzia, Sindi and Terri. A high chair with a saucer on top to give baby food to the dolls. Granny’s and aunt’s Befana brought me other things: the traditional stuffed sock, a closet in which I found three thousand lire, a white sweater. It would have been better if, instead of all these beautiful toys, the Befana had healed my grandmother, or had brought me, I know that for the Befana it is impossible, a little brother."
I must say that the little brother then arrived, but this is another story. My grandmother gave me the most beautiful Epiphany of my life. She ransacked a stall called "thirty-five all," that is, thirty-five lire, - similar to our 0.99 cents shops. She filled the fireplace with toys and surprises that, thinking about it today, had to be poor and small, but I went crazy with joy. Luckily there are grandparents: with their a bit antiquated tastes, they drag behind them traditions and roots.
Today families are widened, grandparents and relatives are multiplying, the important thing is that there are respect, affection and positive examples. At least, hopefully.
I do not know how much our overexposed children can enjoy the festivities. They are filled with gifts, forced to open mountains of presents, for Christmas, for Befana and for the notorious mega - birthday parties that are fashionable now. I am terrified of taking away from these future men and women the most precious thing, the engine that should push them to move forward and build something: desire. Replaced by premature nausea, boredom - which is not the healthy and stimulating one of not having too many distractions but its exact opposite, having already experienced and obtained everything. This is why at the age of five they eat only white pasta and then at thirteen maybe they drink and get drugs.
Ok, the parties are over, at least! Between highs and lows I came out unharmed.
There are several new things in the wardrobe, but the desire to buy others is little, because, when you look in the mirror and see your body transformed into something you do not like and do not recognize, you no longer have the desire to dress it up.
Two gray sports shirts, to note the one with Minnie, very well suited for my age.
Cap, headscarf, gloves and necklaces: when you're fat, buying accessories is the last satisfaction you have left.
Black dress, elegant. It can serve on many occasions (see sudden funeral).
Shiny shoes, and black bag.
Cardigan that has the same colour of my sober hair, complete with a flower, typical of a lady of yesteryear.
White sweater, pure and delicate. White is the new black for me. Maybe it's not a slimming color but it illuminates and is absolutely fine with everything.
CARLA CASTALDO PRESENTA LA SUA MONOGRAFIA A NAPOLI
Dell’artista Carla Castaldo - nell'ambito della sua personale (18 dic. - 14 genn. 2018) a Napoli, presso la MAPILS-EVENTS, Palazzo Serra di Cassano, via Monte di Dio n. 14, il giorno 6 gennaio alle ore 11,30 - viene presentata la monografia curata da Jolanda Capriglione, docente di Estetica presso l'Università Vanvitelli della Campania, e con prefazione di Paolo Levi.
Verranno, inoltre presentati i foulard in seta che l’artista ha realizzato riproducendo tre sue opere.
Conosciamo meglio questa artista che sta ottenendo grandi riconoscimenti
Come definirebbe Carla Castaldo?
Trovo difficoltà nel definirmi. Jolanda Capriglione, curatrice della mia monografia in corso di realizzazione, dice di me: “Chi si limitasse ad ascoltare o leggere le parole, pur preziose, di Carla e poi guardasse le sue opere sarebbe davvero disorientato. Proverebbe lo straniamento proprio di chi si trova all’improvviso in un mondo altro, in modo inatteso, imprevisto perché le parole avevano portato la nostra immaginazione altrove rispetto a ciò che il nostro sguardo si trova di fronte… Carla è davvero tutto questo passione e ragione…”
A quali maestri si ispira o quali altri pittori ammira?
Non m’ispiro ad alcun maestro. Le mie opere nascono da forti sollecitazioni (un accadimento, una musica, un’immagine, un profumo…) che colpiscono i miei sensi, inducendo in me un “misterioso richiamo” che parte dal profondo dell’anima e mi spinge ad esternare, attraverso segni e colori, le mie emozioni. E le emozioni, per loro natura, sono libere da ogni vincolo.
I pittori che ammiro sono tanti. Ma gli artisti, con i quali si stabilisce un intenso contatto, sono quelli che mi lasciano intravedere i propri demoni.
Qual è per lei il significato di un’immagine dipinta (se deve comunicare, se deve insegnare, se deve solo ristorare lo sguardo con la sua bellezza…)
Penso che l’opera d’arte esprima esclusivamente lo stato d’animo dell’artista in un determinato momento della sua vita. Il significato lo attribuisce il fruitore in funzione della sua sensibilità, della sua cultura, delle sue esperienze.
Quale tecnica usa?
I miei dipinti sono eseguiti su base di porcellana con l’antica tecnica della “decorazione a terzo fuoco” che ho completamente rielaborato.
Realizzo, inoltre, bassorilievi e oggetti in terracotta foggiata a mano e bassorilievi e monili in lamina di ottone.
Dove e in quali ore dipinge?
Prevalentemente dipingo di giorno, perché la luce naturale mi consente di cogliere la vera essenza dei colori. In funzione delle opere che realizzo lavoro in laboratorio o in officina. Appena che posso mi rintano in casa, in un ambiente che guarda il mare, per me fonte inesauribile di arricchimento…
Quali sono i suoi soggetti preferiti?
Amo parlare della bellezza, ma non di quella fisica. Perciò, attraverso la meditazione, cerco di proiettarmi verso mondi misteriosi oltre i confini spazio-temporali.
Dà più importanza alla forma o al contenuto?
Per me la forma è una conseguenza del contenuto. Nelle mie opere ogni linea e ogni stesura cromatica sono il risultato di una traduzione dal mondo immateriale a quello materiale.
Com’è cambiata la sua pittura dagli inizi ad oggi?
Tutta la mia produzione è strettamente collegata al mio percorso spirituale. Il conseguimento del primo e del secondo livello Reiki e il successivo approfondimento della cultura andina, unitamente alla meditazione, mi hanno aiutato e mi aiutano nel cammino che ho scelto di seguire, alla ricerca delle Radici. Io dico che è un percorso verso la Luce. Ho iniziato dipingendo con la “tecnica del terzo fuoco” piccoli oggetti poi, come ho detto precedentemente, la mia produzione si è ampliata e diversificata assumendo nel tempo colori sempre più intensi. Mi piace pensare che ho fatto qualche passo in avanti verso il centro del Tutto….
Curiosità come: ha mai dipinto un quadro per una persona famosa, vorrebbe avere un committente famoso, magari per un ritratto?
Sì, mi piacerebbe realizzare un ritratto ad una persona famosa. Sicuramente non rappresenterei la sua fisicità, ma ciò che il suo involucro contiene. Sarebbe, quindi, interessante confrontare la sua immagine ufficiale con quella che io riuscirei a vedere….
Qualche aneddoto...
La vendita di una mia opera non si svolge in tempi rapidi, perché cerco di entrare nell’animo dell’acquirente e di comprenderne i pensieri. Sicuramente non darei un mio oggetto ad una persona ricca e volgare. Vivo il momento del distacco con commozione, che riesco a trasmettere anche all’altro: gli affido una mia creatura, un pezzetto della mia anima… e lui coglie il mio messaggio e, spesso mi chiede: “posso accarezzarlo ?... ”
E se le parlo di gioielli?
I gioielli che realizzo sono esclusivamente collane in lamina di ottone lavorata a mano, a volte arricchite da elementi in terracotta smaltata. Sono tutte pezzi unici che, indossati, conferiscono subito un tocco magico, perché non rappresentano solo una funzione ornamentale, ma portano con sé un mio messaggio ben preciso. La base del collo, come sappiamo, è una zona del corpo altamente simbolica: è qui che esiste il punto di raccordo tra corpo e anima, tra il mondo visibile della materia e quello sottile dello spirito e dei sentimenti. Poiché con le mie opere trasmetto Amore che attingo nei miei viaggi, la persona che indossa una mia collana stabilisce un collegamento diretto col mio mondo.
Fabio Carta, "Ambrose"
Ambrose
Fabio Carta
Alter Ego, 2017
Una lettura difficile, questo Ambrose di Fabio Carta, a tratti sembra prenderti ma poi sei ingolfato da un’overdose d’indigesta fantatecnica e dalla visionarietà del testo, che, forse, ne è anche il pregio maggiore, per chi ama i romanzi onirici e con poca trama. (Io no).
In un futuro panatomico, dove la guerra islamica è degenerata ormai in perpetuo conflitto, gli esseri umani hanno colonizzato lo spazio e abbandonato qualsiasi velleità di vita carnale a favore di quella virtuale. Kaarl, detto CA, è uno spazionoide, cioè un colono nato fuori della terra, un soldato fleshy, di carne, che presta il suo corpo atrofizzato a un’esotuta, sorta di robot guerriero, telecomandato dalle star band, cioè gruppetti di militi bulli che si prendono tutto il merito lasciando a lui il lavoro sporco. CA si muove attraverso lande bruciate dalle radiazioni di continue esplosioni nucleari, il suo corpo malato è nella tuta mentre il suo avatar vive nella realtà virtuale.
CA interagisce con due personalità, Combo, suo aiutante/scudiero, diretta emanazione di un cervello elettronico, e Ambrose, intelligenza artificiale scaturita non si sa da dove, forse dalla sua mente allucinata, o dal cancro che divora il suo corpo, oppure dalla connessione di tutte le menti umane attraverso la rete. Ambrose s’incarna in una disgustosa rosa gigantesca, dalle labbra che colano laghi di miele. Ambrose è Dio, il diavolo, l’alter ego del protagonista.
Più che di vera e propria fantascienza, qui si tratta di letteratura visionaria, qui ci sono richiami e atmosfere da terra desolata, qui siamo fra Eliot, Blake e Milton - con frequenti, però, cadute di stile, vedi l’incontro con la prostituta - fra Andersen (I Fiori della piccola Ida), i manga giapponesi e Kubrick. C’è molta filosofia, ci sono riflessioni sull’evoluzione della realtà virtuale, su Dio, sul destino del genere umano, sulla morte, fine ultimo, ma anche principio, di tutto.
Lo stile è davvero elegante e colto, ma spesso vittima di cambi di tono improvvisi. A tratti è anche molto poetico, cosa che non guasta e contribuisce a dare consistenza onirica all’insieme.