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Emanuele Marcuccio, "Pensieri minimi e massime"

17 Febbraio 2013 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

Emanuele Marcuccio, "Pensieri minimi e massime"

Pensieri minimi e massime

di Emanuele Marcuccio

prefazione di Luciano Domenighini

postfazione di Lorenzo Spurio

PhotoCity Edizioni, Pozzuoli (Na), 2012, pp. 47

ISBN: 978-88-6682-240-0

Prezzo: 7,60 Euro

Parafrasando Shakespeare (cfr. La Tempesta, atto IV, scena I), siamo fatti della materia di cui sono fatte le stelle: principalmente di atomi di carbonio e di carbonio sono fatti i diamanti. Immensa come le stelle è la vita, preziosa più dei diamanti (aforisma 69)

Non è un saggio né una silloge poetica “Pensieri minimi e massime” di Emanuele Marcuccio bensì una raccolta di ottantotto aforismi più una appendice che costituisce parte integrante dell’opera.

L’aforisma 14 è l’enunciazione della poetica di Marcuccio: “Nelle arti, come nella vita, se c’è spontaneità, c’è anche personalità.” L’autore ci appare come un giovane che annota i suoi pensieri, “semplici ma profondi”, come egli stesso tiene a precisare, un giovane d’altri tempi, imbevuto di poesia, da Leopardi, a Pascoli, a Shakespeare, un giovane che si abbevera alla fonte poetica, che ne trae consolazione. Non fa mistero del suo bisogno di recuperare uno sguardo meravigliato sul mondo, il fanciullo pascoliano che è in noi, l’espressione semplice, le parole povere e ripetute ma non prive di valore, la genuinità di baci e abbracci in un rapporto d’amore che è anche dialogo, raccontarsi la vita come dono. È significativa l’insistenza sul concetto di “meraviglia”.

L’autore alterna questa enunciazione istintiva con riflessioni più articolate, più intellettuali, forse estrapolazioni e rielaborazioni di saggi, e addirittura con echi da tragedia greca: “Cupo è il nostro tempo, cupa è la scena di questo mondo e il nostro sentire in una tempesta si inabissa.” (aforisma 42)

Mentre riflette sulla lirica, ha barlumi poetici egli stesso: “L’anima del mondo ha ali ad abbracciare il tutto” (aforisma 32).

Marcuccio conosce la poesia e le sue figure retoriche, il correlativo oggettivo che passa da Eliot a Montale – nell’appendice compie, infatti, un notevole e avvincente excursus attraverso i secoli, da Omero a San Francesco fino a Ungaretti – ma è convinto che alla base di tutto ci sia, sempre e comunque, l’ispirazione, vista come folgorazione irrazionale, o meglio pre-razionale, scorciatoia intuitiva.

L’ispirazione è come la grazia divina, un dono, un capriccio degli dei che investe il poeta, che è solo un recettore, un vaso che attende l’illuminazione, senza la quale c’è solo arido e sterile artificio. Il poeta deve porsi in ascolto, attendere questa voce, questa luce che lo colmerà, che lo trasfigurerà. Solo in seguito potrà rielaborare, limare, ricostruire il materiale grezzo che è, però, già di per sé diamante.

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