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signoradeifiltri.blog (not only book reviews)

Federica Cabras, "Un sogno, un amore e un equivoco"

17 Febbraio 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni, #federica cabras

 

 

 

 

Un sogno, un amore e un equivoco

Federica Cabras

Literary Romance, 2019

pp 249

13,90

 

All’inizio di tutto c’è lei, Elizabeth Bennet di Orgoglio e pregiudizio. Poi, secoli dopo, è arrivata la capostipite della chicklit, Bridget Jones, goffa, imbranata, romantica. In seguito sono venute le eroine di Lauren Weisberger e di Jojo Moyes, Andrea Sachs e Louisa Clark, tanto per citare le più famose. Qui da noi, invece, Alice Allevi di Alessia Gazzola. È questo il filone in cui inserire l’ultimo libro di Federica Cabras, Un sogno, un amore e un equivoco.

Quando lessi il suo primo romanzo, al quale feci una critica severa, dissi, però, che questa ragazza aveva talento da vendere e che prima o poi si “sarebbe fatta”. Con questa nuova prova ce l’ha dimostrato. Qui la Cabras sembra aver saputo distinguere i generi e calarsi pienamente nel filone che predilige. O, almeno, che la parte di lei più epidermica predilige.

Il romanzo è spumeggiante come la copertina, fatto di dialoghi serrati e divertenti come sceneggiature di serie tv. Tutto ruota intorno ai tre poli: il sogno, l’amore e l’equivoco. L’amore è quello per il bel datore di lavoro, luogo comune del romance, trama immortale della solita cenerentola che riuscirà a farsi valere, e a conquistare, con la sola purezza del cuore, un uomo apparentemente fuori della sua portata; l’equivoco è quello che permetterà alla protagonista di sciogliere tutti i nodi e soddisfare i suoi desideri; il sogno, infine, è quello di diventare scrittrice, altro stereotipo delle eroine moderne ma, in questo caso, non solo superficiale ambizione ma autentica e sofferta aspirazione interiore.

Siamo tutti luce e buio. La parte luminosa della Cabras è dolce, coraggiosa, sentimentale. È la parte dei palloncini colorati in copertina. È quella di questo romanzo, divertente e tenero. Poi c’è il lato oscuro, tenuto a freno, rimosso. Era evidente nel suo primo libro ma non si amalgamava col resto del racconto. Qui non c’è perché non deve esserci, pena la perdita di coerenza, ma emerge a momenti quando il tessuto del linguaggio si lacera, quando la mano della Cabras corre da sola sul foglio e vengono a galla  cupezze, sofferenze e dolori. Soprattutto ansia, paura di non essere all’altezza, voglia di essere amata, orrore e fascinazione della morte.

Virginia Carta, la protagonista, è quella che lavora al bar, ma non lo è. Virginia è quella che esce con le amiche, ma non lo è. La vera Virginia è colei che batte sulla tastiera evocando mondi, scavando nel dolore proprio e altrui. Alla fine, il personaggio di Ester, la donna che ha ispirato e conservato le lettere che Virginia ritroverà, prende il sopravvento. E così abbiamo una triplice identificazione: Federica Cabras che scrive di Virginia Carta che scrive di Ester Lai.

Riassumendo, abbiamo Virginia, una ragazza ambiziosa e gentile, abbiamo Giorgio, un bel principe azzurro, padrone del locale dove lei lavora, abbiamo degli amici affezionati e due genitori da non deludere. La vicenda si snoda fra la ricerca del lavoro e il bisogno di provare sentimenti autentici e profondi, fra l’investigazione del sé e la necessità di affidarsi agli altri. Virginia è insicura, si crede fragile, ha bisogno di un uomo maturo e protettivo, di un caro amico d’infanzia, delle coinquiline affettuose, della lingua tiepida di un cucciolo. Ha bisogno di tutto questo ma, intuiamo, potrebbe farcela anche da sola, potrebbe vivere esclusivamente di sé e della sua ambizione, nella spaventosa e sublime solitudine dello scrittore. Ancora una volta è la parte più superficiale della protagonista a innamorarsi del capo e a gestire i rapporti con le amiche. La parte più profonda, invece, ama la scrittura che fa emergere angoscia e rimorso, che avviluppa e consuma come una fiamma.

Nessuna dichiarazione d’amore per un uomo fu mai appassionata come quella che, a pag 234, Virginia indirizza all’atto insopprimibile dello scrivere. Nessun “ti amo” detto al bel Giorgio può equivalere a quella passione bruciante. Credo, anzi, che il bel Giorgio sia solo un cliché, e il rapporto con lui dovrebbe essere più sfumato, più graduale, meno dichiarato da subito. Ma ciò accade perché il vero innamoramento la protagonista lo prova verso le proprie ambizioni letterarie, verso la ricerca di fama e soddisfazione.

Il romanzo della Cabras è “carico di spirito e di passione”, esattamente come viene definita la scrittura della protagonista dall’implacabile direttrice di un magazine di successo. Si sentono l’impegno, il lavoro di lima, la fatica fatta per far quadrare gli elementi della trama, lo scavo e l’amore delle parole, la ricerca del termine giusto. Un’ottima prova ma, soprattutto, un’ottima base di partenza.

Penso che questo racconto, seppure piacevole, fluido, accattivante e intrigante, sia solo un trampolino di lancio, e che l’autrice sia pronta per fare un ulteriore passo avanti, tirando fuori il rimosso, soffrendo sulla carta come nessuno di noi vorrebbe mai fare, uscendo dalla chicklit e dal romance per entrare in un luogo buio e profondo, fatto di passione e tormento, il luogo dove nasce la grande letteratura.  E qui ne dà un assaggio nelle belle lettere che la protagonista ritrova nella borsa dell’anziana signora, Ester Lai, cliente abituale del bar dove lavora, e verso la quale ella prova un’inspiegabile attrazione.  

Se l’autrice saprà librarsi sopra gli stereotipi imposti dal genere (e dalla frequentazione con le serie televisive), se avrà il coraggio di sprofondare nella parte più tenebrosa di sé, senza farsene travolgere ma incanalando le emozioni in qualcosa di organico e letterario, se metterà tutta se stessa al servizio di quella passione che la divora, credo che, in futuro, sentiremo sempre più spesso parlare di lei.

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Lucca Art Fair 2019: la quarta edizione

16 Febbraio 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #eventi, #arte

 

 

 

 

Mossa da una costante ricerca verso l’innovazione e la sperimentazione, Lucca Art Fair conferma anche nel 2019 la sua missione di fiera attenta alla scoperta e riscoperta di talenti con due consolidati progetti: Letture Critiche e Art Tracker.

Il primo, alla guida del quale si conferma anche quest’anno Francesca Baboni, è dedicato alle gallerie che propongono progetti espositivi con due artisti in dialogo, in modo da suscitare interrogativi e fornire nuovi spunti di riflessione. Il secondo Art Tracker, con progetti site-specific realizzati nel centro della città e in fiera da quattro artisti under 35 selezionati tra i finalisti del Combat Prize 2018, per creare un utile strumento di riflessione sulle nuove tendenze nella giovane arte contemporanea italiana. La curatela è affidata a Gabriele Tosi e gli artisti sono Stefano Bazzano, Maddalena Tesser, Paolo Alberto Peroni e Francesco Levy.

 

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Moved by a constant search for innovation and experimentation, Lucca Art Fair confirms also in 2019 its mission as a fair focus on the discovery and rediscovery of talent with two consolidated projects: Letture Critiche and Art Tracker.

The first, at the head of which is confirmed Francesca Baboni, is dedicated to the galleries that propose exhibition projects with two artists in dialogue, in order to raise questions and provide new ideas for reflection. Art Tracker has the aim of creating a useful tool for reflection on new trends in young International contemporary art, through site-specific projects in the city center and at the fair made by four artists under 35 selected among the finalists of the Combat Prize 2018.

The curatorship is entrusted to Gabriele Tosi and the artists are Stefano Bazzano, Maddalena Tesser, Paolo Alberto Peroni and Francesco Levy.

 

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Natale a sorpresa

16 Febbraio 2019 , Scritto da Dario De Santis Con tag #dario de santis, #racconto, #unasettimanamagica

 

 

 
 
 
Dal diario del comandante
Ci siamo, oggi pomeriggio finalmente sarà il momento, Danilo detto Nilo e Dora hanno a disposizione la casa dei genitori di lui, i quali hanno deciso di passare un week-end sulla neve, l’ultima per quest’anno.
È il momento che i ragazzi aspettavano da due mesi, da quando lei ha capito che
A) lui è l’uomo della sua vita
B) non vuole raggiungere i diciott'anni con un pezzettino di carne superflua (se la sentissero parlare così i suoi, paladini di Comunione e Liberazione, le taglierebbero la lingua, come ai bei tempi della Santa Inquisizione)
Dora arriva in tarda mattinata a casa di Nilo vestita di molti strati di lino, cotone e jeans come se questi ultimi ostacoli potessero, nei suoi più intimi pensieri, ritardare il momento sacrificale.
Avevano deciso di aspettare con calma dopo pranzo, ma al primo bacio entrambi capiscono che quel momento non è più procrastinabile, iniziano a strapparsi i vestiti di dosso, toccando quei punti finora solo sognati...
... e qui intervengo io, ancora non avete capito chi sono? Il terzo incomodo, il mio compito è di allungarmi per facilitare il compito del mio socio di entrare nel corpo di lei.
Tutto tranquillo, eravamo già pronti prima che lei arrivasse, il pensiero del corpo di lei, acerbo ma già maturo, mi ha quasi fatto raggiungere molte volte il punto di non ritorno, avevamo dovuto pensare ad una partita di pallone persa tre a zero, per uscire dal pericolo.
Finalmente posso sognare autonomamente attraverso il mio occhietto. Tolti gli slip la prima cosa che vedo è il viso di lei che guarda curiosamente la mia erezione, si allontana soddisfatta, si getta all’indietro sul letto e si toglie gli ultimi vestiti.
È goffa nello spogliarello, ma per questo ancora più sexy.
Che bella che è, anch’io vedo la passerotta per la prima volta senza il fermo immagine dei video su you tube.
In effetti anche Dora è ferma, si concede timidamente allo sguardo di noi due. Non riesce a guardare Nilo negli occhi, continua a studiarmi, come ipnotizzata.
Il momento è giunto, mi avvicino ed entriamo.
È tutto buio ma è come scivolare in Paradiso, un posto caldo ed invitante, supero gli ostacoli e...
CAVOLO, mi sono distratto, ho lanciato il carico troppo presto, non ero abituato ad essere stretto in modo così bello, vedo i miei spermatozoi prendere di mira un bellissimo ovulo, circondandolo senza pietà, una battaglia persa... o vinta in partenza.
24 dicembre, ore 19
Nove mesi dopo, in casa dei genitori di Nilo, Diego e Maura, una coppia di quarantenni troppo giovani per aver fatto il ’68, diventati adulti con gli ideali derisi dai nuovi liberisti e cresciuti con la nostalgia del passato. Si erano ritrovati in una delle ultime sezioni del PCI, amore a prima vista con figlio annesso. Era stata dura,
ma ora vivevano felici, nostalgici e desiderosi di mettere ancora in pratica il loro passato di lotta, purtroppo, non per colpa loro, mai espresso pienamente.
«Maura ti avverto, non rinuncio alla carne, per la mia famiglia è sempre stato un vanto, un esigenza, volete che festeggi? Datemi una bistecca!»
«Diego, smettila, dall’odore dell’incenso in avvicinamento, i consuoceri stanno arrivando, spero che Nilo abbia già avvertito Dora, comunque per loro ho cucinato pesce»
«Cosa cambia? Sono cattolici, non serve farli contenti, pretendono che anche noi facessimo le stesse cose che fanno loro».
«Speriamo che i ragazzi arrivino per primi, non sopporterei la tensione. Ricordati che ufficialmente Dora è al settimo mese, se sapessero che il bambinello sta arrivando ci sarebbero svenimenti, capirebbero che i ragazzi l’hanno fatto quando non erano ancora fidanzati».
«Vittoria si sciacquetterebbe con l’acqua santa e Giovanni si fustigherebbe come l’albino Silas del “Codice Da Vinci”! Quanta ipocrisia, che schifo!»
«Te lo dico per l’ultima volta, smettila!»
«Solo se fai un primo giro di bistecche per tutti, devono avere il diritto di rifiutare, ma non di cambiare la vita al prossimo!»


 

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MARIO & TONY MAL A SPASSO PE' ROMA: Er Mascherone dèr Mandrione

15 Febbraio 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #luoghi da conoscere

Mascherone al Mandrione e l'omaggio di Walter FestMascherone al Mandrione e l'omaggio di Walter FestMascherone al Mandrione e l'omaggio di Walter Fest

Mascherone al Mandrione e l'omaggio di Walter Fest

 

 

 


- A To', come stai?
 

- Mario mio, si sapessi ieri che nottata! Avrò pure guadambiato, ma mànco cjò ho magnato! Daje, accòmpagname a pjà er caffè e poi se ne annamo a Frascati.
 

- Er solito mezzo litro, na gazzosa co' la porchetta e er pane dè Lariano cotto a legna?
 

- E te credo, daje, annamo a pjà er cinque piotte.
 

- Sì, daje, così scappottamo e se spettinamo!
 

- Veramente io me vorrei svejà!
 

- Allora ce vòle n'caffè ar bacio!
 

- Nooo... Basta, te prego, stanotte so stato tutto n'bacio!!... Daje, va' a pjà er cinquino che t'aspetto qua.
 

Er cinquecento de Mario era n'automobbile molto caratteristica, perché, grazie a 'na particolare verniciatura americana, ogni mese je cambiava colore, annava da Walterfest l'artista, che sapeva quello che doveva fa pe accontentà la gente. Sta vòrta er cinque piotte era tutto giallo dippato de rosso e nero, 'no spettacolo!
 

- Oh, 'mazza che bella! Me sembra 'n pò coatta, però l'artista ha fatto 'n bel lavoro.
 

- 'A prossima vòrta me la deve da fa tutta rosa co' le sfumature arancioni.
 

- E perché?
 

- Vojo fa morì lì turisti Giapponesi che me fanno sempre le fotografie, nun poi capìì come li faccio ride!!
 

- Penza sì, se la volessero comprà e te offreno 'n milione!
 

- E mica jè la do, senti, nun rompe er cazzo co' 'ste cazzate, daje, monta che prima de pjà 'a discesa der Quadraro se fermamo alla funtana der Mandrione.

La funtana cor mascherone de Porta Furba se trova sulla via Tuscolana, all'inizzio de via der Mandrione. E' 'n monumento ordinato nel 1733 da Papa Clemente Xll Corsini e, probabilmente, ma nun ne sèmo certi, è stata ideata dall'architetto Francesco Bianchi 'n sostituzzione de 'n'àrtra funtana der 1586, quando era Papa Sisto V, e de questa vecchia àrimane solo 'n epigrafe sull'arco de fianco alla funtana.

Quello che corpisce de più la gente che passa da quelle parti è la figura ar centro della funtana, 'n mascherone che 'n po' te fa paura e 'n po' te fa ride, perché sembra che te vòle pjà p' èr culo.
Dopo er bombardamento a S.Lorenzo der 1943, la gente sfollata scappò e, pe la paura, se nascose sotto l'archi dell'Acquedotto, co' la speranza che l'aeroplani avrebbero àrisparmiato la robba antica de 'mportanza storica.

Finita la guera, la gente àritòrnò ar vecchio quartiere ma oramai sotto quell'archi quarcuno ce s'era fatta casa, l'anni '50 erano tempi de fame e disperazzione, e così via der Mandrione divenne na strada de mignotte, de papponi, de banditi e de povera gente baraccata. Adesso pe' fortuna è 'na via normale, tranquilla e, si vòlemo, pure chic, solo la funtana nun s'è mai spostata, è rimasta sempre lì, quasi a ricordacce tutto quello che Roma nei secoli ha passato, ma che è sempre caput mundi pe' la storia de tutto er monno.

- Mario, te piace sta funtana?
 

- E' bella davvero, me viè da penzà che, quanno ce l'hanno messa, qua era tutta campagna.
 

- A me, me sembra pure troppo bella pe sta da sola così isolata, a quell'epoca, a parte le mura dell'acquedotto, 'ntorno nun ce doveva sta gnente, qui stamo quasi più vicino a li castelli che ar centro de Roma.
 

- Cjai raggione, sicuramente ce passavano le pecore co li pecorari, la via der Mandrione forze ha preso er nome da tutti li gregge che ce passavano vicino, qua ce se fermava la gente de passaggio e se faceva na bevuta, ma sai che te dico?
 

- Dimme, dimme.
 

- Che sto mascherone er Papa ce lo mise pe mette paura a li briganti e a la gente senza fede, 'o vedi er faccione cor nasone, l'occhi furbi e la bocca larga che sputa l'acqua dentro a na conchija? Nun te mette soggezzione?
 

- E che te devo dìì? A me n'poco me fa ride!
 

- 'Nfatti, prima te fa ride e dopo, si nun te comporti bene, te fa piagne, che nun le vedi le ali largheaàr posto delle recchie?
 

- Ma mica è 'n mostro.
 

- No, me pare 'n pòro vecchio, però, seconno me, è Caronte, che te dice, bevi fratello ma si nun righi dritto te porto co me dà satanasso, zozzo tizzone d'enferno.
 

- Vòi scommette che te piace Tex Willer?
 

- E che vòi fa? Noiartri da regazzini mica cjavevamo tutto come quelli de adesso, dovevamo divertisse co' la fantasia.
 

- 'Nfatti, daje, arimontamo 'n machina e ànnàmòse a divertì, nannì.


Mario e Tony Mal risalgono in macchina.
 

- Bòngiorno!
 

- Oh! Mo sei diventato pure educato?
 

- Perché?
 

- Maj detto "Bòngiorno"
 

-E mica so stato io!
 

- E allora chi è stato?Io l'ho sentito co' l'orecchie mie!
 

- Certo che je l'avete fatta, eh!
 

- Ma limortacci tua! E te che ce stai a fa dentro la machina? Chi t'ha detto de entrà? E te che sei 'n gatto come fai a parlà?
 

- Ma sète proprio du' rincojoniti, ma nun la sapete che co' la fantasia se po' fa tutto? E poi, che ve possino acciàccàvve nun eravamo amici?
 

- Boh? A mè nun mè pare, a Tò, ma che adesso er gatto è diventato n'amico tuo?
 

- No!


- Scusateme, nun m'ero presentato e nun ve avevo detto de chi artro ero amico.
 

- Annàmo bene! Mo cjai pure artra gente alla quale scrocchi er pranzo e la cena?
 

- Me chiamo Armando e so amico de Dario.


- Ahhh... Mo ho capito!
 

- Vabbè, pure Dario è 'n grande amico nostro, ma adesso che voresti?
 

- Venìì co' voi a Frascati, perché, nun me ce volete?
 

- A Tò, che famo?
 

- A Mario, e che famo, se lo pòrtamo, oramai questo ce s'è accollato!
 

- Come ve vojo bene, me metto de dietro sur sedile, bòno, bòno, e nun ve darò fastidio.
 

- Sì ma, m'arriccomanno, nun te fa sentìì che parli, artrimenti a chi te sente je faremo pjà 'n infarto.
 

- A Mario, mica sei matto! Io parlo solo co' voi che semo amici!
 

-A Tò, ma allora è vero che li gatti so ruffiani.


- Ma che stai a dìì, noi gatti de strada cjavemo er savoir fair.
 

- 'A capito? Mecojoni!
 

E così Mario, Tony e Armando er gatto se ne andiedero a Frascati, se fionnarono dentro a na fraschetta e passarono in allegria er resto de la giornata, domani sarebbe stato 'n artro giorno a spasso pe' la città più bella der monno!

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Chiara Tortorelli, "Noi due punto zero"

14 Febbraio 2019 , Scritto da Patrizia Poli

 

 

 

 

 

Noi due punto zero

Chiara Tortorelli

Homo Scrivens, 2018

pp 241

15,00

 

Non si può certo dire che Noi due punto zero, di Chiara Tortorelli, sia mal scritto. Tutt’altro, la lingua è oltremodo bella e letteraria. Fin troppo: non è detto che ogni frase debba per forza essere la frase del secolo, pena una certa pesantezza. Ma, comunque, è una scrittura chiaramente raffinata, studiata, in un certo qual senso, “snervante”.

All’inizio la storia ti prende, complice appunto l'ottima scrittura, vuoi sapere perché la quarantenne Emma - separata da Paolo e con una figlia adolescente, Alice, che ora vive con la nonna - si sia lasciata trascinare in un rapporto frustrante con il maschilista Pietro. Egli la incontra solo quando e dove vuole lui, non le ha detto nemmeno il suo vero nome, non parla mai d’amore, la tratta con indifferenza, venera e usa il suo corpo, senza che il loro rapporto possa mai uscire da questa sorta di limbo (mai parola fu più azzeccata).

Poi, però, il tessuto della narrazione s’incrina, cominciano ad affiorare crepe, le cose “non tornano” più, la realtà si mescola al ricordo e al sogno, per confluire in un finale a sorpresa che non possiamo rivelare e che lascia interdetti e spiazzati. A livello personale, non amo questo genere che mescola realtà ed esperienza onirica, flash back e attualità, prosa e poesia, e che ti costringe ad una lettura non solo attiva - il che non sarebbe male - ma addirittura “superattiva”. Ciò nondimeno, è la scelta dell’autrice e va rispettata. Colpisce, inoltre, il contrasto fra il realismo con cui vengono descritte scene di vita quotidiane e il loro essere esperienze oniriche o, comunque, surreali.

Nel mentre, ci ritroviamo al punto zero, quello della fisica quantistica dove tutto è ancora possibile. E di là partono e si diramano tasselli di vita  - reale, ricordata, sognata, limbica, finita? –, di là partono le tarsie di un mosaico che il lettore, se ne avrà voglia, potrà ricomporre, andando avanti e indietro nella storia, nella mente della protagonista, nel passato e nel futuro.

All’improvviso spunta anche un coro, che forse deriva dal desiderio dell’autrice di inserire poesie nel libro, e che dovrebbe indirizzare il lettore, accompagnandolo nella ricerca e nella ricomposizione dei tasselli. Quindi arriva anche Anna Karenina, con cui l’eroina a volte s’identifica, Anna che, guarda caso, è morta sotto un treno. Tutto, in ogni caso, si svolge nella mente della protagonista, a riprova che è il pensiero a creare la realtà e non viceversa, e che esso può contenere e generare l’universo intero.

Se proprio devo fare un paragone, mi viene a mente la serie televisiva Lost, dove ogni personaggio aveva un back ground articolato, pesante e mutevole, dove ogni cosa non era come sembrava, dove lo spettatore si caricava di enormi aspettative sempre disattese, e dove alla fine tutti erano morti in un finale appiccicaticcio e sbrigativo fatto tanto per chiudere la serie.

Insomma, davvero non so che dire di questo libro. Per coloro ai quali piace il genere è senz’altro un romanzo perfetto, per me, che amo una scrittura asciutta e una narrazione lineare, da un punto A a uno B, mi sembra uno spreco, sia di energia sia dello straordinario talento linguistico dell’autrice. Ma questa è solo un’opinione personale.     

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Fotogrammi: GUIDO HARARI "Dario Fo"

13 Febbraio 2019 , Scritto da Walter Fest Con tag #walter fest, #fotogrammi, #fotografia

"Dario Fo" di Guido Harari e l'omaggio di Walter Fest "Dario Fo" di Guido Harari e l'omaggio di Walter Fest

"Dario Fo" di Guido Harari e l'omaggio di Walter Fest

 

 

 

Amici lettori della signoradeifiltri, eccomi ritornato a voi, siamo in pieno inverno, pioggia e freddo ci fanno chiudere a riccio e così oggi ho scelto per voi una foto allegra, fatta a un personaggio allegro che quando lo vedrete sorriderete e vedrete la vostra giornata con occhi diversi. Vado a prendere Mario che mi sta aspettando su Lungotevere, da un po' di tempo ha preso l'abitudine di parlare con i gabbiani.
 

- Dai, Mario, piantala di raccontare le barzellette ai gabbiani, dobbiamo andare.
 

- Eccomi che arrivo, ho il dubbio che ai pennuti piacciano di più i biscotti che le barzellette.
 

- Perché, ai gabbiani dai i biscotti?


- Un po' di dolcezza mica fa male.


- Dai, sali in macchina che adesso ci penso io a farti ridere.
 

- E con la dolcezza come la mettiamo?
 

- Ti sono rimasti i biscotti?
 

Amici lettori, dovreste guardare la faccia di Mario... Lo ammettiamo... A noi piace molto la dolcezza, e a voi?
 

- Mario, dato che ci troviamo su Lungotevere, facciamoci un bel giro intorno al fiume mentre parliamo del nuovo fotografo e di una sua opera, guarda un po' questa e poi dimmi che ne pensi.
 

- Ma è Dario Fo.
 

- Sì, e lo ha fotografato Guido Harari

Guido Harari ((Il Cairo, 1952), fotografo e critico musicale, il suono, la musica e l'immagine sono il suo sogno materializzato giorno dopo giorno. Chi non ricorda la mitica "Ciao2001" per la quale ha collaborato? Ma, sopratutto, ha firmato le copertine di tantissimi musicisti importanti fra i quali Fabrizio De André, Vasco Rossi, David Crosby, Bob Dylan; è impossibile continuare perché l'elenco è lunghissimo e, per lo stesso motivo, non citerò gli altri innumerevoli artisti ritratti dal grande fotografo.

Il prezioso lavoro di questo artigiano, poeta dell'immagine, è quello di fermare l'attimo, rendendo arte "il tempo di uno scatto", ed è grazie a Guido Harari se tutto il mondo ha la possibilità di ammirare e gioire dei numerosi momenti raffiguranti gente straordinaria, dotata di talento, al servizio di ognuno di noi. Lo scorrere dei secondi, dei minuti, delle ore, dei giorni, degli anni, una scia temporale inesorabile che cammina lasciando alle spalle ogni cosa, in un immenso vortice di ricordi che solo la bravura di un fotografo riesce a fermare.

Guido Harari è uno di questi e, proprio grazie al suo amore per la musica e la fotografia, nel 2011 ha fondato Wall Of Sound Gallery, una bellissima galleria fotografica italiana, situata nel centro storico di Alba, dedicata alla musica e ai suoi protagonisti; pertanto, dal momento che il fotografo ha la possibilità e il dovere di poter fermare il tempo con i suoi scatti, questa galleria non può essere definita un museo nel senso stretto del termine ma un luogo di vera cultura viva.

"Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido. So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento. Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi. Considero Guido un amico, non un semplice fotografo". Lou Reed


- Mario, ho preferito questa foto di Dario Fo perché mi ha colpito sin da subito. La cosa più facile sarebbe stata esaminare uno dei tantissimi musicisti, c'era una vasta scelta ma ho preferito questa immagine perché penso realmente che la gente abbia sempre più bisogno di ridere, e l'idea di mostrare questa espressione mi piaceva un sacco. Guarda come questo faccione stacca benissimo dal fondo nero, ogni ruga, i capelli argentati scapigliati, gli occhi che parlano, il sorriso contagioso, ecco, ho detto giusto, in questa foto il sorriso dell'artista ti contagia, è impossibile non ridere insieme a lui. Guido Harari è stato grande nel fermare quell'istante formidabile nella sua semplicità ma dall'effetto dirompente sull'animo di chi lo guarda. Io non vedo una maschera da guitto ma un amico che mi sta invitando a prendere la vita con più leggerezza, a non arrabiarmi per una sciocchezza e a ridere delle cose, per scacciare odio e violenza, alzi la mano chi non vorrebbe avere un amico così?
 

- Beh, io ho te!
 

-E vabbè, ma mica sono bravo come Dario Fo!
 

- Però fai ridere lo stesso, sopratutto quando parli in romanesco.
 

- Hai ragione, mi sento come un attore di teatro... Dai, passami un biscottino che è meglio...
 

- Mi dispiace, sono finiti, li ho mangiati perché parlavi solo tu. E mentre ti ascoltavo mangiucchiavo.
 

- Sei incredibilmente goloso, e adesso che facciamo?
 

- Abbiamo la batteria solare carica, è ancora giorno e domani è domenica... Andiamo a Napoli a prenderci qualche babà insieme a un bel caffè.
 

Amici lettori della signoradeifiltri, noi andiamo, non serve che ve lo diciamo, forza, salite a bordo, la dolcezza ci aspetta e la prossima volta parleremo ancora di un altro fotografo a sorpresa.

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Il chewing gum

12 Febbraio 2019 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #come eravamo

 

 

 

 

Chewing gum, gomma da masticare, ciccingomma. Adesso tutti, più o meno, ogni tanto ne teniamo una in bocca per sentire un sapore zuccherino o rinfrescarci l’alito. Ma, forse, nessuno ricorda che cos’era il chewing gum negli anni 70/80.

Dunque, noi ci alzavamo al mattino, ci preparavamo per andare a scuola, ci stendevamo sul letto e i nostri padri con le pinze (giuro!) ci tiravano su i jeans attillatissimi, che avevamo passato ore a grattare con la spazzola nel bagno per farli diventare delavè e, trattenendo il fiato impossibilitate a respirare, mettevamo in bocca il primo chewing gum della giornata. In media durava fino verso le 11, quando un’amica provvidenziale ce ne offriva un altro più saporito, che sputavamo solo per pranzare, salvo rimetterne subito uno in bocca fino all’ora di cena. Guai ad essere fuori casa senza un chewing gum in bocca, guai a non averne sempre una confezione nuova in tasca, guai a parlare con un’amica senza stare facendo bolle.

Ce ne’erano di tutti i gusti, dalla gettonata classica barretta Brooklyn, alle palline colorate, al più ambito: un grosso, succulento Big Bubble profumato alla fragola, col quale fare in continuazione bolle e scoppietti (clack!), pure davanti ai professori che, poveretti, subivano questo nostro vizio come un male necessario.

Se proprio non si poteva fare a meno di togliersi l’ingombro di bocca, qualcuno appiccicava la gomma sotto il banco, ma questa è un’altra infelice storia.  

Si ruminava come mucche per tutto il giorno, fino a farci venire il mal di testa per il troppo muovere le ganasce, fino a riempirci lo stomaco di acido per l’eccessiva salivazione. E, più il chewing gum era ciucciato, stopposo e insapore, più era reduce da ore d’ininterrotta masticazione, meglio era.

Perché lo facevamo, mi chiedo adesso? Non lo so, forse per mettere una barriera fra noi e il mondo, forse per darci un tono usando un mezzo meno nocivo delle sigarette. Chissà? Certo è che se i giovani, e meno giovani, d'oggi, invece di farsi di eroina, cocaina o pasticche, subissero il fascino d'una bella masticata di chewing gum con gran bolla finale, sarebbe un vantaggio per tutti.

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Due punti di vista sulla New Age, con una introduzione

11 Febbraio 2019 , Scritto da Guido Mina di Sospiro Con tag #guido mina di sospiro, #saggi, #poli patrizia, #il mondo intorno a noi

 

 

 

 

 

 

 

Di Guido Mina di Sospiro

tradotto dall’inglese da Patrizia Poli; originalmente pubblicato su Reality Sandwich.

 

Introduzione

 

Nel 1928 un brillante filosofo/logico di Vienna, Rudolf Carnap, pubblicò Der logische Aufbau der Welt, “La struttura logica del mondo”. Dieci anni prima, Ludwig Wittgenstein aveva ideato il suo profondamente criptico Tractatus Logico – Philosophicus, l’ultimo libro filosofico. Carnap e altri esponenti del circolo viennese rielaborarono il messaggio di Wittgenstein. Verso la conclusione dell’opera citata (183. Razionalismo?) inserì:

RIFERIMENTI. Wittgenstein ha chiaramente formulato l’orgogliosa tesi dell’onnipotenza della scienza razionale, così come l’umile intuizione relativa alla sua importanza nella vita pratica: per una risposta che non può essere espressa, anche la domanda non può essere espressa. Il problema non si pone. Se si può fare una domanda, allora vi si può rispondere… (…) Wittgenstein riassume la portata del suo trattato nelle seguenti parole: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.”

Quel famoso aforisma, che conclude il trattato, avrebbe dovuto essere interpretato come una confessione di umiltà gnostica, non come un’orgogliosa tesi dell’onnipotenza di una scienza razionale. Basta prestare attenzione a tutte le implicazioni dell’opus. Giusto due aforismi prima di quello finale, infatti, Wittgenstein afferma: “C’è davvero dell’inneffabile. Esso mostra sé, è il mistico.” (6.522)

Tutto ciò risale a un secolo fa—perché dovrebbe interessarci ancora? Perché le implicazioni del razionalismo, del positivismo, del determinismo, del riduzionismo, e del meccanicismo hanno invaso il globo come una peste. Non si deve biasimare Wittgenstein: ha trasceso la sua epoca, sebbene l’abbia epitomizzata usando e sviluppando i suoi strumenti, da poco riscoperti e perfezionati, quelli della logica. (Una evidente obiezione al suo Tractatus è l’uso dell’aforisma e un criterio di classificazione altamente soggettivo al posto di un testo strutturato più sistematicamente. Perché mai dovremmo sventrare la logica attraverso un assortimento di aforismi criptici?) I suoi meno dotati seguaci, attraverso il loro fraintendimento storico, partirono per la tangente (sbagliata.) E questo solo nel campo della logica. In tutti i rami della conoscenza, il determinismo è venuto e se n’è andato, o piuttosto, sarebbe dovuto andarsene, ma non lo ha fatto, è rimasto, e ha permeato il mondo, coadiuvato dall’amplificazione del suo più fedele alleato, il progresso economico. 

Segue un irrispettosamente succinto riassunto di alcuni dei colpi che avrebbero dovuto decretare la fine del determinismo, del meccanicismo, del riduzionismo, del darwinismo, etc. Coloro che hanno familiarità con tali sviluppi scientifici, non leggano questa sezione. Coloro che non ne hanno, possono usarla come un invito ad approfondire la lettura degli scienziati citati.

La geometria euclidea è stata surclassata da quella non-euclidea, le cui principali figure furono: Nikolai Ivanovich Lobachevski (1973 -1856); János Bolyai (1802- 1860); e Bernhard Riemann (1826-1866). Se il riconoscimento di Lobachevski e Bolyai è postumo, l’accettazione della geometria non euclidea avvenne sotto l’influenza delle idee di Riemann, nel 1866, di Eugenio Beltrami nel 1868, e di Felix Klein nel 1871. Nel 1927 Werner Heisenberg (1901-1976) pubblicò il suo principio di indeterminazione. La sua radicale reinterpretazione dei concetti base largamente newtoniani della meccanica applicata alle particelle atomiche nel contesto della teoria quantistica avrebbe dovuto sferrare il colpo di grazia alla meccanica di Newton. (E lo fece, in effetti. Tuttavia, la nozione di tempo come mera durata è ancora cardinale, ad esempio, per il mondo finanziario, con ripercussioni di proporzioni globali.)

Il positivismo logico era stato ferito nel suo nucleo — la sua coercizione vero/falso e conseguente tacita aderenza al principio di bivalenza — dalla scoperta di Jan Łukasiewicz (1878 – 1956) della logica trivalente già nel 1917, nota bene: prima del trattato di Wittgenstein. Seguirono una logica a molti valori (e calcoli multivalore), aiutata dal fiorire della scuola di logica di Varsavia, della cui nascita Łukasiewicz è indirettamente responsabile.

Per quanto concerne la selezione naturale e la concezione del mondo darwiniana, accoppiata al moderno approccio biologico molecolare convenzionale, che insiste sul fatto che, quando si conoscerà la sequenza del DNA di qualsiasi organismo, allora tutto sarà  manifesto, sta diventando  evidente, come suggeriscono, fra gli altri Brian Goodwin e Gunther Stent, che la morfogenesi e lo sviluppo possono essere visti come un sistema dinamico.

La teoria del caos sta appena uscendo allo scoperto, gradualmente guadagnando terreno fra  biologi,  matematici e filosofi.

Riassumendo, tutti i suddetti sviluppi, in rami diversi ma sempre più interconnessi della conoscenza, puntano al fatto che il mondo, la vita, e la vera essenza dell’essere, l’ontologia, debbano essere reinterpretati e re-investigati con un approccio interamente nuovo (o interamente revivalista). Gli organismi non sono mere raccolte di parti, come geni, molecole e i vari componenti dei loro organi. E, soprattutto, sono vivi.

La prodigiosa proliferazione di asfalto, blocchi di cemento, edifici e grattacieli in tutto il mondo; il processo in atto e senza precedenti di deforestazione e totale desertificazione; l’omogeneizzazione culturale che il mondo ha subito, nell’interesse di una sottocultura globale, taglia unica, con la quale soppiantare le precedenti culture multiple—tutto ciò sembra essere un inarrestabile processo di spaventosa grandezza distruttiva.

Più di centocinquanta anni fa Karl Marx aveva predetto, in vera e propria tradizione oracolare sebbene nelle sembianze di moderno scienziato della storia, che il mondo si sarebbe mosso, in uno spasmo dialettico, verso un proletariato internazionale globale. Il ventesimo secolo, secondo le sue predizioni, avrebbe dovuto annunciare e confermare la nascita di un proletariato mondiale senza classi, internazionale, transnazionale e sopra nazionale. Ma il comunismo ha fallito platealmente, nonostante gli sforzi tenaci e vigorosi che i vari regimi hanno esercitato per tenerlo in vita, a nonostante le decine e decine di milioni di vite umane sacrificate al suo altare. L’umanità è regredita verso l’adorazione degli dei e, ciò che è peggio, se c’è stata una sola e dominante tendenza nel ventesimo secolo, è stata il nazionalismo. Le previsioni di Marx si sono rivelate sbagliate e il suo determinismo storico... difettoso, per coltivare l’arte dell’eufemismo.

Ma centinaia di milioni di persone, dall’Unione Sovietica alla Cina, da Cuba al Vietnam, hanno preso parte, volenti o nolenti, in questo colossale esperimento: dimentica la tua proprietà (se ce l’hai) – la tua religione – i tuoi costumi – i tuoi istinti... Probabilmente come reazione, stiamo assistendo al riemergere di istinti tribali a lungo dimenticati, mentre permangono scenari da incubo dal lato oscuro dell’umanità: pulizia etnica, guerre di religione etc.

Le società androcratiche, di libero mercato e consumistiche, capitanate e ispirate dagli Stati Uniti, sono riuscite a far sembrare il mondo tutto uguale, applicando concetti di ampia portata che sono apparentemente di casa ovunque, poiché fanno appello a una componente della psiche umana alla quale la maggior parte di noi non sembra in grado di  rinunciare: l’avidità. Un osservatore extraterrestre, dopo una completa valutazione del mondo, potrebbe commentare che esso appare come una mistura freudiana e adleriana, un ribollire d’istinti base provocati da pulsioni sessuali e di potere.

Fra queste principali e, sebbene differenti, ugualmente distruttive forze, c’è una particolare classe di esseri umani: i simpatizzanti della New Age. Come si possono caratterizzare?

 

New Age, da un punto di vista solidale

 

Oggigiorno le religioni abramiche si occupano di questioni molto poco ermetiche, mentre la massoneria è solo una di tante confraternite. In un certo senso, ciò è andato a vantaggio della tradizione ermetica, che adesso non si trova più sul limitare di altre istituzioni. Infatti, è diventata una chiesa per conto suo, e ha sviluppato la sua parte più essoterica nel movimento New Age. Uno sguardo retrospettivo alla storia conferma la diagnosi.

Al pari dell’ermetismo rinascimentale, che sperava di restaurare pace al mondo cristiano e la ragione all’umanità belligerante, il movimento New Age è ecumenico, non dogmatico e pacifista. Come gli alchimisti, che pensavano che tutta la materia fosse sulla via di diventare oro, i New Agers si dedicano alla trasformazione personale e alla realizzazione del potenziale latente in ciascuno. Le scienze occulte fioriscono, certamente nelle loro modalità meno profonde, in sistemi di divinazione (tarocchi, rune, I Ching), nell’astrologia, nella scienza delle piante, (medicina delle erbe) e delle pietre (cristalli). Così come Paracelso attraversò l’Europa chiacchierando con boscaioli e vecchie sagge, i New Agers ricercano la saggezza dei popoli indigeni, a cui danno valore.

Come tutte le manifestazioni essoteriche, la New Age ha i suoi aspetti sfortunati. Ma al suo peggio è stupidotta piuttosto che malvagia, e al nostro osservatore extraterrestre sembrerebbe la più umanistica ed ecologica di tutte le religioni attuali. Inoltre, offre porte che non sono sigillate dal dogma o dall’autorità religiosa attraverso le quali pochi auto-selezionati possono passare per ottenere una conoscenza più profonda.   

 

New Age, da un punto di vista ostile

 

Se la New Age riguarda principalmente il risveglio, perché mi fa dormire? Quelle copertine lucenti con disegni kitsch; quella musica da ascensore riciclata con titoli pomposi; e soprattutto quei profeti, o illuminati, o qualsiasi cosa siano, col loro catechismo nuovo fiammante—mi fanno dormire.

In tutta buona fede partecipo a un seminario. Eccomi dinnanzi all’illuminato, che chiacchiera. La prima impressione che mi assale è un grande torpore. Ma non mi posso addormentare, sarebbe maleducato. Così ascolto. E cosa sento? Una stupenda quantità di  ovvie assurdità. Pensandoci, non è semplice ammassare così tante stupidaggini in così poco tempo. È una cosa degna di nota di per sé, se non esattamente degna di lode.

Imparo che ci reincarniamo 84.ooo.ooo volte; che ho dell’ectoplasma nero che fuoriesce dalla mia bocca; che alcuni di noi stanno per vedere le luci ultraviolette; che siamo osservati da extraterrestri con un terzo occhio (mi chiedo da quale occhio?) etc. etc. Sebbene la sospensione dell’incredulità sia una conditio sine qua non, c’è anche una curiosa infusione di pseudo-scienze, cosicché i termini sono presi in prestito liberamente dalla fisica, dalla chimica, dalla biologia, etc. Se non altro, funzionano egregiamente come scioglilingua. Abbondano le frasi fatte, immagino perché non c’è un correttore grammaticale che avvisi l’illuminato: “Frase fatta, usare con parsimonia”. Il logos è confuso con la logorrea.

Prospera anche un sentimentalismo del tipo più infimo, e dispiace perché sembrerebbe esserci spazio per l’umorismo. Ad esempio, da un catalogo di libri New Age, ecco un titolo azzeccatissimo: Dai la colpa alle tue vite precedenti. Tale libro esiste davvero. Dovrebbe essere un best-seller fra i perdenti, e posso già immaginare il secondo volume: Punta tutto sulla tua prossima vita!

È tutto qui? Sono circondato da perdenti? Mentre sedevo in mezzo a loro, la canzone di Beck continuava a frullarmi in mente col suo maligno ritornello: “Sono un perdente, amore, allora perché non mi uccidi?” Tutti i New Agers hanno forse un tremendo bisogno di psicoanalisi?  Stanno tutti cercando una via di salvezza psichica ed emozionale? Se fosse questo il caso, allora, in forza della compassione, sono costretto a rispettare i loro erronei tentativi, e tacere.

A ben pensarci, i New Agers, per quanto kitsch siano, sono fra i migliori rappresentanti della società occidentale. Perché, almeno, loro avvertono che qualcosa non va. Sfortunatamente, sembrano accorgersene solo quando qualcosa va terribilmente storto nella loro vita. Allora cercano un rimedio e, avendo rifiutato la religione cattolica, se sono cattolici, la zingara che legge i tarocchi o il palmo della mano, e lo psichiatra, confluiscono in questa nuova genia di ciarlatani, cioè persone che dispensano frasi fatte rimescolate in guisa di saggezza trascendentale. E allora, com’è che la fanno franca? La fanno franca perché coloro che partecipano ai loro seminari e leggono i loro libri sono per la maggior parte gente disperata pronta a credere a tutto e abbracciare qualunque idea. 

Ci siamo passati tutti nella nostra vita, impotenti nelle grinfie della depressione. Quando niente va come dovrebbe andare, qualsiasi antidolorifico capace di alleviare la nostra sofferenza è il benvenuto. In un tale stato di profondo abbattimento, non solo si ottiene automaticamente la sospensione dell’incredulità, ma il futuro illuminato crederà più di ciò che si può realisticamente credere. E tuttavia l’Altro possiede il senso dell'umorismo e, se lo si avvicina in modo così disarmante, è probabile non si riuscirà mai a vendergli una polizza di assicurazione sulla vita. L’Altro ha anche bisogno di noi, ma non s’interessa di coloro i quali, avendo rinunciato a un atteggiamento critico, sono pronti a credere a qualsiasi cosa. L’Altro snobba tali persone.

Coloro di voi che non hanno mai letto un libro tipicamente New Age ne devono comprare almeno uno e rendersi conto da soli di cosa intendo. Di solito la prefazione informa frettolosamente il lettore che l’Autore è stato magistralmente guidato da tale o talaltro (uno spirito, una reincarnazione, una voce divina) e che lui o lei deve comunicare un messaggio, anzi, il messaggio. Comincia poi una litania di regole. Sono elencate nel più canonico ordine causale, cioè, da A segue B; da B, C, e così via. Sembra che la Rivelazione, il Messaggio consista nella lista della spesa. Solo che, al posto delle carote, del pane e del prezzemolo, la lista è composta da frasi fatte prese in prestito da un potpourri mal digerito di religioni/pseudoscienze comparate, compilate da sfogliatori di libri di seconda classe.

D’altra parte, coloro la cui vita è apparentemente in ordine, che abbondano in soddisfazioni familiari e professionali, che sono normali e in salute, raramente sentono il bisogno di avvicinarsi a ciò che, di fatto, è sepolto in profondità dentro ciascuno di noi. E poi ci sono le masse, coloro che guardano cinque ore di televisione al giorno, e sono bombardati da incessanti spot pubblicitari, una media di 21.000 all’anno negli Stati Uniti; coloro che hanno ormai l’encefalogramma piatto e, sebbene ancora funzionali a livello  fisico e psichico, sono in effetti diventati dei manichini.

Finché, un giorno, uno di tali manichini viene trovato, legato, imbavagliato e strangolato in uno stanzino o in uno scantinato. Alla fine, i parenti normali e sani, eccezionalmente risvegliati dal loro letargo che dura da una vita, vengono a sapere dalla polizia che il loro caro non è stato ucciso, bensì è morto di morte autoerotica.

 

Introduction

 

In 1928 a brilliant philosopher/logician from Vienna, Rudolf Carnap, published Der logische Aufbau der Welt, The Logical Structure of the World. Ten years before, Ludwig Wittgenstein had conceived his highly cryptic Tractatus Logico-Philosophicus, “the last philosophical book.” Carnap—and other exponents of the Vienna Circle—elaborated on Wittengstein’s message. Toward the conclusion of his mentioned work (183.Rationalism?) he inserted:

 

REFERENCES. Wittgenstein has clearly formulated the proud thesis of omnipotence of rational science as well as the humble insight relative to its importance for practical life: “For an answer that cannot be expressed, the question too cannot be expressed. The riddle does not exist. If a question can be put at all, then it can also be answered… (…)” Wittgenstein summarizes the import of his treatise in the following words: “What can be said at all, can be said clearly, and whereof one cannot speak, thereof one must be silent.”

 

That famous aphorism, which concludes the treatise, ought to have been interpreted as a confession of Gnostic humility, not as a “proud thesis of omnipotence of rational science.” All it takes is heeding all the implications of the opus. Just two aphorisms before the conclusive one, Wittgenstein states:

 

 

 

"There really is ineffability. It shows itself, it is the mystic." (6.522)

 

All of the above almost a century ago. Why should we care anymore? Because the implications of rationalism, positivism, determinism, reductionism, mechanicism, have invaded the globe like a plague. Wittgenstein is not to be blamed; he transcended his epoch, though he also epitomized it by using and developing its newly-rediscovered and perfected tools—those of logics. (One noticeable objection to his Tractatus is the use of aphorisms and a highly subjective ordering criterion in lieu of a more systematically structured text. Why should logic be disemboweled, as it were, through an assortment of cryptic aphorisms?) His less gifted followers, through their historical misunderstanding, went off the (wrong) tangent. And that just in the field of logics. In all branches of knowledge, determinism came and went, or rather, ought to have gone, but has not—it has persisted, and has permeated the world, aided by the amplification of its staunchest ally, economic “progress.”

 

There follows a disrespectfully succinct summary of some of the “blows” that ought to have done away with determinism, mechanism, reductionism, Darwinism, etc. Those of you who are familiar with these scientific developments, need not read this section. Those who are not, may use it as an invitation for further reading into the works of the quoted scientists.

 

Euclidean geometry was superseded by non-Euclidean geometry, whose chief figures were: Nikolai Ivanovich Lobachevski (1793-1856); János Bolyai (1802-1860); and Berhard Riemann (1826-1866). If Lobachevski’s and Bolyai’s recognition is posthumous, acceptance of non-Euclidean geometry occurred under the influence of Riemann’s ideas, in 1866, Eugenio Beltrami’s in 1868, and Felix Klein’s in 1871.In 1927 Werner Heisenberg (1901-1976) published his indeterminacy, or uncertainty, principle. His  radical reinterpretation of the largely Newtonian basic concepts of mechanics as applied to atomic particles in the context of quantum theory should have dealt the coup de grâce to Newton’s mechanics. (It did, as a matter of fact. Yet, the notion of time as mere “duration” is still cardinal to, for instance, the financial world, with repercussions of global proportions.)

 

Logical positivism was wounded at its core—its true/false coercion and ensuing tacit adherence to the principle of bivalence—by Jan Lukasiewicz’s (1878-1956) discovery of three-valued logic as early as in 1917, nota bene: before Wittgenstein’s Tractatus. Many-valued logic (and multivalued calculi) were to follow, aided by the flourishing of the Warsaw school of logic, for the inception of which Lukasiewicz is to be credited.

 

As for natural selection and the Darwinian world-view, coupled by the modern conventional molecular biological approach, which insists that when the DNA sequence of any organism be known, then all would be evident, and indeed all the reductionism and mechanisms it reeks of, it is becoming apparent, as Brian Goodwin and Gunther Stent, among others, suggest, that morphogenenis and development can be viewed as a dynamic system.

 

The theory of complexity is just coming out of the closet, gradually gaining ground among biologists, mathematicians, and philosophers alike.

 

In sum, all  the mentioned developments in different but ever more interrelated branches of knowledge point to the fact that the world, life, and the very essence of being—ontology—must be reinterpreted and re-investigated through an entirely new (or entirely revivalist, in a sense) approach. Organisms are not merely collections of parts, such as genes, molecules and the various components of their organs. And what is more, they are alive.

 

The prodigious proliferation of tarmac, concrete blocks, buildings and skyscrapers the world over; the ongoing, unprecedented process of global deforestation and outright desertification; the cultural homogenization the world has undergone, for the sake of a global one-size-fit-all subculture by which to supplant the previous, manifold endemic cultures; all of this seems to be an unstoppable process of appalling destructive magnitude.

 

Over a century and a half ago Karl Marx had predicted, in true oracular tradition albeit in the disguise of a “modern scientist of history”, that the world would move, in a dialectical spasm, towards a global international proletariat. The current century, according to his predictions, was to herald and confirm the birth of a classless, international, transnational and supranational worldwide proletariat. But Communism has failed bombastically, despite the tenacious and forceful efforts the various regimes exerted to keep it alive. Mankind has “regressed” to god-worshipping, and, what is worse, if there is one single, overriding trend in the twentieth century, that is the one of unbridled nationalism. Marx has been proven completely wrong, and his historical determinism, flawed to cultivate the art of euphemism.

 

But hundreds of millions, from the Soviet Union to China, from Cuba to Vietnam, have partaken, willy-nilly, in this colossal experiment of “forget your property (if any) — your religion — your customs — your instincts…” Possibly as a reaction, we are witnessing the reemergence of long-forgotten tribal instincts, as nightmarish scenarios reemerge from the shadow side of humanity—ethnic cleansing, religious wars, etc.

 

Androcratic, free-market, consumerist societies, with the US leading and inspiring the pack, have succeeded in making the world look the same by applying broad-sweeping concepts that are apparently at home everywhere, as they appeal to a component of the human psyche that most of us do not seem to be able to renounce—greed. An extraterrestrial observer, after a thorough evaluation of the world at the end of the twentieth century, could comment that it appears to be a Freudian and Adlerian delight—a turmoil of base instincts engendered by sex and power drives.

 

Caught in between these major and, although different, equally destructive forces, is a peculiar class of human beings: New Agers. How can they be characterized?

 

New Age (a sympathetic view)

 

Nowadays the Abrahamic religions are concerned with very un-Hermetic matters, while Freemasonry is no more than another fraternal order. In a way, this has been to the advantage of the Hermetic Tradition, which now no longer hangs on the fringes of other institutions. In fact, it has become its own church, developing its most exoteric side as the New Age movement. A backward glance at history confirms the diagnosis.

 

Like the Renaissance Hermetism that hoped to restore peace to Christendom and sanity to warring mankind, the New Age movement is ecumenical, undogmatic and pacifist. Like the alchemists, who believed that all matter is on its way to becoming gold, New Agers are dedicated to personal transformation and the realization of the latent potential in everyone. The occult sciences flourish, admittedly in their shallower modes, in divination systems (Tarot, Runes, I Ching), astrology, the science of plants (herbal medicine) and stones (crystals). Just as Paracelsus tramped through Europe chatting with woodsmen and wise women, the New Agers seek out and value the wisdom of indigenous peoples.

 

Like all exoteric manifestations, the New Age has its unfortunate aspects. But at its worst it is silly rather than vicious, and to our extraterrestrial observer it would seem the most humanistic and earth-friendly of all our religions. In addition, it offers doorways that are not sealed by dogma or religious authority, through which a self-selected few may pass to learn a deeper wisdom.

 

New Age (an unsympathetic view)

 

If New Age is all about awakening, why is it that it puts me to sleep? Those glossy book-covers with kitschy drawings; that recycled elevator music with pompous titles; and particularly those prophets or enlightened ones or whatever they are with their brand new catechism—they put me to sleep.

 

With all good faith I go to a “workshop”, that’s how it is called. So here is the enlightened one chatting away. The first impression to assail me is one of great torpor. But I can’t fall asleep, it would be impolite. So I listen. And what do I hear? A stupendous amount of conspicuous nonsense. Come to think of it, it is no small deed to amass so much nonsense in so little time. That’s noteworthy in itself, even if not necessarily praiseworthy.

 

I learn that we reincarnate 84,000,000 times; that I’ve got black ectoplasm pouring out of my mouth; that some of us are about to see ultraviolet lights; that extra-terrestrial beings with a third eye are watching (I wonder with which eye?), etc., etc. Although suspension of disbelief is a conditio sine qua non, there’s a curios infusion of pseudoscience too, so that terms are borrowed freely from physics, chemistry, biology, etc. They do make for a good mouthful. Stock phrases abound I suppose because there’s no grammar check to alert the enlightened one with “Stock phrase — use sparingly.” Logos is confused with Logorrhea.

 

Sentimentality of the basest kind thrives too, and that’s too bad, because there would seem to be room for humor. For example, from a catalogue of New Age books, here is a great title: Blame it on your Past Lives. Such a book actually exists. It should be a best-seller among losers, and I can already think of its sequel: Stake It All On Your Next Life!

 

Is that what it is? Am I surrounded by losers? As I was sitting among them Beck’s song kept revolving in my mind with its wicked refrain: “I’m a loser, baby, so why don’t you kill me?” Are all New Agers in dire need of therapy? Are they all seeking a psychic, emotional rescue? Should that be the case, then, out of compassion, I am bound to respect their misguided endeavors and say no more.

 

Indeed, New Agers, kitschy though they may be, are among the best representatives of the Western human race. For at least they sense that something is amiss. Unfortunately, they seem to do so only when something in their lives goes awry. Then they seek a remedy and, having rejected the Catholic confession, if they are Catholic; the gypsy tarot or palm reader; and the psychiatrist, they flock to this new breed of quacks, i.e., people who dispense reshuffled stock phrases in the guise of transcendental wisdom. How, why do they get away with it? They get away with it because those who attend their workshops and read their books are in most cases desperate people willing to believe and embrace anything.

 

We’ve all been there in our lives, helpless in the clutches of a depression. That’s when just about anything goes. Any painkiller capable of relieving us of our pain, we will welcome. In such a state of dire dejection, not only is suspension of disbelief automatically achieved, but the would-be enlightened will believe more than can be believed. And yet the Otherness is possessed of a sense of humor and, if you approach it so disarmingly, then you’ll probably never be able to sell it life insurance. The Otherness needs us, too, but has no interest in those who, having renounced a critical attitude, are willing to believe anything. The Otherness will snub such people altogether.

 

Those of you who have not read any typical New Age book must buy a few and see what I mean for yourselves. Usually the preface hastily informs the reader that the Author has been uncannily guided by such and such (a spirit, a reincarnation, a divine voice… ) and that (s)he has a message to impart a, nay, the message. Then commences a long litany of rules. They’re listed in the most canonical causal order, i.e., from A follows B; from B, C, and so on. Apparently, the Revelation, the Message consists of a grocery list. Only, in lieu of carrots, bread and parsley, the list is made up of stock phrases borrowed from a half-digested potpourri of comparative religion/pseudoscience compiled by second-class book browsers.

 

On the other hand, those whose life is in apparent order—rich in familiar and professional satisfaction—those who are “normal and healthy” seldom feel a need to approach that which, in fact, is deeply buried within us all. And then there are the masses, those who watch five hours of TV a day, and are bombarded by unceasing commercial advertisements—an average of 21,000 of them in a year, in the US; those who have gone brain-dead and, although still psychophysically functional, have in effect become clockwork dummies.

 

Until, one day, one of such dummies is found, bound and gagged, strangled in a closet, or a basement. Eventually, the “normal and healthy” relatives, exceptionally stirred from their lifelong lethargy, learn from the police that their beloved was not murdered, but rather died of autoerotic death.

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Radio Blog: Michele Fierro, "Sotto la luna che ride"

10 Febbraio 2019 , Scritto da Chiara Pugliese Con tag #chiara pugliese, #radioblog, #recensioni, #virginia villa

 

 

 
 
"Chi si accinge a leggere questo romanzo, capisce fin dalle prime pagine di trovarsi tra le mani un giallo avvincente, ricco di suspense e dotato di una forza narrativa capace di tenere il lettore incollato alle pagine".
 
Oggi su Radio Blog leggiamo la recensione che Virginia Villa, del blog LeggIndipendente, ha scritto per il romanzo di Michele Fierro, intitolato Sotto la luna che ride - Edizioni Convalle .
 
Buon ascolto!  
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Alessandro Del Gaudio, "Tenebra Lux"

9 Febbraio 2019 , Scritto da Gordiano Lupi Con tag #gordiano lupi, #recensioni

 

 

 

 

Alessandro Del Gaudio
Tenebra Lux
Pag.170 – Euro14,90
Leucotea, 2018 –
www.edizionileucotea.it

 

Conosco Alessandro Del Gaudio sin dai tempi de Il candore dei ciliegi. Credo di aver letto quasi tutto di lui, anzi, in alcuni casi - come direttore editoriale de Il Foglio Letterario - gli ho persino pubblicato ottimi lavori di saggistica legata al mondo del fumetto (L’identità segreta, Kyoko mon amour) e romanzi (Lungomare, Italoamericana, Metallo d’ombra, Lacrima d’ombra). Tenebra Lux ha preso altre strade, ma non è meno valido di altre cose scritte in precedenza, dal taglio fantastico e surreale.

Protagonista della storia un fumettista che si è inventato un mondo parallelo, traducendo in tavole disegnate i romanzi di un certo Del Gaudio, operazione metaletteraria convincente perché almeno due lavori del nostro autore sarebbero perfetti per un adattamento in graphic-novel (Metallo d’ombra e Lacrima d’ombra). La trama non si può raccontare senza togliere al lettore il gusto della scoperta, perché ricca di colpi di scena e risolta soltanto nel finale con un escamotage che lascia le cose a metà strada tra realtà e fantasia. Diciamo solo che il nostro fumettista si trova imprigionato nel mondo che ha creato con le sue storie disegnate, un non luogo governato da un perfido clown che ricorda il personaggio terrificante di IT di Stephen King, per fortuna pervaso anche da entità positive che lo aiuteranno nel compito di tornare al punto di partenza.

Un romanzo lineare, per niente sperimentale (per fortuna!), scritto come logica e sintassi comandano, senza la pretesa di fare alta letteratura ma solo di intrattenere - in maniera colta e intelligente - raccontando una storia fantastica che a tratti si abbandona a momenti sentimentali. Non a caso, leggendo le prime pagine mi è venuto a mente La ragazza di Trieste di Pasquale Festa Campanile (romanzo e film), dove un maturo disegnatore di fumetti vive una storia d’amore con una strana ragazza che improvvisamente compare nella sua vita. E sono andato avanti nella lettura avendo bene impressa nella mente l’immagine di Ornella Muti per il personaggio femminile e di Ben Gazzara per il fumettista. Sono sicuro che Del Gaudio non ci ha nemmeno pensato ma ogni lettore trova in un romanzo ben scritto un po’ della sua vita e si immedesima nei personaggi alla sua maniera.

Il romanzo presenta come elemento positivo la capacità di far affezionare il lettore ai protagonisti della vicenda e possiede un ritmo incalzante che ti obbliga ad andare avanti per scoprire come andrà a finire. Alessandro Del Gaudio è scrittore versatile, dai molteplici interessi, la sua anima più sentimentale nel 2015 ha prodotto il romanzo breve Il tuo nome (Sereture Edizioni), che contiene in appendice il suggestivo racconto lungo Welcome, Walter. Una buona lettura, piacevolmente fuori dalle mode, scritta con una prosa lirica, a tratti intervallata da brevi poesie. Due libri molto diversi ma entrambi letture consigliate.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Alessandro Del Gaudio, "Tenebra Lux"
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