Premio Letterario Città di Castello
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L’Associazione culturale “Tracciati Virtuali”, promuove la settima edizione del Premio letterario Città di Castello, che per il 2013 può fregiarsi di un prestigioso riconoscimento: l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.
Il concorso internazionale è riservato a lavori inediti di poesia, narrativa e saggistica.
Le prime sei edizioni del concorso hanno fatto registrare una straordinaria partecipazione con scrittori provenienti da ogni regione italiana e anche dall’estero.
Questo grazie anche al prestigio e al rigore scientifico della giuria che anche quest’anno è presieduta dal Presidente Alessandro Quasimodo, e completata dalle presenze di Valerio Massimo Manfredi, archeologo e scrittore, della giornalista Barbara Palombelli, di Alessandro Masi, Segretario generale della Società Dante Alighieri, dell’ambasciatore d’Italia Claudio Pacifico, della scrittrice Clara Sereni, di Alberto Stramaccioni docente all’Università per Stranieri di Perugia e della scrittrice e traduttrice Naglaa Waly.
http://www.premioletterariocdc.it/
Cuore di uomo
Mano lieve sulla porta
sorriso imbarazzato.
Come tutti i piccoli uomini
cammini sulle punte
in un’angosciata simpatia
che sprizza triste dagli occhi umidi
di cane malizioso.
Un fremito di nervi incontrollato
contro l’allegria degli occhi
e il sommo della bocca
a contrastare il moto di anni
che scendono giù
dove non ci sarà più fremito
né occhi, né bocca
dove il mio amore ti cercherà
sfondando le barriere fra i mondi.
Succhia col palato
i sapori della terra
pane, vino e odori di donna.
Pedina della dama, carta, tg2,
figura degli scacchi, mago Zurlì
così io ti vedo.
Brucio di gelosia fuori di te.
Ma se pungessi
con le mie maledette antenne
il tuo concreto cuore di uomo
forse non troverei quello che cerco.
A caccia
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Pulizia
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Finzione
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Primo piano a destra
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Piove
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Incontro ravvicinato
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Presunzione
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Ida Verrei: Il bambino difficile
DIVERSO, ATIPICO, O PREGIUDIZIALE PEDAGOGICA?
(ritrovato tra le mie antiche carte, quando, noi maestre della vecchia guardia, credevamo ancora nella scuola, come agenzia di educazione permanente per tutti)
Bambino difficile, individualità frammentata e problematica che mobilita angosce e scatena difese negli educatori: è il bambino che manifesta rifiuto sistematico di partecipazione, mancanza di abilità operative, difficoltà relazionali, condotte sempre inquietanti che lo fanno percepire come diverso, atipico.
Si individua subito il bambino difficile nelle sue molteplici connotazioni: egli possiede una propria fisicità, gestualità e modalità comunicative riconoscibili ma che vengono riportate a stereotipi che conducono a definirlo passivo, incapace, irrecuperabile, ineducabile.
Quel bambino non corrisponde all’immagine ottimale di alunno scelta dagli insegnanti: gli ostacoli a tale corrispondenza sono insormontabili; le aspettative non si concretizzano; vengono meno le certezze; l’attesa di gratificazione dell’adulto-educatore e di autorealizzazione viene delusa e il ruolo-guida del docente entra in crisi.
Si è precostituito ottimisticamente un esito in cui si crede per cultura e formazione e ci si viene a trovare di fronte al problema, non solo di accettazione o rifiuto, ma di analisi critica di se stessi.
La reazione emotiva che ne deriva è di opposizione, sfiducia, intolleranza; e le motivazioni di ordine socioculturale poggiano sulla convinzione che la subcultura o le culture altre, nelle quali di solito si colloca il bambino difficile, non possano elevarsi verso la cultura dominante, dove tutto è valutato in termini di produttività; la posizione di tipo mentale, infine, è di cieca fiducia nella logica adultistica, non conforme a quella del bambino e di quel bambino in particolare.
E lui, il caso difficile, come vive l’impatto con l’adulto in crisi? Egli è carente sul piano logico-cognitivo, non possiede risorse emotive, né strumenti comunicativi, si esprime attraverso codici che vengono respinti, ed allora fugge, rifiuta, aggredisce ma inconsapevolmente trasmette messaggi, richieste, bisogni.
E allora è il pregiudizio pedagogico che andrebbe rimosso. Andrebbe elaborato un diverso modello educativo che non si riferisca soltanto alla progressiva costruzione di strutture e alla sollecitazione scientifica dei processi di apprendimento e di tutti gli altri dinamismi psichici, ma che, riferendosi alla complessità di ogni persona, consideri il significato più umano dell’incontro IO-TU.
Occorre che si rifletta sulla vera dimensione della natura individuale, la quale, pur essendo conoscibile, è spesso misteriosa e fragile, comunque sempre irripetibile.
Un modello educativo, quindi, che muova dalla capacità di accostarsi a qualunque bambino, anche al più difficile, con l’attenzione e il rispetto alla unicità della sua natura.
È da qui che può prendere inizio un itinerario da percorrere insieme, maestro ed alunno, verso un comune decondizionamento.
In ciò sta un duplice riscatto: quello dell’adulto, dall’eccessiva ansietà per l’esito produttivo e visibile, quello che in termini quantitativi si dice rendimento scolastico; l’altro, del bambino, che trova in un rapporto rinnovato la possibilità per comprender-si e recuperare valore, equilibrio e definizione alle proprie espansioni vitali frustrate.
Ida Verrei