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Alessandro Seveso, "Parole Infinite" recensione di Ida Verrei

10 Gennaio 2013 , Scritto da Ida Verrei Con tag #ida verrei, #recensioni

 “Parole infinite”

 di Alessandro Seveso

 

“Il tempo porta con sé tutti gli elementi della vita, può capitare che persone del passato tornino, prima o poi…”

La nostalgia è l’elemento dominante nell’opera di Alessandro Seveso, una nostalgia velata di malinconia, di mestizia, ma con la dolcezza di memorie dissepolte, che tornano lievi, in una sorta di mescolanza con l’onirico.

Due amiche, un viaggio in Norvegia, un’isola dal fascino misterioso, una casa accanto al mare, con l’anima benefica e protettiva; il ritrovamento, tra mobili impolverati, di fogli ingialliti dal tempo: lettere, inconsueta corrispondenza tra un vecchio e una giovane donna, uno zio e una nipote.

Inizia così un singolare romanzo epistolare, dove l’io e il tu si raccontano, una sorta di  diario a due voci, dove le distanze spazio-temporali sembrano non aver peso: due mondi lontani, che non si incontreranno mai, si incrociano e si rivelano.

È un intreccio di emozioni. Da un lato “lei” , la donna giovane e vitale che parla di un universo fatto di cromatismi, di suoni, di voci e volti, dove il Fado portoghese fa da colonna sonora e il tramonto variegato di Coimbra da scenografia; dall’altro “lui”, l’anziano uomo che vive nel freddo, tra le brume di Capo Nord, in una dimensione surreale, nel paesaggio di scogliera, dove prendono corpo i fantasmi del passato, ma anche simbologie che sono tensione verso la vita, “parole infinite” per “soddisfare una fantasia che vorrebbe andare oltre…”

Una miriade di personaggi accompagna la vita di Cristina, la nipote; un susseguirsi di eventi, di storie quotidiane, ma anche straordinarie; di sogni che si realizzano, di incontri che esaltano.

Più sfumato appare il mondo di Federico, lo zio: come appannato dalle nebbie dell’isola di Gørenleskine, un puntino quasi invisibile, dovei i giorni trascorrono lenti, segnati dalle maree, dal rumore delle conchiglie sul muro sospinte dal vento, dal volo dei gabbiani. E su tutto domina il Faro, metafora di luce salvifica, bagliore che illumina il cammino, ma che rischiara anche il passato, riporta i ricordi.

Alessandro Seveso costruisce, così, un insolito carteggio, dove la comunicazione è condivisione, ma anche scavo interiore, flusso di immagini, di parole, Ed è molto abile  nel coniugare il dialogo interpersonale con l’espediente letterario dell’epistola, dove la presenza dell’altro, continuamente evocata, libera il fluire del racconto dalla necessità di una voce narrante.   

Autore e lettore diventano insieme spettatori dei due mondi che si raccontano: le due vite separate si snodano in percorsi lontani, che pure appaiono legati da un motivo comune: l’attesa di un ricongiungimento che sia risoluzione del dualismo; di “quell’io e quel tu”, ricomposti in una dimensione atemporale. 

Sarà ancora una missiva, l’ultima, a riannodare quei frammenti di vita.

 L’autore, con vero talento narrativo, riesce a donarci nella conclusione del romanzo l’emozione di una scoperta, che è rivelazione, appunto, della coincidenza possibile tra realtà e fantasia: se narrare è comunicare, le parole infinite, nella finzione letteraria, possono misteriosamente creare l’illusione consolatoria di un dialogo senza fine,  superamento di ogni limite, lenitivo della solitudine interiore.

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