IL COLONNELLO CHABERT
13 Maggio 2021 , Scritto da Valentino Appoloni Con tag #valentino appoloni, #recensioni, #storia
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Il colonnello Chabert è un breve romanzo di Balzac del 1832. Si narra la vicenda di un ufficiale che combatte a Eylau sotto il comando di Napoleone; nella mischia, dopo la celebre carica di Murat contro i Russi, viene ferito e travolto dagli squadroni di cavalleria francese che rientravano dopo l’attacco risolutore.
Per l’esercito e per lo stato è morto da eroe, come tanti altri caduti in quella battaglia sanguinosissima.
In realtà è ferito seriamente ma vivo; quando dopo alcuni anni, nel 1817, riesce a tornare a Parigi, il suo mondo non esiste più. Sia in politica che nella vita privata, la realtà è profondamente cambiata. L’amato Napoleone è in esilio, è tornata la dinastia dei Borboni che perseguita i bonapartisti, la moglie si è legittimamente risposata in quanto si credeva vedova. La donna ha avuto una buona eredità che Napoleone aveva fatto incrementare in omaggio al suo compianto colonnello. L’arrivo dell’ufficiale non è una buona notizia per lei: quanto ha creato in quegli anni rischia di vacillare e allora è opportuno che l’atto di morte del marito non venga invalidato. Lui è costretto a farsi rappresentare da un avvocato che cerca di dipanare la matassa di una situazione grottesca; avrebbe tutti i motivi per far valere le sue ragioni, ma viene fatto sentire come un oggetto ingombrante e una fonte di disagio. Il manifesto della freddezza umana raggiunge il suo culmine nella gretta figura della consorte e come sempre Balzac sa dipingere bene i peggiori vizi dell’animo umano. Infatti al colonnello si chiede una sola cosa; di non esistere, di rinunciare alla sua identità, di tornare nel suo passato con la sua frusta divisa, le datate decorazioni, il suo retaggio di ricordi napoleonici lontani e inutili ora che si vive in piena Restaurazione.
Per non compromettere la serenità altrui, si accontenterà allora di essere un vivo che cammina ancora ma che deve recitare la parte del defunto, vivendo senza mezzi; in fondo per tutti sarebbe stato meglio che lui fosse rimasto a terra sul campo di battaglia, coperto di una gloria che a nessuno interessa, utile solo per aver generato una buona pensione a favore della “vedova”.
Vengono in mente personaggi spregevoli come quelli costruiti dal nostro Verga. Ma è con un altro siciliano che l’avvicinamento è più pertinente, ossia con Pirandello, autore del fu-Mattia Pascal e dell’Enrico IV. Se per alcuni protagonisti delle sue opere, la perdita della propria identità e della propria riconoscibilità nel mondo era, per certi versi, un rifugio dal contatto doloroso con la realtà, nel caso di Balzac il quadro è meno grottesco e ben più tragico. Il colonnello galleggia tra vita e morte; viene rifiutato e fatto scivolare ai margini, costretto dagli altri ad adattarsi a un vivere minimo, vivo per se stesso ma morto per la società.
Rimane però nel breve romanzo, una figura positiva; l’avvocato dello sfortunato protagonista agisce non solo da avvocato, ma anche da amico. Prova disgusto per la corruzione morale di Parigi, ripromettendosi di lasciare la città dove potere, arrivismo e grettezza creano un’aria malsana e ipocrita. Un personaggio come lui impedisce che la vicenda scivoli su un piano di totale pessimismo.
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