La signora e la strega
In conclusione, tutte queste cose provengono dalla concupiscenza carnale che in loro è insaziabile […] non c’è da stupirsi se tra coloro che sono infetti dall’eresia delle streghe ci sono più donne che uomini […] E sia benedetto l’Altissimo che finora ha preservato il sesso maschile da un così grande flagello!”
(Malleus maleficarum, I parte, questione VI)
Seduta al bar in piazza San Domenico, guardo con distacco le persone che camminano davanti alle tombe dei glossatori o alla colonna medievale di Guido Reni e penso che forse non tutti sanno che un giorno del 1498 in questa stessa piazza fu bruciata sul rogo Gentile Budrioli, anche detta la “strega enormissima” proprio per la sua vasta cultura. Bologna fu teatro di storie poco conosciute, una città, anzi un paesone, che ti accoglie con il suo buon odore di manicaretti artigianali e con un immenso tesoro artistico non sempre manifesto a una prima occhiata, ma che merita di essere scoperto. Fermarsi un attimo in ascolto su questa piazza, dunque, è un po' prestare attenzione a ciò che la città ha da raccontare. Passeggiando sotto le due torri, lungo i portici, in un centro così immutato, si può rivivere un'epoca, si può sentire rimbombare sotto le volte il ticchettio dei tacchi o il fruscio dello strascico dei lunghi abiti di due donne che diventarono amiche, pur se diverse, legate dalla passione per l'esoterismo e l'indipendenza: Ginevra Sforza e Gentile Budrioli.
La prima, fu moglie di Sante Bentivoglio, molto più anziano di lei e poi, alla morte di questi, del cugino Giovanni II. Una moglie per due signori di Bologna, assolutamente poco ben vista in città e dalla Chiesa. Figlia illegittima di Alessandro, signore di Pesaro, la bella Ginevra era la tipica donna del tempo, ricca, viziata e coinvolta dalle, sempre poco chiare, trame di potere. Con Giovanni ebbe un rapporto molto intenso di complicità assoluta, gli diede sedici figli, alcuni dei quali però morirono in tenera età. Dal temperamento forte e insolito, capace di trattare con il giusto distacco anche le questioni più difficili, divenne consigliera fidata del marito negli affari politici e di famiglia. Ginevra era però anche curiosa, aperta e attratta da esoterismo, alchimia e altre pratiche ritenute poco adatte a una signora par suo e che, dunque, teneva gelosamente segrete per non incorrere nelle ritorsioni dell'Inquisizione. Va detto che Bologna non ha mai troppo amato questa donna, considerata vanitosa quando non viziosa, si vociferava di una relazione amorosa con Giovanni già prima delle sue seconde nozze. Era ritenuta un'ambiziosa arrivista che, con troppa disinvoltura, ostentava lusso e bellezza. Tant'è che il giorno del suo primo matrimonio con Sante Bentivoglio, il vescovo sbarrò la porta di San Petronio per impedirle di entrare con abiti giudicati troppo sfarzosi, e costringendola a ripiegare su un'altra chiesa per la celebrazione delle nozze.
E Gentile Budrioli chi era? Una ragazza molto bella oltre che intelligente. Con lunghi capelli castani, lo sguardo mite e sincero. Una donna buona, ma con la pretesa di potersi esprimere liberamente, di fare ciò per cui si sentiva ispirata, senza nessun veto. Oltre che moglie e madre, era molto colta e, nel tempo, era diventata astrologa, erborista e guaritrice. Era di certo una mente brillante, ma anche spontanea al punto da esporre al marito le sue aspirazioni, sperando almeno nella sua di comprensione. Apro una parentesi, Gentile era ricca di famiglia, il marito, il notaio Alessandro Cimieri, aveva beneficiato della sua dote, di ben 500 ducati, per farsi strada fra i notabili della città, ma questi mal sopportava le qualità della moglie e le viveva come un affronto personale, tanto da diventare, in seguito, uno dei suoi principali accusatori. Gentile intendeva, a ogni costo, approfondire i suoi studi, quindi anche contro il volere del suo sposo, decise di frequentare, nel convento dei Francescani, l'amico Frate Silvestro, per apprendere da lui ogni segreto sull'arte e l'uso delle erbe officinali. I Francescani erano da sempre custodi del segreto di curare con le erbe e Gentile, attenta e appassionata, imparò, ben presto e bene, come guarire le persone. Inoltre, prima che le fosse impedito definitivamente dal marito, per un periodo, aveva frequentato presso l'Università di Bologna, le lezioni di Astrologia del professore Scipione Manfredi. Per farla breve questa donna dimostrò ben presto la sua vera natura, la volontà di precorrere i tempi, disposta a esporsi e a rischiare per raggiungere le mete prefissate. I suoi comportamenti furono giudicati inappropriati: intollerabili per l'ignoranza dilagante della ricca borghesia, disdicevoli per la Chiesa che metteva ogni impegno nel sopraffare, reprimere e tenere il popolo (le donne soprattutto) in condizioni di ignoranza e inferiorità; doti quelle di Gentile che furono disapprovate da tutti, non ultimo, dalle sue stesse coetanee, figlie di buona famiglia come lei che, al contrario, aspettavano solo di fare il matrimonio giusto. Diventata esperta iniziò, anche fuori dal convento, a mettere le sue capacità a disposizione di tutti, la gente la considerava una guaritrice migliore dei medici e in molti si rivolgevano a lei. Era capace di curare dolori fisici, ma poiché, come detto in precedenza, era una donna di grande empatia e sensibilità, riusciva a dare sollievo anche alle pene interiori di chi le si avvicinava. Fu così che la sua fama di curatrice di corpo e anima si diffuse a Bologna di strada in strada, di vicolo in vicolo, di bocca in bocca fino a giungere all'orecchio di Ginevra Sforza. La sua decantata perizia ne aveva attirato dapprima la curiosità, ma furono le sue doti umane a instaurare le basi di un'amicizia sincera. La signora di Bologna volle Gentile come dama di compagnia che accettò di buon grado, le due donne trascorrevano pomeriggi a passeggiare per il centro e a chiacchierare, scoprendo ogni giorno affinità di uguali passioni e interessi. Gentile e Ginevra, le cui storie così diverse, si erano intrecciate. Il loro incontro aveva cambiato la vita di entrambe: una riuscì ad apprendere nozioni in materie che da sempre l'avevano affascinata, l'altra era entrata a far parte dell'entourage dei Signori della città.
Ginevra aveva provveduto alla sistemazione in convento per due delle figlie di Gentile, mentre uno dei suoi quattro figli maschi divenne notaio a corte. La signora, sempre più conquistata dalle capacità dell'amica, le affidò alcuni parenti ammalati: in particolare, le chiese aiuto per la figlia Laura, sposata con il marchese Giovanni Gonzaga, e Laura, grazie alle sue cure, guarì. Tuttavia, fra i nobili cortigiani bolognesi, si cominciò a guardare Gentile con sospetto, di anno in anno sempre più potente, e a vociferare che con le stesse erbe con cui riusciva a sanare le persone, le facesse anche morire, o peggio ancora, creasse loro dei problemi per poi prendersi il merito di averle curate. Intorno a loro, molti cominciarono a malignare e a intravedere, nello stretto rapporto di confidenza fra le due amiche, l'opera del diavolo, e da lì il passo fu breve, iniziarono a descriverlo come pericoloso e a raccontare di notti trascorse a officiare riti di “magia nera”. In ultimo, l'aver destinato, da parte di Ginevra, una generosa dote per la terza figlia di Gentile, fu causa di non poco malcontento, dicerie e invidia, fra coloro che ormai vedevano essere due donne a influenzare le decisioni di Giovanni Bentivoglio: una Signora poco amata e una strega.
Le maldicenze tuttavia si concentrarono principalmente su Gentile che, agli occhi della gente, continuava a comportarsi in modo anomalo, a fare di tutto per uscire dal percorso consentito a una vita femminile, per emergere e distaccarsi dall'ombra del marito. Gentile era anche tenuta sotto stretta osservazione dalla Chiesa per le sue frequentazioni in convento e le pratiche curative che dispensava ormai senza nascondersi.
A Bologna il Tribunale dell'Inquisizione lavorava, e parecchio, da più di due secoli, insediatosi presso il convento di San Domenico, fin dal 1233, era uno dei più solerti e spietati. Gentile, per seguire le sue passioni, era finita dentro le mura di quello stesso convento, proprio in bocca al nemico giurato delle donne, il cui corpo era considerato materia favorita dal diavolo. Le streghe a Bologna non furono diverse da tutte le streghe condannate e arse vive in ogni altro luogo durante i secoli. Subivano processi sommari con prove inventate, venivano condannate ed eliminate dopo confessioni strappate sotto terribili torture; si trattava principalmente di levatrici, astrologhe, erboriste e, ovviamente, prostitute.
Le accuse di stregoneria conservate nel Fondo dell’Inquisizione dell’Archivio di Stato di Modena (ASM) riguardano essenzialmente donne ritenute pericolose agli occhi della comunità in cui vivevano.
“..La macchina della paura verso le donne non è mai morta, – spiega lo storico Adriano Prosperi, esperto di Inquisizione – la dominanza maschile sull’universo nella nostra cultura ha portato con sé un margine di paura nei confronti dell’indomabile differenza naturale e culturale delle donne, delle escluse (...)”.
Innumerevoli sono le vicende trattate, troppe per poterle ricordare tutte. La persecuzione fu spietata e durò nei secoli ancora fino al 1600. Per brevità cito qui solo alcuni emblematici casi: nel 1293, Franceschina fu condannata come strega per avere fatto innamorare di sé il ricco bottegaio Corvino. Nel 1295 vennero condotte al rogo due astrologhe, Morba e Medina. Nel 1373, Giacoma fu giudicata per aver curato una donna, da tempo ammalata, con pratiche di erboristeria. Uno degli ultimi episodi che si ricorda, e siamo già nel XVII secolo, è quello di Margherita Sarti, astrologa e prostituta che, una volta trascinata in piazza, fu linciata dalla folla per giorni e morì dopo una lunga agonia.
Tornando al caso di Gentile Budrioli, va però detto che, con ogni probabilità, a decretarne la fine fu proprio la sua volontà di partecipare alla politica cittadina. I Bentivoglio, negli anni, avevano dovuto sopportare diverse congiure da parte di famiglie bolognesi concorrenti che bramavano il potere, come i Malvezzi e i Marescotti, e fu anche la vicinanza a queste famiglie che contribuì alla rovina di Gentile. Fra maldicenze da un lato e fatti più o meno chiari dall'altro, la corte riuscì a influenzare l'opinione di Giovanni II su di lei, a farla apparire sia strumento del diavolo che dei suoi oppositori; la sfortuna dei Bentivoglio, dunque, era causata dalla sua presenza, dai suoi oscuri malefici e la sorte di Gentile divenne quella di capro espiatorio.
Il potere temporale della Chiesa in quel periodo costituiva una minaccia costante per il governo della città. Innocenzo VIII era un Papa per niente bonario e tranquillo, essendo veemente persecutore del filosofo modenese Pico della Mirandola e relatore della bolla papale che vide all'opera nella “caccia alle streghe” i feroci inquisitori tedeschi Kramer e Sprenger e che, dopo aver blandamente condannato la politica del predecessore Sisto V, nominò in Spagna Grande Inquisitore, nientemeno che Tomas Torquemada. Consultando alcuni documenti conservati nell’Archiginnasio di Bologna, si possono trovare richieste di finanziamento, da parte della Chiesa, per “l’allargamento della sala delle torture” e per il rinnovo degli strumenti di supplizio per gli interrogatori. Questa tremenda macchina di persecuzione veniva alimentata confiscando ai condannati i beni che possedevano e che finivano equamente suddivisi fra la Chiesa e il Comune di Bologna, che dal canto suo incentivava, nei periodi di crisi, l’attività di inquisizione.
Era successo che uno dei figli di Giovanni II si fosse gravemente ammalato e che la moglie volesse affidarlo per le cure alla sua amica Gentile, purtroppo il bambino morì in pochi giorni e quella fu l'occasione giusta per trarre vantaggio dall'accaduto e sbarazzarsi della scomoda presenza di Gentile, entrata in un gioco più grande di lei. La Corte l'accusò di avere, in combutta col diavolo, “guastato” il bambino. Così, convinto da eventi personali e dall'opportunità di un riavvicinamento al Papa, per siglare una sorta di tregua nella lotta al dominio della città, il Signore di Bologna intravide nella consegna di Gentile alla Santa Inquisizione la sua via di salvezza. Ginevra, pur tentando con tutte le sue forze, per non mettere a rischio la sua stessa vita, non poté risparmiare all'amica una tremenda sorte.
È Leandro Alberti (1479-1552) importante storico, domenicano, teologo e filosofo di Bologna che, nel suo “Historiae”, dedica alcune pagine alla vicenda di Gentile Budrioli, alla sua condanna al rogo e ai dettagli dell'esecuzione. Quanto alla Inquisizione l'Autore aveva voce in capitolo essendo stato istituito egli stesso Inquisitore intorno al 1533.
Per Gentile, donna istruita, appartenente a una famiglia in vista, fu montato un processo in grande stile, con l’accusa di stregoneria più vasta e completa possibile, ovviamente gli atti del processo sono andati per lo più dispersi.
"La graziosa brunetta passeggiava per Bologna con vesti di seta e di velluto, con orecchini preziosi, braccialetti d’oro e perle al collo e tra i capelli. In più aveva un servitore che la precedeva e due damigelle che la seguivano, sempre…”
(Dagli atti del processo di Gentile Budrioli, 1498)
La casa di Gentile nel torresotto di Porta Nova, venne perquisita una prima volta e furono trovate le prove della sua stregoneria: un diavolo di piombo, tracce di sangue, ampolle piene di liquidi, mantelli e abiti ricoperti di diavoli dipinti. A una seconda perquisizione, quando lei era già rinchiusa nelle sale di tortura, saltarono fuori, manco a dirlo, le prove definitive e inconfutabili della sua alleanza col diavolo: libri di negromanzia, un altare con le immagini di Lucifero, dodici sacchetti contenenti ciascuno polvere di organi umani con i quali bastava che lei toccasse il corrispondente organo di qualcuno per farlo ammalare o morire. C’era chi giurava che Gentile fosse in grado di predire cosa sarebbe accaduto, solo guardando le stelle. Ginevra Bentivoglio, la signora di Bologna che, durante l'inchiesta fu sfiorata dai sospetti ma troppo in alto per venire colpita, si chiuse in un silenzioso riserbo. Ed ecco con un coup de théâtre, uscire allo scoperto anche il marito di Gentile che testimoniò con dovizia di particolari contro di lei, dichiarando che prima lo aveva tradito, poi lo aveva sottoposto a un incantesimo per fargli perdere l’intelletto. Una serva di Gentile confermò che la sua Signora parlava con il diavolo e le aveva insegnato una malìa per far innamorare un uomo. La povera Gentile fu torturata a lungo fino a crollare e, allo stremo di ogni resistenza fisica e psicologica, confessò ben vent'anni di attività occulte: “72 congiungimenti carnali con spiriti demoniaci”, ammise di aver rubato ossa al cimitero e di aver profanato simboli religiosi. Confessò dunque tutto quello che c'era da confessare pur di porre fine al suo supplizio, chiedendo in cambio solo di salutare i suoi figli per l'ultima volta.
I condannati erano portati, dopo il processo, dal convento di Piazza San Domenico a Piazza VIII Agosto, in genere su un carro, in mezzo alla folla delirante, con il boia e un frate che cantilenava liturgie. Il tragitto non era breve: dalla camera delle torture si passava attraverso piazza Cavour ei proseguiva verso piazza Maggiore, dove si assisteva alla prima Messa. Sul carro con lo sventurato di turno c'erano i membri dell’Arciconfraternita della Morte, braccio della confraternita di Santa Maria della Vita, sita tra via Clavature e via Pescherie, uomini vestiti con un saio e un cappuccio che lasciava intravedere solo gli occhi e, per incutere più terrore, un teschio all'altezza della bocca. Finita la Messa si ripartiva per Piazza VIII Agosto dove la celebrazione della seconda Messa era l'introduzione al rogo.
Era il 14 luglio del 1498 quando si diede seguito alla condanna di Gentile, ma nel suo caso fu scelta come scena dell'esecuzione la piazza davanti al convento di San Domenico, proprio dove aveva appreso le sue nozioni, dove aveva avuto inizio la sua storia. Fu eretta una piattaforma con un palo alto sei metri sulla quale, ormai priva di forze, Gentile venne legata con una catena di ferro e con un cappio intorno al collo. I giorni di tortura e umiliazione, il processo, la condanna, non avevano potuto cancellare del tutto, dal viso diafano, la sua conturbante bellezza. Il boia, mastro Giacomo, aveva cosparso i vestiti di pece, mischiata con polvere da sparo, così come la legna posta sotto i suoi piedi, e quando il fuoco venne appiccato la folla accorsa in massa, rimase terrorizzata dalle violente fiammate, dai botti, credendo che fosse il diavolo a causarli mentre saliva dagli Inferi a prendersi l'anima della sua serva prediletta. Il fumo denso e acre si alzava dalle fascine, riempiendole i polmoni, il cappio le si stringeva sempre di più al collo e la sventurata spirò ancor prima che il corpo fosse lambito dalle fiamme. In breve tempo “l'enormissima strega” si tramutò in un gran falò e presto fu cenere che il vento disperdeva su questa bella piazza.
Nonostante la morte di Gentile, le sfortune dei Bentivoglio non conobbero fine, la famiglia continuò a subire congiure da più parti, Ginevra, legata indissolubilmente in un vero e proprio sodalizio col marito, seguì la sua sorte continuando a consigliarlo su quali strategie intraprendere e su quali oppositori eliminare. Alla fine, è risaputo, la città di Bologna venne ripresa dal Papato. Giovanni trovò rifugio a Milano, ma Ginevra non si arrese subito. Coraggiosa e indomita fino all'ultimo, mise insieme un esercito con due dei suoi figli e combatté al loro fianco per riprendere il controllo della città. Sconfitti in battaglia a Casalecchio, le fu comminato l'esilio, lei non si allontanò troppo da Bologna riparando a Parma, dai Signori Pallavicino, in casa di un'amica, ma pagò la sua disobbedienza e l'insubordinazione armata con la scomunica. Il Papa Giulio II, vincitore, si era insediato proprio nella dimora dei vecchi signori a Bentivoglio, dove Ginevra chiese più volte, di essere ricevuta senza ottenerne nessuna possibilità, né perdono, né clemenza. Morì esule nel 1507 e il suo corpo fu sepolto in una fossa comune vicino a Busseto.
Una storia popolare racconta che, il giorno del rogo Ginevra, sentendosi in colpa per aver permesso che la sua amica fosse barattata con la ragion di stato, vagasse senza meta intorno alla casa di Gentile, tappandosi le orecchie per non sentire le urla della folla inferocita, annusando l'odore acre del fumo che si spandeva per le vie del centro. Se questo è vero sicuramente avrà pianto a lungo e avrà atteso di vedere volare nell'aria le ceneri della sua compagna. Ceneri grigie, polvere sottile, che a ben guardare non si sono ancora totalmente disperse e continuano a volare qua intorno, davanti ai miei occhi... ma forse è soltanto smog.
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