Vincenzo Zonno, "L'ultimo spettacolo"
10 Aprile 2020 , Scritto da Patrizia Poli Con tag #poli patrizia, #recensioni

L’ultimo spettacolo
Vincenzo Zonno
Catartica Edizioni, 2020
Pp 192,
14,00
Ormai Vincenzo Zonno ci ha abituato al proprio stile superlativo (a parte piccolissimi errori, forse solo refusi) di cui riveste e ammanta il suo surrealismo, che mescola a vari generi letterari, dal romanzo storico, all’horror, qui, nello specifico, alla fantascienza.
Al solito, confesso di non aver capito molto della trama del tutto onirica – e di non aver nemmeno avuto interesse a comprendere - ma di essere stata colpita dall’ambientazione. In un futuro ucronico e distopico, dove tutto è controllato dal governo centrale, i cittadini sono indottrinati e spiati attraverso gli schermi della televisione. Ogni cosa è artificiale, l’erba è sintetica, i fiori sono di stoffa, il profumo viene spruzzato da erogatori nascosti, ci si sposta a bordo di grandiosi dirigibili. Ogni aspetto della vita è diretto e amministrato dal governo. Le relazioni amorose sono regolamentate, persino la religione e l’accesso al paradiso esigono una tessera. Per decidere se si è colpevoli o innocenti c’è un elaboratore elettronico che esamina i dati degli interrogatori e stila il giudizio finale. È stata riammessa la tortura e la pena di morte viene comminata senza rimpianti. Persino i mali di stagione sono disciplinati dall’alto.
I cittadini vivono (o, meglio, vegetano) sollevati dal pensiero di scegliere e di ragionare con la propria testa, è tutto semplice, asettico, freddo. Solo il sogno li salva. Come nel film Matrix, non si sa qual è la realtà e dove finisce l’immaginazione. Non si sa chi crea cosa, chi plasma chi. Chi dorme e chi è sveglio. Chi è carnefice e chi vittima. Forse "sogno quindi sono"?
La realtà è piatta e asfissiante, ma c’è “l’ultimo spettacolo” messo in scena per Rebecca, un tempo insegnante di danza e che ora non può nemmeno spiegare a una bambina come si balla. Una bellissima performance su un palcoscenico. Un mondo parallelo fatto di arte fantasmagorica che sublima la bruttezza del reale.
I personaggi del romanzo sono vari e strani. Harpo, un tizio che viene accusato d’omicidio ma non si può interrogare perché dorme. Un elettricista che uccide la gente. Rafaela, una ragazza morta su una panchina. Rebecca, la ex di Harpo. Carl, il delegato che indaga sull’omicidio di Rafaela, incarnazione fisica del travet, della burocrazia spersonalizzata. Convergono e si mischiano, entrano ed escono dal sogno, dal racconto che uno dei protagonisti sta scrivendo, dalla mente confusa del lettore.
Una scrittura bellissima ma, come già detto, volutamente al servizio di trame sempre più da teatro dell’assurdo. Un romanzo di nicchia, frutto di autoerotismo letterario, diretto a chi ha voglia di faticare, ricostruire, far combaciare i pezzi del puzzle. Zonno, è così. O lo si odia o lo si ama. Devo ancora decidere.
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